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Il procedimento per decreto penale: evoluzione sistematica ed ampliamento operativo.

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INDICE

Introduzione... p. 3

CAPITOLO I

EVOLUZIONE STORICA

1. Origini... p. 8 1.2. Il procedimento per decreto nel codice del 1930...p. 14 2. Gli elementi di diversificazione del procedimento per decreto dallo schema del procedimento ordinario...p. 21 3. Verso il giusto processo...p. 31 4. La vocazione deflattiva dei procedimenti speciali... p. 38

CAPITOLO II

IL DECRETO PENALE DI CONDANNA

1.I presupposti: l'ambito oggettivo dei reati. Reati perseguibili d'ufficio e a querela. L'illegittimità della facoltà di opposizione del querelante... p. 43 1.2 La pena applicabile. Criteri di calcolo... p. 52 1.3. Le cause impeditive... p. 56 1.4. La richiesta del pubblico ministero... p. 58 2. I poteri del giudice... p. 65 2.1. La restituzione degli atti... p. 66 2.2. Il proscioglimento... p. 75 2.3. L'accoglimento della richiesta e gli elementi del decreto... p. 79 2.4. La premialità... p. 82

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3. La notificazione, l'efficacia del decreto e la sua sospensione.... p. 84 4. I vizi del decreto... p. 89 5.L'opposizione come manifestazione di volontà... p. 100 5.1. La restituzione nei termini per proporre opposizione... p. 113

CAPITOLO III

ASPETTI PROBLEMATICI

1. Orientamenti della giurisprudenza sul procedimento per decreto... p. 115 2. La compressione del diritto di difesa... p. 124 3. Sull'avviso di conclusione delle indagini preliminari... p. 129 4. La mancanza di contraddittorio... p. 134 4.1. La lesione del contraddittorio nucleare... p. 137 5. Il consenso e l'acquiescenza... p. 140 6.I confini di ammissibilità di un contraddittorio postumo... p. 143 Osservazioni conclusive... p. 147 Bibliografia... p. 151

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INTRODUZIONE

Il concetto di <<procedimento speciale>> , a mente del titolo del libro VI del codice di procedura penale, va relazionato alla dinamica processuale e si definisce in base alle differenze che questo presenta rispetto al procedimento ordinario di primo grado. Posto che quest'ultimo si snoda lungo una linea composta da tre segmenti principali rappresentati da indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio, il procedimento speciale si caratterizza per la mancanza di almeno uno di quei tre segmenti1. I procedimenti speciali previsti dal

libro VI del codice del 1988 sono costituiti dal giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato ed il procedimento per decreto2.

Dei procedimenti speciali sono proposte diverse classificazioni che, raggruppando i vari riti sulla base di determinate caratteristiche,

1 Essendo la caratteristica dei procedimenti speciali l'esser privi di una fase o sottofase presente del procedimento ordinario, la qualifica di <<speciale>> è da ascrivere anche a procedimenti non disciplinati nel libro VI del codice. Si tratta del procedimento di oblazione (artt. 162, 162-bis c.p. e 141 disp. att. c.p.p.), il quale consente una chiusura anticipata della vicenda processuale, evitando il dibattimento e con contestuale degradazione dell'illecito penale in illecito amministrativo; del giudizio immediato richiesto dall'imputato (art. 419 comma 5° c.p.p.), che consente di anticipare il dibattimento saltando l'udienza preliminare; i procedimenti originati da una contestazione suppletiva durante l'udienza preliminare (art. 423 c.p.p.) o durante il dibattimento (art. 517-518 c.p.p.), che risultano privi rispettivamente delle indagini preliminari e dell'intera fase preliminare al giudizio. Per il fatto di essere privo dell'udienza preliminare, anche il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per i reati indicati dall'art. 550 c.p.p., costituisce un caso di specialità. Osservazioni dello stesso tenore possono svolgersi per il procedimento penale davanti al giudice di pace, disciplinato dal d. lgs. 28 agosto 2000, n.274 con regole specialissime. 2 ORLANDI, R., Procedimenti speciali, in AA.VV., Compendio di procedura

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rivelano punti in comune e distanze tra gli stessi.

Una prima classificazione identifica la specialità dei procedimenti in base al segmento processuale che è possibile evitare mediante il loro utilizzo. Consentono di evitare il dibattimento il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti; consentono di evitare l'udienza preliminare il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato; il procedimento per decreto consente invece di evitare sia l'udienza preliminare che il dibattimento.

Altra classificazione discerne i riti speciali in ragione della tradizione processuale a cui appartengono, assegnando così alla tradizione accusatoria il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti ed il giudizio immediato richiesto dall'imputato; alla tradizione inquisitoria il procedimento per decreto; alla tradizione del processo misto il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero3.

Ulteriore metodo classificatorio è quello che fa perno sui requisiti soggettivi od oggettivi su cui i procedimenti speciali si fondano. Secondo tale impostazione, viene delineato un primo gruppo di riti che poggiano su una scelta volontaria di una o di entrambe le parti, e cioè il giudizio abbreviato (art. 438 c.p.p.) e l'applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p)4. Questi riti sono espressione di una

giustizia consensuale, ispirata ad una visione pragmatica del processo che riconosce una certa signoria delle parti su alcune situazioni processuali, in particolare sul modo di formare la prova e su questioni attinenti la qualificazione giuridica del fatto e la quantificazione della pena. Un secondo gruppo è enucleato sulla base di requisiti di carattere oggettivo (come la esiguità del reato o l'evidenza della prova), autoritativamente attivati dal pubblico ministero. Appartengono a

3 NAPPI, A., Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1995, p. 12. 4 Vi appartengono anche il procedimento di oblazione (artt. 162, 162-bis c.p. e 141

disp. Att.) ed il giudizio immediato richiesto dall'imputato (art. 419 comma 5° c.p.p.).

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questo gruppo il giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.) ed il giudizio immediato (art. 453 c.p.p.)5. I riti che fanno parte di questo gruppo sono

espressione di una concezione autoritativa della giurisdizione, la semplificazione processuale attuata tramite il loro utilizzo si giustifica in base a definiti presupposti processuali, la cui sussistenza viene in prima battuta asserita dal pubblico ministero per poi essere vagliata e confermata dal giudice. Vi è poi un terzo gruppo, che può definirsi misto per la compresenza di requisiti appartenenti al primo ed al secondo. Ne fanno parte il procedimento per decreto (art. 459 c.p.p.) e il giudizio direttissimo esperibile con il consenso delle parti (art. 449 comma 2° c.p.p.)6, in quanto la scelta del rito è rimessa inizialmente al

pubblico ministero, combinandosi questa con il consenso dell'imputato o con l'accordo di entrambi.

Dalle classificazioni proposte, il procedimento per decreto emerge per le sue caratteristiche specifiche, che lo rendono unico nel panorama dei riti speciali.

Improntato al criterio di massima speditezza, mancante di udienza preliminare e dibattimento, è il più distante dal rito accusatorio nonché l'unico accertamento <<sommario>> previsto dal sistema7. Vi si giunge

a seguito delle indagini preliminari, e quindi con elementi raccolti pressoché esclusivamente da una delle parti, il pubblico ministero8. Per

di più il giudice a cui il pubblico ministero richiede l'emissione del decreto è tenuto ad una rapida delibazione ai fini del proscioglimento, a norma dell'art. 129 c.p.p., rimanendo preclusa la possibilità di far riferimento a formule assolutorie come quelle di cui all'art. 530 comma

5 Appartengono a questo gruppo anche la contestazione suppletiva del reato concorrente o del reato continuato (art. 423 comma 1° ultima parte e 517 c.p.p.). 6 Fa parte del gruppo misto anche la contestazione suppletiva del fatto nuovo (artt.

423 comma 2° e 518 comma 2° c.p.p.).

7 CORDERO, F., Procedura penale, Milano, 1982, p. 921.

8 CRISTOFANO, L., Riti alternativi al giudizio penale ordinario, Torino, 2005, p. 264.

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2° c.p.p9.

Le esigenze di economia processuale e la celerità richiesta nell'adozione del rito sottendono un ricorso alla procedura monitoria solo per ipotesi di reato che non necessitano di particolari attenzioni investigative, caratterizzando il rito in esame per una estrema compressione della fase delle indagini preliminari.

