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1. I presupposti: l'ambito oggettivo dei reati Reati perseguibili d'ufficio e a querela.

1.4. La richiesta del pubblico ministero.

Discrezionale e riservata, la richiesta di emissione del decreto penale di condanna da parte del pubblico ministero costituisce atto di esercizio dell'azione penale ai sensi dell'art. 405 c.p.p.138 Con essa l'organo

dell'accusa, a fronte di un substrato investigativo idoneo a fondare una decisione di condanna, formula l'imputazione e quindi decide positivamente circa la responsabilità penale dell'indagato, escludendo la necessità di provvedere al compimento di attività d'istruzione dibattimentale.

Esercitando l'azione penale, il pubblico ministero deve escludere la ricorrenza delle ipotesi contemplate dagli artt. 125 disp. att. c.p.p.; 408, 411 e 415 c.p.p., a mente dei quali deve richiedere l'archiviazione allorquando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio, o perché la notizia di reato sia infondata, oppure perché manchi una condizione di procedibilità139, o

ancora perché il reato sia estinto o il fatto non sia previsto dalla legge come reato140. Inoltre, il magistrato dell'accusa deve escludere che sia

necessaria l'applicazione di misure di sicurezza personali (art. 459, comma 5° c.p.p.).

La richiesta deve contenere la formulazione dell'imputazione e quindi,

137 CAPRIOLI, “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, p. 590.

138 Dispone l'art. 405 c.p.p.: <<Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione, nei casi previsti nei titolo II, III, IV e V del libro VI, ovvero con richiesta di rinvio a giudizio>> 139 Nel caso, il pubblico ministero deve accertare che la querela sia stata validamente

presentata dalla persona offesa (supra, § 1.2).

140 CAPRIOLI, F., Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di

procedura penale, a cura di CONSO, G. - GREVI, V., - BARGIS, M., CEDAM,

ricalcando la disposizione dell'art. 417 c.p.p. per la richiesta di rinvio a giudizio, deve individuare l'imputato attraverso le sue generalità o con altre informazioni che valgano ad identificarlo, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle eventuali circostanze aggravanti, e l'indicazione del materiale probatorio sui cui si fonda la richiesta stessa141.

Un importante elemento che caratterizza la richiesta del pubblico ministero è costituito dalla necessaria quantificazione della pena (pecuniaria) da irrogarsi. Il magistrato dell'accusa, per fare ciò, deve dar conto della sua commisurazione nei termini generali di cui all'art. 133 c.p., motivando circa la congruità in relazione al fatto-reato ed al suo autore; ed ancora, deve motivare cirva l'eventuale diminuzione della stessa fino alla metà del minimo edittale previsto. Inoltre, deve indicare l'eventuale “sostituzione” posta in essere ai sensi dell'art. 459 comma 1° c.p.p.

La norma, invero, non sembra imporre un simile dettaglio di argomentazioni, prevedendo solo che il pubblico ministero può presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna, indicando la misura della pena (art. 459 comma 1°, ultimo periodo).

L'obbligo, configurato in capo al pubblico ministero, di motivare la domanda, potrebbe sembrare collegato solamente alla scelta del rito monitorio, quale forma di definizione del procedimento; o anche, potrebbe sostenersi che il pubblico ministero non debba argomentare circa la riduzione di pena operata, poiché tale riduzione pare giustificarsi in se stessa, come forma di incentivo all'acquiescenza da parte dell'imputato. Ancora, come già rilevato, la diminuente dovrebbe dipendere da valutazioni relative all'entità del fatto, all'allarme sociale, alle condizioni economiche dell'imputato142.

141Oltre, ovviamente, alla data ed alla sottoscrizione del pubblico ministero.

Invero, la prassi vede la ricorrenza di formule stereotipate in punto di motivazione, che si limitano ad un tautologico rinvio alla formula legislativa. Ricorre spesso la dizione <<pena ridotta per il rito>> o <<ridotta per la diminuente di cui all'art. 459 comma 2° c.p.p.>>, e per di più è diffusa la consuetudine di omettere del tutto la motivazione sia con riguardo alla diminuzione di pena, sia con riferimento alla scelta del procedimento143.

