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Il fenomeno della decretazione normativa ma non regolamentare

La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei decreti normativi ma non regolamentar

2. Decreti normativi non regolamentari e decreti di natura non regolamentare nel più recente periodo: presentazione dei dat

2.2. Il fenomeno della decretazione normativa ma non regolamentare

I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e i decreti ministeriali adottati senza nome e forma di Regolamento sono però, come si è detto, un unico insieme caotico di gusci neutri, a prescindere dal modo in cui ad essi si riferisce la disposizione che, di volta in volta, vi rinvia. Nulla del loro aspetto esteriore cambia, insomma, se la norma primaria richiama espressamente la natura non regolamentare del decreto o invece si limita a formulare generici rinvii a decreti ministeriali o del Presidente del Consiglio. Per questo guardare all’esperienza dei decreti di natura non regolamentare ( e dunque alle fonti primarie) serve a molto (a poter tracciare alcune ricorrenze procedimentali e materiali delle sue dinamiche, e ad avere un quadro delle dinamiche “di sistema”, degli organi coinvolti e del grado del loro coinvolgimento) ma non è sufficiente per avere una comprensione organica ed esaustiva del fenomeno, per cui si rende necessario andare a vedere che cosa succede, e con quale incidenza tutto ciò pesa, a valle del percorso attuativo, e dunque direttamente dentro la zona grigia dei decreti ministeriali e del Presidente del Consiglio dei Ministri, cercando la dimensione complessiva del fenomeno della decretazione normativa ma non regolamentare.

In via preliminare va evidenziato l’andamento non parallelo dei due fenomeni (quello dell’adozione di decreti normativi ma non regolamentari e quello dei rinvii a

decreti di natura non regolamentare). Si tratta di un fatto di cui si deve tenere conto

quando si vogliano analizzare e “pesare” alcune tendenze, come quella che segna la discesa, invero piuttosto netta, del numero dei rinvii a decreti di natura non

regolamentare verificatosi tra il 2014 (anno in cui se ne sono registrati quarantadue) e il

2015 (quando i rinvii di questo tipo sono stati “solo” otto). Andamento che, peraltro,

Che sono stati computati nei numeri presentati in questa parte ma che sarà analizzato con maggior

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l’analisi di medio periodo sembra permettere di valutare come un vero e proprio cambio di passo. Comparando i numeri del primo biennio del periodo considerato con quelli degli ultimi cinque anni non si ha difficoltà ad avere contezza plastica di ciò di cui si parla: sono infatti di più i rinvii disposti tra il 2013 e il 2014 (settantuno) di quelli rilevati nei cinque anni successivi (sessantadue). Se si confrontano i dati della XVII con quelli della XVI legislatura poi, l’impressione si consolida in un tempo anche più esteso. Si passa infatti dai più di duecento casi della XVI legislatura considerata, a circa la metà in quella successiva. Si tratta di un andamento che andrà però monitorato nel prossimo periodo, perché gli ultimi due anni considerati mostrano una nuova crescita, seppur non comparabile a quella degli anni precedenti al 2015.

Seppure la diminuzione del numero dei rinvii espressi a decreti di natura non

regolamentare assume di per sé un qualche significato, perché segna l’indebolimento

della versione più «sfacciata» della ribellione alla forma regolamentare, proprio per la necessità di non confondere cose diverse, questa tendenza non può essere assunta ad indicatore generale: non indica cioè necessariamente anche la scomparsa del fenomeno della decretazione normativa ma non regolamentare (e nemmeno una parallela diminuzione). Un indizio che il fenomeno rimanga molto serio lo fornisce di recente il Consiglio di Stato, che fa degli atti normativi secondari del Governo la parte maggiore dell’oggetto del suo lavoro, e direttamente dal suo Presidente, che nella sua relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario del 2018 vi ha fatto riferimento espresso.

Del resto, la conferma di questo scarto è piuttosto agevole da ricavare. L’andamento annuale del rapporto tra il totale degli atti non primari del Governo e il numero di quanti, tra questi, assumono l’aspetto esteriore di un Regolamento (ai sensi della legge n. 400 del 1988), dimostra immediatamente come alla diminuzione del numero dei rinvii espressi a decreti di natura non regolamentare, non abbia fatto seguito una diminuzione relativa dei decreti normativi ma non regolamentari. Tra il 2013 e il 2019 sono stati pubblicati 15314 atti non primari del Governo con forma di decreto: del Presidente della Repubblica (78), del Presidente del Consiglio (861) e di singoli ministri (14375), e di questi, solo 428 portano il nome di Regolamento nel titolo : 78 sono 147 d.P.R., 74 d.P.C.M. e gli altri 276 sono decreti ministeriali (Tab. 1).