L'aspetto più caratteristico del procedimento per decreto, e che più suscita l'interesse di dottrina e giurisprudenza, rimane comunque l'assenza di contraddittorio processuale. È proprio la struttura del processo, come actus trium personarum, che risulta demolita. L'imputato viene condannato in esito ad un rapporto esclusivo tra la parte pubblica e il giudice, in un contesto in cui non ha modo di interloquire alla pari: non è necessario che sia a conoscenza della richiesta del pubblico ministero e quindi che vi è un procedimento a suo carico; non può apportare contributi ai fini della decisione e dimostrare, avvalendosi delle proprie prove e contestando le prove altrui, che la mancanza, insufficienza e la contraddittorietà della prova possono essere superate in suo favore10. Pertanto, la prova non si forma affatto

nel contraddittorio tra le parti ed è arduo ricondurre l'anomalia al concetto di <<consenso>> previsto dall'art. 111 comma 5° Cost., dal momento che questo è successivo all'utilizzazione della prova ai fini decisori. Appare più opportuno, ai fini di inquadramento della natura giuridica del comportamento non oppositivo dell'imputato, parlare di <<acquiescenza>>.

Anche le fasi successive l'emissione del decreto penale risultano peculiari: il provvedimento di condanna costituisce una sorta di <<manifestazione del giudice a carattere preparatorio>>, ovvero una <<decisione di condanna sottoposta a condizione risolutiva>>11,

9 A questo proposito, nota CORDERO, F., Procedura penale, cit., p. 1082, che <<il giudice condanna su premesse in base a cui assolverebbe>>.

10 Cass. Sez. Un., 9 giugno 1995, Cardoni, in Cass. pen. 1996, p. 476. 11 ORLANDI, R., Procedimenti speciali, cit., p. 634 ss.

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suscettibile di essere posta nel nulla con la revoca, nel momento in cui il condannato decida di non prestarvi acquiescenza presentando opposizione. L'opposizione validamente presentata non solo impedisce al decreto penale di produrre effetti, ma impone l'instaurazione di un giudizio di primo grado nelle forme ordinarie. Quest'ultimo profilo la differenzia dagli ordinari mezzi di impugnazione, connotando il procedimento per decreto come un processo a contraddittorio <<eventuale>>12 o <<differito>>13, e fungendo da cardine ai fini della

sua conservazione anche nel nuovo assetto costituzionale designato dall'art. 111 Cost. Il contraddittorio che si viene a realizzare con l'instaurazione del giudizio a seguito di opposizione, sarà però un contraddittorio esclusivamente postumo: anche con l'esperimento del rimedio dell'opposizione, una fase processuale non è comunque più recuperabile. L'azione penale è ormai stata esercitata senza alcuna partecipazione dell'imputato e senza che questi abbia potuto introdurre elementi utili che avrebbero portato per esempio ad un'archiviazione, evitando la celebrazione di un processo magari inopportuno14.

Tuttavia, a fronte di tali problematiche, non è impensabile che, attraverso interventi miranti a riequilibrare il deficit di garanzie che fanno capo all'imputato, il procedimento per decreto possa recuperare una sistematica compatibilità con i principi del due process of law, avendo riguardo al bilanciamento dei poteri della pubblica accusa e recuperando forme anche minime di contraddittorio che possano essere ricomprese negli ambiti del <<consenso>>, garantendo uno spazio di intervento della difesa prima dell'emissione del decreto penale.

12 CARNELUTTI, F., Nota intorno alla natura del processo monitorio, in Riv. dir. proc. civ., 1924, p. 271.

13 CALAMANDREI, P., Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1926.

14 NICOLUCCI, G., Il decreto penale di condanna tra principio del contraddittorio

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CAPITOLO I

EVOLUZIONE STORICA.

1. Origini.

L'origine del procedimento per decreto è controversa.

Nel panorama della ricostruzione storica dell'istituto si rinvengono le opinioni di coloro che lo ritengono un prodotto importato nel nostro ordinamento da legislazioni straniere, indicando al riguardo gli studiosi provenienze e dal gruppo germanico e dal processo inglese, fino a giungere alle opinioni di coloro che invece negano al procedimento per decreto una discendenza straniera.

In particolare, alcuni processualisti tedeschi15 ritengono che lo Strafbehl

vigente in Germania e gli istituti similari trovino origine nella legge prussiana del 17 luglio 1846, e che in Italia lo stesso sarebbe poi stato importato appunto dalle legislazioni appartenenti al gruppo germanico. Questa impostazione trova accoglienza anche presso alcuni autori italiani e gode dell'appoggio dogmatico su cui si fondano i precedenti legislativi del nostro paese16 e i Lavori Preparatori del codice del 191317

che si rifanno alle legislazioni straniere, segnatamente a quelle del gruppo germanico, che con terminologie e discipline diverse contemplano l'istituto in parola (Das Verfahren bei amstrichterlichen Strafbefehlen nella legislazione tedesca, Mandatsverfaren nella

15 MAYER, H., Der amtsrichterliche Strafbefehl, in Gerichtssaal, 1929, p. 332 16 Progetto di legge del Ministro Calenda di Tavani del 1894: ''Disposizioni relative ai procedimenti per contravvenzioni, ai reati perseguibili a querela di parte e alla riparazione dei danni agli offesi e ai danneggiati''.

17 Relazione del Ministro Finocchiaro Aprile sul progetto del nuovo codice di procedura penale, 1905, Roma, p. 384 ss.

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legislazione austriaca).

In dottrina rimane isolata la tesi che riconduce il procedimento per decreto al processo inglese, specificamente all'istituto che si definisce plea guilty or not guilty. Tale teoria fa leva sulla circostanza per cui nella procedura britannica, qualora l'imputato si dichiari colpevole (guilty) del fatto contestatogli, viene condannato dal magistrato senza che questi proceda nel dibattimento nelle forme ordinarie e senza che ponga quesiti ai giurati18. Si può contestare a questa impostazione di non

aver posto sotto i giusti riflettori il momento centrale che certamente la dichiarazione di colpevolezza dell'imputato rappresenta per la procedura inglese. La dichiarazione di colpevolezza infatti costituisce il discrimen tra questa procedura, che realizza una variazione minima al principio nulla poena sine judicio, avvenendo audita parte, e il giudizio per decreto della legislazione italiana o i similari processi penali monitori delle legislazioni straniere, che si costituisce invece inaudita altera parte19.

La configurazione dell'istituto delle origini e fino a gran parte del nostro secolo si caratterizza per la distanza dalla concezione di processo come spettacolo di confronto dialettico, realizzando un provvedimento monitorio emesso in assenza dell'imputato (la cui difesa viene procrastinata ad un momento successivo all'emissione del provvedimento) e senza che il pubblico ministero possa intervenire: è vistosa e non minima la deroga ai principi del nulla poena sine judicio e del ne procedat judex ex officio. Tenendo a mente questi connotati può riconoscersi una qualche affinità con quel merum imperium di romana memoria che vede l'Orazio sororicida giudicato perduellis dai duumviri nominati da Tullio Ostilio. Come il condannato ex artt. 459 ss. dell'attuale codice di procedura penale attraverso l'opposizione, così

18 LONGHI, S., Il decreto penale e le sue trasformazioni, in Scuola positiva, Milano, 1911, p. 337.

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Orazio conserva una possibilità per difendersi, la provocatio. Che si tratti di una mossa politica20 o di un espediente giudiziario, i due sistemi

sono simili sul piano formale: per come è oggi formulato, il procedimento per decreto rappresenta ancora un residuo del potere assoluto tipizzato nelle istituzioni romane attraverso la coercitio ed accolto, con le opportune modifiche, nello schema inquisitorio che vede la luce nel periodo intermedio.

Da un passo del Tractatus Maleficiorum di Angelus De Gambilionibus si evince che questa forma speciale di processo penale risulta esistente già dal 1437 e che il nome con cui la dottrina italiana e qualche legislazione d'oltralpe designa l'istituto in esame trae origine dagli istituti processuali della nostra età di mezzo: <<Solemnitates iuris et statutorum non requiruntur in modo procedendi, quando crimina levia sunt... puta si quis fuerit repertus ad ludum azzardi, vel armis, si poena est pecuniaria et parva... sufficit quod iudex faciat mandatum quod solvat poena>>.

