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La rincorsa del Regolamento. Uno studio empirico sul potere regolamentare nel mezzo delle trasformazioni sociali.

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Corso di PhD in Law

Anno Accademico

2019/2020.

La rincorsa del Regolamento

Uno studio empirico sul potere regolamentare nel mezzo delle trasformazioni sociali

Autore

Alberto Arcuri

Relatore

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Indice

Considerazioni introduttive__________________________________________7

1. Oggetto, metodo e struttura del lavoro_________________________________________7 2. Perché un altro studio sul potere regolamentare__________________________________8

3. Perché una ricostruzione storico-costituzionale__________________________________8 4. Perché una ricostruzione del contesto________________________________________10 5. Un ulteriore delimitazione dell’oggetto: sull’uso della parola Regolamento (e

regolamentare)__________________________________________________________11

Capitolo Uno.

Il potere regolamentare nelle strutture costituzionali: ricostruzione storica del trattamento giuridico e del discorso teorico sul potere regolamentare______15

1. Le origini dell'oggetto: la nascita del concetto di potere regolamentare______________16 2. Il Potere regolamentare nel Regno d’Italia____________________________________19

2.1. L’influenza della dottrina francese sull’origine del discorso teorico sul potere

regolamentare nell’Italia liberale e sull’impianto dello Statuto Albertino ___________19 2.2. Il potere regolamentare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: l’influenza della

dottrina tedesca sul pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e di Alfredo Codacci

Pisanelli ____________________________________________________________21 2.3. L’apertura liberale di Federico Cammeo e la svolta legalista di Guido Zanobini__26 3. Il Potere regolamentare nello Stato fascista e nella legge n. 100 del 1926 ____________29 4. Il potere regolamentare nell’ordinamento costituzionale__________________________33 4.1. Il Regolamento in Assemblea Costituente_________________________________34 4.2. Le fondamenta teoriche del discorso sul potere regolamentare nell’ordinamento

costituzionale vigente: le riflessioni di Lorenza Carlassare e di Enzo Cheli_______36 5. La legge n. 400 del 1988 e il riformato art. 117 co. 6 Cost.________________________40 6. Tirando le fila del discorso: il Governo nella struttura costituzionale della Repubblica

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Capitolo Due.

La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei

decreti normativi non regolamentari___________________________________52 1. Il potere regolamentare destrutturato: cenni di un inquadramento teorico____________53

1.1. Legge n. 400 del 1988 e il tentativo di tipizzare la fonte regolamentare ________53 1.2. Una cosa è disporre, altra cosa è provvedere: sul rapporto tra criteri formali e

sostanziali per la qualificazione dei decreti __________________________________58 1.3. Diversi percorsi, un unico fenomeno: decreti normativi non regolamentari e decreti

di natura non regolamentare sono formule simili per fatti diversi (uniti nell’esito)____62 2. Decreti normativi non regolamentari e decreti di natura non regolamentare nel più

recente periodo: presentazione dei dati_______________________________________65 2.1. Le fonti primarie che rinviano a decreti di natura non regolamentare___________65 2.2. Il fenomeno della decretazione normativa ma non regolamentare _____________67 3. Il “secondo tempo” delle leggi e il peso normativo dei decreti normativi non

regolamentari sul sistema della fonti_________________________________________71 3.1. La dimensione quantitativa ____________________________________________71 3.2. La dimensione qualitativa _____________________________________________78 4. Dentro la forma destrutturata ______________________________________________81 5. La reazione dei soggetti che controllano la struttura del potere ____________________86

5.1. L’approccio pragmatico (forse più evasivo che risolutivo) della Corte

costituzionale_______________________________________________________86 5.2. La posizione (quanto meno ondivaga) del Consiglio di Stato__________________90

Capitolo Tre.

La disarticolazione soggettiva del potere regolamentare nell’evoluzione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri_________________________93

1. In premessa: tratti dell’evoluzione (straniante) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ____________________________________________________________94 2. L’oggetto: il potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri nella

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2.1. Presentazione dei dati sulla produzione di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri__________________________________________________________100 2.2. Una carica di d.P.C.M.?______________________________________________104 2.3. Individuazione di ricorrenze procedurali_________________________________110 2.3.1. La procedura endogovernativa________________________________________110 2.3.2. … e gli altri soggetti coinvolti________________________________________112 3. Brevi considerazioni sui dati______________________________________________113 4. …e conferme in un recente caso di studio: i d.P.C.M. nella vicenda Covid-19________117

4.1. Punto primo: lo scostamento dal sistema di protezione civile e il ruolo del

Presidente del Consiglio dei Ministri______________________________________118 4.2. Secondo punto: la natura degli atti del Presidente del Consiglio______________121 4.3. Terzo punto: gli elementi di continuità__________________________________124

Capitolo Quattro.

(Il Governo e) il potere regolamentare situato_______________________128

1. Il concreto posizionamento del potere regolamentare nella struttura costituzionale: a partire dai risultati della ricerca empirica ____________________________________129 2. L’importanza del contesto: una premessa di realismo __________________________131 2.1. Il punto di partenza: la crisi del sistema dei partiti non spiega più, da sola, le dinamiche

delle fonti del diritto___________________________________________________132 2.2. (Il Governo e) il potere regolamentare situato in uno spazio globale dominato dalla

tecnica___________________________________________________________134 2.3. (Il Governo e) il potere regolamentare situato nella struttura multilivello dello

spazio europeo_______________________________________________________140 3. (Il Governo e) il potere regolamentare situato: una rilettura possibile?_____________146

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Considerazioni introduttive

1. Oggetto, metodo e struttura del lavoro

Quello che segue è uno studio sul potere regolamentare del Governo: un tentativo di comprensione, attraverso l’osservazione «sul campo», del suo concreto dispiegarsi nel contesto delle dinamiche politico-istituzionali attuali. L’analisi è stata condotta a partire da due direttrici, attorno a cui si è cercato di aggregare il materiale ricavato: quella della struttura formale del potere e quella dell’articolazione soggettiva del suo esercizio. Il primo tema è stato indagato attraverso il fenomeno della fuga dalla forma regolamentare, il secondo attraverso l’evoluzione del decreto del Presidente del Consiglio di Ministri di contenuto normativo.

Per lo svolgimento di questo tentativo di comprensione, la scelta del metodo empirico è parsa, in un certo senso, obbligata. Alla convinzione generale per cui uno studio di diritto costituzionale non possa prescindere da un’attenta misurazione del reale, si aggiunge la convinzione supplementare che quando si tratta di potere regolamentare ciò sia reso ulteriormente vero dal suo essere contenuto in modo (assolutamente) incompleto e precario nei modelli normativi, cui la prassi frequentemente non si adegua.

Lo svolgimento del lavoro segue un andamento induttivo. Il punto di partenza - nonché la parte centrale del lavoro - è il materiale raccolto «sul campo» e i due “movimenti”, adottati come chiavi di lettura, serviranno a fornire la base d’appoggio su cui si proverà a svolgere un lavoro di ordine e sistemazione, attraverso la valorizzazione di eventuali ricorrenze. Solo infine si cercherà, a partire da queste, di porre gli spunti per avanzare considerazioni di ordine generale: non tanto una riconduzione eziologica del materiale su cui si è lavorato, quanto di collocamento sistematico della realtà ricostruita nell’ambito cui appartiene. Questo vuole essere, in altre parole, il punto di arrivo: incastonare il “comportamento” del potere regolamentare nel contesto politico-istituzionale in cui si svolge.

Lo studio è articolato in tre parti.

1) La prima parte (Cap. 1) è dedicata alla ricostruzione, per tratti, dell’evoluzione storico-costituzionale del potere regolamentare, a partire dalle sue origini e fino alla

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prossimità dell’arco temporale entro cui è collocato l’oggetto di questo lavoro.

2) La parte centrale (Capp. 2 e 3) consiste nel lavoro «sul campo», nell’analisi empirica dei due fenomeni, con riferimento al periodo 2013-2019.

3) Infine (Cap. 4) si cercherà di innestare il materiale ricavato dalla prassi, e sistemato in costruzioni ordinate, nel contesto materiale a cui appartiene.

