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La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei decreti normativi ma non regolamentar

L. n 232 del 2016 (Legge d

4. Dentro la forma destrutturata

Guardando ai procedimenti con cui sono stati adottati i decreti normativi ma non

regolamentari emerge come elemento nettamente più ricorrente l’elusione del passaggio

in Consiglio di Stato, che è previsto dall’art. 17 co. 4 della legge n. 400 del 1988 per raccogliere il parere preventivo di legittimità sullo schema di regolamento. Il fatto è diventato tanto importante, che coloro che si sono occupati del tema hanno iniziato a riferirsi al fenomeno ricorrendo direttamente alla formula della “fuga dal Consiglio di Stato”.

Come noto, il Consiglio di Stato, in particolare la sua sezione consultiva (istituita co legge del 15 maggio 1997 n. 127) interviene con parere di regola obbligatorio ma non vincolante s nel procedimento di formazione dei Regolamenti del Governo. Del Regolamento in corso di formazione, il Consiglio di Stato deve verificare, anzitutto, la c.d. legittimità estrinseca. Si tratta di un controllo che riguarda il suo fondamento legislativo (in particolare per i regolamenti ministeriali, che, ai sensi dell’art. 17 necessitano una specifica attribuzione di potere) e il rispetto delle regole sulla competenza e sul procedimento. A questa verifica poi si aggiunge quella che riguarda la sua legittimità intrinseca: che attiene ad un controllo rivolto ad eventuali vizi di legittimità.

Ora, che l’aspetto più significativo della “fuga” riguardi il controllo del supremo organo della giustizia amministrativa è un fatto insieme intuitivo, se non altro per la frequenza statistica con cui si manifesta, e comprensibile solo con uno sforzo di contestualizzazione. L’esistenza di una “fuga dal Consiglio di Stato” potrebbe infatti risultare contraddittoria ad una prima osservazione, per due ragioni. La prima riguarda la critica tradizionalmente rivolta a tale organo, ovvero la contiguità con il Governo, che ne inficerebbe l’indipendenza dal soggetto a cui rivolge la propria azione, che è insieme

Ne sono esempi l’art. 24 co. 3-sexies del decreto legge n. 113 del 2016, che stabilisce che un precedente

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decreto deve essere inteso come di natura non regolamentare e l’art. art. 7 co. 2 -bis della legge n- 99 del 2013, che sostituisce, all’art. 3 della legge n. 92 del 2012, le parole: "decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali" con le parole "decreto non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.

Come il decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, che all’art. 6 co. 11, che qualifica di natura non regolamentare

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di ausilio e controllo. La seconda riguarda l’elemento temporale: il parere del Consiglio di Stato - che, fatti salvi termini più brevi stabiliti per legge, deve essere reso entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta - è, il più delle volte, espresso in un tempo ancora più breve. Prendendo a campione i Regolamenti sottoposti al parere del Consiglio di Stato nell’anno 2019, per esempio, si può determinare una stima del tempo necessario ad inviare il parere, in una forbice variabile tra le 2 settimane e il mese, a decorrere della nota di trasmissione ministeriale.

La particolare insofferenza a questo tipo di controllo si spiega allora, più probabilmente, per altri due motivi. Il primo è che tra i controlli cui lo schema di Regolamento è sottoposto nel corso del procedimento, quello del Consiglio di Stato è quello che interviene in una fase in cui è ancora possibile lavorare sul contenuto. E spesso, infatti, l’interlocuzione che si instaura è tutt’altro che superficiale e, seppur svolte in tempi rapidi, le interlocuzione con il Consiglio di Stato sono piuttosto articolate, perché esso rende spesso pareri introlocutori, con cui richiede interventi sullo schema . Il secondo è che il passaggio in Consiglio di Stato è paradossalmente la 171 valvola di sfogo più accessibile per le istanze di flessibilità, perché è la fase su cui è più facile agire attraverso “la truffa delle etichette”. E insieme al controllo del vertice della giurisdizione amministrativa, l’elusione della forma regolamentare determina l’aggiramento, nella grande maggioranza dei decreti adottati in questo periodo (il riferimento, in questo caso è solo ai decreti ministeriali) solo del passaggio al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio a cui, ai sensi dell’art. 17 co. 3 della legge n. 400 del 1988, devono essere comunicati i decreti adottati con forma regolamentare dai Ministeri, perché questo possa esercitare la sua funzione di mantenimento dell’unità di indirizzo politico e di coordinamento dell’attività normativa. Mentre non è un caso che maggior conforto si ricavi dai dati sulle altre fasi di controllo, la cui obbligatorietà non è legata alla forma regolamentare, ma discende da criteri di natura sostanziale. I decreti adottati senza forma regolamentare infatti, risultano di regola sottoposti alla registrazione della Corte dei conti, che è prevista per tutti «gli atti normativi a rilevanza esterna» , e sono pubblicati in Gazzetta 172 Ufficiale, secondo quanto stabilito per «i decreti, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei Ministri e ministeriali che siano strettamente necessari per l'applicazione di atti aventi forza di legge e che abbiano contenuto normativo» . 173

In media però, non più decorrono di 4 mesi da quando il ministero invia il primo schema a quando il

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Consiglio di Stato rende il proprio parere definitivo.

