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La disarticolazione soggettiva del potere regolamentare nell’evoluzione del decreto del Presidente del Consiglio de

2. L’oggetto: il potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri nella prass

2.2. Una carica di d.P.C.M.?

Sulla base di questi numeri è possibile dire che si sia realizzata una “carica” di decreti del Presidente del Consiglio sul sistema delle fonti? Se i dati riferibili al periodo esaminato (e quelli del periodo immediatamente precedente) vengono confrontati, per esempio, con quelli che Maria Chiara Grisolia aveva esposto in quello che rimane ancora oggi uno dei più importanti lavori sui d.P.C.M , verrebbe da dire di si, e senza troppi dubbi. Se a questa 216 domanda ha senso dare una risposta però, la risposta, a sua volta, ha senso solo se cercata nella dimensione qualitativa. In questo prospettiva potrebbe essere più significativo guardare, oltre al dato strettamente numerico, a ciò che dalla prassi si può ricavare in ordine al reale peso assunto dai d.P.C.M. nel sistema di produzione normativa.

Ne individua, ad esempio, almeno 62 (23 nel 2016 e nel 2017 e almeno 16 nel 2018) in riferimento al

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triennio 2016-2018 D. DE LUNGO in Nihil est in intellectu quod Prius non fuerit in sensu: considerazioni empiriche su decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nell’esperienza recente, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, p. 7.

Il titolo si riferisce ad uno dei più noti e attenti lavori empirici rivolti - in tempo recente - allo studio dei

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d.P.C.M.: V. DI PORTO, La carica dei DPCM, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2016;

Già richiamati in nota n. 13, si veda M. C. GRISOLIA, Osservazioni in tema di decreti del presidente del 216

Un indizio in questo senso potrebbe essere tratto dal recente Rapporto sull’attività svolta

dal Comitato per la Legislazione , che rileva come una delle tendenze recenti nella prassi 217 della normazione primaria sia il frequente rinvio a questa tipologia di atti in chiave attuativa, con una considerazione che trova conferma nei dati raccolti dall’Ufficio per il programma di

governo sui provvedimenti di attuazione delle leggi ad iniziativa governativa, da cui emerge

come circa 1/5 dei provvedimenti attuativi abbiano la forma del d.P.C.M. . Più in generale, 218 l’impressione che si ricava dall’insieme delle informazioni ricavabili dalla Gazzetta Ufficiale, dalle schede dell’Ufficio per il programma di governo e dai lavori di sistemazione offerti dal Comitato per la legislazione, è che con la forma del d.P.C.M. siano adottati non solo una considerevole quantità di atti, e attuata una parte importante della normativa primaria, ma che già da qualche tempo tale rinvio apra ad interventi di una certa ampiezza normativa e importanza politica.

E i casi, attraverso cui esemplificare quest’impressione, non mancano. Una disposizione estremamente rappresentativa, in questo senso, è l’art. 5 del Codice del terzo settore che, dopo aver recato al primo comma l’elenco delle attività di interesse generale caratterizzanti gli enti

Rapporto sull’attività svolta dal Comitato per la Legislazione, Secondo turno di Presidenza, Presidente

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On. Marcello Taglialatela (7 marzo 2014 – 7 gennaio 2015). E poi di nuovo il Comitato per la legislazione nel compiere una ricognizione della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), rileva come su 137 previsioni relative a successivi adempimenti, 27 (circa un quinto) rimandano a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. L’ampio ricorso è un dato in linea con ognuna delle poche rilevazioni fatte. Un altro caso risalente a quel periodo è offerto dal Rapporto sull’attività svolta dal Comitato per la Legislazione sopra citato, che richiama la legge n. 221 del 2015, in tema di Green economy, che affida al d.P.C.M. una pluralità di interventi, i più importanti dei quali erano stati richiamati nel parere reso al legislatore dallo stesso comitato, ponendo come condizione la riformulazione dei tre articoli (24, comma 2, 25, comma 1, e 26, comma 1) che stabilivano l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a contenuto normativo in luogo di un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988. I rinvii peraltro restano invariati nel testo promulgato, che affida al d.P.C.M. la definizione dei criteri di funzionamento del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (art. art. 55 co.1) e i criteri e le modalità di utilizzazione (art. 58 co. 2); la definizione dei principi e dei criteri per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato (art. 61 co. 1). Un caso di poco precedente ma capace di rendere il rilevo qualitativo assunto da tale atto in chiave attuativa è offerto dal decreto legge n. 149 del 2013 richiama il d.P.C.M quale atto attraverso cui prevedere i criteri e le modalità attraverso cui ripartire il 2x 1000 ai partiti politici destinatari. Più di recente invece l’art. 17-ter del d.l. n. 148 del 2017 prevede che con d.P.C.M. siano stabilite le modalità di accesso al contributo della quota del 5x1000 dell’imposta sul reddito delle persone fisiche destinate agli enti delle aree protette, nonché che con d.p.c.m. vengano disciplinate le modalità di formazione degli elenchi degli enti ammessi e i criteri di riparto e erogazione delle somme. Nemmeno mancano in casi in cui la fonte abilitante rinvia in alternativa ad un’ulteriore fonte primaria o all’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, secondo una dinamica in cui, all’atipicità della fonte attuativa si combina una commistione tra fonti che somiglia a un atipico procedimento di delegificazione.