Abitudini del genere determinano, per il giudice adito, difficoltà sul terreno degli obblighi di argomentazione che gli sono imposti dalla lett. c) dell'art. 460 comma 1°, c.p.p., che oltre a richiedere la <<concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata>>, includono l'esposizione delle <<ragioni dell'eventuale diminuzione della pena al di sotto del minimo edittale>>. Inoltre, in tali condizioni è arduo ipotizzare, sempre per il giudice, la realizzazione di una valutazione compiuta sulla richiesta del pubblico ministero, con precipuo riguardo alla qualificazione giuridica del fatto e quindi alla congruità della pena da questi indicata, difficilmente potrebbe effettuarsi una forma di controllo della pena commisurata ed irrogata con il decreto penale, sotto il profilo degli indici di gravità del reato e di capacità a delinquere e delle capacità economiche dell'imputato144.

Alla luce di queste considerazioni, ed attesa la circostanza per cui il giudice non può modificare l'entità della pena, ma può solamente recepirla seccamente o respingere la richiesta ricevuta, una motivazione esauriente, seppure concisa, si svela decisiva anche nella formazione

Si osserva tuttavia che così intendendola, la diminuente viene a configurarsi come una circostanza attenuante non tipizzata (PIZIALI, G., Il procedimento per

decreto, in AA.VV., I procedimenti speciali in materia penale, cit., p. 456).

143Tale circostanza è riferita da PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 455. 144PAOLOZZI, G., l procedimento alternativo per decreto penale, cit., p. 205. In dottrina non manca chi sottolinea l'importanza che assumono i motivi della

determinazione della pena anche con riferimento all'imputato, quando deve effettuare una scelta, tra opposizione ed acquiescenza. Tali motivi, una volta svelati, consentirebbero infatti una ponderazione più accurata sulla facoltà di scelta dei riti alternativi (NICOLUCCI, G., Il procedimento per decreto penale, Milano, 2008, p. 55).

progressiva del provvedimento monitorio. Presupponendo un generale obbligo argomentativo, riguardante ogni elemento che compone la richiesta dell'organo dell'accusa, si profilerebbe una motivazione sì generale in ordine alla scelta del rito monitorio, ma anche specifica nel dare conto dei punti che compongono la richiesta, come l'eventuale sostituzione della pena e la riduzione premiale adottata.

La richiesta del pubblico ministero va presentata nel termine di sei mesi145 dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è

attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato, secondo quanto previsto dall'art. 459, comma 1° c.p.p. La norma si limita ad indicare il termine, tacendo sulle conseguenze di un eventuale superamento dello stesso. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si è espressa per la natura ordinatoria dello stesso, rilevando che il termine è inserito in un contesto normativo carente di un'espressa previsione di nullità o di decadenza146. Successivamente però, si è ritenuto che il rispetto del

termine di sei mesi costituisce un presupposto di ammissibilità della richiesta, atto a condizionare la validità del decreto eventualmente emesso147. Ancora, è opinione abbastanza condivisa che il giudice per le

indagini preliminari abbia facoltà di rifiutare la richiesta del pubblico ministero presentata oltre il limite di sei mesi148. Secondo tale

145 Il termine era originariamente fissato in quattro mesi. L'ampliamento a sei mesi si deve all'art. 3 del d.lgs. 161/1990, per mezzo del quale oggi il termine coincide con quello ordinario delle indagini preliminari previsto dall'art. 405 comma 2° c.p.p. 146 Cass., Sez. Un., 24 marzo 1992, n. 3, Garley, F.I., II, 1992; Cass., sez. VI, 22

febbraio 1994, Rossi, in Cass, pen., 1996.

147 NAPPI, A., Guida al codice di procedura penale, Milano, 2007, p. 625; Cass., sez. I, 27 settembre 1991, Bilocati, in Cass. pen., 1992.