2. Perché un altro studio sul potere regolamentare

Lo studio del sistema delle fonti e della produzione giuridica nel nostro ordinamento, come tutti i temi più importanti del diritto costituzionale, ha avuto la capacità di mantenere una solida e perdurante attualità. E’ anche per questo che su di esso, e in esso anche sul potere regolamentare (seppur meno che per altro) si è sviluppata con il tempo una letteratura vasta e stratificata. Per questa ragione, uno studio che si proponga di affrontare nuovamente questo tema non può che avvertire, prima di ogni altra cosa, la necessità di chiarire quali motivi giustificano un ulteriore ritorno.

Nell’introdurre «Il potere regolamentare nell’amministrazione centrale», il volume che avrebbe concluso il grande sforzo di lavoro compiuto ad inizio degli anni ‘90 dal gruppo dell’Osservatorio sulle fonti, Ugo De Siervo scriveva che: «gli studiosi del diritto pubblico devono, come ben noto, considerare sempre con grande attenzione la effettiva realtà normativa che si produce negli ambiti da loro indagati […] per evitare di ridurre le loro analisi ad astratte considerazioni di logica formale». Partendo da questa convinzione egli si persuase dell’utilità di tornare ad indagare nuovamente - e dopo un tempo in cui di potere regolamentare la dottrina sembrò non volersi più occupare - un ambito che, in passato, era già stato sezionato con estrema attenzione profondità: perché «l’effettiva realtà normativa» cambia rapidamente, e talvolta, anche radicalmente.

La portata e la profondità dei movimenti che oggi rinnovano la realtà normativa (in alcuni casi perfino con estrema esemplarità comunicativa), unita alla radicale trasformazione del contesto materiale in cui tutto il sistema di produzione giuridica si trova ad operare nel presente, sono sembrate ragioni sufficienti per giustificare un supplemento di riflessione.

3. Perché una ricostruzione storico-costituzionale

Il fatto che il modo in cui in un ordinamento si crea il diritto sia indissolubilmente legato al modo in cui il potere è distribuito al suo interno e al modo in cui si determina il rapporto

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tra coloro che lo detengono e gli individui a cui si rivolge, è una convinzione che è ormai diventata parte dell’approccio metodologico della grandissima maggioranza degli studi più recenti sulle fonti del diritto. Seguendo lo stesso percorso nell’altro verso, uno studio empirico sulle fonti del diritto può costituire senza dubbio un indice affidabile del modo in cui è distribuito il potere in un ordinamento e di come si determinano i rapporti di potere tra gli organi che lo detengono e i cittadini a cui si rivolge. Quando poi, nel sistema delle fonti, è del Regolamento dell’esecutivo che si decide di fare l’oggetto di studio, la convinzione risulta perfino enfatizzata: perché il potere regolamentare si salda in modo inscindibile e diretto alla legge e al modo in cui si assestano i rapporti fra assemblee legislative e organi di governo.

Approcciando il materiale elaborato dagli studi condotti negli anni sulla fonte regolamentare, di questa consapevolezza potrebbe non trarsi un chiaro riflesso operativo. Anzi: uno degli elementi caratteristici e più noti del discorso sul potere regolamentare è proprio la sua tendenza a riproporre le stesse parole, le stesse formule, gli stessi concetti e le stesse categorie nel corso dei secoli e attraversando esperienze costituzionali profondamente diverse. Non solo la struttura concettuale è rimasta fino ad oggi pressoché invariata, ma il problema della continuità è stato certamente replicato nella dimensione positiva: il caso più eclatante, a tal proposito, è quello della legge n. 100 del 1926: adottata nel pieno di un regime autoritario che ripugnava i meccanismi della rappresentanza parlamentare, nel cui testo confluirono impostazioni teoriche costruite su coordinate elaborate nell’ambito dello Stato liberale e i cui effetti si sarebbero protesi nei primi quarant’anni di vita dell’ordinamento costituzionale repubblicano, mantenendosi come punto di riferimento del dibattito fino alla fine del XX secolo.

La ricostruzione delle traiettorie fondamentali della teoria generale sul potere regolamentare attraverso il pensiero dei maestri che l’hanno formata, è svolta proprio per rinvenire, oltre la sistemazione cronologica e didascalica del loro pensiero, l’evoluzione concettuale dell’oggetto di questo studio. Una ricostruzione storico-costituzionale serve, allora, proprio a questo: a dimostrare come i lenti aggiustamenti dell’impianto concettuale abbiano nascosto rapidi e significativi adattamenti al sistema politico-costituzionale e come questi, guardati alla fine del percorso, si dimostrino a loro volta indici affidabili del modo in cui si sia evoluta la realtà a cui si adattavano. In questa chiave, uno scrutinio critico della

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riflessione sulla natura e sul fondamento del potere regolamentare, può aiutare a mettere meglio a fuoco le problematiche che la fonte regolamentare solleva nell’ordinamento attuale. Perché è proprio questo suo essere inestricabilmente intrecciato al resto della trama ordinamentale a rendere lo studio del potere regolamentare uno dei luoghi in cui, prima e meglio, è possibile rintracciare l’andamento di alcuni movimenti di sistema.

4. Perché una ricostruzione del contesto

Al fondo di questo lavoro stanno due convinzioni.

La prima è che le dinamiche del potere normativo riflettano gli assestamenti di potere che coinvolgono gli organi che lo esercitano e, in questo senso, possano rappresentare l’epifania (non l’unica, evidentemente) di un certo movimento organico del sistema di produzione normativa. Da questa convinzione deriva: (a) che sono le dinamiche della forma di Governo e dell’organizzazione del potere a determinare la destrutturazione e lo sfaldamento del sistema delle fonti (anche secondarie) e non il contrario, e (b) che si incorrerebbe in un errore prospettico grave se si prescindesse dal dato materiale.

La seconda è che la trasformazione dello spazio in cui opera il Governo, iniziata a cavallo di questo secolo e ora giunta ad un certo compimento, sia tale da imporre una rilettura di molte delle conclusioni cui la dottrina era giunta al finire dello scorso. E questo vale soprattutto per gli studi sulla forma di governo e sulle fonti del diritto. Se l’approccio teorico in queste materie è stato dominato, per anni, dalla ricerca delle intersezioni con il sistema dei partiti e dei meccanismi elettorali, oggi questi fattori rischiano di spiegare molto poco di queste dinamiche e di nascondere la trasformazione organica determinata dall’andamento globale dell’esperienza umana - e dalla conseguente aggregazione globale dei suoi interessi - e dalla realizzazione, e poi dal modo in cui si è sviluppato, di un ordinamento sovranazionale nello spazio europeo.

Tutto questo per spiegare la premessa: e cioè che l’inquadramento non può essere assoluto ma deve essere storicizzato. Ricavato cioè alla luce del posizionamento del Governo nel quadro più ampio in cui si trova ad operare, anche a costo di imprecisioni di sorta. E’ chiaro che, nel momento stesso in cui si vuole provare a svolgere un inquadramento di questo tipo, ci si immerge in un terreno estremamente vischioso fatto di temi che richiederebbero competenze molto diverse e profonde, da cui non si esce se non si accetta monte quella certa dose di superficialità che permette di muoversi oltre quella vischiosità.

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5. Un ulteriore delimitazione dell’oggetto: sull’uso della parola Regolamento (e regolamentare)

Il rapporto di mescolanza inscindibile che lega il linguaggio e la cognizione che interpreta ed esprime l’esperienza del mondo, fa sì che lo sforzo preliminare di misurazione dell’estensione semantica delle parole sia, soprattutto quando si tratta di termini che per un motivo o per un altro si portano dietro confusioni in ordine al loro utilizzo, un momento d’importanza centrale. Quando si viene a trattare del Regolamento e del potere regolamentare nel diritto costituzionale, la questione è tanto serio da non poter essere ignorata.