Nel 2013 sono stati 77 atti con il nome di Regolamento, di cui 24 decreti del Presidente della Repubblica,

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45 decreti ministeriali e 8 decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.; nel 2014 invece 72, tra cui: 10 d.P.R., 12 d.P.C.M., e 50 decreti ministeriali; nel 2015 sono stai 66, di cui: 13 d.P.R., 9 d.P.C.M. e 44 decreti ministeriali; nel 2016 ne sono stati emanati 69: 8 d.P.R., 7 d.P.C.M. e 54 decreti ministeriali; nel 2017 13 d.P.R., 10 d.P.C.M.,

Meno di 3 decreti ogni 100 adottati in questo periodo hanno assunto, pertanto, la forma di Regolamento . Il valore numerico dei Regolamenti, misurato in rapporto al 148 numero totale degli atti non primari del Governo adottati con la forma del decreto, rimane peraltro pressoché invariato nel corso del periodo di riferimento, segnando un andamento lineare (Tab. 2).

Lo spazio di una postilla solo per dire che il numero totale degli atti non primari del Governo adottati con

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forma di decreto è fortemente gonfiato dal numero di decreti (5579) con cui il Ministro dello Sviluppo economico dispone lo scioglimento (1280 decreti) o liquidazione coatta amministrativa di società (3494 decreti) e sostituisce i commissari liquidatori (805 decreti). Tolti i quali, il numero dei decreti del Ministro dello sviluppo economico, che pure resta alto, torna nella dimensione di quello degli altri ministri (passerebbe da un totale di 7403 decreti ad un totale di 1824) e il rapporto tra il totale dei decreti adottati (che non sarebbe più di 15314 decreti ma di 9753) e quelli che portano il nome di Regolamento sarebbe di 5 ogni 100 decreti. Questi non sono certo gli unici decreti che, per il loro indiscutibile carattere provvedimentale non pongono, per quello che a questo lavoro interessa, davvero alcun problema, ma qui si segnalano perché ricorrono con frequenza tale da finire per distorcere la misura della proporzione che importa rilevare. Fatta questa precisazione, che consentirà comunque di tenere a mente una dinamica che ha un incidenza annuale di circa 800 decreti, di qui in avanti il numero considerato sarà comunque sempre quello risultante dagli atti pubblicati in gazzetta.

Tabella 1

Si tratta di dati non probanti, perché il valore che occorrerebbe conoscere per trarre conclusioni certe è quello che indica il numero esatto di quelli che, tra tutti questi decreti, si distinguono per avere anche contenuto normativo. Ma la difficoltà di giungere ad una sistemazione precisa e certa di questo valore è tale e tanto seria da 149 permettere di lavorare solo attraverso “grandezze indiziarie”, facendo tutto il possibile affinché queste siano affidabili. Non v’è dubbio, in ogni caso, che il rapporto così descritto rappresenta un indizio circa il fatto che la destrutturazione formale non sia scomparsa, ma che sia solo tornata a forme meno appariscenti, peraltro già conosciute alla fine del secolo scorso, quando, a ridosso dell’entrata in vigore della legge 400 del 1988, l’elusione della sua portata normativa fu permessa dal mancato richiamo, nelle disposizioni legislative, all’art. 17, e quindi dalla mancata precisazione della natura dell’atto governativo . Dopo una fase realizzata sotto la spinta espressa delle fonti 150 primarie, oggi, la tendenza sembra essere quella di un ritorno alle origini. La spiegazione dello scarto tra due andamenti - quello dei decreti normativi ma non

regolamentari e quello dei decreti di natura non regolamentare - che, fino a qualche

anno fa, avevano seguito un ritmo parallelo, potrebbe essere rinvenuta in fattori “esogeni”, tra cui il comportamento della Corte costituzionale. Il consolidamento dell’esperienza dei rinvii ai decreti di natura non regolamentare è infatti un fenomeno che segue la riforma del Titolo V del 2001 e in gran parte si spiega proprio per il tentativo di eludere il riparto di competenza del potere regolamentare tra Stato e Regioni inserito dalla riforma. L’espressa qualificazione (legislativa) dell’atto come non regolamentare serviva (e in parte serve ancora) ad escluderlo dalla regola di cui all’art. 117 co. 6. Sono due i fattori che potrebbero aver determinato la netta diminuzione di questa tipologia di rinvio. Il primo è che la Corte costituzionale ha consolidato un orientamento secondo cui il riparto di competenza del potere regolamentare è fatto operare in base alla sostanza (e non alla forma) dell’atto, così rendendo superabile l’espressa qualificazione legislativa. Il secondo è l’atteggiamento di particolare favore che la Corte ha dimostrato nel ricondurre l’attività comunque qualificata come normativa alle competenze statali.

Che è legata evidentemente ai problemi e alle complessità che si incontrano quando si vogliano rendere

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operativi i criteri di individuazione del contenuto normativo di un atto.

M. MASSA, I regolamenti ministeriali, in Federalismi (Focus - Dimensioni ed effettività del potere

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regolamentare n.2/2017); V. MARCENÒ, cit., p. 3; M. LOSANA, L'attuazione delle leggi nella prassi ministeriale. Appunti dalle audizioni dei capi degli uffici legislativi svolte dal Comitato per la legislazione, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018, p. 23. Con riferimento alla legislazione degli anni ’90 del secolo scorso si veda soprattutto G. TARLI BARBIERI, Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, in U. DE SIERVO (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1998, Giappichelli, Torino, 1999, p. 252.

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