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2. I poteri del giudice.

2.1. La restituzione degli atti.

Il giudice deve in primo luogo procedere alla verifica formale circa la sussistenza dei presupposti che legittimano la scelta del rito monitorio. Quindi, volgerà la sua attenzione al titolo del reato ai fini della irrogazione della sanzione indicata, alla procedibilità (nell'ipotesi di reati procedibili a querela di parte, dovrà sincerarsi che la querela sia

158CORDERO, F., Procedura penale, 2006, cit., p. 1084. Nello stesso senso, Corte cost., 12 ottobre 1990, n. 447, in Giur. cost. 1990, p. 2681.

159Con la rimessione degli atti al pubblico ministero, si determina una regressione sui

generis alla fase delle indagini preliminari. Posto che con la richiesta il pubblico

ministero esercita l'azione penale, e che questa è considerata irretrattabile sulla base del disposto di cui all'art. 50, comma 3° c.p.p. secondo cui «l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge», la fase delle indagini preliminari nel caso di specie si presenterebbe come un mero segmento pregiudiziale all'apertura della fase processuale. Come illustrato più avanti, per parte della dottrina l'esercizio dell'azione penale determina una scelta procedimentale non più revocabile, che non legittima un'ulteriore attività investigativa. Secondo ILLUMINATI, G., Giudizio

immediato, in AA.VV., I procedimenti speciali, a cura di DALIA, A.A., Napoli,

1989, p. 287, in tutti quelle ipotesi in cui sia possibile una regressione del procedimento con la restituzione degli atti, il pubblico ministero non è restituito nella fase delle indagini preliminari con pienezza nella libertà di determinazione in ordine all'esercizio dell'azione penale, ma gli è consentito solo il compimento delle attività indispensabili per la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio. Altrimenti, si osserva, si delineerebbero serie questioni di compatibilità con l'art. 112 Cost. (l'autore nota che, riguardo al giudizio immediato, all'inquirente restituito negli atti non rimarrebbe che proporre la richiesta di giudizio ordinario, non potendo completare quelle indagini preliminari giudicate non idonee a costituire la prova evidente richiesta dalla legge per quel giudizio speciale).

stata validamente proposta160), alla natura della pena, che dovrà essere

pecuniaria (anche se in conseguenza di una sostituzione ex art. 53 l. 689/1981) e al rispetto del termine di sei mesi previsto per la richiesta. Invero, considerando l'elenco dei requisiti del decreto di condanna contemplato all'art. 460 c.p.p., pare che l'esame dei presupposti rimessi alla valutazione del giudice sia più ampio. Così, il giudice deve verificare il profilo attinente alle generalità dell'imputato161 e deve

tenere conto della corretta qualificazione giuridica del fatto162. Qualora

tali requisiti siano carenti, la restituzione degli atti è soluzione obbligata.

Riguardo all'ultimo dei requisiti richiamati, si è creato un contrasto giurisprudenziale, posto che secondo un indirizzo interpretativo il giudice, di fronte ad una diversa qualificazione giuridica del fatto,

160 Per effetto della sentenza della Corte costituzionale 28 gennaio 2015, n. 23, in www.cortecostituzionale.it, che ha dichiarato illegittima la facoltà attribuita al querelante di opporsi alla definizione del giudizio nelle forme del procedimento per decreto, ora il pubblico ministero non deve più verificare che nell'atto di querela il querelante non abbia esercitato tale facoltà, come era richiesto dall'art. 459 comma 1° c.p.p.

161 L'art. 66 comma 2°, c.p.p. stabilisce che <<l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona>>. Come nota CORDERO, F., Procedura penale, 1982, cit., p. 238, l'incertezza onomastica è irrilevante, <<purché appartenga all'imputato il corpo presente>>.

Quindi, qualora il g.i.p. abbia motivo di ritenere che le generalità riferite dall'imputato siano false, sarà tenuto a restituire gli atti al pubblico ministero, non potendo pronunciare sentenza di non doversi procedere ex art. 129 c.p.p. per essere ignoto l'autore del reato. Cfr. Cass., sez. I, 14 giugno 1995, Lacatus, in Arch.

Nuova proc. pen., 1996, p. 138; Cass. sez. I, 25 maggio 1995, Moumen, in Cass. pen.1996, p. 1467.

La formula di non doversi procedere per essere rimasto ignoto l'autore del reato presuppone l'assoluta impossibilità di identificare fisicamente l'imputato, e non l'incertezza o la difficoltà di raggiungere l'esatta acquisizione delle generalità: in questo caso trova applicazione l'art. 66 c.p.p. In questo senso, Cass., sez. I, 12 maggio 1995, Nwakana, in Cass. pen.,1996, p. 1462.