Si configurerebbe quindi come esasperazione del sistema inquisitorio (a sua volta derivante dal processo summarie et de plano) che dal quattordicesimo fino al diciottesimo secolo caratterizza la procedura penale.

Seguendo questa impostazione, sulla scorta delle ricerche degli storici del diritto21 e contrariamente a chi sostiene la teoria dell'importazione, è

quindi alla nostra tradizione giuridica che si fa risalire l'origine del procedimento monitorio penale, in particolare all'inquisizione e al processus ex informata conscientia.

Il processus ex informata conscientia è species processuale ampiamente utilizzata nella procedura paleo-inquisitoriale, prevista dai nostri statuti in relazione ai reati più lievi e anche al di fuori delle ipotesi di

20 CORDERO, F., Riti e sapienza del diritto, Bari- Roma, 1985.

21 PERTILE, A., Storia del diritto italiano, vol. IV, parte II, in Storia della

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flagranza, che si sostanzia in una cognizione sommaria simile a quella che sfocia nell'emissione del decreto penale di condanna.

In quella procedura gli imputati non vengono ascoltati, non si contesta loro l'accusa, non si ricevono prove e non si ammette difesa.

Nonostante che l'istituto sia concepito per realizzare la speditezza del procedimento anche in considerazione della esiguità delle pene da infliggersi, la reclusione è più volte contemplata dalla legislazione passata tra le pene da comminare inaudita altera parte. La limitazione della libertà personale assume la veste di elemento distonico rispetto alla ratio del decreto come forma di condanna penale ed è una questione spinosa nella storia di tale forma di accertamento.

Nel 1481 Ferdinando d'Aragona ordina che i bestemmiatori vengano puniti senza processo.

Nel 1539 lo Statuto Lucchese prevede nel caso di reati per cui è comminata la pena pecuniaria fino a 10 lire che <<poena imponi per Potestatem absque aliquo processu vel scriptura>>.

Nello Statuto Criminale genovese del 1556 è previsto che <<si proceda senza inquesta e processo>> per reati di lieve entità (come canzoni derisorie e immondizie gettate dinnanzi alla porta altrui), qualora esistano elementi probatori o indiziari validi a corroborare la condanna. È lo stesso organo giusdicente che dispone degli elementi probatori ed indizianti, nella maggior parte delle ipotesi non è contemplata un'opposizione.

Gli abusi di questa pratica processuale, spesso utilizzata ben oltre quanto previsto dalla legge e per colpire i nemici del governo, sulla falsariga di quanto avviene nella Francia prerivoluzionaria con le lettres de cachet, scatena il malcontento del popolo e così subentrano misure restrittive a calmierare le vessazioni.

Nel 1658 il Governatore della Corsica, deputato a ciò dal governo genovese, rende noto il potere di comminare pene da uno a tre anni di

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reclusione <<ex informata conscientia>> per falsa testimonianza e reati connessi e per il reato di falsificazione monetaria, ma ecco che nel 1738 un decreto vieta allo stesso Governatore di emettere condanne <<ex informata conscientia>> per i reati puniti con la limitazione della libertà personale.22

Modificatosi in parte nel corso dei tempi, il procedimento per decreto viene accolto dalla legge prussiana del 17 luglio 1846 e a questo punto si diffonde progressivamente nella legislazione processuale penale europea.

Il primo tentativo diretto ad introdurre l'istituto nella legislazione processuale penale italiana si deve al progetto di legge del Guardasigilli Calenda di Tavani del 1894, che offre al Pretore la possibilità di emettere un provvedimento diretto non procedendo al pubblico giudizio, qualora sulla base di verbali od informazioni assunte egli ravvisi la sussistenza di fatti costituenti contravvenzioni punibili con l'arresto fino a cinque giorni o l'ammenda non superiore a cento lire.

In tale disegno, è prevista in favore del condannato l'opposizione entro cinque giorni dalla notifica, circostanza che in parte ridimensiona l'arbitrarietà della procedura.

Il progetto rimane comunque alla lettera morta, e se nel Codice del 1913 assume solamente il ruolo di ispirazione per la elaborazione definitiva delle fattezze del procedimento, nella legislazione coloniale viene invece valorizzato al massimo e recepito integralmente nel Codice di procedura penale eritreo del 1908, laddove viene stabilito all'art. 142 che <<Si procede per decreto nelle contravvenzioni nelle quali la legge stabilisce la sola pena pecuniaria, ove il giudice della colonia creda infliggerla in misura non superiore a L. 100 ed in quella punibile con l'arresto, ove il giudice creda infliggerlo in misura inferiore ai cinque giorni>>.

22 BONSIGNORI, R., Procedimento per decreto, in Dig. disc. pen., X, Torino, 1995, p. 112

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Il Progetto Finocchiaro Aprile del 1905 prevede l'emissione di un provvedimento monitorio penale da parte del Pretore, per contravvenzioni con pena pecuniaria di L.100 al massimo edittale e che può estendersi anche ai reati commessi dai minori di diciotto anni per i quali la pena da applicarsi è detentiva e non è superiore ad un anno, o se pecuniaria e convertita ha la medesima durata, qualora si ritenga di dover sospendere l'esecuzione della condanna. Come nel Progetto Calenda di Tavani, in favore del condannato è prevista opposizione entro cinque giorni successivi alla notifica del decreto penale. Rispetto alla formulazione Calenda di Tavani, la reclusione come possibile pena inflitta attraverso un provvedimento monitorio penale viene limitata ai soli reati commessi da minori, cosa che in parte stempera il rigore coercitivo della procedura.

L 'art. 6 del R.D. 5 febbraio 1909, n. 37, sulla ricostruzione della giustizia ordinaria nei paesi colpiti dal terremoto calabro-siculo, convertito nella legge 21 luglio 1910 n. 579 e modificato dalla legge 28 luglio 1911 n. 842, rende provvisoriamente operante il procedimento per decreto nei circondari terremotati di Reggio Calabria e di Messina. Vi si stabilisce che il Pretore, nelle contravvenzioni di sua competenza, laddove ritenga di dovere infliggere una pena pecuniaria non superiore alle cento lire, la applica con decreto motivato senza procedere a giudizio, disponendo altresì sulle restituzioni, sulla confisca e sulle spese del procedimento. In questa previsione, il decreto diviene esecutivo se nel termine di 10 giorni non sia impugnato dal Procuratore del Re o dalla parte interessata, ed in questo caso si procede con il giudizio nelle forme ordinarie. I termini per l'opposizione sono quindi raddoppiati rispetto alle formulazioni dei modelli precedenti, ma su questa linea innovativa il Codice Finocchiaro Aprile del 1913 non si conformerà, ritornando ai cinque giorni consentiti dal Progetto Finocchiaro del 1905.

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Si rivela efficace strumento deflattivo del carico giudiziario, e il legislatore a seguito dell'esperienza positiva lo inserisce nel codice di procedura penale del 1913.

Il codice del 1913 rappresenta comunque il precedente legislativo italiano più significativo nella storia del decreto penale, che influenzerà le successive codificazioni. Gli articoli 298 e seguenti, rubricati <<Istruzione>> delineano i tratti fondamentali del moderno procedimento monitorio penale. Qualora il pretore, sempre nei reati contravvenzionali di sua competenza, ritenga di dovere infliggere una pena pecuniaria non superiore alle cento lire, può avvalersi dello strumento del decreto penale per condannare il contravventore, il quale può proporre opposizione entro cinque giorni successivi alla notifica e su cui vengono fatte gravare le spese del procedimento.

Tra le legislazioni finora considerate, non vi è differenza per le modalità con cui avviene la condanna, e cioè inaudito reo. Ciò che cambia si sostanzia nella tipologia dei reati suscettibili di essere abbracciati dal campo di applicazione del provvedimento monitorio e nella possibilità di proporvi opposizione.

1.2. Il procedimento per decreto nel codice del

1930.

