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L’accertamento del diritto controverso nelle materie di giurisdizione esclusiva.

2. Le azioni di accertamento.

2.1. L’accertamento del diritto controverso nelle materie di giurisdizione esclusiva.

A quest’ultimo interrogativo, ossia alla possibilità di estendere il giudizio di accertamento a tutela di posizioni di interesse negativo la giurisprudenza consolidata ha dato risposta negativa: “ l'azione di mero accertamento nel processo amministrativo è ammessa negli stessi limiti in cui è ammessa nel processo civile, quando si agisce per la tutela di diritti soggettivi, ancorché non patrimoniali, mentre non è in via generale consentita in materia di tutela degli interessi legittimi, la quale si realizza esclusivamente mediante l'annullamento di un provvedimento o mediante pronunce dichiarative dell'illegittimità di un silenzio assimilabile a un provvedimento”195.

La giurisprudenza distingue, dunque, i diritti soggettivi dagli interessi legittimi, ritenendo che soltanto i primi siano tutelabili (anche) mediante azioni di mero accertamento.

Inizialmente dunque l’azione di accertamento era riconosciuta nelle sole controversie (per lo più relative alla materia del pubblico impiego) rientranti nella giurisdizione esclusiva e si contro verteva soltanto i diritti soggettivi.

Deve rivelarsi peraltro che le sentenze più risalenti si sono pronunciate per la inammissibilità di azioni di accertamento in senso proprio, ossia tendenti ad ottenere una decisione satisfattiva di un mero bisogno di certezza giuridica del ricorrente, dinanzi al g.a. seppure in sede di giurisdizione esclusiva su diritti.

Viene in rilievo in particolare la sentenza dell’Ad. Plen. n. 17 del 1953, considerata la pronuncia “capostipite”, con la quale il consiglio di Stato ha ritenuto inammissibile la domanda di alcuni impiegati di una Cassa mutua soppressa, volta al riconoscimento del loro trasferimento ex lege alle dipendenze dell'INAM196.

Gli impegati erano stati indotti ad agire dalla notizia dell'imminente proclamazione di un concorso interno da parte dell'INAM, dal quale temevano di rimanere esclusi perché gli organi competenti non avevano ancora portato a termine le operazioni necessarie per l'attuazione della legge di soppressione della Cassa e per

l'inquadramento del personale nei ruoli dell'INAM.

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Cons. St., sez. VI, 15 maggio 1984, n. 261, in Giur. it., 1985, III, 1, 102. Più di recente, la posizione è stata ribadita da Id., sez. V, 11 ottobre 1999, n. 1343, in Urb. e app., 1999, 1348, secondo la quale «anche nelle materie di giurisdizione esclusiva non sono ammesse azioni di accertamento a tutela di una posizione avente la consistenza di interesse legittimo».

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Il Consiglio di Stato ha rilevato che i ricorrenti, «volendo soltanto porre fine all'incertezza della loro posizione giuridica per potersene avvalere al momento opportuno, esperiscono in questa sede un'azione di mero accertamento, di quella specie che è detta "di accertamento preventivo", in vista della possibilità di partecipare ai concorsi interni che l'INAM bandirà prossimamente». L'azione è stata giudicata inammissibile, perché «dinanzi al Consiglio di Stato non sono proponibili azioni di mero accertamento preventivo».

Nell’ottica tradizionale infatti la tutela che il giudizio amministrativo deve offrire al ricorrente deve pur sempre considerarsi di tipo costitutivo, ossia connessa ad un provvedimento amministrativo, attraverso la sua demolizione, ovvero attraverso l’accertamento del diritto alla sua adozione.

Non sarebbe proponibile invece un’azione diretta ad una semplice declaratoria, un mero accertamento di uno status nella sua interezza.