148Per CORDERO, F., Procedura penale, Milano 1982, p. 1084, <<sta alle regole il giudice che restituisca gli atti al pubblico ministero>>. Secondo Cass., sez. III, 13 febbraio 2004, C., in Dir. pen. e proc., 2004, il diniego di emissione del decreto penale richiesto fuori termine non può considerarsi illegittimo, né vi è luogo ad una indebita ingerenza nelle attribuzioni dell'accusa, non potendo il pubblico ministero obbligare il giudice ad emanare un provvedimento irrispettoso della legge, in quanto assecondante una domanda formulata da una precisa norma processuale, ancorché non sanzionata da nullità o decadenza, ma costretta nel presidio di regolarità recato dall'art. 124 c.p.p.; allo stesso modo, Cass., sez. V, 22 aprile 2005, Lorello, in Cass. pen., 2007; Cass., sez. III, 21 marzo 2001, Lacalaprice, in Cass.

impostazione, il termine previsto dall'art. 459 comma 1° c.p.p. ha natura ordinatoria e qualora il giudice emetta comunque il decreto di condanna, questo non risulterebbe viziato. In applicazione di tale esegesi, a fronte della tardività della richiesta, nella prassi si adopera la sanzione di fatto della restituzione degli atti al pubblico ministero.

A supporto della propria richiesta, l'organo dell'accusa deve produrre “il fascicolo” contenente le investigazioni svolte (art. 459, comma 1° c.p.p.). In mancanza di altre specificazioni che invece compaiono in altri luoghi del codice per indicare i vari fascicoli contemplati, si ritiene che il fascicolo qui menzionato sia quello degli atti di indagine ex art. 416, comma 2° c.p.p. Non sembra cioè ammissibile che l'inquirente possa effettuare una selezione del materiale che intende produrre a sostegno della propria richiesta149.

Come per la richiesta di rinvio a giudizio, la trasmissione degli atti ha la finalità, da una parte, di consentire al giudice adito di avere una conoscenza dell'intero spettro dell'attività svolta dal pubblico ministero, per decidere con cognizione di causa; dall'altra parte, riguarda l'imputato ed intende consentirgli di prendere conoscenza degli atti raccolti al fine di ponderare la scelta verso un comportamento acquiescente od oppositivo150. Al riguardo, l'art. 140 disp. att. c.p.p.

specifica che le parti ed i difensori hanno la facoltà di prendere visione di tale fascicolo solo nella pendenza del termine per proporre opposizione. La suddetta norma chiarisce quindi l'assenza di forme di conoscenza, e quindi di trasparenza nei confronti della difesa nel periodo antecedente l'emissione del decreto penale di condanna.

Problemi di coordinamento sorgono con riguardo alla disciplina delle indagini difensive introdotta dalla l. 7 dicembre 2000, n. 397, dal momento che l'art. 391-octies c.p.p. contempla la costituzione anche di

149 PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 456.

150 PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 456; PAOLOZZI, G., l

un fascicolo del difensore, in cui possono confluire gli atti di indagine compiuti dalla difesa151. Tale fascicolo viene depositato presso la

cancelleria del giudice per le indagini preliminari, ed il comma 2° del predetto articolo espressamente prevede che il giudice ne tiene conto nel caso in cui sia chiamato ad <<adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della parte privata>>. La norma in realtà sembra riferita soltanto a decisioni che, come dispone in apertura il comma 2° dell'art. 391-octies c.p.p., intervengano <<nel corso delle indagini preliminari>>, non disciplinando le modalità attraverso cui quei medesimi risultati potrebbero pervenire nella sfera di conoscenza del giudice chiamato, nel caso di specie, a pronunciarsi sulla richiesta di emissione di decreto penale di condanna152.

Costituisce un interessante spunto di riflessione la tematica del compimento di attività di indagine, riferita ad un rito caratterizzato dalla sommarietà dell'accertamento e dalla massima semplificazione ed accelerazione del meccanismo decisorio, come quello monitorio. Il codice del 1988 non esclude affatto la legittima instaurazione della fase delle indagini preliminari, prima che il pubblico ministero richieda la pronunzia del decreto penale. Questa fase si pone, fisiologicamente, come logico antecedente anche del procedimento per decreto. Nel

151 Sul punto, PIZIALI, G., Profili temporali dell'attività investigativa e regime di

utilizzabilità, in AA.VV., Le indagini difensive, Milano, 2001, p. 206 ss.; MAZZA,

O., Fascicolo del difensore e utilizzabilità delle indagini difensive, in Giur. it., 2002, IV, p. 1758 ss.

