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Una cosa è disporre, altra cosa è provvedere: sul rapporto tra criteri formali e sostanziali per la qualificazione dei decreti non regolamentar

La destrutturazione formale del potere regolamentare nell’evoluzione dei decreti normativi ma non regolamentar

1. Il potere regolamentare destrutturato: cenni di un inquadramento teorico

1.2. Una cosa è disporre, altra cosa è provvedere: sul rapporto tra criteri formali e sostanziali per la qualificazione dei decreti non regolamentar

Insieme alla capacità della legge n. 400 del 1988 di vincolare la successiva attività normativa, è venuta meno anche la possibilità, che su di essa riposava, di distinguere e sottoporre ad un trattamento diverso atti di natura diversa. Riprendendo l’insegnamento di Vezio Crisafulli: una cosa è l’azione (e l’atto) del disporre, altra cosa è l’azione (e l’atto) del provvedere . Una cosa è l’esercizio del potere regolamentare (e l’atto 128 regolamentare, che è atto normativo), altra cosa è l’esercizio della funzione amministrativa (e il provvedimento amministrativo).

La questione teorica che si pone, a questo punto, è la seguente: se nominare un atto come non normativo, o comunque il suo presentarsi con l’aspetto esteriore di un atto non normativo possa, ed eventualmente in quale misura e a quali condizioni, rendere diversa la sua natura anche quando questa sia materialmente normativa. A questo proposito, lo sguardo deve essere volto al rapporto tra i criteri di natura formale e sostanziale nella qualificazione dell’atto.

Occorre a tal proposito riprendere, seppur sinteticamente, l’insegnamento, ribadito soprattutto da Livio Paladin, a mantenere netta la contrapposizione concettuale tra la concezione teoretica e quella dommatica di fonte del diritto , (solo) parzialmente 129 ripercorsa dalla distinzione tra atto normativo secondo concetto e atto normativo

secondo trattamento, elaborata da Giuseppe Ugo Rescigno . Secondo la visione 130 teoretica, il concetto di fonte del diritto sta ad indicare, ricorrendo alla figura retorica

della sorgente, l’insieme dei fatti da cui sgorgano le norme giuridiche. E’ un concetto che ha, in questo senso, un significato di natura logica, generale e descrittiva. Altra invece è la visione dommatica, secondo cui la locuzione “fonti del diritto” sta indicare l’insieme degli atti e dei fatti che un particolare ordinamento, storicamente esistente,

abilita a produrre norme giuridiche. In questo senso assume un significato legale,

V. CRISAFULLI, Atto normativo, in Enc. dir., IV, 1959. 128

L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996. La contrapposizione è fatta emergere 129

lungo tutto il capitolo primo, ma soprattutto nel paragrafo 4, alle pp. 20-24.

G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, Zanichelli, Bologna, 1998, pp. 10 -31 e, soprattutto nelle pp. 11; 130

relativo e prescrittivo . E’, in altre parole, una scelta politica, che ciascun ordinamento 131 compie per sé (relatività), e che vale solo per questo, quella di determinare quali sono gli atti e i fatti idonei (prescrittività) a produrre le norme giuridiche che lo costituiscono, e quella di stabilire gli effetti che da ciò si fanno derivare. A questo significato di fonti del diritto è perciò più corretto riferirsi aggiungendo, al sostantivo fonti, l’attributo

legali.

La nozione legale di fonte è legata, dunque, alla volontà politica di un ordinamento (che è positiva e relativa) di individuare le proprie fonti del diritto. Per questo, il criterio di individuazione delle fonti legali di un ordinamento non può che essere, in prima battuta, l’aspetto esteriore (criterio formale), per come stabilito dall’ordinamento per mezzo delle norme di riconoscimento, che sono norme sulla produzione del diritto. Questo non significa, però, che il criterio formale sia risolutivo ai fini della determinazione dell’appartenenza di un atto alla categoria fonte del diritto. Una cosa è l’individuazione del tipo, altra è la riconduzione dell’atto al tipo. Il problema diventa, a questo punto, quello di interrogarsi sui criteri (sostanziali) di identificazione del contenuto di un atto (di cosa è provvedere e cosa è disporre).