Nel dettaglio, dei 313 provvedimenti attuativi adottati dal Governo Letta i d.p.c.m. sono 38 (il 12 %);

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Degli 814 del Governo Renzi sono 143 (il 17%); il 14%, ovvero 41 su 296 dal Governo Gentiloni e 2 ogni 10 (26 a fronte di 129) dal Governo Conte. I dati sono consultabili in http://www.programmagoverno.gov.it/it/focus/ decreti-attuativi/

del Terzo settore diversi dalle imprese sociali prevede, in quello successivo, che l’elenco possa essere «aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa, in sede di Conferenza Unificata e acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione del decreto, decorsi i quali quest’ultimo può essere comunque adottato». Il meccanismo innescato è quello per cui il contenuto di una fonte di rango primario può essere modificato da un atto normativo secondario. Si tratta di una dinamica molto simile, evidentemente, a quello tipica della delegificazione: in cui una fonte regolamentare si “sostituisce” ad una Legge. Ci sono pochi dubbi, infatti, che con il termine “aggiornamento” si indichi un azione di modifica (tramite aggiunta o sottrazione) rispetto all’elenco disposto dal Codice. L’anomalia che emerge in modo più notevole però, rispetto alla dinamica tipicamente propria della delegificazione, è proprio nel fatto che i regolamenti di delegificazione ex art. 17, comma 2 della l. n. 400 del 1988 sono adottati con d.P.R., mentre l’art. 5 del Codice del Terzo settore demanda ad un d.P.C.M. E infatti la disposizione primaria non richiama l’art. 17, comma 2 della l. n. 400 del 1988, ma il comma 3 dello stesso articolo (che disciplina i decreti ministeriali) . 219

Esempi di questo genere si trovano anche all’interno del complesso di norme che, a partire dal 2012, ha permesso e disciplinato la prosecuzione dell’attività produttiva dell’acciaieria ILVA di Taranto, a fronte del sequestro disposto dalla magistratura cittadina nell’ambito del maxi-procedimento condotto per reati contro l’ambiente, l’incolumità e la salute pubblica, a carico dei gestori pro tempore dello stabilimento . Si tratta di una serie di atti normativi di 220 provenienza governativa succedutisi nel corso di otto anni. All’interno di questo complesso normativo un ruolo fondamentale è stato assunto proprio dal d.P.C.M, che ha rappresentato la forma con la quale è stato adottato il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (il c.d. Piano Ambientale d.P.C.M. del 14 marzo 2014) e a cui è stata poi demandata la possibilità di prorogare il termine per l’attuazione del piano stesso, secondo una dinamica di nuovo molto simile ad una delegificazione “spuria” (del tipo appena menzionato) secondo una procedura che si discosta anch’essa dalla procedura delineata dall’articolo 17, comma 2,

Per un inquadramento e un commento a questa disposizione si veda F. PACINI, L’impianto del Codice del 219

Terzo Settore, in Non Profit, n.3/2017, pp. 17-28, in particolare p. 26 s.