La restituzione degli atti al pubblico ministero sarebbe giustificata dall'esigenza di non incorrere in errore circa il destinatario della notifica del decreto, dal momento che, mancando la partecipazione dell'imputato al procedimento, non è possibile conoscerne l'identità fisica. Così, PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 463; Cass., sez. I, 23 novembre 1994, Makib, in Arch. Nuova proc. pen., 1995, p. 680.

162 Cass., sez. I, 27 settembre 1991, Biolcati, in Cass. pen., 1992, p. 3060; Cass., sez. VII, 3 marzo 1993, Cundarì, in Cass. pen., 1994, p. 1261.

anziché restituire gli atti al pubblico ministero, dovrebbe pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p.163 Tale impostazione però non

pare armonizzarsi con il sistema complessivo, che consente al giudice di intervenire sulla qualificazione giuridica prospettata dall'accusa ex art. 521 comma 1° e 2° c.p.p. Un intervento del genere nel caso di specie, si osserva, non sarebbe ipotizzabile nelle forme di cui alla disposizione richiamata, anche solamente perché una volta mutata la qualificazione giuridica, diverrebbe errato il calcolo della pena svolto nella richiesta, in quanto riferito al profilo edittale del reato indicato dal pubblico ministero164; ma soprattutto, una sentenza di proscioglimento emessa in

tale situazione, pure se finalizzata a segnalare l'erronea qualificazione giuridica del fatto operata dall'organo dell'accusa, sarebbe idonea a produrre l'effetto preclusivo proprio del giudicato che, ai sensi dell'art. 649 c.p.p., copre il fatto sotto tutte le sue possibili qualificazioni giuridiche165. In questo caso, quindi, la restituzione degli atti appare

l'unica via percorribile. D'altra parte, una corretta valutazione della congruità della pena non può che condurre al rigetto della richiesta ove la pena non sia congrua in relazione al fatto come correttamente qualificato166.

Un caso specifico di restituzione degli atti al pubblico ministero è stato individuato dalla Corte costituzionale, con riferimento all'ipotesi in cui sia intervenuta amnistia per il reato per cui è richiesto il decreto167. La

ragione di tale previsione risiede nell'esigenza di permettere all'imputato di rinunciarvi: mancando uno spazio di interpello di questi nella

163 Cass., sez VI, 1 marzo 1993, Pipolo, in Cass. pen., 1995, p. 93. 164 PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit, p. 464.

165 Cass., sez. I, 27 settembre 1991, Biolcati, in Cass. pen., 1992, p. 3060; Cass., sez. VII, 3 marzo 1993, Cundarì, in Cass. pen., 1994, p. 1261, cit., Cass., sez. II, 28 novembre 1996, Arcidiacono, in Cass. pen., 1998, p. 826.

166 PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 465.

167 Corte cost., 28 dicembre 1990, n. 580, in Giur. cost. 1990, p. 3263. In questa pronuncia, la Corte allude anche a soluzioni diverse, come ad es. che nell'ipotesi delle more della decisione il giudice, in modo informale, e cioè con biglietto di cancelleria, avviso scritto o convocazione, avverta l'imputato della facoltà di rinunciare all'intervenuta amnistia.

procedura monitoria, la restituzione degli atti rimane l'unico modo per invitare la persona interessata a dichiarare se intende esercitare o meno la facoltà di rinuncia, secondo l'iter previsto dall'art. 5, d.p.R. 12 aprile 1990 n. 75168.

In giurisprudenza si è prospettato un ulteriore caso relativo alla possibilità che la restituzione degli atti al pubblico ministero sia dettata da una valutazione circa l'opportunità di una riunione preventiva di più procedimenti contro la medesima persona ai fini dell'applicazione dell'art. 81 c.p.169.

In proposito, per supportare la soluzione positiva, si è affermato che la verifica della congruità della pena deve riguardare <<sia la pena relativa a ciascuno dei reati che il giudice ritenga unificabili a quello più grave […] sia la pena complessiva per i reati oggetto di diverse richieste>>170.

Tuttavia, nel caso in cui, per alcuni fatti ritenuti in continuazione dal giudice, il pubblico ministero avesse optato per una diversa modalità di esercizio dell'azione penale o non avesse ancora scelto come esercitarla (perché ad es. alcuni fascicoli sono ancora in fase di indagine), la situazione sarebbe diversa. Il giudice infatti non potrebbe incidere sulle scelte dell'organo dell'accusa riguardo le modalità di esercizio dell'azione penale171.

168 Le riflessioni svolte dalla Corte relativamente all'amnistia intervenuta, potrebbero valere anche per altre cause di estinzione del reato, come l'avvenuta prescrizione. Anche quest'ultima è infatti rinunciabile dall'imputato.

169 Cass., sez. V, 4 agosto 1993, P.g. in Proc. De Micco, in Arch. nuova proc. pen., 1994, p.106; Cass., sez. V, 10 giugno 1993, Genovese, in Cass. pen.,1994, p. 2725. Anche, ma nel senso che il provvedimento non possa considerarsi abnorme, Cass., sez. V, 29 ottobre 1993, Sorice, in Cass. pen., 1995, p. 93.