Tale posizione giurisprudenziale rimasta dominante per tutti gli anni settanta, è stata superata per effetto di alcune affermazioni di principio contenute in un’altra sentenza chiave della vicenda dell’accertamento nel processo amministrativo costituita dlal pronuncia n. 25 dell’Ad. Plenaria, che ha generalizzato la tutela dichiarativa dei diritti nel pubblico impiego, estendendo ai diritti non patrimoniali la figura dell’atto paritetico197.

Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza successiva ha ammesso che “allorché si chieda la tutela di diritti soggettivi, anche non patrimoniali, l'azione di mero accertamento è ammessa nel processo amministrativo negli stessi limiti in cui essa sarebbe ammissibile in un processo civile, avente ad oggetto situazioni soggettive similari, e cioè quando sussista un interesse ad eliminare una situazione di incertezza” 198.

Anche dopo il riconoscimento della loro ammissibilità, azioni di mero accertamento nella giurisdizione esclusiva si sono presentate raramente. I pochi casi in cui il giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi su domande di mero accertamento in senso proprio, hanno, però, offerto l'occasione di precisare in che senso tale azione è soggetta alle stesse condizioni che vigono per essa nel processo civile: precisazioni importanti, perché l'azione di mero accertamento neppure nel

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Cons. St., Ad. plen., 26 ottobre 1979, n. 25, in Riv. amm., 1979, 881. Si veda, in proposito, Quartulli, Atti autoritativi e atti paritetici: validità di una distinzione, in Studi per il 150º del Consiglio di Stato, III, Roma, 1981, 1517

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processo civile gode di un espresso riconoscimento legislativo, essendo configurata come strumento di tutela di carattere generale dalla giurisprudenza, la quale ne ha fissato, con orientamenti non sempre univoci, le condizioni di ammissibilità199.

È naturale, quindi, che il giudice amministrativo si sia rivolto, per stabilire quali siano i presupposti dell'azione di mero accertamento, all'elaborazione compiuta dalla giurisprudenza civile.

E’ stato così affermato che anche nel processo amministrativo, in primo luogo, l'interesse ad agire in mero accertamento deve fondarsi su di uno stato di incertezza derivante da una pretesa contestata: «non è, infatti, possibile la proposizione di un'azione di accertamento diretta alla dichiarazione di uno stato di fatto o di diritto pacifico e mai contestato. Anche in questo caso occorre pertanto che l'attore sia titolare di una situazione contestata e che a tale situazione possa porre rimedio solo con la

certezza che deriva dalla pronuncia del giudice»200.

In secondo luogo, sempre riferendosi agli indirizzi della giurisprudenza civile, il giudice amministrativo ha ritenuto che la dichiarazione dell'esistenza o inesistenza di un diritto deve essere «richiesta al giudice non già in via meramente astratta o addirittura ipotetica, bensì con riferimento a circostanze e fatti concreti e attuali», al fine di «evitare che il ricorso al giudice si traduca in una mera richiesta di consulenza sul principio di diritto” 201.

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La giurisprudenza civile ritiene che l'azione di mero accertamento debba avere ad oggetto «un diritto che sia già sorto e che possa in astratto competere all'attore, sempre che sussista un pregiudizio attuale, e non meramente potenziale, che non possa essere eliminato senza una pronuncia giudiziale» (ad es., Cass., s.u., 15 gennaio 1996, n. 264, in Giust. civ., 1996, I, 2324). Per alcuni esempi di ritenuta sussistenza di un pregiudizio attuale derivante da uno stato di oggettiva incertezza, si vedano Cass., 28 giugno 1997, n. 5819, in Foro it., 1998, I, 902, con nota Fabiani (accertamento della validità di un accordo transattivo tra lavoratore e datore di lavoro richiesto da quest'ultimo); Id., 26 maggio 1993, n. 5889, ivi, 1994, I, 507, con nota di Pagni, Licenziamento, poteri privati e interesse ad agire in mero accertamento (accertamento promosso dal datore di lavoro della sussistenza di una giusta causa di licenziamento del lavoratore); Id., 14 maggio 1983, n. 3338, ivi, 1983, I, 3039 (accertamento promosso dal lavoratore del proprio diritto alla tutela assicurativa contro le malattie professionali). In argomento, Lanfranchi, L'interesse del datore di lavoro ad agire in mero accertamento, in Riv. giur. lav., 1975, II, 483; Merlin, Mero accertamento di una questione preliminare?, ivi, 1985, 193; Sassani, Mero accertamento del rapporto di lavoro, interesse ad agire e art. 34 c.p.c., in Giust. civ., 1984, I, 626; Id., L'azione di accertamento del datore di lavoro "dissenziente" nel procedimento di avviamento obbligatorio, in Riv. dir. proc., 1989, 1148.