Nella lingua italiana, la parola Regolamento (nelle sue varie declinazioni) ha una varietà di significati quasi senza misura, sicuramente non riducibile ad alcuna forma di unità. Pur quando assunta nella sola forma sostantiva, la quantità delle cose cui aderisce è immensamente disomogenea. E la situazione non cambia, per lo meno non in modo risolutivo, anche quando della forma sostantiva si vogliano cercare solo i significati che appartengono all’ambito del linguaggio giuridico. Al punto che l’ascrizione del significato alla parola avviene sempre per mezzo delle moltissime aggettivazioni che di volta in volta lo accompagnano. La parola regolamento può, per esempio, indicare l’insieme delle prescrizioni che regolano rapporti contrattuali (come i regolamenti per l’utilizzo di beni e servizi predisposti da una delle parti) e rapporti privati in genere (come i regolamenti condominiali, aziendali, di associazioni e di molte altre forme di rapporti privati), che in comune hanno il fatto di essere formati per consenso e che comunque trovano applicazione nei confronti dei soli aderenti e in virtù della loro adesione. La parola Regolamento però, si applica anche ai rapporti pubblici. Sono chiamati con lo stesso nome gli insiemi di prescrizioni poste dall’amministrazione agli utenti di un servizio come condizione per potervi accedere (i regolamenti d’utenza in genere, i regolamenti di servizio e i regolamenti del personale). Ci sono poi i regolamenti interni degli organi costituzionali: quelli parlamentari (generali, speciali e amministrativi), quelli della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale, nonché i regolamenti interni del Governo (il regolamento del Consiglio dei ministri, quello della Presidenza del Consiglio e i regolamenti di organizzazione dei singoli Ministeri). Regolamento è, ovviamente, anche il nome di una

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fonte del diritto dell’ordinamento europeo che produce effetti diretti nell’ordinamento costituzionale. E regolamento è anche il nome dell’unico atto normativo proprio degli enti locali: Comuni e Province.

Sarebbe possibile proseguire con gli esempi, ma non è necessario. Tanto basta a restituire l’ampiezza e l’eterogeneità delle cose che la parola regolamento rappresenta, e come ciò renda poco utile, ancor prima che estremamente arduo, il tentativo di ricondurla ad unità, posto che al concetto non sarebbe riferibile alcun significato prescrittivo. Se proprio un significato giuridico univoco vuole essere tratto da ciò che hanno in comune queste cose molto diverse, può essere il seguente: che - nella lingua italiana - la parola regolamento indica un insieme di proposizioni prescrittive. Ad andare oltre questo significato minimo (e, appunto, pressoché inutilizzabile) si finirebbe per escludere qualcuna delle sue declinazioni.

Pur se tratto al di fuori di un percorso teorico induttivo, che sarebbe dovuto partire dall’inesistente matrice comune che lega le tante cose che sono chiamate con quel nome, è in ogni caso vero che un significato proprio della parola Regolamento (non ulteriormente aggettivata) si sia consolidato nel linguaggio giuridico come frutto di un certo senso comune costruito intorno alla maggiore importanza assunta nel discorso scientifico da una delle cose che quella parola indica. Con le parola Regolamento senza ulteriori qualificazioni infatti, ci si riferisce comunemente ad un atto fonte del diritto di carattere “secondario”, laddove la secondarietà sta ad indicare posizione assunta nel rapporto con la legge. Questa definizione vale tanto per i Regolamenti (e il potere regolamentare) del Governo della Repubblica, quanto per i Regolamenti (e il potere regolamentare) delle Regioni: atti diversi che però utilizzano la parola regolamento nello stesso significato e che sono espressione di poteri che impiegano analogamente la parola regolamentare.

Le difficoltà di sistemazione teorica del Regolamento non possono, ovviamente, essere interamente ricondotte a ragioni linguistiche. Risolte queste rimangono infatti le più profonde che hanno la propria causa nella natura difficilmente decifrabile del concetto cui le parole si riferiscono (quelli di Regolamento e potere regolamentare). Che la natura del Regolamento sia stata (e sia) particolarmente difficile da decifrare è fatto incontroverso e pressoché pacifica è anche la causa di questa complessità, che sta nella sua principale particolarità: quella di riunire caratteri propri della funzione legislativa e di quella amministrativa, o meglio di presentare punti di contatto con entrambi. Che si unisce ad un altra: la difficoltà d’approccio al problema della natura, che ha impostato la riflessione

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attraverso un linguaggio ricorrente, pur nell’ambito di ordinamenti molto diversi. La manifestazione plastica di queste difficoltà si trova dove queste confluiscono: nelle ricostruzioni fatte attraverso l’accentuazione - alternata - dei caratteri comuni dell’una o dell’altra funzione, che si traducono in assimilazioni fuorvianti che ne complicano la comprensione perché estrapolano il linguaggio e i termini dal loro ambito teorico e lo ripropongono in situazioni (e non raramente funzioni) nuove.

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Capitolo Uno.

Il potere regolamentare nelle strutture

costituzionali: ricostruzione storica del trattamento

giuridico e del discorso teorico sul potere

regolamentare

1. Le origini dell'oggetto: la nascita del concetto di potere regolamentare; 2. Il Potere regolamentare nel Regno d’Italia; 2.1. L’influenza della dottrina francese sull’origine del discorso teorico sul potere regolamentare nell’Italia liberale e sull’impianto dello Statuto Albertino; 2.2. Il potere regolamentare tra la fine del e l’inizio del XX secolo: l’influenza della dottrina tedesca sul pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e di Alfredo Codacci Pisanelli; 2.3. L’apertura liberale di Federico Cammeo e la svolta legalista di Guido Zanobini; 3. Il Potere regolamentare nello Stato fascista e nella legge n. 100 del 1926; 4. Il potere regolamentare nell’ordinamento costituzionale; 4.1. Il Regolamento in Assemblea Costituente; 4.2. Le fondamenta teoriche del discorso sul potere regolamentare nell’ordinamento costituzionale vigente: le riflessioni di Lorenza Carlassare e di Enzo Cheli; 5. La legge n. 400 del 1988 e il riformato art. 117 co. 6 Cost.; 6. Tirando le fila del discorso: il Governo nella struttura costituzionale della Repubblica italiana.

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1. Le origini dell’oggetto: la nascita del concetto di potere regolamentare.

Una tesi storiografica della metà del XIX secolo, riconducibile soprattutto alla dottrina tedesca e arrivata in Italia per mezzo dei lavori di Alfredo Codacci Pisanelli e Federico 1 2 Cammeo (successivamente richiamati anche da Enzo Cheli e Lorenza Carlassare e ancora 3 4 5 più recentemente citata da Michele Massa ) riconduce l’origine delle nozioni di Regolamento 6 e di potere regolamentare all’esperienza storica delle monarchie medioevali germaniche e anglosassoni, nelle quali si sarebbe realizzata la prima (archetipica) forma di distinzione tra Legge e Regolamento.

Secondo questo indirizzo, le condizioni per la prima elaborazione di un’articolazione su più livelli del potere normativo, necessariamente fondata sulla distinguibilità soggettiva e formale degli atti in cui si manifesta, si sarebbero realizzate nella monarchia carolingia e in quella anglosassone tra il nono e l’undicesimo secolo. In entrambi i contesti, l’ipotesi veniva dimostrata in virtù della possibilità di operare una distinzione tra atti di esercizio di un potere normativo proprio del Re e atti di un potere normativo che il Re esercitava con il concorso di un Assemblea rappresentativa. Questi erano, nella fase più avanzata dell’impero carolingio, gli Statuta (anche indicati come Leges o Constitutiones ) da un lato, e i Capitula dall’altro, mentre nella monarchia anglosassone il rapporto si sarebbe articolato tra Ordonnances e

Statutes . 7

Al fondo dei richiami moderni a questa ricostruzione vi è una consapevolezza chiara, ed

E in particolare a Rudolf von Gneist (soprattutto in R. GNEIST, L’amministrazione e il diritto

1

amministrativo inglese, Unione tipografico-editrice, Torino, 1986, in particolare a p. 90 ss. Nella versione originale R. GNEIST, Das Englishe Verwaltungsrecht, Berlin, 1884).

A. CODACCI PISANELLI, Legge e Regolamento, in Scritti di Diritto Pubblico, S. Lapi editore, Città di

2

Castello, 1900, pp. 3-74, e in particolare a p. 35 ss.

F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in V. E.

3

ORLANDO (a cura di), Primo Trattato completo di diritto amministrativo, Società editrici librarie, Milano, 1901, pp. 3-220, in particolare a p. 113 ss.

E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Giuffrè, Milano, 1967, in particolare pp. 19-27.

4

L. CARLASSARE, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Cedam, Padova, 1966, e in particolare

5

pp. 4-16.

M. MASSA, Regolamenti amministrativi e processo, Jovene Editore, Napoli, 2012, in particolare nelle pp. 6

25-30.