La definizione della natura di atto normativo è legata al significato dell’attributo normativo, che la qualifica. E l’aggettivo normativo è, evidentemente, coniato sul significato del concetto di norma (giuridica), che dunque è ciò a cui si deve, in ultima analisi, risalire. Il tentativo di fornire una definizione di norma giuridica, e per conseguenza di contenuto normativo, è il frutto di sforzi teorici plurisecolari, giunti ad una concordanza sull’essenziale che, si può dire, sta in ciò: che norma giuridica è la

Le fonti legali sono, per V. CRISAFULLI, Lezioni di Diritto Costituzionale, II, Le fonti normativa, Cedam, 131

Padova, 1976, p. 2, quelli, tra i fatti (in senso ampio, inclusivo anche degli atti) che sono qualificati da un ordinamento come proprie fonti. Le fonti legali sono, secondo A. MORRONE, Fonti normative, Il Mulino, Bologna, 2018, p. 23, "quelle previste dalle norme sulla produzione”, che ribadisce “ciascun ordinamento stabilisce le proprie fonti normative”. Sono, per A. BARBERA E C. FUSARO, Corso di diritto pubblico, sesta edizione, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 83, “i fatti e gli atti che l’ordinamento giuridico abilita a produrre norme giuridiche”. Per U. DE SIERVO E P. CARETTI, Diritto costituzionale e pubblico, Terza edizione, Giappichelli, Torino, 2017, p. 568, con l’espressione fonti del diritto si intendono “quegli atti giuridici cui l’ordinamento costituzionale attribuisce l’idoneità a porre norme giuridiche”.

regola che, manifestandosi in forma di comando, innova l’ordinamento, ponendo una disciplina generale e astratta dei rapporti giuridici . 132

La norma giuridica, pertanto, è tale perché è astrattamente idonea a creare nuovo diritto. E il carattere dell’innovatività sta ad indicare proprio la capacità degli enunciati di produrre un effetto prescrittivo nuovo. Il requisito non è però di per sé risolutivo, e va comunque relativizzato. E’ vero infatti che, in linea generale, se con novità si intende l’introduzione di ciò che prima non c’era, ogni atto, introducendosi in un sistema esistente, è di per sé produttivo di nuovi effetti e in questo senso, per definizione, sarebbe innovativo . E allora si aggiunge questo: che è normativo il precetto che 133 innova l’ordinamento, regolando i rapporti giuridici secondo schemi di comportamento

generali e astratti. La generalità è la caratteristica che riguarda i destinatari del

precetto: sta ad indicare la riferibilità della disposizione ad un numero indeterminabile di soggetti. Una disposizione è generale quando è riferita ad un classe indeterminata (nel senso di aperta) di soggetti. L’astrattezza, invece, è la caratteristica dell’oggetto della prescrizione: sta ad indicare la ripetibilità del precetto in un numero indeterminabile di casi, e dunque in riferimento ad un numero indeterminato di comportamenti. Una disposizione è astratta, in altre parole, quando si rivolge ad un tipo (inteso come classe indeterminata) di comportamenti.

L’immagine, che così presentata si consegna cristallina a chi la osserva incontra una serie di difficoltà supplementari, sia sul piano teorico sia, ovviamente, sul piano pratico. La prima complicazione sta nel fatto che, quando si viene alla normazione secondaria,

Superando la tesi di Paul Laband e Georg Jellinek. che (per primi) elaborarono la notissima distinzione tra

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aspetto formale e aspetto materiale (o sostanziale) dell’atto giuridico a partire dall’aspetto funzionale del comando. Secondo questa teoria, ha carattere legislativo la manifestazione di volontà che si rivolge all’esterno e determina la misura delle relazioni tra le posizioni giuridiche soggettive dei cittadini, mentre ha carattere amministrativo, invece, il comando che l’autorità rivolge ai propri apparati: agli organi e alle persone che ne fanno parte Il primo a recuperare questa distinzione e a correggerla nel senso ancora oggi utilizzato è G. Codacci-Pisanelli, in Legge e Regolamento, laddove approfondisce la distinzione tra dimensione formale e sostanziale degli atti giuridici e la applica al Regolamento, che definisce, con una formula che è ancora parte del vocabolario del discorso sul potere regolamentare: atto legislativo nella sostanza e amministrativo nella forma. Con questa precisazione: che dalla dottrina di Laband e Jellinek prende l'intuizione della formula ma si distanzia nel riempirla di contenuto. Secondo Codacci Pisanelli infatti il criterio che rende legislativa la materia di un atto non dipende dall’aspetto “funzionale” dei suoi comandi - l’intervento sui rapporti tra gli individui, come proposto dalla dottrina tedesca - ma dalle caratteristiche strutturali dei precetti: ed in particolare da quello della generalità. Si legge, a p. 2 :«Norma è la volontà dello Stato manifestato in via generale e astratta. Provvedimento è la volontà dello Stato manifestata in via particolare e concreta». Ancora, sulla scia di questa concezione V. E. ORLANDO, Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, Volume III, Società editrice letteraria, Milano, 1901, pp. 13-41. In particolare sul carattere della generalità pp. 22-41. V. CRISAFULLI , cit., pp. 25-32; G. U. RESCIGNO, cit, p. 22.