200

T.A.R. Lazio, sez. III, 12 aprile 1985, n. 385, in Trib. amm. reg., 1985, I, 1639. Questa posizione corrisponde all'indirizzo consolidato nella giurisprudenza civile, secondo cui l'interesse ad agire in mero accertamento «presuppone uno stato d'incertezza oggettiva - cioè dipendente da un fatto esteriore o da un atto e non da considerazioni meramente soggettive - sull'esistenza di un rapporto giuridico tale da arrecare all'interessato, ove questi non proponga l'accertamento giudiziale sulla concreta volontà della legge, un pregiudizio concreto e attuale» (fra le tante, Cass. 8 marzo 1999, n. 1981, in Giust. civ. Mass., 1999, 521; Id., 21 giugno 1993, n. 6859, in Foro it., Rep. 1993, voce Proprietà (azioni a difesa), n. 2; Id., 29 novembre 1991, n. 12818, ivi, 1991, voce Procedimento civile, n. 104; Id., 19 aprile 1991, n. 4208, ibid., voce Previdenza sociale, n. 1005.

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Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 1987, n. 576, in Cons. St., 1987, I, 1343. Anche questa posizione corrisponde all'indirizzo consolidato nella giurisprudenza civile, secondo cui «deve escludersi l'interesse ad agire in mero

In concreto, sono state ritenute inammissibili l'azione di mero accertamento della natura pubblicistica di un rapporto di lavoro con un ente pubblico, in mancanza di contestazione da parte del datore di lavoro o comunque di qualsiasi elemento che rendesse dubbia la posizione dei ricorrenti in seno all'ente, e l'azione di mero accertamento del diritto ad ottenere maggiorazioni di compenso per lavoro prestato in turni pomeridiani e notturni, proposta in via puramente astratta, senza allegazione degli elementi di fatto da cui dovrebbe essere concretamente sorto il diritto202.

E’ stata, invece, considerata ammissibile la domanda di mero accertamento del diritto alla corresponsione della retribuzione corrispondente all'esercizio di mansioni superiori, proposta da un aiuto ospedaliero incaricato di svolgere in via vicaria le funzioni di primario203.

Quando il primario era stato collocato a riposo, il sostituto aveva proposto ricorso al giudice amministrativo, che era stato respinto dal T.A.R. perché il periodo trascorso tra il verificarsi della vacanza del posto di primario e la notificazione del ricorso era inferiore ai sessanta giorni nel limite dei quali l'art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979 dispone che l'esercizio di mansioni superiori non dà diritto a retribuzione aggiuntiva.

Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza, ritenendo che la circostanza rilevata dal T.A.R influisse sul merito del ricorso, ma non potesse valere a “delimitare l'oggetto del giudizio, poiché, trattandosi di una situazione giuridica di durata, la pronunzia di accertamento deve esprimersi... sugli effetti che ne derivano finché restino immutati gli elementi essenziali esistenti alla data della proposizione del ricorso”.