Il diritto germanico dell’alto medioevo era ratto da una serie di consuetudini nazionali (lex terrea) da cui

7

venivano tratte le norme che disciplinavano quelli che oggi indicheremo come diritto privato, diritto penale e diritto amministrativo. Il potere normativo del Sovrano (Banngewalt) completava queste norme e operava negli spazi che la lex terrea non copriva, attraverso l’adozione di atti variamente nominati. Il potere normativo del Sovrano era vincolato al rispetto della lex terrea che poteva essere modificata solo attraverso l’esercizio di un potere che traeva la sua medesima forza dal fatto di congiungere la volontà del Sovrano a quella delle varie assemblee rappresentative (diete o consigli) e che venivano esercitati per mezzo di atti che talvolta erano indicati con il termine Leges (ma molto più spesso Statuta o Statutes). Si veda, a questo proposito, la ricostruzione fatta da E. CHELI, cit., 1967, in particolare nelle pp. 24-27.

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espressa da tutti i commentatori: che quando si intraprende un’operazione con cui si tenta di riproporre gli impianti concettuali del proprie tempo ad epoche enormemente distanti, le forzature, e quindi le semplificazioni, sono intrinseche, inevitabile e molto spesso manifeste. Per la tesi di cui si è fatto menzione la cosa è tanto vera che la dottrina (soprattutto quella più recente) non si è nemmeno posta nella posizione di interrogarsi sulla misura della sua veridicità, prendendola come una sorta di mito sull’origine del Regolamento, capace di suscitare grande suggestione ma incapace di costituire il fondamento di un’elaborazione scientifica. All’opposto, queste ricostruzioni hanno avuto senz’altro un importante merito: quello di aver fatto emergere, una volta di più e con chiarezza esemplare, come il tema delle fonti del diritto non possa essere avulso dalla struttura costituzionale in cui si colloca. E lo hanno fatto rendendo plastica la difficoltà di incastrare le nozioni di potere regolamentare e di Regolamento in strutture in cui il sistema politico-istituzionale concentra il potere normativo in un unico centro. E infatti, la convinzione maturata tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, è che l’origine della nozione di potere regolamentare non abbia cominciato a prender forma se non in ordinamenti in cui iniziò ad essere possibile enucleare con una certa nitidezza il suo rapporto con la Legge, e in ragione della possibilità di delineare una qualche forma di distribuzione regolamentata del potere, capace cioè di poggiare su precisi meccanismi costituzionali.

In altre parole: il concetto di potere regolamentare non potè nascere che con il superamento dello Stato assoluto. Nel Regno Unito, le condizioni materiali per iniziare a ragionare di potere regolamentare e di Regolamento si realizzarono nel corso di un’evoluzione graduale, che cominciò verosimilmente al tempo della monarchia di inizio XIV secolo, arrivando ad un compimento soddisfacente solo all’esito delle esperienze rivoluzionarie del XVII secolo, quando il Bill of Habeas Corpus e il Bill of Rights formalizzarono il divieto per le ordinanze regie di sospendere o dispensare l’osservanza delle leggi . Negli ordinamenti continentali, 8 invece, il percorso si sviluppò in modo parallelo e in un tempo di molto successivo: basti

Della maturità cui era giunto l’inquadramento del rapporto tra Legge e Proclamations (atti normativi del

8

Sovrano, di natura esecutiva e la cui vincolatività era subordinata alla possibilità di rinvenire un fondamento legislativo) si ha testimonianza del commentario di William Blackstone. Si legge, a tal proposito (Book I, Chapter VII, par. 261): «these proclamations have then a binding force, when (as Sir Edward Coke observes) they are grounded upon and enforce the laws of the realm». La condizione di questa maturità è, di nuovo, la consapevolezza che, a monte:« the supreme power is divided into two branches; the one legislative, to wit, the Parliament, consisting of King, Lords and Commons; the other executive, consisting of the King alone» (Book I, Chapter 2, par. 143). I commentari di Blackstone (Blackstone’s Commentaries on the Laws of England) sono consultabili anche presso la biblioteca digitale (the Avalon Project) della libreria Lilian Goldman della Yale Law School, all’indirizzo in https://avalon.law.yale.edu/subject_menus/blackstone.asp.

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pensare che in quegli stessi anni nel continente andava compiendosi il processo che avrebbe portato a consolidare l’esperienza dello Stato Assoluto. La possibilità di fare della fonte regolamentare l’oggetto di uno studio autonomo iniziò a delinearsi in forma estremamente sfuggente solo nella fase finale dello Stato assoluto, e si capisce il perché: nella sua forma più recente e avanzata, in cui viene indicato come Stato di Polizia, l’incremento dell’intervento dell’autorità pubblica nella vita della comunità favorì la proliferazione di comandi normativi, e inevitabilmente con forme e attraverso procedimenti diversi.

E’ in questo contesto che iniziarono ad introdursi elementi di distinzione formale tra gli strumenti di produzione normativa, e a far derivare da questa l’idea di un diverso grado di efficacia dei comandi in essi contenuti . Di nuovo però: i limiti alla possibilità di ricondurre a 9 questo periodo l’origine di una nozione compiuta di potere regolamentare coincidono con gli elementi strutturali del contesto politico-istituzionale. Si tratta infatti di un sistema di governo che ancora organizza il potere accentrandolo nella figura di un monarca, e quando anche questo lo eserciti in modi e con strumenti distinti, tutto torna ad essere assorbito nell’indistinzione del soggetto che di questi strumenti dispone, più o meno a piacimento. E infatti, in assenza di un’articolazione plurale e regolamentata dei centri di potere normativo, il sistema delle fonti appare una selva disordinata ed intricatissima di atti, che risulta estremamente complicato riportare ad una classificazione che li ordini in ragione della loro natura. E di tutto questo si continua ad avere piena testimonianza anche nell’Italia pre-statutaria . 10

Sarebbe stata solo la struttura costituzionale propria dello Stato di diritto a riempire di senso lo sforzo di differenziare gli strumenti di produzione normativa. La nozione di potere regolamentare, che si configura soprattutto in virtù del suo rapporto con la Legge, riuscirà a conseguire una rilevanza di senso scientifico solo quando l’effettivo distacco tra i centri di potere permise di agganciare il concetto a precisi meccanismi costituzionali.

Si legge in G. ZANOBINI, Gerarchia e parità tra fonti, in Scritti vari di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 9

1955, nelle pp. 305-310 che, in questo periodo sarebbero rinvenibili anche le tracce di una forma embrionale di relazione gerarchica delle fonti di produzione normativa e dell’emergere di una prima forma di controllo basata su questa forma di organizzazione.

F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., p.

10

119-120, riferisce come, nel Regno di Sardegna, sia già possibile tracciare una qualche distinzione, formale e sostanziale, tra due grandi categorie di strumenti di produzione normativa: gli editti e i decreti. Gli editti sono gli atti con cui il Re regola materie di interesse generale, sono emanati dal Re su parere del Consiglio di Stato, sono controfirmati da tre ministri e “registrate” dal Parlamento. I decreti, invece, sono gli atti con cui si da esecuzione agli editti, portano solo la firma del Re e quella di un Ministro (che verosimilmente era colui che li redigeva). Dopo aver rappresentato questa distinzione, però, è lo stesso autore a riferire di come i tanti sforzi di elaborare questa distinzione finiscano poi per confondersi nella volontà del sovrano, l’unico centro di produzione normativa, a cui dunque è rimessa la decisione di rispettarla.

