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Alla luce dell'analisi svolta, la valutazione delle problematiche facenti capo al procedimento per decreto permette di giungere ad un momento di riflessione sulla possibilità di introdurre elementi capaci di mitigare la spiccata inquisitorietà del rito.

Due, essenzialmente, i profili che si mostrano suscettibili di rivisitazione: da un lato, la costruzione procedimentale inaudita altera parte; dall'altro lato, l'unilateralità della scelta discrezionale del pubblico ministero, che consente in via riservata l'accesso alla premialità che connota la condanna per decreto, unica nel codice di procedura penale.

In primo luogo, può notarsi che l'estromissione dell'imputato dalla conoscenza di ogni attività procedimentale, dall'iscrizione del suo nome nel registro delle notizie di reato fino alla notifica del decreto penale, non necessariamente trova equilibrio con le esigenze di celerità e snellezza. Il pubblico ministero, prima di decidere di richiedere l'emissione del decreto penale al giudice per le indagini preliminari, avrebbe nella sua disponibilità il carico di lavoro del procedimento iscritto nel registro. Quindi, consentire l'esplicazione di una seppur minima fase dialettica , nell'ottica di una maggiore completezza investigativa, od anche ai fini di un'ipotetica archiviazione, verosimilmente apporterebbe dei vantaggi rispetto alla strada vincolata della richiesta ed emissione del decreto penale, senza con ciò comportare ingenti costi di attività. In questo senso, qualora il contributo dell'imputato potesse in qualche modo evitare la cognizione della domanda spiegata, o evitare la realizzazione dei presupposti di una

probabile opposizione, non avrebbe senso attivare l'ufficio del giudice per le indagini preliminari.

In realtà, la soluzione al problema sarebbe già presente nell'ordinamento, ravvisabile nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p.404 Tuttavia, considerando

l'opinione contraria della Corte costituzionale405, potrebbe ipotizzarsi

un'altra forma di contatto tra l'inquirente e l'imputato, da attivarsi prima di investire il giudice per le indagini preliminari della questione. Una tipologia semplice e snella di contatto tra la pubblica accusa e l'imputato potrebbe ravvisarsi nella possibilità di deposito di memorie, in tempi ragionevolmente contenuti, o nella possibilità di un'audizione nelle forme dell'interrogatorio. In questo modo, non necessariamente si realizzerebbe un appesantimento della procedura, disattendendo le esigenze di celerità ed economia processuale406.

Diversamente, volendo prescindere da un accesso alla fase delle indagini preliminari, alcuni interventi correttivi in funzione di garanzia difensiva potrebbero forse configurarsi nel momento di cognizione giudiziale.

Uno spunto di riflessione in questa direzione è offerto dal sistema processuale francese, in cui il giudice, richiesto dell'emissione dell'ordonnance pènale può restituire gli atti al pubblico ministero <<s'il estime qu'un débat contradictoire est utile>>407. In questo modo,

la scelta di percorrere un itinerario differente da quello monitorio sarebbe rimessa al prudente apprezzamento del giudice, alla luce di eventuali profili riguardanti la formulazione dell'imputazione o altre particolarità che facciano emergere l'opportunità di propendere per opzioni processuali meglio garantite dal principio del contraddittorio. Nell'ordinamento processuale italiano, una facoltà analoga a quella del

404V. quanto già rilevato nel capitolo III, § 3.

405Corte cost., 4 febbraio 2003, n. 32, in Giur. cost., 2003, p. 204. 406Corte cost., 16 luglio 1999, n. 326, in Giur. cost., 1999, p. 2585. 407Art. 525 comma 2° del codice di procedura penale francese.

modello francese si tradurrebbe in un ampliamento dei casi in cui il giudice per le indagini preliminari restituisce gli atti al pubblico ministero: oltre alla inammissibilità, alla valutazione circa la corretta qualificazione giuridica del fatto ed alla congruità della pena, si configurerebbe la discrezionalità riconosciuta in capo al giudice, in ordine all'opportunità di procedere nelle forme ordinarie. Il giudice per le indagini preliminari basandosi ad esempio sulla delicatezza della questione, o sull'eccessiva superficialità delle indagini svolte, potrebbe decidere in senso negativo circa la deviazione dallo schema procedimentale ordinario così come domandata dal pubblico ministero, e rinviare il processo verso la sua naturale prosecuzione, nelle forme garantite dal contraddittorio.

Il paragone con l'istituto d'oltralpe è utile a intravedere, in un ordinamento processuale ancora caratterizzato da un elevato tasso di inquisitorietà ed incentrato sulla figura dominante del giudice istruttore, la rilevanza della digressione dal procedimento speciale (procédure simplifiée), quando è necessario preservare il contraddittorio. Tuttavia, tale soluzione, all'interno della procedura italiana, non apporterebbe benefici apprezzabili rispetto a quanto potrebbe ottenere l'imputato con la presentazione dell'opposizione.

A questo punto, la migliore ipotesi è forse quella di contemplare un momento dialettico tra l'imputato e il pubblico ministero, prima che quest'ultimo si risolva per chiedere l'emissione del decreto di condanna al giudice. Al di là della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., potrebbe essere funzionale a ciò qualsiasi forma di comunicazione che renda edotto l'imputato circa l'esistenza di un procedimento a suo carico.

Sarebbe prospettabile, in questo senso, che venga introdotto un meccanismo di notificazione della avvenuta richiesta di decreto penale ex art. 459 c.p.p. all'imputato, mettendolo nelle condizioni di conoscere

dell'imputazione e permettendogli quindi l'esplicazioni di alcune attività difensive (produzione di documenti, deposito di memorie, facoltà di richiedere di essere interrogato). Volendo evitare la conseguenza di realizzare un carico di lavoro ulteriore del giudice per le indagini preliminari, si potrebbe ipotizzare la configurazione di un obbligo, in capo all'inquirente, di valutazione delle istanze difensive presentate dalla difesa, con la correlata possibilità di desistere dall'iniziativa monitoria, che si risolva in favore di altre alternative processuali o nell'archiviazione. Qualora invece si ritenga necesssario un controllo giurisdizionale, potrebbe ammettersi che il materiale raccolto, composto sia da istanze investigative che difensive, venga vagliato dal giudice per la decisione ai sensi dell'art. 459 comma 3° c.p.p.

Ancora, potrebbe ipotizzarsi che con la notifica dell'avvenuta richiesta di emissione del decreto penale, all'imputato venga richiesto il consenso alla definizione del procedimento nelle forme monitorie. In questo modo, si realizzerebbe una manifestazione di volontà preventiva, superandosi l'alternativa esegetica tra <<consenso>> ed <<acquiescenza>>, risultando tale manifestazione di volontà funzionale sia alla scelta del rito che all'utilizzo di materiale investigativo in chiave probatoria408.

408Per le prospettive di riforma del rito monitorio, v. ampliamente, NICOLUCCI, G.,

Il procedimento per decreto penale, p.141 ss., che giunge ad ipotizzare la

previsione di una facoltà dell'imputato di richiedere la pronuncia del decreto penale di condanna sulla base di un'iniziativa autonoma, svincolata dall'intervento

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