In altri termini, la decisione ha riconosciuto che la domanda era rivolta non contro una lesione attuale del diritto patrimoniale del ricorrente, bensì contro l'incertezza circa la spettanza di tale diritto in futuro, determinata dalla contestazione dell'amministrazione.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, «è principio ampiamente acquisito che l'azione di accertamento possa essere proposta anche per rimuovere una situazione oggettiva di incertezza in ordine ad un diritto, incertezza sussistente nella specie, posto

accertamento ove il giudizio sia rivolto alla soluzione di una questione di diritto in vista di situazioni future ed ipotetiche» (in tal senso, da ultimo, Cass., s.u., 15 gennaio 1996, n. 264, in Giust. civ., 1996, I, 2324; Id., 21 novembre 1995, n. 10017, in Inf. prev., 1995, 1314; Id., 24 giugno 1995, n. 7196, in Foro it., Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 157).

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Rispettivamente T.A.R. Lazio, sez. III, 12 aprile 1985, n. 385 cit. e Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 1987, n. 576.

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che l'amministrazione, nel pronunziarsi sulla diffida notificata dal ricorrente, aveva negato la spettanza del trattamento retributivo superiore».

Per quanto numericamente scarse, le pronunce esaminate dimostrano come i n giurisprudenza sia acquisita l’ammissibilità di azioni di mero accertamento nelle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Deve rilevarsi peraltro come l’azione di accertamento, per quanto nelle affermazioni di principio abbia trovato riconoscimento di carattere generale, almeno nelle controversie vertenti in materia di diritti soggettivi, sia stata di fatto ritenuta ammissibile quasi esclusivamente nelle controversie in materia di pubblico impiego.

Fuori dalla materia del pubblico impiego, l’azione di accertamento ha trovato rare applicazioni nelle controversie vertenti in materia di diritti soggettivi di carattere petitorio e possessorio, e in genere, dirette a rimuovere una situazione di incertezza relativa a rapporti paritari tra p.a. e cittadino.

In altre materie i tentativi dei tribunali di primo grado di dar voce a forme di tutela di mero accertamento sono state sovente bloccati dal Giudice di seconda istanza con argomenti che richiamano significativamente l’impostazione dell’Ad. Plen. del 1957, imperniata sul giudizio impugnatorio come paradiga del processo amministrativo.

2.2 . Azione di accertamento e interesse legittimo.

La ragione tradizionalmente addotta per giustificare la differenziazione tra diritti e interessi in ordine all’esperibilità dell’azione di accertamento è di ordine non sostanziale, ma processuale, in quanto si basa sull'asserita tipicità delle azioni esperibili nel processo amministrativo. Si afferma, infatti, che «l'attuale giurisdizione di legittimità è giurisdizione di annullamento degli atti amministrativi, e non anche giurisdizione di mero accertamento della legittimità di questi ultimi, per cui nel vigente sistema processuale amministrativo non è ammissibile un giudizio che tenda solo all'accertamento dell'illegittimità degli atti, svincolato dall’annullamento degli stessi204.

Questa posizione si inserisce nel contesto di un quadro teorico che fu elaborato dalla dottrina nel corso degli anni cinquanta, ma che in seguito è stato oggetto di un progressivo ripensamento fino ad essere completamente abbandonato in tempi più recenti205.

A partire già dagli anni sessanta, infatti, i percorsi della dottrina si sono sempre più divaricati da quelli seguiti dalla giurisprudenza206.

204

Cons. St., sez. IV, 15 settembre 1998, n. 1155, in Cons. St., 1998, I, 1267.