Secondo quanto previsto dall’art. 3, co. 1, lett. c) della l. n. 20 del 1994

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Ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.P.R. 1092 del 1985.

In ogni caso, lo scenario che emerge dipinge l’estrema complessità di fenomeno che, se inquadrato per mezzo di una pura e semplice stigmatizzazione (con formule divenute ormai rituali) si rischia invece di non cogliere. Piuttosto gli sforzi devo essere rivolti a tentativi di comprensione non solo del suo funzionamento, ma anche delle esigenze da cui origina. Ciò che si sa, a questo proposito, è che per spiegare il fenomeno della destrutturazione formale del potere regolamentare, occorre partire da un’analisi - improntata a cautela e realismo - dei “vincoli” che gravano su di essa, quelli legislativi e quelli costituzionali.

I vincoli legislativi, anzitutto, che coincidono solo in parte con quelli stabiliti dalla legge n. 400 del 1988, talvolta risultano perfino disfunzionali, e il procedimento di formazione dei regolamenti meriterebbe, forse, il ripensamento cui alcuni invitano . 174 Sono diversi i problemi che sorgono dal modo in cui è disciplinato il procedimento di formazione dei Regolamenti che, in gran parte, derivano dal fatto di essere articolato in una serie di controlli che spesso finiscono per sovrapporsi. Quando esiste uno schema di regolamento, infatti, l’atto passato dal Consiglio di Stato per il controllo preventivo di legittimità e già trasmesso al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, deve essere vistato dal Ministero della Giustizia e registrato dalla Corte dei Conti. Ciascuno di questi soggetti svolge, sullo stesso schema, attività che non si fa fatica a ricondurre ad esigenze costituzionalmente rilevanti, e che però lasciano l’impressione che finiscano tutte, almeno in parte, per ripetere lo stesso controllo di legittimità operato in prima battuta dal Consiglio di Stato. Senza dubbio rischia di riproporre il controllo svolto dalla Corte dei Conti al termine del procedimento, che ripete quello svolto a monte dal Consiglio di Stato, e che spesso finisce per essere l’occasione per verificare l’adeguamento ai rilievi già formulati in quell’occasione . Giudizio che, per la formulazione sfuggente dell’art. 5 co. 3, del 175 D.P.R. 1092 del 1985, rischia di essere ripercorso anche dal Ministro della Giustizia

Che «esso appare troppo complesso e quindi tale da disincentivare l’utilizzazione della fonte, facilitando,

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da un lato, l’utilizzazione delle fonti primarie (in primis, i decreti-legge) e, dall’altro, gli atti adottati al di fuori dell’art. 17 della legge n. 400 (anche per questo sono cresciuti gli “atti di natura non regolamentare”» lo rileva di recente G. T. BARBIERI, La disciplina del ruolo normativo del Governo nella legge n. 400 del 1988, ventinove anni dopo, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 1/2018, soprattutto pp. 16-17.

Su questo aspetto si vedano R. BIN - G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, Giappichelli, Torino, 2009, p. 175

205, e G. T. BARBIERI, La disciplina del ruolo normativo del Governo nella legge n. 400 del 1988, ventinove anni dopo, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 1/2018, soprattutto pp. 16 ss.

che, prima di trasmettere l’atto alla Corte dei Conti ne deve controllare, oltre alla forma esteriore, anche il tenore.

Il sospetto che almeno parte del problema possa stare nel modo in cui il procedimento è costruito, più che nell’esistenza di procedimento in sé, è che l’esercizio “atipico” del potere regolamentare trova molto spesso sfogo non in un esercizio di potere del tutto flessibile, ma in procedimentalizzazioni diverse da quelle stabilite in via generale dalla legge. Risultano in effetti molto frequenti non solo i casi di coinvolgimento di altri Ministeri e delle commissioni parlamentari, ma anche dei 176 soggetti che operano per il raccordo dell’articolazione territoriale del potere, tra cui soprattutto la Conferenza Unificata e quella Stato-Regioni , e di altri soggetti di natura 177 diversa . Questo, in particolare, suscita interesse con riferimento alla ratio della 178 destrutturazione, per buona parte elusiva del riparto di competenze ex art. 117, co. 6, Cost., a cui probabilmente questo massiccio coinvolgimento intende fornire rimedio o, in qualche modo, a percorrere procedimenti che, attraverso il coinvolgimento dei soggetti interessati, possano comunque scongiurare il successivo sorgere di contenziosi.

