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L’accertamento “in negativo” della fondatezza della pretesa nel regime dei vizi formali.

2. Le azioni di accertamento.

2.5 L’accertamento “in negativo” della fondatezza della pretesa nel regime dei vizi formali.

Ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/90 così come novellata dalla L. 15/05, «non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Il comma continua poi con una seconda proposizione: «Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».

Non sarebbe possibile, né utile in questa sede ripercorrere l’ampio dibattito che ha preceduto e in parte seguito la modifica del regime dei vizi formali nel nostro ordinamento275, pertanto verranno presi in esame solo gli aspetti specifici della fattispecie che presentano punti di contatto con il tema della presente indagine.

Sotto un primo profilo viene in rilievo la questione relativa alla natura giuridica della norma in questione, essendo discusso se essa abbia natura di regola di diritto sostanziale processuale.

La questione non è priva di conseguenze sul piano degli effetti, si pensi solo alle conseguenze che si fanno derivare sotto il profilo risarcitorio dalla qualifica dell’atto in termini illegittimità.

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I contributi prodotti recentemente sul tema in questione sono stati molto numerosi (tra i tanti): M. Occhiena, Formalismo e sostanzialismo nella teoria dell'attività amministrativa, relazione tenuta al Convegno di Studi Vizi formali e vizi sostanziali del provvedimento amministrativo, Copanello, 5-6 luglio 2002; F. Fracchia, Vizi formali, semplificazione procedimentale e silenzio-assenso, relazione tenuta al Convegno di Studi Vizi formali e vizi sostanziali del provvedimento amministrativo, Copanello, 5-6 luglio 2002; B.G. Mattarella, Il provvedimento, in Tratt. dir. amm., a cura di S. Cassese, Milano, 2000, parte gen., vol. I, 705 e ss.; R. Villata, L'atto amministrativo, in AA.VV., Diritto Amministrativo, Bologna, 2001, vol. II, 1427 ss.; Scoca, Vizi formali, vizi sostanziali e procedimento amministrativo italiano, Relazione presentata al X Convegno biennale di diritto amministrativo dell'AGATIF, Brescia, 23 ottobre 2003; Cerulli Irelli, Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell'amministrazione, in Annuario 2002 dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Milano, 2003, 3 ss.; ivi G. Morbidelli, Invalidità e irregolarità, 79 ss.; P.M. Vipiana Perpetua, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, Padova, 2003; F. Luciani, Il vizio formale nella teoria dell'invalidità amministrativa, Torino, 2003; D.U. Galetta, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003; A. Police, L'illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, in Dir. amm., 2003, 735 ss.; R. Proietti, Partecipazione e accordi nel procedimento amministrativo, in D&G, supplem. al n. 03/2004; A. Romano Tassone, Vizi formali e vizi procedurali, in www.giustamm.it.

In realtà, nel silenzio del legislatore che non qualifica come “legittimo” l’atto affetto da vizi formali, deve ritenersi operante la regola ordinaria che qualifica come illegittimo l’atto affetto da uno dei vizi di legittimità.

Può concordarsi nondimeno con chi ritiene che si tratti di una norma “sostanziale con effetti processuali”276

, che pur non incidendo sulla qualifica del provvedimento in termini di illegittimità, incide sul profilo della sanzione.

Nel qualificare come non annullabile un provvedimento posto in violazione di norme formali che non abbiano influito sulla sostanza della decisone, la norma attribuisce al giudice il potere-dovere di verificare, ogniqualvolta venga dedotto un vizio formale, se la pretesa del privato sia fondata o non sia, per avventura, palesemente infondata, al punto da rendere inutile, eccessivo e persino dannoso il procedimento giudiziale di annullamento.

Emerge pertanto un primo punto di contatto con l’oggetto della presente indagine: la norma in questione testimonia il passaggio da un giudizio estrinseco e parentetico sull’atto, ad un giudizio finale sula rapporto che definisce in modo sostanziale e sopratutto definitivo la controversia.

La nuova disciplina dei vizi formali sembra espressione pertanto del principio chiovendiano secondo cui quando il privato ha torto, ha interesse ad avere torto subito e completamente, così, similmente, quando ha ragione ha diritto ad avere ragione subito e completamente; in quest’ottica il privato che abbia sostanzialmente torto in relazione all’agognato bene della vita preferisce una sconfitta immediata ad una vittoria apparente, dal momento che all’annullamento dell’atto per vizi di forma o del procedimento farebbe seguito, quasi certamente, un nuovo provvedimento, questa volta anche formalmente legittimo,parimenti negativo nel suo contenuto dispositivo.

D’altra parte il diritto civile da sempre conosce la distinzione tra regole del comportamento e regole dell’atto, ossia tra regole la cui violazione comporta una qualificazione in termini di illiceità del comportamento complessivamente inteso e regole la cui violazione comporta invece la sanzione della caducazione del’atto.

Appare evidente il parallelismo con le regole civilistiche in tema di comportamento che non rilevano sotto il profilo della valididità del contratto (nullità- annullabilità), bensì sotto il profilo della responsabilità del contraente.

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F. Caringella, L’art. 21 octies della legge 241: rivoluzione o restaurazione?, intervento al Convegno “Giustizia amministrativa e sviluppo economico”, svoltosi a Lecce i l30 settembre – 1 ottobre 2005 presso il Tribunale amministrativo regionale di Lecce, in www.giustizia-amminitrativa.it.

Si pensi alla violazione degli obblighi di buona fede nelle trattative (art. 1337 c.c) ovvero al caso del dolo incidente (art. 1440 c.c.), in entrambe le ipotesi la violazione delle regole di comportamento nella fase prodromica alla stipula del contratto non sono reputati tali da inficiare la validità del contratto.