205

Le origini della posizione giurisprudenziale in esame si collocano nella prima metà degli anni cinquanta. È quindi significativa la concordanza temporale con le posizioni teoriche cui ci si riferisce nel testo. Si deve ricordare, in primo luogo, la netta riaffermazione del carattere necessariamente impugnatorio del processo amministrativo di legittimità fatta da Casetta, Osservazioni sull'ammissibilità di decisioni di mero accertamento da parte del giudice amministrativo, in Rass. dir. pubbl., 1952, 146 ss., a fronte delle aperture di Guicciardi, Sentenze dichiarative del giudice amministrativo?, in Giur. it., 1951, III, 121 (ora in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 346 ss.). In secondo luogo, risale a quegli anni una delle più rigorose teorizzazioni del giudizio amministrativo come processo di impugnazione di atti amministrativi invalidi, avente ad oggetto non l'interesse legittimo (come invece il diritto soggettivo è l'oggetto della giurisdizione civile), ma «un rapporto giuridico potestativo che trae origine da una concreta volontà di legge avente per contenuto l'annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, subordinatamente alla volontà del soggetto dell'interesse individuale da esso leso» ( Garbagnati, La giurisdizione amministrativa. Concetto ed oggetto, Milano, 1950, spec. 12 ss., 28 ss., 39 ss., 58 ss., 66 ss.). La tesi di Garbagnati tendeva ad affermare una incommensurabilità tra diritto soggettivo e interesse legittimo ( op. cit., 95, ove si sostiene che «non è esatto configurare l'interesse legittimo come una situazione giuridica subiettiva, come una posizione giuridica di vantaggio, distinta bensì dal diritto soggettivo, ma da collocarsi sul medesimo piano di esso», perché esso «è un puro elemento teleologico rispetto al potere giuridico di provocare l'annullamento dell'atto amministrativo invalido») che pochi anni dopo avrebbe trovato un inquadramento più generale ad opera di Allorio, L'ordinamento giuridico nel prisma dell'accertamento giudiziale (1955), ora in Id., Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 3 ss., spec. 81 ss.

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Il momento in cui l'impostazione dottrinale ha cominciato a differenziarsi nettamente da quella giurisprudenziale è rappresentato dall'opera di Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, op. cit. II, il quale pur non condividendo le posizioni che ammettono nel processo civile un'azione generale di mero accertamento (p. 107 ss.), ha fissato una premessa essenziale per il successivo sviluppo della riflessione in argomento sottolineando come le norme che fissano i presupposti di fatto del provvedimento non siano dettate «nell'esclusiva considerazione dell'interesse pubblico», ma costituiscano anche una diretta garanzia sostanziale degli interessi privati coinvolti nell'azione amministrativa ( op. cit., I, 183 ss.; II, 1 ss., 14 ss.) e, su questa base, individuando nella sentenza del giudice amministrativo un contenuto di accertamento della pretesa sostanziale del ricorrente ( op. cit., II, 225 ss.).

Mentre questa rimaneva ancorata all'idea della tipicità delle azioni ammissibili nella giurisdizione di legittimità, la dottrina accentuava il carattere sostanziale dell'interesse legittimo, avvicinandosi sempre più all'ordine di idee opposto, secondo il quale le situazioni soggettive riconosciute dal diritto materiale devono necessariamente trovare sul piano processuale una protezione adeguata alla natura della lesione concretamente sofferta.

L’azione generale di mero accertamento, infatti, non è prevista neppure per i diritti soggettivi e, tuttavia, dottrina e giurisprudenza la ammettono sulla sola base dell'interesse ad agire determinato dalla contestazione o dal vanto altrui del diritto. La dottrina tende, quindi, oggi a considerare secondaria la mancata previsione normativa dell'azione di mero accertamento, ritenendo che il problema sia quello, essenzialmente pratico, di individuare le ipotesi in cui l'interesse legittimo possa e debba essere tutelato solo mediante l'accertamento della situazione giuridica esistente207.

A ciò si aggiunga che l’intero impianto sul quale si fondava la ricostruzione dei limiti applicativi del giudizio di accertamento nel processo amministrativo, sembra essere stato scardinato dalla recente decisione della Corte cost. 204/04.

La Corte ha infatti affermato che nelle ipotesi in cui la p.a. agisce in assenza di potestà pubblicistiche la cognizione della controversia sarà sempre devoluta alla giurisdizione del g.o.