Il codice Rocco del 1930 disciplina il procedimento per decreto negli artt. da 50623 a 510. Questi si trovano nella III sezione, intitolata <<Del

23 Si riporta il testo dell'art. 506: <<Il pretore che, nei procedimenti per reati perseguibili d'ufficio, in seguito all'esame degli atti e alle investigazioni che reputa necessarie ritiene di dover infliggere soltanto la multa o l'ammenda, può pronunciare la condanna con decreto senza procedere al dibattimento. Col decreto di condanna il pretore applica la pena, pone a carico del condannato le spese del procedimento, e ordina occorrendo la confisca o la restituzione delle cose

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giudizio per decreto>>, appartenente al capo IV <<Dei giudizi speciali>> del libro III <<Del Giudizio>>. Tutta la materia processuale disciplinata nella III sezione del capo IV appartenente al Libro III del codice è genericamente intitolata <<Del giudizio per decreto>>. Questa è costituita da un giudizio mediante il quale viene emesso il decreto penale di condanna; un procedimento di opposizione o di revocazione24;

un giudizio conseguente all'azione di opposizione o all'azione di revocazione25.

sequestrate. Nei casi preveduti dagli articoli 196 e 197 del codice penale, dichiara altresì la responsabilità della persone civilmente obbligata per l'ammenda. Può anche disporre quando la legge lo consente la sospensione condizionale della pena, e la non menzione della condanna nel certificato penale rilasciato ad istanza privata. Il procedimento per decreto non è ammesso quando l'imputato è delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza, ed in ogni altro caso in cui risulta la possibilità di applicare all'imputato una misura di sicurezza detentiva. Se il decreto è stato pronunciato fuori dei casi consentiti dalla legge, il procuratore della Repubblica inizia, prima che sia sopravvenuta una causa estintiva del reato, l'azione penale nei modi ordinari. Il giudice con la sentenza pronuncia anche la revoca del decreto e degli atti di esecuzione del medesimo, ordinando in caso di proscioglimento la restituzione delle somme pagate, e in quello di condanna la detrazione della pena già eseguita da quella inflitta con la medesima sentenza>>.

24 L'azione revocatoria costituisce un rimedio giuridico offerto al procuratore della Repubblica avverso un provvedimento del pretore, atto a rimuoverlo e sostituirlo con un altro. Tale azione viene esperita nel caso in cui il decreto sia stato emanato al di fuori dei casi consentiti dalla legge, purché non sia nel frattempo intervenuta una causa estintiva del reato (in quest'ultimo caso, l'azione penale si sarebbe ormai esaurita).

Sulla scissione in “fasi” del procedimento per decreto, BELLAVISTA, G. Il

processo penale monitorio, cit., p. 88.

25 Da più parti è evidenziata l'improprietà di linguaggio del legislatore, laddove usa il termine <<giudizio>> in luogo del termine <<processo>>, e l'inadeguatezza della dottrina processuale penale nell'utilizzare i termini <<processo>> e <<procedimento>> come sinonimi. Autorevole dottrina insegna che il <<procedimento>> è una fase del <<processo>> e che quindi quest'ultimo risulta composto da vari <<procedimenti>>: cfr. CHIOVENDA, G., Principi di diritto

processuale civile, Napoli 1923, p. 95.

Il processo penale può essere unitariamente considerato come un <<meccanismo in movimento>>, come <<l'insieme degli atti che la legge processuale disciplina per l'accertamento del reato e per la inflizione della pena>> in ragione del suo scopo essenziale e decisivo. Così, MASSARI, E., Il processo penale nella nuova

legislazione italiana, Napoli, 1934, p. 4. (oltre agli atti diretti ad accertare il reato

per l'inflizione della pena, il processo penale è composto anche da quell'insieme di atti regolati dalla legge processuale penale per l'esercizio delle azioni civili connesse al reato, dall'insieme di atti diretti all'applicazione di misure di sicurezza e da tutte quelle attività che determinano l'intervento del giudice per la corretta esecuzione delle sentenze penali e per ogni altro provvedimento in materia penale).

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Il legislatore del 1930 mantiene l'istituto della condanna per decreto, concependola come procedura per reati di competenza pretoria, perseguibili d'ufficio26 e per i quali il pretore ritenga di dovere

applicare, in concreto, una pena pecuniaria: multa o ammenda27. Quindi

oltre che per le contravvenzioni, può adottarsi anche per i delitti. Nonostante la condanna possa riguardare ipotesi criminose di maggiore gravità rispetto al passato, la tecnica di accertamento rimane sostanzialmente la medesima. Tale circostanza allo stesso tempo viene bilanciata dal limite di pena, la cui lieve entità da una parte lascia

Così come il movimento si presta ad essere concettualmente scomposto in varie unità di movimento, chiamate anche momenti (le definisce in tal modo CARNELUTTI, F., Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, II. L'autore osserva che la parola <<momento>> è la contrazione della parola <<movimento>> ed indica la frazione del divenire, cioè un ciclo evolutivo che si concretizza tra il principio e la fine), e così come questa unità non impedisce di considerare il processo nei vari elementi che lo costituiscono, anche il processo penale monitorio può essere scomposto in relazione ai suoi vari elementi, alle sue varie fasi, ai suoi vari momenti, che sono i procedimenti. La distinzione in fasi, in procedimenti, del processo di cui si tratta è doverosa, e dettata da esigenze di ordine logico-dogmatico. Infatti, alla necessarietà della prima fase, quella che viene propriamente chiamata procedimento per decreto, si contrappone la eventualità delle altre due, quella dell'opposizione dell'interessato e quella della revocatoria del pubblico ministero. Inoltre la prima di queste fasi si distacca enormemente dalle altre due per le deroghe amplissime che realizza in relazione ai principi fondamentali regolatori del comune processo penale. Peraltro, questa distinzione del processo penale nelle tre fasi, nei tre momenti, nei tre procedimenti di cui è composto, è utile per comprendere la portata delle deroghe che il processo

de quo instaura con i principi fondamentali che regolano il processo penale.

Principi rispetto ai quali la Corte costituzionale è più volte intervenuta fornendo chiavi di lettura ed insegnamenti per la comprensione dell'istituto più antico tra i modelli di accertamento alternativi al procedimento tipico.

26 Nel codice del 1930, e fino alla l. 479/1999, sono esclusi dal raggio di applicazione della condanna per decreto i reati perseguibili a querela, perché si ritiene che le formalità da ottemperare con la querela siano incompatibili con la celerità del rito e perché un'eventuale costituzione di parte civile del danneggiato determinerebbe un diniego di pronuncia, qualora il giudice pronunciasse condanna con decreto. Così, KALB, L., Procedimento per decreto, in AA.VV., I procedimenti speciali, a cura di DALIA, A., Napoli, 1989, p. 307.

27 Il d.lgs.lt. 5 novembre 1945 n. 679 abolisce il limite quantitativo di pena, ma la trasformazione più profonda è da attribuire all'art. 53 comma 3° l. 24 novembre 1981 n. 689. Pur senza arrecare modifiche alla struttura del rito e alla qualità dell'accertamento, la disposizione in esame amplia notevolmente l'ambito di applicazione del rito, legittimando il pretore ad emettere il decreto penale per i reati di sua competenza, ancorché puniti con pena detentiva, prevedendo un meccanismo di sostituzione della stessa con una pena pecuniaria, cosa che invece era stata fino a quel momento espressamente preclusa dall'art. 506 c.p.p. 1930.

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presumere che non vi siano particolari necessità di acquisizione probatoria per i reati di cui trattasi, e da un'altra parte incentiva il condannato a prestare acquiescenza alla decisione contenuta nel decreto.

I benefici previsti dal procedimento in parola si sostanziano nella possibilità conferita al giudice, nei casi previsti dalla legge, di disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato penale rilasciato su istanza privata. Oltre ad applicare la pena, con il decreto il pretore può disporre sulle spese del procedimento, ordinare la confisca e la restituzione delle cose sequestrate e dichiarare la responsabilità della persona civilmente obbligata per l'ammenda. Con il decreto il pretore non può dichiarare l'abitualità, la professionalità o la tendenza al delitto, né applicare misure di sicurezza, ed in genere emettere provvedimenti che presuppongono un'indagine diretta sulla personalità. Per questa ragione e per il fatto di essere di esclusiva competenza pretorile, il procedimento per decreto non è adottabile per i reati commessi dai minori di anni diciotto.