Deve solo aggiungersi che in dette ipotesi la valutazione circa l’incidenza del vizio nel rapporto sostanziale non è lasciata alla valutazione del giudice come nel caso del 21 octies ma è effettuata in astratto dal legislatore.

La diversità tra le due discipline potrebbe trovare giustificazione, a ben vedere, nel tradizionale ossequio che la tradizione civilistica ha sempre mostrato nei confronti dell’autonomia privata e al “dogma” della volontà dei contraenti.

Il parallelo con il diritto civile, ove ritenuto plausibile, consente di superare un altro nodo della disciplina dei vizi formali relativo alla tutela delle posizioni giuridiche lese da un atto affetto da vizi formali, ossia il problema, al quale è possibile solo accennare, ella risarcibilità di tali posizioni.

Come l’ordinamento civile infatti prevede che la violazione di regole di comportamento rilevi sotto il profilo della responsabilità dei contraenti ferma restando la validità del contratto, non si vede quali ragioni legate alla “specificità” del rapporto amministrativo impediscano di ritenere parimenti risarcibile al posizione soggettiva danneggiata dalla violazione di regole di forma del procedimento.

Un secondo problema riguarda l’ambito di applicazione della disposizione, essendo incerto cosa intende il legislatore quando, nella prima parte del secondo comma, riferisce: “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato”. La dottrina e la giurisprudenza pressoché unanimemente concordano nel ritenere che l’inciso si riferisca agli atti vincolati.

Ma il problema è solo in apparenza risolto restando da chiarire se deve trattarsi di atti per i quali ab origine non vi era alcuna alternativa di diritto, ovvero di atti che sebbene inizialmente discrezionali risultino di fatto vincolati, essendosi data l’amministrazione ad es. un vincolo ab origine inesistente.

Anche in questo caso non sembra vi siano ostacoli all’accoglimento della interpretazione più estensiva della norma, essendo gli originari profili di discrezionalità assorbiti dal comportamento dell’amministrazione. Si pensi ad una procedura di aggiudicazione con il metodo dell’appalto concorso con offerta economicamente più vantaggiosa nel quale la commissione abbia già esperito le sue valutazioni discrezionali in ordine alle offerte. In sede di impugnatoria della graduatoria finale per vizi formali

(es. incompetenza) non vi sono ostacoli ad ammettere che il giudice possa spingersi fino a sindacare l’incidenza del vizio di forma sul rapporto controverso.

Presenta profili di maggiore complessità il problema connesso alla violazione della regola procedurale dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. In questo caso infatti è consentito al giudice di sindacare l’incidenza del vizio formale sul rapporto sottostante anche in presenza di attività discrezionale.

Sarà l’amministrazione a dover provare in giudizio l’infondatezza della pretesa sostanziale vantata dal ricorrente, provando che non vi erano alternative, di fatto o di diritto, e che pertanto l’atto non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello concretamente adottato.

Quanto ai vizi concretamente deducibili quali vizi formali, al fine di attribuire alla disposizione una portata effettivamente innovativa occorre ritenere che essa abbracci non solo i vizi conce tanto nere irregolarità formali, quali per esempio la illeggibilità della sottoscrizione o il vizio della intestazione, ipotesi che già nell’impostazione antecedente alla novella non erano ritenute invalidanti, ma a vizi formali che anteriormente ala novella erano reputati invalidanti ossia a vizi di un certo rilievo quali quelli relativi alla violazione delle regole sulla competenza o alla motivazione dei provvedimenti.

Sulla questione della integrazione della motivazione in corso di giudizio si rinvia alle considerazioni già svolte in precedenza in sede di ricostruzione dei limiti cognitivi del giudice amministrativo.

Per quanto attiene al vizio di incompetenza deve dissentirsi da quell’orientamento che tende a ricomprenderla tra i vizi sostanziali sulla base della semplice constatazione che la competenza è muta rispetto alla bontà della decisone.

Viceversa anche con riguardano al vizio di incompetenza sussistono esigenze di tutela sostanziale del ricorrente del tutto simili a quelle sottese al regime dei vizi formali di cui all’art. 21 octies: ossia principalmente l’esigenza di evitare vittorie inutili e di definire in modo compiuto la vicenda contenziosa.

Quanto all’esito processuale del giudizio, nell’ipotesi in cui il giudice ritenga che il vizio dedotto non abbia efficacia invalidante, le alternative prospettabili sono due.

Secondo una prima tesi il ricorso dovrebbe essere respinto sulla base della circostanza che non è fondata la pretesa sostanziale vantata dal ricorrente; secondo altro indirizzo, invece, dovrebbe essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.

Quest’ultima soluzione non appare però condivisibile, tra l’altro, per le conseguenze cui condurrebbe sotto il profilo della tutela risarcitoria del ricorrente.

La nuova disciplina dei vizi formali segna una tappa fondamentale nell’evoluzione del sistema di giustizia amministrativa, costituendo una chiara smentita all’idea che il giudice amministrativo, sia un giudice dell’atto e non del rapporto.

Ma la norma è rilevante a ben guardarla per quello che non dice, rispetto a ciò che dice.

Se infatti essa attribuisce al giudice il potere di verificare la fondatezza della pretesa al fine di dare torto, ossia prima di pronunciare annullamenti che possono rilevarsi inutili, allora la stessa non può non attribuire specularmente il potere dovere di verificare la fondatezza della pretesa , quante volte gli sia richiesto, anche per dare ragione.

Tale conclusione è resa necessaria da una parte del rispetto del principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. corollario del diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost., dall’altro dal principio della parità delle parti nel processo, espressione del più ampio principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.

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