Peraltro oggetto di una recente pronuncia della Corte EDU, del 24 gennaio 2019 - Ricorso n. 54414/13 e

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altri - Causa Cordella contro Italia; consultabile in https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page? facetNode_1=0_8_1_2&contentId=SDU173674&previsiousPage=mg_1_20

della legge n. 400 del 1988 e che, per costante indirizzo del Comitato per la legislazione, non corrisponde ad un corretto utilizzo delle fonti normative” . 221

Alla decretazione del Presidente del Consiglio dei Ministri è stata rimessa, sempre per proseguire con questa serie di valore meramente esemplificativo, la disciplina del meccanismo attraverso cui stabilire l’età dei minori non accompagnati vittime di tratta, sulla base del rinvio estremamente generico di cui all’art. 4 co. 2 del Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 24 (attuativo a sua volta della Direttiva 2011/36/UE) che si limita a stabilire che l’accertamento debba essere improntato al “rispetto del superiore interesse del minore” e articolato secondo procedure «che tengano conto anche delle specificità relative all'origine etnica e culturale del minore». Al resto ha provveduto l’atto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per mezzo del d.P.C.M. n. 234 del 2016, che ha occupato l’ampio spazio normativo affidatogli, stabilendo una procedura di accertamento che ammette il ricorso all’esperimento di accertamenti sanitari, ma che impone l’intervento dell’autorità giudiziaria (nella persona del giudice tutelare) a cui è demandata la nomina del soggetto che temporaneamente esercita i poteri tutelari nei confronti del minore, riconoscendogli il diritto di proporre reclamo contro il provvedimento conclusivo del procedimento.

Ma volendo l’arco temporale può essere coperto fin dal principio: è del 2013, ad esempio, il d.P.C.M (n. 159), con cui è stato adottato il Regolamento che ha modificato le modalità di determinazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), in attuazione del decreto legge "salva Italia" (art. 5, decreto legge 201/2011) . Si tratta di un atto che ha 222 coperto l’ampio spazio lasciato dalla fonte primaria, che si era limitata a stabilire solo pochi criteri e molti dei quali vaghi, tra cui: il perseguimento del miglioramento della selettività dell’indicatore e la valorizzazione a tal fine della componente patrimoniale. Si tratta inoltre di un atto dalla cui analisi emergono una pluralità di elementi di interesse. Privilegiando il dato formale ciò che si ricava in modo più evidente è che sembrerebbe trattarsi di un atto adottato nel rispetto delle forme previste dall’art. 17 legge 400 del 1988, che danno quindi la dimensione della consapevolezza circa la natura dell’atto. Ciò che di per sé non dovrebbe

Si veda il parere reso dal Comitato per la legislazione nella seduta del 22 giugno 2016

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A titolo di completamento informativo, l’atto è stato oggetto di un ricorso parzialmente confluito in una

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sentenza di annullamento del Tar del Lazio (n. 2458 dell'11 febbraio 2015) che ha riguardato in particolare l'articolo 4, comma 2, lettera f) del d.p.c.m. 159/2013, che prevedeva che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF. Decisione successivamente confermata sul punto dal Consiglio di Stato.

stupire e che invece stupisce, non solo per l’esiguo numero di atti adottati in conformità al modello legislativo, ma soprattutto perché il decreto legge a cui ha dato attuazione aveva rinviato, nella sua formulazione originaria, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di natura non regolamentare, secondo una formula poi sparita nel testo convertito e sostituita con una più generica che aveva l’intenzione di rimettere al Governo la scelta sulla forma dell’atto da adottare. Il meccanismo in cui l’atto in questione si inserisce, sembra un’ulteriore ipotesi di delegificazione “atipica”, che contraddice nuovamente il disposto del comma 2 dell’art. 17, che ammette che “le leggi della Repubblica possano autorizzare l’esercizio della potestà regolamentare in materie disciplinate dalla legge e disporre l’abrogazione delle norme vigenti con effetto dall’entrata in vigore di quelle regolamentari”, purché tali regolamenti siano adottati con decreto del Presidente della Repubblica e previa

deliberazione del Consiglio dei Ministri, e che modella un percorso procedurale diverso (in

particolare prevedendo il parere delle Commissioni parlamentari, ed eludendo invece il controllo del Consiglio di Stato). Adottando una chiave di lettura più attenta alla sostanza dell’atto ciò che risalta è che si tratta di un intervento tanto ampio da aver richiesto ulteriori e successivi decreti attuativi. Emerge infatti l’anomalia di un atto attuativo a sua volta non auto- applicativo, che fissa l’agenda dell’adozione di successivi atti per la messa a regime della propria disciplina . 223