Nel dualismo di funzioni racchiuse all'interno dell'ambigua figura del pretore28 non è necessaria alcuna richiesta eteronoma di emissione del

provvedimento: l'iniziativa proviene dal medesimo organo, allo stesso tempo giudicante e requirente. In questo modo, il controllo sulla legittima pronuncia della condanna spetta al procuratore generale della corte d'appello, il quale, allorquando il decreto venisse pronunciato al di fuori dei casi consentiti dalla legge, ottiene la revoca del provvedimento esercitando l'azione penale nei modi ordinari.

All'art. 50729, che indica i requisiti formali che il decreto penale deve

28 PIZZORUSSO, A., L'organizzazione della giustizia in Italia, Torino, 1985, p. 137. 29 L'art. 507 c.p.p. 1930 dispone che il decreto di condanna contiene:

<<1)le generalità dell'imputato e se ne è il caso della persona civilmente obbligata per l'ammenda;2)l'enunciazione del fatto, del titolo di reato e delle circostanze;3)la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione;4)il

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presentare, è contemplata per il condannato la possibilità di esperire il rimedio dell'opposizione, qualora questi non intenda accettare la definizione della sua responsabilità così come confezionata nel provvedimento di condanna. L'opposizione, secondo quanto disposto dall'art. 509, è esperibile entro cinque giorni dall'avvenuta notifica, può essere presentata personalmente o a mezzo di procuratore speciale; con questa il condannato chiede la celebrazione del dibattimento e, a pena di inammissibilità, deve essere corredata di motivazione (art. 509 comma 1° e 2°). Nell'eventuale udienza dibattimentale è poi necessaria la presenza dell'imputato. In caso di mancata comparizione di questi, in assenza di un legittimo impedimento, il pretore emette sentenza con cui ordina l'esecuzione del decreto (art. 509 comma 1°).

Secondo quanto disposto dall'art. 510, a seguito della presentazione dell'istanza di opposizione, se questa è ritualmente presentata, il pretore fissa l'udienza dibattimentale e cita l'opponente. La comparizione dell'imputato, come già esposto, è necessaria ai fini della revoca del decreto e allo svolgimento del giudizio. Laddove l'imputato non si presenti non adducendo alcun legittimo impedimento, il pretore emette sentenza con cui ordina l'esecuzione del decreto penale.

Come già anticipato, le norme che riguardano il decreto penale sono collocate tra i giudizi, e questa scelta tiene conto di come sia preponderante la fase di decisione e di condanna, rispetto ad una eventuale fase investigativa e di istruzione.

Nel codice del 1913, invece, le norme regolatrici dell'istituto erano poste nel libro V del titolo II, dopo i titoli relativi alla riapertura dell'istruzione ed all'istruzione sommaria, considerandosi il decreto

dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati;5)la data e le sottoscrizioni del pretore e del cancelliere. Copia del decreto insieme con il precetto menzionato nell'art. 586 è notificata all'imputato, e quando ne è il caso alla persona civilmente obbligata per l'ammenda, con avvertimento che hanno facoltà di proporre opposizione nel termine di cinque giorni dalla notificazione.Trascorso questo termine senza che si sia proposta opposizione, il decreto diventa senz'altro esecutivo>>.

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penale un <<atto conclusivo della fase istruttoria>>30.

La variazione topografica del codice del 1930 trae ispirazione dalla dottrina della graduazione dei <<tre gradi>> dell'attività giurisdizionale31, con la quale si giunge a sostenere che nel giudizio per

decreto sia assente non solo la fase del dibattimento, ma anche quella dell'istruzione.

Da una parte vi è chi ritiene più corretta l'impostazione del 191332,

rilevando che l'elemento caratterizzante il procedimento per decreto non è tanto la mancanza del dibattimento, quanto piuttosto l'attribuzione di piena giurisdizione al giudice istruttore, il che giustificherebbe la collocazione dell'istituto di cui trattasi tra le disposizioni dedicate all'istruzione. Da un'altra parte33 invece si ritiene che la sistematica del

1913 sia più opportuna semplicemente perché mancando il dibattimento sarebbe più corretto considerare il procedimento per decreto più vicino ai caratteri della fase istruttoria, giustificando come <<ragionevole eccezione>> il potere di condannare attribuito alla giurisdizione istruttoria, che normalmente avrebbe soltanto quello di assolvere. Ciò che dà adito a dubbi e preferenze sulla collocazione dell'istituto è, d'altra parte, la formula utilizzata dal legislatore nell'art. 506 c.p.p, laddove stabilisce che il pretore può pronunciare la condanna con decreto <<in seguito all'esame degli atti e alle investigazioni che reputa necessarie>>.

Da qui, oltre alla questione dell'istruzione come criterio di collocazione del procedimento per decreto nella sistematica processuale, in dottrina si discute sulla pregiudizialità necessaria dell'istruzione sommaria rispetto all'emissione del decreto penale.

30 SABATINI, G., Trattato dei procedimenti speciali e complementari nel processo

penale, Torino, 1956, p. 54

31 MASSARI, E., Il processo penale nella nuova legislazione italiana, cit., p. 627. Si distingue tra giurisdizione piena, quasi giurisdizione e giurisdizione incompleta. 32 SABATINI, G., Trattato dei procedimenti speciali e complementari nel processo

penale, cit., p. 54.

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In particolare, sarebbe ravvisabile tale pregiudizialità nell'espressione <<in seguito all'esame degli atti>>, ma è questa opinione secondo alcuni non condivisibile34: gli “atti” a cui fa riferimento l'art. 506 c.p.p.

possono ben essere costituiti dalle sole attività compiute dalla polizia giudiziaria senza intervento del magistrato aventi carattere di mere informazioni ed operazioni extraprocessuali, attività rientranti nel concetto di “atti preliminari all'istruzione” di cui agli artt. 219-230 c.p.p., che sono da collocare al di fuori dell'istruzione sommaria. Invero, è dall'asserzione “investigazioni che reputa necessarie” contenuta nell'art. 506 c.p.p. che è possibile desumere la natura, pregiudiziale o meno, dell'istruzione all'interno della procedura per decreto. Le investigazioni a cui si fa riferimento constano di quella attività preparatoria diretta a ricercare se e da chi un determinato reato è stato commesso, per predisporre al giudice gli elementi occorrenti per l'accertamento della verità; possono essere compiute direttamente dal pretore o dalla polizia giudiziaria su delega del magistrato stesso35,

possono consistere anche nell'interrogatorio dell'imputato36: quindi

assurgono a vere e proprie attività istruttorie dirette appunto a preparare al giudice il terreno su cui emettere un decisum.

È quindi innegabile che un'istruzione sommaria sia in astratto prevista nel procedimento per decreto, ma il suo compimento è rimesso ad una scelta discrezionale del magistrato.

Afferma, al riguardo, la dottrina37 c h e < <non potrebbesi

dommaticamente e sistematicamente immaginare un monstrum processuale senza dibattimento ed istruzione>>.

34 LIGUORI, G., Il decreto penale del pretore, Piacenza, 1958, p. 28 35 Art. 398 comma c.p.p. 1930.

36 Dal combinato disposto degli artt. 231 e 506 del vecchio codice di procedura penale si desume che l'interrogatorio dell'imputato va ricondotto nel concetto espresso dalla frase <<investigazioni che reputi necessarie>>. Non si tratta di un obbligo giuridico posto in capo al pretore, ma di una facoltà affidata ad una sua scelta discrezionale.

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Che il compimento di atti istruttori in sede monitoria rappresenti una possibilità e non invece una necessità lo si desume, altresì, da un raffronto tra l'art. 299 c.p.p. e l'art. 506 c.p.p. La formula utilizzata dal primo articolo <<il giudice istruttore ha l'obbligo di compiere prontamente tutti [...] quegli atti […] che appaiono necessari>>, rapportata all'inciso del secondo <<in seguito alle investigazioni che reputa necessarie>> suggerisce il carattere di mera eventualità del compimento di atti aventi natura istruttoria all'interno del rito in esame. Inoltre, l'art. 299 c.p.p. presuppone un fatto oggetto del giudizio nel suo massimo grado di ipoteticità, circostanza che rende l'indagine suscettibile di multiformi articolazioni. Il contesto in cui si colloca l'art. 506 c.p.p. è molto diverso, e si basa sulla circostanza che il giudice trovi già dal materiale a sua disposizione gli elementi utili e bastevoli ad emettere una decisione. In ultima analisi poi, qualora l'accertamento risulti talmente pieno da integrare un' istruttoria propriamente detta, è difficile non configurare l'obbligo di emettere il decreto di citazione a giudizio in luogo del decreto penale di condanna. L'intensità dell'accertamento vale, infatti, come ammissione implicita della insufficiente fondatezza iniziale della notitia criminis, insufficienza che sin dall'inizio non giustificava l'immediata affermazione di colpevolezza dell'imputato mediante il decreto di condanna.38

2. Gli elementi di diversificazione del

procedimento per decreto dallo schema del

procedimento ordinario nel codice di procedura

penale del 1930.