Dall’analisi dei dati che dimostrano la difficoltà delle strutture ministeriali nel soddisfare l’attività normativa che gli è demandata, era emerso il sospetto che, una parte dei problemi potesse essere rinvenuta - paradossalmente - nella destrutturazione (strutturale) della fase istruttoria del potere regolamentare . La predisposizione di una 179 regolamentazione della fase istruttoria degli atti ministeriali potrebbe infatti essere la via per stabilire termini che possano strutturare entro tempi certi le diverse fasi in cui questa

Delle 133 disposizioni che rinviano a decreti non regolamentari, 53 prevedono che questi siano adottati di

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concerto con almeno un altro Ministero. Il Ministero più coinvolto in sede di concerto è certamente il Ministero dell’economia e delle Finanze (42 concerti). Tre volte è previsto il concerto del Ministro dei trasporti e delle infrastrutture e del Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare, 2 volte invece il Ministero dello Sviluppo Economico.

Dei 133 rinvii che affidano l’attuazione ad “atti non regolamentari”, sette prevedono che sia raggiunta

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l’intesa in Conferenza Stato-Regioni, 6 prevedono che questa sia preventivamente sentita e uno prevede che sia assunto il suo concerto. Cinque volte viene coinvolta invece la Conferenza unificata: tre volte attraverso la richiesta del suo parere, una volta mediante accordo e un’altra volta sentendola preventivamente. La Conferenza Stato-città è invece coinvolta mediante un intesa, mentre altre due volte deve essere preventivamente sentita.

Come associazioni di categoria, la Banca d’Italia, l’Avvocatura Generale dello Stato, il Consiglio

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nazionale forense e i consigli degli ordini professionali.

Diversamente, quando deve essere adottato un atto amministrativo, la legge che ne disciplina in generale

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il procedimento (legge n. 241 del 1990) stabilisce che, a monte, sia individuato il termine di conclusione (artt. 2 e 2-bis).

si articola . L’assenza di vincoli procedurali nella fase istruttoria genera peraltro 180 ulteriori, e forse più gravi, criticità, soprattutto sul ruolo degli apparati burocratici delle Direzioni generali dei Ministeri, a cui viene, attraverso questo sistema, demandata una sorta di “pesca”, libera e svincolata dall’indirizzo politico e amministrativo, delle disposizioni da attuare . Direzioni generali che, senza vincoli stringenti, hanno poi il 181 compito di predisporre lo schema del provvedimento attuativo, che solo da quel momento (e per il numero assolutamente marginale di decreti adottati con forma di Regolamento) è sottoposto al sistema di controlli di cui alla legge n. 400 del 1988.

I vincoli costituzionali, dal canto loro, non pongono meno problemi, e creano in particolare un nodo intricato, che il Governo dimostra di affrontare mediante la medesima azione elusiva della forma regolamentare. Il nodo cui ci si riferisce è quello realizzato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha riformato il Titolo V della Costituzione, invertendo il criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, affidando a queste ultime la competenza residuale ed enumerando invece quelle concorrenti (art. 117, terzo comma, Cost.) ed esclusive (art. 117, secondo comma, Cost.) dello Stato, e poggiando su questo criterio anche il sistema di distribuzione della potestà regolamentare (art. 117, sesto comma, Cost.), che spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva (salvo delega alle Regioni), e alle Regioni «in ogni altra materia» (salvo che per la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni attribuite agli enti locali, per le quali questi esercitano la loro potestà regolamentare).

E’ stato diffusamente rilevato come a questa riforma abbia fatto seguito quella parte del fenomeno elusivo della forma regolamentare dall’aspetto più evidente, che in buona parte si spiega come l’espediente per scavalcare il riparto di competenze di cui all’art. 117, sesto comma, Cost. Di nuovo, però, non è troppo artificioso collegare questa volontà ad un’esigenza molto seria. La scelta fatta con la riforma del 2001, d’altro canto, è stata radicale. Un meccanismo in cui è affidato alle Regioni l’intero potere

Non solo introducendo un termine entro cui il procedimento deve avere inizio, ma affiancando un

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meccanismo di incentivo reputazionale dell’attività ministeriale (imponendo al Ministro un resoconto semestrale sui provvedimenti adottati). Si sofferma su questo punto la parte maggiore dell’Audizione del Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Prof. Marcello Cecchetti, resa al Comitato per la legislazione dell’8 febbraio 2017, che si può vedere in https://webtv.camera.it/evento/10586

E’ l’altro punto su cui insiste molto l’Audizione del Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero

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dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Prof. Marcello Cecchetti, resa al Comitato per la legislazione dell’8 febbraio 2017, che si può vedere in https://webtv.camera.it/evento/10586

regolamentare, ad esclusione di quello da esercitare nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, avrebbe potuto funzionare solo se, contestualmente, si fosse innescata un’evoluzione decisa dei sistemi regionali, capace di porre lo Stato nelle condizioni di occuparsi della sola legislazione di principio, e affidando alle Regioni la parte più importante dell’attività normativa, tanto primaria quanto secondaria. E allora l’elusione della forma del potere regolamentare è, almeno in parte, lo strumento con cui lo Stato ha cercato di preservare intere sfere di competenza normativa dall’erosione determinata dall’art. 117 Cost. che, alla luce del mancato sviluppo della legislazione regionale, avrebbe finito per determinare la pietrificazione delle relative materie.

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