(19)

2. Il Potere regolamentare nel Regno d’Italia

2.1. L’influenza della dottrina francese sull’origine del discorso teorico sul potere regolamentare nell’Italia liberale e sull’impianto dello Statuto Albertino

Nell’Europa continentale il superamento dell’assolutismo è consistito in una vera e propria rottura costituzionale, che ha prodotto un mutamento radicale e organico dell’intera esperienza giuridica e sociale. Le ripercussioni della rivoluzione francese sono state trasversali: tra le altre cose hanno coinvolto anche (e soprattutto) la legittimazione e la distribuzione del potere e il rapporto tra gli strumenti di produzione normativa. La separazione dei poteri, la qualificazione della legge come atto della volontà generale, la generalità e l’astrattezza quali caratteristiche strutturali dei comandi in cui si realizza, sono tutti, evidentemente, fattori che incidono profondamente sull’assetto del potere, sul ruolo dell’esecutivo e sull’inquadramento dei suoi strumenti normativi . A questo modo di 11 assestarsi del potere è corrisposto, per quanto riguarda il ruolo dell’esecutivo in genere, e il potere regolamentare in particolare, un atteggiamento di sfiducia e sospetto, che si è manifestato chiaramente nei principali testi normativi del tempo. Nella Costituzione francese del 1791 si legge, ad esempio, (al titolo III, capo IV, sezione I, art. 6) che: «il potere esecutivo non può fare alcuna legge, neppure provvisoria, ma soltanto dei proclami conformi alle leggi, per ordinarne o per richiamarne l’esecuzione» . La Costituzione giacobina del 1793 si 12 esprime con ancora maggiore enfasi e, ispirandosi in modo più rigido all’ideologia

rousseauiana, ha riconosciuto al Consiglio esecutivo (art. 65) solo una funzione di stretta

applicazione delle leggi e dei decreti del Corpo legislativo, a cui invece è attribuito non solo il potere di deliberare le leggi, ma anche quello di emanare decreti di tipo regolamentare . 13 Quanto poi le enunciazioni di principio abbiano trovato realizzazione nel concreto dispiegarsi delle cose è un fatto ulteriore, che diversi studi, più e meno recenti, hanno posto in dubbio in modo decisivo, rilevando come fin dai primi tempi l’Assemblea Nazionale si sia trovata di fronte all’inevitabilità di riconoscere (più o meno espressamente) uno spazio d’intervento

M. FIORAVANTI, Le potestà normativa del governo. Dalla Francia d'Ancien regime all'Italia liberale,

11

Giuffrè, Milano, 2009.

Il testo della Costituzione del 1791 è stato tradotto e reso disponibile dal Dipartimento di scienze

12

giuridiche dell’Università di Torino, in un archivio digitale di diritto e storia costituzionale, consultabile all’indirizzo: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/francia179.htm.

L’art. 65 recita: «Il Consiglio è incaricato della direzione e della sorveglianza dell’amministrazione

13

generale; esso non può agire che in esecuzione delle leggi e dei decreti del Corpo legislativo.Il testo della Costituzione del 1793 è stato tradotto e reso disponibile dal Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Torino, in un archivio digitale di diritto e storia costituzionale, consultabile all’indirizzo: http:// www.dircost.unito.it/cs/docs/francia179.htm

(20)

normativo per l’esecutivo, che col tempo è diventato strutturale e sempre maggiore . Al 14 punto (per certi versi paradossale) che, se si prende in considerazione soltanto il comportamento concreto degli organi costituzionali, la scrittura della parola Regolamento nel vocabolario costituzionale , che pure segna una rottura, rappresentando il segno della prima 15 chiara separazione della potestà regolamentare da quella legislativa (e che fa la sua comparsa nel 1799, nell’art. 44 della Constitution del 22 frimaire) potrebbe sembrare perfino l’esito di 16 un percorso lineare . Questo è anche uno dei motivi per cui, una volta tracciate le sue 17 coordinate, il discorso sul potere regolamentare è riuscito a mantenere fermo il proprio impianto concettuale pur nel mezzo di contesti ordinamentali in rapidissima e radicale evoluzione. E infatti, anche quando l’esperienza francese ha intrapreso la strada consolare e poi quella imperiale (riportando le dinamiche di governo ad un modello molto più simile a quello pre-rivoluzionario) l’idea della strutturazione multilivello del potere normativo, insieme a quella secondo cui il potere regolamentare presenta caratteristiche funzionali proprie rispetto alla legge, è rimasta pressoché intatta. Questo ha fatto si che, una volta che quell’esperienza fu esaurita, il discorso del potere regolamentare ebbe la possibilità di confluire, ad un livello già maturo, nell’esperienza della monarchia costituzionale, che sarebbe poi diventata la culla dei primi studi organici sul Regolamento.

In Italia, la riflessione sull’autonomia regolamentare dell’esecutivo ha le proprie radici nella prima fase dello Stato unitario, in quell’insieme di studi indicato come dottrina dei monisti-legalisti (da chi le riconosce l’omogeneità propria delle correnti di pensiero ) o 18 semplicemente pre-orlandiana (da chi invece non le riconosce le caratteristiche di un orientamento unitario ) che giunse a maturazione intorno alla metà del 1800 . In questa 19 20 prima fase, la dottrina italiana si occupò del potere regolamentare essenzialmente replicando, per buona parte, l’impianto concettuale costruito oltralpe . I primi studi sul potere 21 In questo senso, da ultimo R. BALDUZZI, Un esempio di approccio storico-comparatistico: alle origini

14

del rapporto legge- regolamento, in Scritti in onore di Franco Modugno, Editoriale Scientifica, Napoli, 2011, pp. 177-211, in particolare p. 196 ss.

Secondo M. FIORAVANTI, Le potestà normative, cit., p. 62, avvenuta per espressa volontà di Napoleone.

15

Le Gouvernment propose lei lois, et fait les reglements necessaire pour assurer leur execution. Il testo è

16

stato tradotto e reso disponibile dal Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Torino, in un archivio digitale di diritto e storia costituzionale, consultabile all’indirizzo: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/ francia179.htm.

C. MORTATI, Le Forme di Governo, Cedam, Padova, 1973, p. 125 ss.

17

L. CARLASSARE, Regolamenti dell’Esecutivo e principio di legalità, cit. p. 270.

18

A. LUCARELLI, Potere regolamentare, Cedam, Padova, 1995, pp. 63-65.

19

A. LUCARELLI, Potere regolamentare, cit.. pp. 58-91.

20

D’altra parte questo era anche il portato inevitabile della riproposizione dell’intero impianto istituzionale di

21

(21)

regolamentare in Italia si inserirono, dunque, in un contesto teorico ancora plasmato sulla struttura dello Stato legislativo e sull’idea della legge quale espressione della volonté

générale: corollario di un sistema retto su un Parlamento elitario e su una struttura

istituzionale rappresentativa degli interessi dominanti di una minima parte della popolazione. Nel primo periodo dell’Italia statutaria, le concezioni teoriche prevalenti erano, infatti, sviluppate in stretta continuità con la tradizione concettuale dei legisti-parlamentari francesi , 22 che intendevano la potestà regolamentare come un potere di natura (meramente) esecutiva, e con un sistema che aveva trovato una saldatura manifesta (per certi versi applicativa) con l’idea di Regolamento confluita nella dimensione letterale dell’art. 6 dello Statuto Albertino che, nel disporre che il Re «fa i decreti e regolamenti necessarii per l'esecuzione delle leggi,

senza sospenderne l'osservanza, o dispensarne» rappresenta l’esatta replica della formula

dell’art. 13 della Costituzione francese del 1830 che, a sua volta, aveva stabilito che il Re «fa i

regolamenti e le ordinanze necessarie per l’esecuzione delle leggi, senza poter mai né

sospendere le leggi stesse, né dispensare dalla loro esecuzione». Secondo questa lettura il Regolamento veniva inteso come atto di esercizio di un potere in tutto diverso da quello legislativo, la cui natura era uguale alle piccole facoltà discrezionali che la legge lascia all’autorità amministrativa, quasi come una sorta di residuo non evitabile: «un potere (quello

regolamentare) che non crea e non delibera ma che applica, eseguisce ed obbedisce» . Un 23 potere di mera esecuzione, il cui spazio d’intervento è rigorosamente mantenuto secundum

legem e un atto, il Regolamento, «senza volontà, la cui volontà è la legge» . 24 25

2.2. Il potere regolamentare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: l’influenza della dottrina tedesca sul pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e di Alfredo Codacci Pisanelli

Lo scenario cambiò radicalmente intorno agli anni ’80 del XIX secolo, quando il mutamento del contesto politico-istituzionale e l’influenza del pensiero dei maestri tedeschi

A. LUCARELLI, Potere regolamentare, cit.. pp. 58-62.

22

Questa citazione particolarmente esemplificativa di G. SAREDO, Principii dii diritto costituzionale, Vol.

23

2, è stata ripresa dallo studio di M. MASSA, Regolamenti amministrativi e processo, Jovene Editore, Napoli, 2012, p. 40.

L. CARLASSARE, Regolamento (dir. cost.), in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, 1988, p. 617; F.

24

CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., p. 171-174. Allo stesso modo, l’art. 13 della Costituzione francese del 1830 era interpretato nel senso che il Re, a capo

25

di tutta l’amministrazione pubblica, poteva adottare ordonannances e reglements per regolare i dettagli di esecuzione di una legge. «Il potere esecutivo era incaricato di applicare le leggi, non di interpretarle o di colmare le loro lacune». M. FIORAVANTI, Le potestà normative, cit. pp. 145-163, il passo citato nel testo è a p.145.