Ed è noto, infatti, come la dottrina gradualistica del diritto, che non considera l’innovatività caratteristica

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esclusiva della norma giuridica, fa emergere come un certo grado di novità, seppur progressivamente graduato dal restringersi dello spazio di decisione che si ricava dall’atto sovraordinato, sia propria anche di quelli amministrativi e giurisdizionali.

questi criteri distintivi assumono la veste meno netta che derivano dalla natura attuativa e integrativa della funzione che svolgono. E’ vero che la sostanza normativa sta nella sede secondaria come in quella primaria della produzione del diritto, ma è indubbio che la funzione tradizionalmente esercitata (integrativa, attuative ed esecutiva), rende molto più complicato far operare, in concreto, la differenza che poggia sui criteri della generalità, dell’astrattezza e dell’innovatività . Ma anche quelli di generalità e 134 astrattezza sono concetti relativi, che si manifestano in differenti gradi di intensità.

A questo si deve aggiungere poi un’elemento ulteriore, e cioè che nonostante il carattere della specialità sia tradizionalmente predicato quale elemento a contrario di identificazione del carattere della normatività (e in particolare del carattere della generalità) e proprio invece dell’atto che provvede in concreto, si è andata progressivamente formando la nozione di atto amministrativo generale che toglie all’atto normativo “l’esclusiva” sul carattere della generalità . E non si può non vedere 135 come tutto ciò operi direttamente sulla consistenza operativa della distinzione, che peraltro è restituita nella sua difficoltà da una pluralità di contenuti di incerta qualificazione teorica . Per non dire di come tutto ciò, ove anche possa essere reso 136 concettualmente nitido, finisca poi per scontrarsi inevitabilmente con la realtà multiforme e complessa che si incontra quando se ne voglia fare un qualche uso pratico.

Una correzione, più che una vera e propria alternativa, all’ipotesi di individuare la normatività sulla base dei requisiti della regola introdotta nell’ordinamento, è quella che colloca al centro del concetto di normatività le caratteristiche del potere. Si tratta delle teorie secondo cui è dalla qualità del potere normativo, e non dalle caratteristiche del precetto, che si deve risalire alla normatività. Il carattere normativo deriverebbe pertanto da “un’attribuzione positiva” di potere che realizza processi di integrazione 137

La capacità della norma secondaria di attribuire ad un tipo di comportamento una qualificazione giuridica

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nuova è infatti collegata alla qualificazione già contenuta dalla norma primaria, per cui può non essere sempre agevole distinguere quando il rapporto tra le due norme diventa di sovrapposizione (quando cioè la disposizione secondaria si limita a ripetere il contenuto di una norma primaria) e quando invece esiste un rapporto di specificazione o perfino di riformulazione del contenuto. Si veda G. AMATO, Rapporti fra norme primarie e secondarie, Giuffrè, Milano, 1962.

Si veda il contributo di M. RAMAJOLI E B. TONOLETTO, Qualificazione e regime giuridico degli atti 135

amministrativi generali, Dir. Amm. 1-2/2013, pp. 53-62.

Solo per citare alcuni tra i più noti e trattati: le circolari, le ordinanze, i piani regolatori, i bandi di gara e di

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concorso, i provvedimenti di determinazione di prezzi e tariffe.

E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Giuffrè, Milano, 1967, soprattutto pp. 269-281 137

politica . Secondo questa parte della dottrina la generalità e l’astrattezza non sarebbero 138 imprescindibili requisiti dell’atto normativo, ma costituirebbero al più meri sintomi di normatività . 139

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