38 PAOLOZZI, G. , Il procedimento alternativo per decreto penale, Milano, 1988, p. 31 ss.

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Il primo principio con cui pare entrare in collisione con il procedimento per decreto è quello espresso dall'antico brocardo nulla poena sine iudicio.

È utile fare qualche precisazione preliminare su come viene inteso il significato di questa massima dalla dottrina.

Se la si concepisce nella sua portata più ampia, più generale, che si ricollega all'esistenza stessa dello stato di diritto, allora essa intende <<vietare agli organi amministrativi dello Stato di assoggettare il presunto reo alla pena senza l'intervento del giudice, e senza la guarentigia del regolare giudizio>>39. In questa accezione il principio

del nulla poena sine iudicio non viene affatto violato dal procedimento per decreto: interpretando la massima nel senso della obbligatorietà della giurisdizione, basta solamente richiamare l'eventualità della fase dibattimentale per escludere che il procedimento per decreto a tale regola si sottragga40.

Ma se alla massima in parola si attribuisce un significato più specifico, la si intende come enunciazione del principio per cui la dichiarazione di colpevolezza di un soggetto e la conseguente applicazione della pena non possono che avvenire a seguito di una decisione vagliata in dibattimento. Ed è questo il principio che viene ad essere derogato dal procedimento in esame, posto che l'art. 506 del codice Rocco enuncia che il pretore condanna <<senza dibattimento>>. Questo è l'orientamento maggioritario, condiviso sia dalla Corte di cassazione41

che dalla Corte costituzionale42, nonché da quella parte della dottrina

che conferisce all'espressione <<giudizio>> il significato di <<dibattimento>>43.

39 Così, MASSARI, E., Il processo penale nella nuova legislazione italiana, cit., p. 38.

40 LEONE, G., Trattato di diritto processuale penale, vol. I, Napoli, 1961, p. 282. 41 Cass. 23 giugno 1960, in Giust. Pen., 1960, III.

42 Corte cost., sent. n. 27 del 17 marzo 1966 in Giur. cost., 1966; sent. n. 9. del 14 gennaio 1982, in Giur. cost., 1982.

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Nell'ambito di tale indirizzo è opinione diffusa che il discostamento dal principio in parola sia ispirato a ragioni di economia processuale44. La

causa giustificatrice, la utilitas che si consegue dalla elisione di quello che è il segmento più essenziale, garantista e caratteristico del processo penale viene individuata precipuamente in due ordini di ragioni economiche processuali: l'una riguarda essenzialmente lo Stato; l'altra riguarda sostanzialmente l'imputato.

Per un verso infatti la moltiplicazione delle norme penali, specie nella materia contravvenzionale, tratto tipico delle moderne legislazioni, porta con sé il correlativo incremento delle violazioni. Con il procedimento per decreto lo Stato ha inteso porre un freno allo spreco di attività funzionale e finanziaria generato dai numerosi piccoli processi che opprimono l'amministrazione della giustizia, predisponendo uno strumento di decongestione che, permettendo il risparmio delle spese nascenti dal dibattimento, arrechi vantaggio al buon andamento della stessa.

Per altro verso, l'imputato trae parimenti beneficio dall'omissione del dibattimento: nel caso in cui sia dichiarato colpevole e si riconosca come tale, ha tutto da guadagnare da un procedimento che lo sottrae allo spreco di attività funzionale e finanziaria che si realizzerebbe altrimenti nel dibattimento. Nel caso in cui invece non si reputi ben giudicato, l'ordinamento predispone un ragionevole correttivo alla deviazione del principio nulla poena sine iudicio accordandogli il diritto di presentare opposizione, impedendo così che il decreto di condanna si consolidi e divenga definitivo, ed ottenendo un accertamento pieno in dibattimento.

Altra deroga realizzata dal procedimento descritto agli artt. 506 ss. del vecchio codice di procedura penale è quella al principio ne procedat iudex ex officio. Si tratta di una questione superata dalla nuova

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legislazione, ma a cui è interessante accennare, volendosi qui rilevare il carattere accentuatamente inquisitorio del procedimento per decreto così come delineato dal codice Rocco.

La regola espressa nella massima ne procedat iudex ex officio esprime il principio della domanda, corollario del principio dispositivo; vincola l'esercizio della giurisdizione all'iniziativa di un soggetto diverso dal giudice ed è collegata al procedimento di tipo accusatorio.

Anche se parte della dottrina ritiene che il principio ne procedat iudex ex officio si trovi invertito nei procedimenti ordinari di pretura45, per lo

meno in quelli riguardanti reati perseguibili d'ufficio, non manca chi ritiene invece che il canone in parola non subisca alcuna deroga dal procedimento per decreto46, osservando che le funzioni inquirente e

quella giudicante si trovano cumulate in un solo organo, sono connotate da duplicità e rimangono distinte47. Secondo questa prospettiva, il

pretore esercita le funzioni del pubblico ministero quando svolge le attività che precedono l'emissione del decreto di condanna, esercitando in questo modo l'azione penale48, mentre svolge le funzioni di giudice

nel momento in cui emette il decreto.

Questa tesi suscita però dubbi già nei confronti degli ordinari procedimenti pretorili, accentuandoli in relazione al procedimento per decreto. In sede monitoria infatti l'anomalia costituita dalla confluenza di funzioni di pubblico ministero e di giudice, che comporta l'attivazione del procedimento e la formulazione dell'accusa in capo allo

45 CONSO, G., Istituzioni di diritto e procedura penale, II, in Procedura penale, Milano, 1964, p. 58; FOSCHINI, G., Sistema del diritto processuale penale, vol. I, Milano, 1965, p. 251.

46 LIGUORI, G., Il decreto penale del pretore, cit., p. 23; LAPICCIRELLA, C.,

Decreto penale di condanna, (dir. pen. proc.), in Enc. dir., XI, 1962, p. 880;

TRANCHINA, G., Il procedimento per decreto e l'art. 24 della Costituzione, in

Rivista processuale penale, 1961, p. 517

47 La Corte Costituzionale nella sent. n. 61 del 18 maggio 1967, in Giur. Cost., 1967, afferma, con riguardo al giudizio direttissimo pretorile, la legittimità costituzionale del cumulo delle funzioni inquirenti e giudicanti nell'unica persona del Pretore. 48 SABATINI, G., Trattato dei procedimenti speciali e complementari nel processo

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stesso organo che deve decidere sulla fondatezza della notitia criminis, risulta più marcata. Nei riti ordinari del pretore ed in quelli direttissimi invece l'eventuale condanna è emessa a seguito di dibattimento, ossia in quel segmento processuale in cui è almeno formalmente presente un organo dell'accusa distinto dal giudice.49 Nel procedimento per decreto

alla condanna si arriva senza alcuna partecipazione del genere, giungendosi per questo ad attribuire al rito in parola l'icastica definizione di <<condanna senza processo>>50. Inoltre, nell'ipotesi in

cui il pretore ritenga che in base alle fattezze della notitia criminis la colpevolezza dell'imputato sia così evidente da giustificarne l'immediata affermazione nel decreto penale, egli può emettere la decisione senza espletare alcuna attività processuale. In questo caso l'iniziativa del pretore arriva ad identificarsi con la decisione, e tale osservazione mette in evidenza i limiti della prospettiva secondo cui, pure in sede monitoria, il pretore instaurerebbe il procedimento in veste di pubblico ministero per assumere le funzioni di giudice soltanto in fase di decisione51.