152 Si evidenzia in dottrina come, in questo segmento processuale, l'opportunità del recupero di un contraddittorio (seppur cartolare e solo sulla formazione della prova, intesa come risultato probatorio e non come mezzo di prova) imporrebbe una soluzione interpretativa che permetta agli atti di indagine della difesa di entrare a fare parte nella gamma del materiale probatorio utilizzabile dal giudice. Si indica al riguardo la valorizzazione dell'art. 391-octies, comma 3°, laddove prevede che <<dopo la chiusura delle indagini preliminari>> il fascicolo del difensore sia inserito nel fascicolo di cui all'art. 433 c.p.p. Con la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, si osserva, le indagini preliminari si chiudono, ed allora i due fascicoli di indagine si uniscono per confluire nella conoscenza del giudice. Il riferimento della norma al fascicolo di cui all'art. 433 c.p.p. (il fascicolo del pubblico ministero) non osterebbe, secondo tale impostazione, all'esegesi proposta: questo va inteso, più esattamente come <<fascicolo degli atti di indagine>>. Così, PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 458.

termine di sei mesi, che iniziano a decorrere dal giorno in cui il nome dell'imputato è inscritto nel registro delle notizie di reato, il pubblico ministero ha facoltà di procedere ad ogni attività investigativa che ritenga utile ai fini dell'esercizio dell'azione penale (art. 50 c.p.p.). Ciò che si tratta di individuare è la dimensione di quest'attività.

Innanzitutto, è possibile rinvenire un limite all'attività investigativa per eccesso. Sembra confliggere con la natura del procedimento per decreto una richiesta di emissione del decreto penale ricca di elementi raccolti dal pubblico ministero e quindi di intercettazioni, accertamenti tecnici, informazioni testimoniali, ispezioni, perquisizioni ecc153. La ragione di

tale conflitto sta nell'assenza dell'istruttoria dibattimentale: proprio perché al giudice per le indagini preliminari è rimessa una sommaria delibazione, a questa non può corrispondere un complesso accertamento dei fatti. Viceversa, nella realtà è frequente che il decreto penale di condanna sia richiesto solamente sulla base della notitia criminis, non corroborata da altri elementi d'indagine; ma non sempre è sufficiente la sola denuncia di reato o la querela della persona offesa ai fini di una pronuncia di condanna154. Mentre, infatti, con l'ordinaria richiesta di

rinvio a giudizio il pubblico ministero può affidarsi ad una istruzione dibattimentale ancora da cominciarsi, con la domanda secca di emissione del decreto penale di condanna si suppone, perlomeno, che debba disporre di elementi atti a delineare e giustificare l'affermazione della responsabilità penale dell'imputato. Si aggiunge a questa considerazione la circostanza per cui lo svolgimento dell'attività di indagine, in sede monitoria, funge da elemento sul quale determinare l'entità della pena richiesta, calcolata sugli indici di cui all'art. 133 c.p.155

153 PAOLOZZI, G., Il procedimento alternativo per decreto penale, cit., p. 85. 154 RICCIO, G., Procedimenti speciali, in AA.VV., Profili del nuovo codice di

procedura penale, a cura di CONSO, G., e GREVI, V., Padova, 1996. Nota l'autore

come <<il procedimento dovrebbe porsi come rapida conclusione di una qualche attività investigativa, sia pure d'incidenza probatoria limitata al provvedimento>>. 155 MARZADURI, E., Azione: IV) Diritto processuale penale, in Enc. Giur., V,

Dunque, volendo trovare la dimensione ideale delle indagini necessarie e preposte alla richiesta di emissione del decreto penale, il parametro di riferimento può essere trovato nella sufficienza di queste alla pronuncia della condanna per decreto, nei requisiti enucleati dall'art. 460 c.p.p., non eccedendo né per eccesso, con una complessa attività investigativa, né per difetto, con uno scarno e mero richiamo alla notizia di reato156.