Non meno importante, proseguendo lungo questa direttrice, il rinvio disposto dall’art. 1, comma 33 della legge 23 dicembre 2014 n. 190, che ha rimandato ad un decreto del Presidente del Consiglio la disciplina delle modalità di attuazione della disposizione relativa alla possibilità, per i lavoratori dipendenti del settore privato di farsi liquidare, nella retribuzione mensile, le quote del trattamento di fine rapporto maturato (TFR), nonché l’attuazione delle disposizioni in materia di accesso ai finanziamenti del Fondo di garanzia istituito presso l'INPS per i datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota di TFR. L’atto adottato, il d.P.C.M. 20 febbraio 2015, n. 29 (Regolamento recante norme attuative delle disposizioni in materia di liquidazione del TFR

come parte integrante della retribuzione per il periodo di paga decorrente da marzo 2015 a giugno 2018) è un importante impianto normativo che, secondo quanto previsto dalla legge n.

190 del 2014, e in conformità alla procedura di cui all’art. 17 della legge 400 del 1988, individua i soggetti abilitati a presentare la richiesta di liquidazione, la misura e la procedura di liquidazione della quota di TFR da liquidare come parte integrativa della retribuzione, le modalità di accesso al finanziamento assistito da garanzia e le misure compensative per i

Richiede, per poter dispiegare i suoi effetti, l’adozione di un decreto ministeriale che fornisca il modello

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datori di lavoro. Disciplina inoltre la costituzione, il funzionamento, il finanziamento l’attivazione del Fondo di garanzia istituito presso l'INPS per i datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota di TFR.

Attuative di rinvii disposti dalla legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014 n. 190) sono anche le disposizioni contenute nella coppia di d.P.C.M.. che nel 2016 hanno dettato la disciplina per il riparto della quota del cinque per mille dell'Irpef destinata al finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. Il più importante è quello del 28 luglio 2016, che detta i criteri di riparto della quota del cinque per mille e individua i soggetti ammessi (e gli adempimenti da soddisfare per essere qualificati come tali). Prima però era stato emanato anche il d.P.C.M. del 7 luglio 2016 che aveva disciplinato le modalità di redazione del rendiconto, le modalità di recupero delle somme per violazione degli obblighi di rendicontazione, le modalità di pubblicazione nel sito web di ciascuna amministrazione erogatrice degli elenchi dei soggetti ai quali e' stato erogato il contributo, con l'indicazione del relativo importo, nonché le modalità di pubblicazione nello stesso sito dei rendiconti trasmessi. Entrambi gli atti ora menzionati sono qualificati dal legislatore che vi rinvia come decreti di natura non regolamentare in distonia con il loro contenuto, che non solo è certamente normativo ma che, nell’insieme, disciplina in modo organico un fatto di primaria rilevanza.

Ha un rilievo esemplificativo importante anche il pacchetto di d.P.C.M. con cui sono stati adottati i tre Regolamenti che hanno disposto la disciplina di aspetti centrali della materia pensionistica. Il più ampio di questi è il d.P.C.M. 4 settembre 2017, n. 150, che ha stabilito le modalità di accesso all’anticipo finanziario a garanzia pensionistica (c.d. APE volontaria), nonché le modalità di erogazione e di restituzione del prestito e si occupa di determinare i criteri, le condizioni e le modalità di funzionamento del fondo di garanzia di cui al comma 173 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e della garanzia di ultima istanza dello Stato. A questo si aggiungono altri due d.P.C.M. adottati, entrambi con forma regolamentare, il 23 maggio 2017. Il primo di questi (il n. 87) è l’atto che ha recato la disciplina di attuazione della c.d. ape sociale, prevista dalla medesima legge 11 dicembre 2016, n. 232, e si è occupato, tra le altre cose, di specificare le caratteristiche delle attività lavorative di cui alla lettera d) co. 199 (indicate nell’allegato E annesso) di quella legge, di disciplinare le modalità di compilazione della domanda e le procedure per l'accertamento delle condizioni per l'accesso al beneficio di cui ai commi da 199 a 205 e la relativa documentazione necessaria. Provvedendo inoltre a regolamentare l'attività di monitoraggio e a stabilire i criteri da seguire nello svolgimento dell'attività di verifica ispettiva. Il secondo dei

d.P.C.M. adottati il 23 maggio 2017, il n. 88 ha un contenuto analogo e ha svolto una funzione parallela, ma in riferimento alla disciplina del pensionamento anticipato per i lavoratori precoci .224

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