In passato, sia in dottrina che in giurisprudenza si era sostenuto che il procedimento monitorio fosse caratterizzato dalla totale assenza di uno stato istruttorio. Questa teoria si basava sull'interpretazione letterale dell'art. 389, comma 7° c.p.p. 1930, a mente del quale il pretore, <<per i reati di sua competenza, procede con istruzione sommaria, quando non procede a giudizio direttissimo o con decreto>>, e dell'art. 506, secondo cui il decreto di condanna va emesso quando il Pretore, <<in seguito all'esame degli atti e alle investigazioni che reputa necessarie>>, ne ravvisa i presupposti di legge. Successivamente è stata sostenuta senza contrasti la contraria opinione, facendo leva su quanto dispone l'art. 231, e cioè che il pretore, <<quando si tratta di reati attribuiti alla sua

49 PAOLOZZI,G. Il procedimento alternativo per decreto penale, cit., p. 41. 50 CORDERO, F., Procedura penale, cit., p.747

51 BONETTO, G. F., Il pretore penale e i suoi poteri d'iniziativa, Milano, 1970, p. 137.

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competenza, prima di emettere il decreto di citazione a giudizio o di procedere a giudizio direttissimo o per decreto, ordina o compie gli atti di polizia giudiziaria e di istruzione sommaria che reputa necessari>> 52.

Quest'ultima posizione ha ricevuto l'avallo della Corte costituzionale53,

che pur non volendo esprimersi sull'esistenza o inesistenza di uno “stato istruttorio” precedente la pronunzia del decreto penale, riconobbe e ribadì54 espressamente che il pretore, laddove lo avesse ritenuto

necessario, era legittimato ad esperire attività di acquisizione del materiale probatorio nella fase antecedente l'emissione del decreto. Quindi nel procedimento per decreto non poteva escludersi la presenza di atti di accertamento modellati sugli schemi propri dell'istruzione nei procedimenti pretorili ordinari. Tuttavia, era la statistica a suggerire che normalmente il decreto penale di condanna veniva pronunciato in base al solo esame della notitia criminis o in base a semplici atti di polizia giudiziaria55. Riguardo a ciò, è da rilevare come la affermazione della

colpevolezza dell'imputato nelle forme del decreto penale di condanna conseguente al semplice esame della notizia di reato, ha come presupposto una particolare evidenza di fondatezza in ordine alla sussistenza del fatto ed alla responsabilità del soggetto cui lo stesso è attribuito.

Con riferimento a quest'ultimo profilo sono state espresse perplessità sulla compatibilità della procedura delineata dall'art. 506 c.p.p. 1930, -che permette di fare maturare al giudice mediante il solo esame della notizia di reato <<la preliminare convinzione di colpevolezza

52 BELLAVISTA, Il processo penale monitorio, cit., p. 55; CORDERO, Procedura

penale, cit., p. 747; CONSO, G., Un dubbio che persiste: è legittima la mancanza di garanzie difensive prima dell'emanazione del decreto penale?, in Giur. Cost.

1966, p. 281.

53 Corte cost., 15 dicembre 1967, n. 136, in www.cortecostituzionale.it.

54 Corte cost., 20 aprile 1966, n. 33, in www.cortecostituzionale.it. La Corte in questa sentenza statuisce un principio generale in materia di istruzione del Pretore e quindi applicabile anche al decreto penale: laddove il Pretore ritenga necessario il compimento di atti istruttori non può prescindere dal contestare il fatto all'imputato prima di emettere il decreto di citazione.

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dell'imputato e di estrinsecarla in una condanna prima che abbia luogo il giudizio>>56, - con il principio di presunzione di innocenza di cui

all'art. 27 comma 2° Cost. Tali dubbi peraltro sono stati risolti negativamente dalla Corte costituzionale57, che dichiarando non fondato

il dedotto contrasto tra l'art. 506 comma 1° c.p.p. 1930 e l'art. 27 comma 2° Cost. ha osservato che non è sulla base di una presunzione di colpevolezza dell'imputato che il Pretore emette il decreto, ma sulla base della valutazione dei fatti a lui attribuiti, effettuata mediante l'esame degli atti ed imposta dalla norma, da cui deve emergere un complesso di elementi sufficiente ad avvalorare la sussistenza del reato e la responsabilità dell'imputato stesso.

Un ulteriore principio fondamentale del processo penale con cui il procedimento per decreto si trova a collidere è costituito da quel divieto fatto al giudice penale di emettere la sua decisione senza che all'imputato sia data notizia dell'accusa, divieto che realizza il principio espresso nella massima audiatur et altera pars58, espressione della

necessità del contraddittorio nel processo penale moderno. Parte della dottrina ha ritenuto che tale canone non subisse alcuna deroga dal momento che, essendo consentito al pretore, nel procedimento per decreto, di svolgere tutte quelle <<investigazioni che reputi necessarie>> di cui parla l'art. 506, egli ha certamente la possibilità di procedere anche all'interrogatorio dell'imputato59.

Si osservava inoltre che il principio del contraddittorio poteva dirsi

56Così, CORDERO, F., Procedura penale, cit., p. 747

57Corte cost., 24 giugno 1970, n. 136, in www.cortecostituzionale.it; Corte cost., 18 marzo 1957, n. 46, in Giur. cost., 1957, p. 587.

58 Di opinione contraria è MASSARI, E., Il processo penale nella nuova legislazione

italiana, cit., p. 104. L'autore sostiene che la notificazione del decreto penale di

condanna, in quanto suscettibile di far provocare il dibattimento all'imputato, potrebbe essere considerata attuazione del principio del contraddittorio.

Sostengono invece l'eccezione al principio del contraddittorio MANZINI, V., Trattato

di diritto processuale penale, IV, Torino, 1932, p. 327; BELLAVISTA, G., Il processo penale monitorio, cit. p.52.

59In questo senso SABATINI, G., Trattato dei procedimenti speciali e complementari

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attuato mediante la notificazione del decreto penale di condanna, il cui scopo sarebbe, in ultima analisi, quello di mettere in grado l'imputato di esercitare pienamente, nonostante la mancanza della contestazione dell'accusa, il suo diritto di difesa60.

Obiettando a questa tesi, altra parte della dottrina ha osservato che, così come nel processo per ingiunzione in ambito civilistico61, in cui il

decreto ingiuntivo viene emesso inaudita altera parte, anche il procedimento per decreto realizza l'eliminazione del contraddittorio: il pretore infatti ben poteva prescindere dall'interrogare l'imputato o dal contestargli il fatto prima di emettere il decreto penale. Come già rilevato62, quella di procedere ad interrogatorio rappresentava una scelta

rimessa alla discrezionalità del pretore. Egli poteva, se lo reputava utile ai fini di quelle <<investigazioni che ritiene necessarie>>, ricorrere al contraddittorio. Si trattava appunto di una facoltà, rimessa ad una sua scelta discrezionale: l'eventuale omissione dell'interrogatorio non arrecava alcun pregiudizio alla validità della procedura di condanna emessa in tal modo, di guisa che, oltre alla possibilità della pronuncia di una condanna in mancanza della previa contestazione dell'accusa -di cui l'imputato avrebbe conoscenza con la notifica del decreto- si poteva arrivare al giudizio senza che questi fosse stato messo nelle condizioni di esercitare adeguatamente il suo diritto di difesa63.

Secondo questo indirizzo non varrebbe a scongiurare la compromissione del principio del contraddittorio la disciplina della notificazione e la correlativa opportunità per l'imputato di proporre opposizione: la ristrettezza dei tempi fissati, invero, era considerata

60 LAPICCIRELLA, C., Decreto penale di condanna, cit., p. 880; MASSARI, E., Il

processo penale nella nuova legislazione italiana, cit., p. 104; PAOLOZZI, G., Il procedimento alternativo per decreto penale, cit., 1988, p. 7; CHIOVENDA, G., Principi di diritto processuale civile, cit., p. 210 ss.

61 Le analogie con il processo ingiuntivo sono trattate da CARNELUTTI, F., Nota

intorno alla natura del processo monitorio, in riv. dir. proc. civ., 1924; MASSA,

C., La condanna per decreto, in Foro pen., 1947, p. 417 ss. 62 Supra, p. 11

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inidonea a garantire una difesa efficace.