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segnarono, per la dottrina italiana, la saldatura tra il discorso sul potere regolamentare e l’assestamento della forma di governo. Si tratta di un ulteriore caso in cui la ricostruzione storica dimostra in modo chiaro come l’evoluzione della riflessione sulle fonti del diritto sia estremamente sensibile alle trasformazioni del contesto politico-istituzionale. Le teorie dei giuristi tedeschi, che a quelle italiane hanno fornito il linguaggio e la struttura concettuale, si inserirono infatti all’interno di un certo tipo di movimento ordinamentale, tendente al consolidamento dei poteri del Governo nell’ambito dell’assestamento in senso dualista della struttura costituzionale del secondo Reich.

La riflessione sul potere regolamentare avrebbe raggiunto il proprio compimento, infatti, nell’ambito della struttura della monarchia costituzionale: un’organizzazione politica plasmata sul dualismo sociale tra ceti nobiliari e classe borghese che replica in una concezione statica del rapporto tra gli organi rappresentativi dei corrispondenti centri di potere, articolandolo sulla base di una ripartizione materiale, per confinamenti e opposizioni, delle relative sfere d’intervento. Era questa, d’altra parte, anche la forma di governo delineata dal contenuto originario dello Statuto Albertino, che attribuiva al Monarca i poteri maggiori e che poi ne vincolava l’esercizio alle regole fissate nella Carta.

Secondo lo Statuto Albertino, infatti, il Re - che veniva definito “Capo supremo dello Stato” - era posto al comando delle forze armate e alla guida della politica estera . Era inoltre 26 riconosciuto come il titolare del potere esecutivo, e ad esso spettava, oltre ad un ampio potere di nomina di cariche dello Stato, quello di sanzionare e promulgare le leggi, nonché la titolarità del potere normativo secondario. Secondo questo impianto, l’unico argine ai poteri del Sovrano era rappresentato dal Parlamento, ed in particolare dalla Camera dei Deputati, che traeva dalla propria rappresentatività un minimo di autonomia dalla Corona . Del 27 Governo, invece, lo Statuto diceva poco o nulla (artt. 65-67), in più del fatto che i suoi Ministri venivano nominati e revocati dal Re, e che essi si assumevano una generica responsabilità di governo (così deresponsabilizzando il Monarca). Seppure sulla carta lo Statuto configurava, dunque, una forma embrionale e debole di confine ai poteri del Re, attraverso la forzatura dell’art. 67, che introduceva una responsabilità “senza direzione” dei Ministri (senza cioè esplicitare verso chi fosse e in particolare se riguardasse anche il Parlamento) si aprì rapidamente la strada al consolidamento di una forma di governo di tipo parlamentare .28

Secondo l’art. 5 dello Statuto Albertino: «dichiara la guerra, fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio».

26

Secondo l’art. 39 dello Statuto Albertino la Camera era «composta di Deputati scelti dai collegi elettorali

27

conformemente alla legge»,.

Tradizionalmente si ritiene che l’origine di questa trasformazione sia rinvenibile già in una delle prime

28

(23)

E’ così che si spiega perché già nel 1884 Gaetano Mosca ritenne di dover improntare i propri sforzi alla difesa del bilanciamento di poteri eguali, accusando l’esistenza di un atteggiamento onnipotente del Parlamento, la cui azione finiva per introdursi strutturalmente, con leggi minuziose e dettagliate, in ambiti che, non ponendo in rapporto immediato l’autorità e la libertà degli individui, avrebbero invece dovuto essere considerati per consuetudine di attribuzione governativa . Ma fu soprattutto l’opera di Vittorio Emanuele Orlando 29 (nell’ultimo decennio del XIX secolo) a segnare, per la dottrina italiana sulle fonti del diritto, l’abbandono definitivo del legame con la tradizione francese e la saldatura con le grandi costruzioni teoriche tedesche. Sarà proprio l’influenza dei giuristi del secondo Reich, e la loro opera di sostegno del rafforzamento della posizione e dei poteri del Governo a dare impulso, tra la fine dell’XIX e l’inizio del XX secolo, ad un radicale - e organico - rinnovamento del pensiero italiano sul potere regolamentare.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo furono due, in particolare, le teorie che influenzarono gli studi italiani. La prima è quella di Rudolf von Gneist, che dall’applicazione del dualismo costituzionale al sistema delle fonti ricavò il fondamento originario del potere regolamentare del Governo. Secondo questo orientamento, che è tradizionalmente rappresentato attraverso la celebre formula secondo cui «ciò che il Governo ha diritto di ordinare e proibire con singoli provvedimenti, caso per caso, può anche ordinare e proibire con disposizioni generali - per tutti i casi della stessa specie», il potere regolamentare rappresenterebbe l’esplicazione di un potere proprio (in senso originario) del Governo. Il fondamento del potere è ricavato, dunque, come attributo intrinseco alla sua stessa posizione “costituzionale” di autorità amministrativa . La costruzione teorica di Gneist ha dunque i 30 caratteri di uno studio rivolto prevalentemente all’individuazione del fondamento del potere regolamentare, ma appare chiara la connessione che si crea tra il problema del fondamento e quello della natura. Se il potere regolamentare si fonda sulla posizione costituzionale del Governo, ne deriva che questo si estende in misura corrispondente allo spazio di discrezionalità che a questo è attribuito, che può anche essere molto ampio ma che si lega alla propria matrice amministrativa, e difficilmente si estende ad ambiti in cui è possibile incidere sulle posizioni soggettive dei privati.

L’idea del potere regolamentare come potere normativo sarà invece elaborata più

G. MOSCA, Teorica dei governi e governo parlamentare, in G. SOLA (a cura di) Scritti politici di

29

Gaetano Mosca) , vol. I, Uter, Torino, 1982, p. 491 ss.

R. GNEIST, Lo Stato secondo il diritto, ossia la giustizia nell'amministrazione politica, Zanichelli,

30

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approfonditamente da Paul Laband e Georg Jellinek, che costruirono la loro riflessione sulla natura del potere regolamentare a partire dalla nota distinzione tra aspetto formale e aspetto materiale (o sostanziale) dell’atto giuridico . A fare di un atto una legge in senso materiale 31 sarebbe, secondo questo orientamento, la caratteristica “funzionale” del precetto. Avrebbe dunque carattere legislativo la manifestazione di volontà che si rivolge all’esterno e determina la misura delle relazioni tra le posizioni giuridiche soggettive dei cittadini. Avrebbero carattere amministrativo, invece, i comandi che l’autorità rivolge ai propri apparati: agli organi e alle persone che ne fanno parte. In questo contesto il Governo è titolare, in senso autonomo e originario, del potere di adottare regolamenti materialmente amministrativi (Verwaltungsverordnungen), non invece di adottare regolamenti giuridici (Rechtsverordnungen), che sono legge in senso materiale . Il fondamento giuridico del primo 32 potere è, pertanto, intrinseco alla potestà discrezionale e alla posizione che il Governo assume nella struttura dualistica dello Stato. Il secondo, invece, non corrisponde ad un suo potere originario e, pertanto, il suo esercizio è subordinato ad una preventiva delega espressa: una vera e propria abilitazione da parte della Legge intesa in senso formale. Di queste fonti il pensiero di Vittorio Emanuele Orlando si nutrì copiosamente . (come del resto, da lui in 33 avanti, avrebbe fatto buona parte della dottrina). Al pari di quelli dei suoi maestri, anche i suoi sforzi, che confluirono in uno dei primi studi organici sul potere regolamentare in Italia, rappresentarono il tentativo di giustificare il rafforzamento del ruolo e dei poteri dell’esecutivo nell’ambito di un assetto dualista dei rapporti tra Parlamento e Governo (del Re) . La riflessione di Orlando è, infatti, pienamente immersa nelle dinamiche istituzionali 34 del proprio tempo, che egli legge come separazione di poteri che si coordinano, secondo un’idea di Stato come organismo in cui tutte le funzioni si riconducono ad unità. In premessa c’è dunque il rifiuto dell’idea che tutti i poteri pubblici siano subordinati al Parlamento e alla Legge, e in modo particolare che ad essi siano subordinati Governo e Regolamento. Legge e Regolamento starebbero invece sullo stesso piano (proprio perché sullo stesso piano stanno Parlamento e Governo) e il rapporto andrebbe ricostruito secondo il criterio della competenza

G. JELLINEK, Gesetz und Verordnung, Tübingen, 1887. Tradotto in italiano da C. FORTE, Legge e

31

decreto, Giuffrè, Milano, 1997; e P. LABAND, Das Stadtrecht des deutschen Reiches, II, Tübingen, 1911, traduzione francese C. GANDILHON e T. LACUIRE, (a cura di) Le droit public de l’Empire allemand, Parigi, 1901.