Alla luce della ricostruzione del riparto di giurisdizione tra g.o. e g.a. effettuato dalla Consulta, non vi sarebbe spazio per l’esercizio dell’azione di accertamento nel processo amministrativo, atteso che le fattispecie in cui tradizionalmente la giurisprudenza ha ritenuto esperibile l’azione di accertamento (ossia i rapporti paritetici) sono oggi ricondotte alla cognizione del g.o.

Tuttavia, in mancanza di un'espressa previsione normativa, la giurisprudenza continua a mantenere nei confronti della tutela di mero accertamento la posizione generalmente preclusiva sopra ricordata.

In realtà è bene distinguere due ipotesi.

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In tal senso, E. Ferrari, Decisione, cit., 548, secondo il quale «alla decisione giurisdizionale amministrativa non risulta essere oggi precluso nessuno dei contenuti e degli effetti che conosciamo per le sentenze del giudice ordinario e sulla base dei quali è stata elaborata la nota tripartizione dei tipi di sentenza. Ciò deriva fondamentalmente dal fatto che il risultato del giudizio amministrativo è un accertamento proprio perché tale giudice applica la norma al fatto ed enuncia la regola di diritto nel caso concreto... In linea di principio risultano quindi possibili innanzitutto le sentenze di accertamento» e, dal momento che le preclusioni teoriche appaiono ormai superate, «il problema è... fondamentalmente di ordine pratico- applicativo; si tratta di individuare le ipotesi concrete nelle quali l'interesse del ricorrente si svolge essenzialmente all'acclaramento della situazione esistente».

La domanda può essere diretta ad ottenere un puro accertamento della posizione soggettiva, ovvero essere connessa ad un’azione di impugnazione.

Nel primo caso si pensi ad es. al caso in cui il ricorrente lamenti che una determinata area, che secondo l’amministrazione appartiene al demanio, è invece proprietà privata.

In questa ipotesi la giurisprudenza ammette pressoché pacificamente l’esperibilità dell’azione di accertamento a fronte del “comportamento” dell’amministrazione.

Così come ammette pacificamente l’azione di mero accertamento quante volte non sia praticabile la tutela demolitoria: si peni alle ipotesi di silenzio rifiuto dell’amministrazione ovvero di accertamento della nullità di un atto amministrativo nelle ipotesi in cui venga in rilievo una posizione di interesse legittimo.

Nel secondo caso invece il quadro si presenta più complesso: riprendendo l’esempio anzidetto, può immaginarsi che il ricorrente agisca in giudizio per l’accertamento della proprietà privata dell’area e contestualmente proponga azione annullamento del vincolo di in edificabilità che insiste sull’area medesima.

A fronte di un atto illegittimo, la giurisprudenza maggioritaria ritiene infatti tutt’oggi che l’unica tutela accordabile sia la tutela costitutiva con esclusione della tutela dichiarativa.208

L’orientamento si fonda sull’assunto che a differenza dei giudizi aventi ad oggetto un diritto soggettivo - nei quali l’accertamento potrà sfociare in un momento di giudicato autonomo ed indipendente - nei giudizi nei quali la causa petendi è fornita esclusivamente da un interesse legittimo la fase di accertamento avrà un valore endoprocessuale e sarà assorbita dalla pronuncia costitutiva sul provvedimento impugnato.

Ciò alla stregua della tradizionale regola processuale secondo la quale qualsiasi tipo di pronuncia è preceduta necessariamente da un’attività di accertamento.

La giurisprudenza amministrativa peraltro pur restando fedele a tale assunto, ha raggiunto talvolta nella sostanza effetti analoghi a quelli prodotti dalle sentenze dichiarative.

Tale evenienza si è verificata sostanzialmente in tre ipotesi: a) pronunce di inammissibilità del ricorso motivate dalla mancanza di ogni effetto lesivo per il

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