La Corte costituzionale, prendendo le mosse dal principio espresso nella sentenza n. 46 del 195764 ed applicato successivamente in varie

pronunce riguardanti il procedimento monitorio, ebbe a fornire una risposta chiarificatrice in ordine ai rapporti tra le norme in materia di decreto del pretore e gli artt. 3 e 24 comma 2° Cost. In particolare, nel caso di specie, il giudice remittente lamentava della mancata previsione, nella disciplina del giudizio di opposizione successivo al decreto penale di condanna, di un normale giudizio contumaciale in favore dell'imputato assente senza giustificazione.

Secondo la Corte il diritto alla difesa <<... deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio...>>. Allorché del diritto di difesa vengano assicurati scopo e funzione, prosegue la Corte, le modalità di esercizio dello stesso possono armonizzarsi con le particolari caratteristiche strutturali dei singoli procedimenti che il sistema vigente prevede, senza violare per ciò stesso il precetto di cui all'art. 24 comma 2° Cost. Peraltro, successivamente, la Corte venne a precisare che, laddove il pretore ritenga necessario compiere attività di natura istruttoria, direttamente o mediante la polizia giudiziaria, non può prescindere dal contestare il fatto all'imputato. È questo un principio avente carattere generale, qualificato come vigente in materia di istruzione pretorile e perciò valevole anche nella procedura per decreto65. L'obbligo di procedere ad

interrogatorio viene infine cristallizzato dalla legge 5 dicembre 1969 n. 932 che, modificando l'art. 231 c.p.p. 1930, impone al pretore il dovere, <<prima di […] provvedere al giudizio […] per decreto>> di osservare le norme di cui agli artt. 225 e 390 dello stesso codice. Il fenomeno

64Corte cost., 18 marzo 1957, n. 46, in Giur. cost., 1957, p. 587

65 Il principio è affermato nella sentenza n. 33 del 20 aprile 1966, in Giur. cost., 1966; e ribadito nella sentenza n. 46 del 12 dicembre 1967, in Giur. cost., 1967, p. 277.

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della posticipazione del contraddittorio arreca vantaggio, secondo la Corte, sotto il profilo dell'economia processuale. Si traduce infatti in una utilitas e per <<l'economia dei giudizi e per il lavoro degli uffici giudiziari>>, e per l'imputato che, <<accettando il decreto, non dovrà subire un vero e proprio procedimento, con tutte le conseguenze dannose derivanti da esso>>66.

La fase antecedente l'emissione del decreto penale di condanna risultava connotata da un'altra particolarità. Le norme che disciplinavano la ricusazione del giudice non erano applicabili in questa fase del rito monitorio67, configurandosi così una violazione al c.d. principio della

lealtà processuale, che postula il dovere di correttezza e probità per i partecipanti al processo. Per come era architettata la procedura, pur ricorrendo uno dei motivi di ricusazione dello iudex suspectus nel caso specifico, l'imputato non poteva avanzare la dichiarazione di ricusazione nei termini e nelle forme prescritte dalla legge. Infatti, anche se fosse stato a conoscenza dell'azione penale promossa nei suoi riguardi, innanzitutto non per ciò stesso avrebbe dovuto sapere che si procedeva per decreto od ordinariamente; inoltre non era in grado di individuare il giudice che nel caso concreto avrebbe emesso il decreto. In sostanza, l'attuazione del principio della lealtà processuale era affidata unicamente al giudice e al suo comportamento: laddove si ritenesse deficitario sotto il profilo della imparzialità, incontrava l'obbligo dell'astensione.

Dalle deroghe realizzate dal procedimento monitorio rispetto a quello pretorile ordinario, emerge la sua spiccata impronta inquisitoria, dovuta

66 Corte cost. sent. n. 136 del 1967; allo stesso modo, in dottrina, DE LUCA, G., Il

contraddittorio nei procedimenti speciali penali, in AA.VV., Contraddittorio e procedimenti speciali, Milano, 1977, p. 54;

contrariamente, GIARDA, A., Avviso di procedimento e diritto di difesa, Milano, 1979, p.282, osserva che per privilegiare le esigenze di economia ed accelerazione del processo si insiste nell'annullare di fatto la più elementare tutela del diritto all'esplicazione della difesa tecnica e dell'autodifesa dell'imputato.

67 BELLAVISTA, G., Il processo penale monitorio, cit., p. 54; LIGUORI, Il decreto

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all'intervento ex officio del giudice, dalla compressione dell'istruttoria cui è connessa la posticipazione del contraddittorio, dall'anticipata valutazione di colpevolezza dell'imputato, dall'eliminazione della fase del giudizio.

3. Verso il giusto processo.

<<Temibile ordigno inquisitorio>>.

È così che autorevole dottrina68 definisce il codice che, nonostante i

cambiamenti politico-costituzionali verificatisi in Italia nei decenni successivi a quando Alfredo Rocco e Vincenzo Manzini lo allestivano, rimaneva in vigore per oltre mezzo secolo. Un codice sulla cui scena regna sovrano un pubblico ministero ingigantito, longa manus del potere esecutivo; tutto imperniato sull'antitesi tra <<istruzione>> (segreta e scritta) e <<giudizio>> (pubblico e orale) privilegiando nettamente la prima rispetto al secondo; in cui le archiviazioni rimangono affare interno degli uffici requirenti.

In quell'assetto codicistico, il pubblico ministero sceglie il rito, da solo governa e conduce l'istruzione, i difensori ne sono esclusi. Sotto tale profilo il pubblico ministero è equiparato al giudice. Gli imputati rischiano custodie cautelari infinite. In ossequio al principio del segreto, i difensori si trovano confinati ad un ruolo marginale69.

L'avvento della Costituzione e l'assestamento democratico della società non costituiscono un ostacolo alla vigenza di un impianto legislativo che sopravvive alla caduta del regime sotto il cui segno era nato. Questo continua ad operare sostanzialmente identico, a parte piccole modifiche consistenti nella restituzione dell'archiviazione al giudice istruttore

68 Così, CORDERO, F., Procedura penale, Milano, 2006, p. 87 69 CORDERO, F., Procedura penale, ult. cit., p. 87

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operata dall'art. 6 d.l. 14 settembre 1944 n. 288 (art. 74 c.p.p. 1930), e nella reintegrazione della facoltà di impugnazione per il latitante ad opera della l. 29 dicembre 1948 n. 1514.

Una significativa innovazione giunse con la l. 18 giugno 1955 n. 517, riforma che riesumò alcune garanzie concesse nel 1913. Si ammise la difesa a perquisizioni domiciliari, esperimenti, ricognizioni, perizie; venne fissata una soglia di durata della custodia cautelare oltre la quale il detenuto doveva essere scarcerato.

Nel sistema del Codice Rocco questo ritorno al 1913 ha effetti dissonanti, generando un <<ambiguo garantismo inquisitorio>>70 che

nuoce all'assetto organico. Sarebbe necessaria una riforma complessiva della procedura penale, anziché ricorrere a piccole modifiche di tecnica interpolatoria.

Il primo tentativo di riforma organica del codice di procedura penale è una delega legislativa al governo (l. 3 aprile 1974 n. 108). Rimasta senza seguito, bisognerà attendere la delega 16 febbraio 1987 n. 81 per vedere venire al mondo il codice repubblicano che, promulgato con d.p.R. 22 settembre 1988 n. 447, entrerà in vigore dal 24 ottobre 1989. Il nuovo codice nasce con l'obiettivo primario, espressamente dichiarato nel preambolo della legge delega che ne costituisce il fondamento di legittimità, di attuare non solo i principi costituzionali e adeguare il sistema alle norme internazionali di tutela dei diritti umani, ma anche di recepire i caratteri del sistema accusatorio. In altri termini, con il codice del 1988, si dichiara di voler aderire ad un sistema reputato più moderno ed evoluto di processo penale, improntandolo ad una diversa metodologia nell'attività di raccolta e di formazione della prova, e riconducendo a questa specifica attività la natura inquisitoria o accusatoria del processo penale71. In realtà, la contrapposizione rigida

tra sistema accusatorio e sistema inquisitorio non riesce a definire

70 Così, CORDERO, F., Procedura penale, cit., p. 89.

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