V. E. ORLANDO, Le fonti del diritto amministrativo, in Primo trattato completo di Diritto Amministrativo

32

Italiano, in V. E. ORLANDO (a cura di) Primo trattato completo di diritto amministrativo, vol. 1, Milano, 1900. G. CIANFEROTTI, Il pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e la Giuspubblicistica italiana, Giuffrè,

33

Milano, 1980, pp. 45 ss.

L’importanza della saldatura tra la riflessione di Vittorio Emanuele Orlando e la dimensione politica del

34

proprio tempo è indagata in modo particolarmente attento da A. LUCARELLI, Potere regolamentare, cit., soprattutto pp. 107-139 e da T. E FROSINI, Vittorio Emanuele Orlando costituzionalista e teorico del diritto pubblico, Rivista AIC, n. 3/2016, soprattutto pp. 9-12.

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per ambiti materiali di riferimento.

La distanza dal pensiero monista e dalla tradizione che aveva ispirato il testo dell’art. 6 dello Statuto Albertino è già a questo punto segnata in modo assolutamente evidente. La svolta impressa dal lavoro di Orlando sta infatti nell’aver introdotto in Italia l’idea del potere regolamentare come esercizio di una potestà autonoma, arrivando a sostenere l’esistenza di un ambito di competenza riservato all’esecutivo . 35

Lo sforzo di consolidare la posizione dell’esecutivo nell’ambito di una struttura di potere in chiave dualista proseguì nell’opera di Alfredo Codacci Pisanelli. L’autore della prima monografia italiana sul potere regolamentare continuò - come poi avrebbe fatto anche il suo 36 allievo Federico Cammeo - l’opera di Vittorio Emanuele Orlando anche nell’impostazione metodologica, e l’attenzione a dare al proprio studio una solida impostazione scientifica lo indurrà, esattamente come aveva indotto il suo maestro, a guardare soprattutto alla dottrina tedesca. Anche l’attenzione dell’autore di Legge e Regolamento, infatti, si rivolse soprattutto alle costruzioni teoriche di Rudolf von Gneist, Paul Laband e Georg Jellinek, da cui trasse elementi che combinò in un pensiero che ebbe, rispetto a quello del suo predecessore, diversi elementi di originalità, e la cui influenza si sarebbe a lungo ripercossa sulla dottrina italiana.

La sua costruzione teorica può essere rappresentata attraverso i suoi due elementi portanti. Anzitutto, egli recuperò la distinzione labandiana tra dimensione formale e sostanziale dell’atto giuridico e la applicò al Regolamento, che definì, con una formula che è ancora parte del vocabolario della scienza giuridica: atto legislativo nella sostanza e amministrativo nella

forma . Con questa precisazione: che nella teoria di Codacci Pisanelli, infatti, il criterio 37 differenziale della sostanza legislativa non è l’aspetto “funzionale” del comando (l’intervento diretto sui rapporti giuridici tra privati,) ma è la caratteristica strutturale del precetto: la generalità e l’astrattezza. Se la sostanza legislativa sta dunque ad indicare le caratteristiche strutturali dell’atto: nel senso che questo dispone comandi generali e astratti dell’amministrazione, il carattere amministrativo sta però ad indicare la forma e il fondamento del potere . Dal pensiero di von Gneist trae infatti le proprie convinzioni in tema di 38

V. E. ORLANDO, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico, Pubblicazioni della

35

facoltà di giurisprudenza della R. Facoltà di Modena, Modena, 1925, ora in Diritto pubblico generale, Scritti vari 1881-1940, Giuffrè, Milano, 1954, p. 3 ss.

A. CODACCI PISANELLI, Legge e Regolamento, Tipografia De Angelis, Napoli, 1888.

36

«Norma è la volontà dello Stato manifestato in via generale e astratta. Provvedimento è la volontà dello

37

Stato manifestata in via particolare e concreta» A. CODACCI PISANELLI, cit., p. 2. A. CODACCI PISANELLI, cit., pp. 1-25.

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fondamento del potere regolamentare. La teoria di Codacci Pisanelli aderisce alla convinzione che l’autorità amministrativa possa assumere in via generale le stesse decisioni che può assumere caso per caso . Il fondamento del potere regolamentare sta dunque nell’ambito di 39 discrezionalità che è proprio, per funzione originaria, degli organi dell'apparato esecutivo. Solo in questo senso egli, diversamente da alcuni suoi contemporanei, non esitò a parlare del Regolamenti come di fonte di norme giuridiche e di diritto obiettivo .40

2.3. L’apertura liberale di Federico Cammeo e la svolta legalista di Guido Zanobini

L’insegnamento di Vittorio Emanuele Orlando e di Alfredo Codacci Pisanelli proseguì nell’opera di Federico Cammeo, che soprattutto del secondo fu allievo e che, dopo di lui e come lui, contribuì alla costruzione del discorso sul potere regolamentare con un lavoro che avrebbe avuto un’influenza centrale per gli studi del secolo successivo . Rispetto a quello dei 41 suoi maestri però, il lavoro di Federico Cammeo ha segnato, in un certo senso, il momento di apertura alla svolta che, pochi anni dopo, sarebbe stata compiuta dalle opere di Guido Zanobini.

Cammeo concepisce e matura la sua teoria sul Regolamento come parte di una concezione organica del sistema delle fonti. Il suo approccio è, in effetti, più complesso da decrifare rispetto a quello dei suoi predecessori, con cui si pone in un certa continuità , ma da cui pure 42 si distanzia per aspetti per nulla secondari. Questo perché le posizioni istituzionali da cui muove Federico Cammeo sono molto diverse da quelle di Vittorio Emanuele Orlando e di Alfredo Codacci Pisanelli, e finiscono per determinare uno scostamento anche nel modo di intendere il sistema delle fonti e il potere regolamentare. Dei suoi predecessori, in particolare, egli non condivide il rigido approccio dualista, e tutto il suo lavoro è percorso da un'impostazione essenzialmente liberale, pienamente inserita nelle trasformazioni politiche-istituzionali del proprio tempo, che lo indusse ad interpretare le dinamiche del sistema costituzionale in cui si trovò ad operare secondo l’impostazione propria delle Costituzioni liberali a lui contemporanee: a partire cioè dall’enfasi posta sul ruolo della Legge .43

A. CODACCI PISANELLI, cit., p. 43.

39

A. CODACCI PISANELLI, cit., pp. 19-20.

40

In particolare in F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto

41

amministrativo, in V. E. ORLANDO (a cura di) Primo trattato completo di diritto amministrativo, Volume terzo, Società editrici librarie, Milano, 1901 (la monografia in cui Cammeo dettò la prima grande sistemazione dogmatica del potere regolamentare), soprattutto nelle pp. 3-220 e poi, dopo la parentesi autoritaria, nel Corso di diritto amministrativo, Cedam, Padova, 1960.

In particolare Gneist e Codacci Pisanelli, da cui riprende la qualificazione del potere regolamentare come

42

espressione della discrezionalità amministrativa.

F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., p.

43

(27)

Ripercorrendo l’evoluzione della riflessione sul potere regolamentare, la teoria di Federico Cammeo appare come il tentativo di porsi nel mezzo della tensione tra le posizioni di chi, da un lato, avvertiva ancora la necessità di riconoscere all’Amministrazione una facoltà regolamentare autonoma, e di chi invece, dall’altro, non ammetteva che l’esercizio di poteri

secundum legem. E infatti, nel lavoro di Cammeo, molte delle fondamenta del pensiero

Orlandiano vengono poste visibilmente sotto pressione dal sopraggiungere della convinzione che, quando si tratta di porre limiti alle libertà, a nessun potere è permesso di agire al di fuori della sovranità della Legge. E, dove anche ricorra il silenzio di questa, egli ritiene non si possa presumere la potestà dell’Amministrazione, ma si debba ricavare la libertà di azione dei cittadini . Valorizzando questo aspetto, alcuni importanti studi successivi - in particolare 44 quelli di Alessandro Pizzorusso e Lorenza Carlassare - ritengono che nell’impostazione di 45 46 Federico Cammeo si sarebbe realizzata la prima convinta elaborazione della centralità del Parlamento, rinvenendo in essa il principio della svolta democratica e liberale che di li a poco si sarebbe realizzata nel pensiero di Guido Zanobini . 47

E’ la teoria di Guido Zanobini però, ad essere tradizionalmente rappresentata (come fu, prima di lui, per quello di Orlando) come uno dei due o tre veri punti di svolta (questa volta in senso legalista) nella costruzione del discorso sul potere regolamentare in Italia. L’elemento caratterizzante del suo lavoro è il tentativo di far emergere l’essenza normativa del Regolamento, innestandolo definitivamente nel sistema delle fonti del diritto oggettivo in senso pieno, al pari della Legge. L’importanza della sua opera sta, in particolare, proprio nella modernità della sua ricostruzione ontologica del potere regolamentare, ed in particolare sulla lucidità della distinzione oggettiva operata tra potere normativo e potere provvedimentale dell’amministrazione, che verrà poi ripresa e portata a compimento dai lavori di Vezio Crisafulli sull’atto normativo.

Anche le radici del pensiero di Zanobini devono essere cercate negli insegnamenti della dottrina tedesca del secolo precedente, che aveva sistemato la differenza concettuale tra sostanza e forma del potere e ne aveva derivato la distinzione tra regolamenti giuridici

Nella sua teoria, il Regolamento, che pure egli qualifica riprendendo Codacci Pisanelli come legge in senso

44

materiale, resta formalmente un atto amministrativo, sottoposto alle regole proprie di questa categoria. F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., p. 143.

A. PIZZORUSSO, Il potere regolamentare in Federico Cammeo, in Quaderni Fiorentini, XXII, 1993, pp.

45

403-412.

L. CARLASSARE, Regolamento (dir. cost.), cit., p. 616.

46

Esplicito in questo senso A. PIZZORUSSO, Il potere regolamentare in Federico Cammeo, cit., in

47

(28)

(Rechtsverordnungen) e regolamenti amministrativi (Verwaltungsverordnungen), che egli, diversamente da Codacci Pisanelli, recupera nel suo significato originario: quello cioè secondo cui sono giuridici (e quindi normativi) i Regolamenti che regolano le relazioni tra le posizione giuridiche soggettive individuali, mentre sono amministrativi gli atti che riguardano l’attività e l’organizzazione dell’autorità amministrativa. Tutta la sua opera è dunque una ramificazione di questa idea: che il potere dell’amministrazione di adottare regolamenti giuridici (e quindi normativi) e quello di adottare regolamenti (provvedimenti) amministrativi siano realtà giuridiche diverse e distinte: che «non sono affatto due specie di un medesimo genere, ma due generi assolutamente distinti» . Sulla base di questo assunto egli spiega le 48 altre caratteristiche del potere regolamentare, a cominciare da quella dell’inderogabilità nel rapporto con l’amministrazione, per cui (al pari del potere legislativo) esso possiede la forza di determinare i fini dell’azione amministrativa e vincolarla . 49

La riflessione di Zanobini muove proprio dal principio di inderogabilità (da parte dell’attività amministrativa) del potere regolamentare, alla ricerca della giustificazione (fondamento) giuridico del divieto rivolto all’autorità che ha emanato un Regolamento di derogarvi in un secondo momento com un proprio provvedimento singolare. In questo si registra la svolta rispetto al passato: diversamente da Cammeo infatti, per Zanobini la forma amministrativa del Regolamento è un fatto del tutto accidentale . 50

Dalla riflessione sulla natura egli trae le proprie convinzioni in merito al fondamento del potere. Secondo Zanobini infatti, la diversità ontologica dei poteri, si pone quale ostacolo insuperabile sulla strada della riconducibilità del potere regolamentare all’ambito della discrezionalità propria dell’amministrazione. Il potere di adottare comandi che si rivolgono in generale alle posizioni soggettive dei cittadini è attribuzione strutturale del Parlamento e non del Governo. Il fondamento del potere regolamentare non può dunque essere rinvenuta nella posizione costituzionale del Governo e nelle sue attribuzioni. Se esiste, esso va cercato altrove nei conferimento di poteri disposti dal Parlamento, l’organo a cui quel potere è attribuito in modo strutturale . 51

In altre parole: se il potere amministrativo, che si realizza in regolamenti amministrativi, può ancora essere ritenuto consustanziale al rapporto di supremazia tra amministrazione e individui, il potere di adottare norme giuridiche non può che costituire l’esercizio di una

G. ZANOBINI, Sul fondamento dell’inderogabilità dei regolamenti, in Rivista di diritto pubblico, 1917, I,

48

p. 407, ora in Scritti vari, Giuffrè, Milano, 1955, p. 7.

G. ZANOBINI, Sul fondamento dell’inderogabilità dei regolamenti, cit., pp. 14-18.

49

G. ZANOBINI, Sul fondamento dell’inderogabilità dei regolamenti, cit., p.404.

50

G. ZANOBINI, Il fondamento giuridico della potestà regolamentare, ora in Scritti vari, Giuffrè, Milano,

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funzione legislativa, che può essere esercitata dal Governo solo previa espressa abilitazione da parte di una legge formale.

3. Il Potere regolamentare nello Stato fascista e nella legge n. 100 del 1926

L’ascesa al potere del partito nazionale fascista e il mutamento autoritario dell’ordinamento, non segnò solo un radicale mutamento dell’assetto dei rapporti tra Governo e Parlamento, e il relativo rafforzamento dell’esecutivo, ma una più generale crisi dei meccanismi della rappresentanza liberale. In questa evoluzione, la velocità di oscillazione a cui è sottoposto il potere regolamentare, tra dinamismo politico e conservatorismo scientifico, può essere resa con questo dato: l’anno in cui viene pubblicato Il fondamento giuridico della

potestà regolamentare, l’articolo che segna la svolta legalista imposta dalla riflessione di

Zanobini, è lo stesso in cui si forma il Governo Mussolini. Il paradosso di questo tempo è proprio questo: l’esigenza di democratizzare i processi di produzione normativa aveva trovato la propria realizzazione (soprattutto nel tentativo di Guido Zanobini di saldare il potere regolamentare ad un fondamento legislativo strutturale) proprio a ridosso della trasformazione in senso autoritario dell’ordinamento. La dottrina ha rilevato l’effetto di questo cortocircuito nella perdurante influenza delle coordinate teoriche tracciate nel periodo liberale (dalle 52 contrapposte posizioni di Codacci Pisanelli e Zanobini) sulla riflessione teorica elaborata nella prima parte dell’esperienza autoritaria, in un contesto in cui il diritto positivo, e in particolare la legge n. 2263 del 1925 (“Attribuzione e prerogative del Capo del Governo”), aveva già inciso sensibilmente sull’organizzazione del potere, determinando l’indebolimento dei poteri del Parlamento e la prevalenza costituzionale dell’Esecutivo. In effetti, per una ricostruzione sulla riflessione sui poteri normativi del Governo nel Regno d’Italia, non è così agevole distinguere - se non sul piano positivo - la stagione della monarchia liberale da quella dello Stato fascista . Sarebbe estremamente superficiale, però, pensare che gli accadimenti 53 storici e le vicende costituzionali di quegli anni non abbiano avuto radicali ripercussioni anche sul discorso sulle fonti e, più in particolare, su quello del potere regolamentare. Non solo per ciò che l’innovazione radicale - in senso autoritario - delle basi dell’ordinamento

Da G. ZANOBINI, Gerarchia e parità tra fonti, cit., p. 306, passando per E. CHELI, Potere regolamentare

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e struttura costituzionale, cit. pp. 138-140, fino a M. MASSA, Regolamenti amministrativi e processo, cit., pp. 61-62 e A. LUCARELLI, Potere regolamentare, cit., pp. 299-304.

U. ALLEGRETTI, Profilo di storia costituzionale italiana. Lo stato liberale. Il regime fascista, CUEC,

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