170 Così, Cass., sez. V, 10 giugno 1993, Genovese, in Cass. pen.,1994, p. 2725. Rispetto a tale soluzione appare anomalo, secondo PIZIALI, G., l procedimento

per decreto, cit., p. 465, che il giudice ricavi tale incongruità da elementi

conoscitivi esterni al singolo fascicolo, e che si impone al pubblico ministero l'unificazione di più procedimenti in un unico rito. L'autore nota però che, ad una più attenta analisi, il fatto che esista una continuazione tra diversi fatti viene ad integrare, ancor prima di un dato che incide sulla pena, un dato che incide sul fatto: in questo modo non appare fuori luogo che il giudice solleciti il pubblico ministero a rivalutare il fatto, dando conto di una diversa ricostruzione dello stesso.

171 PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 466. Si osserva inoltre che è previsto, all'art. 671 c.p.p., un rimedio in sede di esecuzione per l'ipotesi in cui vi

L'esigenza di rigettare la richiesta di emissione di decreto penale può essere giustificata anche da un'imputazione mal formulata, lacunosa, o comunque non idonea a definire compiutamente il fatto-reato. L'art. 460 comma 1°, lett. b) c.p.p. richiede, come requisiti contenutistici del decreto di condanna, <<l'enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate>>. Pur in mancanza dell'inciso, inserito agli artt. 552 e 429 c.p.p. per cui l'enunciazione del fatto deve avvenire <<in forma chiara e precisa>>, i fatti descritti nell'imputazione sono destinati a costituire i segmenti essenziali del provvedimento di condanna e, poiché nel procedimento monitorio è assente una fase- quella dell'udienza preliminare, o dell'udienza dibattimentale che funga da filtro, è necessario che quei fatti corrispondano a criteri di precisione e fedeltà narrativa. In merito, la Corte costituzionale è intervenuta precisando che <<i fatti per i quali si afferma la responsabilità dell'imputato debbono necessariamente essere descritti in forma chiara, precisa e circostanziata, trattandosi non di capi di imputazione, ma, fatta salva la facoltà dell'imputato di proporre opposizione, di veri e propri capi di condanna>>172. Inoltre, visto che in caso di opposizione

“semplice” il giudice sarà tenuto ad emettere un decreto di giudizio immediato per il quale ex art. 456 comma 1° c.p.p. si applicheranno i commi 1° e 2° dell'art. 429 c.p.p., è necessario che il giudice sia nelle condizioni di potere inserire nel decreto di giudizio immediato un capo di imputazione che descriva in modo chiaro e preciso il fatto173.

Il ruolo del giudice per le indagini preliminari che, nella procedura per decreto e come sopra accennato, può a prima vista sembrare ridotto, è

siano più decreti penali pronunciati in procedimenti distinti contro la medesima persona per fatti suscettibili di riunione sotto il vincolo della continuazione. 172Corte cost., 11 maggio 2001, n. 126, in Giur. cost., 2001, p. 996.

173Così, PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 467. Tuttavia, in queste ipotesi, la restituzione degli atti al pubblico ministero non si configura come obbligatoria. Sicuramente, in mancanza di un rigetto della richiesta, sarà molto probabile un'opposizione dell'imputato fondata proprio sull'impossibilità di giungere ad un esatto inquadramento del merito. In questo senso, NICOLUCCI, G., Il procedimento per decreto penale, cit., p. 72.

molto più importante nella valutazione sulla congruità della pena richiesta dal pubblico ministero. È proprio con riferimento a tale profilo che l'art. 459 comma 3° c.p.p. attribuisce all'organo giurisdizionale la facoltà di rigettare la richiesta174, connotando la sua cognizione di tipica

discrezionalità giudiziale175 e quindi rendendo pieno il suo sindacato

nell'apprezzamento della determinazione della pena così come prospettata dalla parte pubblica176.

Premessa la discrezionalità recata in via generale dall'art. 132 c.p., nel valutare la pena di cui è chiesta l'irrogazione, il giudice terrà conto degli indici di cui all'art. 133 c.p., e quindi della gravità del reato, della capacità a delinquere e delle condizioni economiche del reo, in maniera tale da <<propiziare l'adesione dell'imputato ad una definizione anticipata del procedimento>>177, e quindi tenendo conto delle esigenze

di deflazione che sottendono il rito monitorio.

A conferma della pervasività del controllo in sede di richiesta di emissione di decreto penale, è opportuno notare che, con riferimento all'ipotesi in cui il giudice abbia rigettato la richiesta per la ritenuta inadeguatezza della pena richiesta dal pubblico ministero, la Corte costituzionale ha individuato uno dei casi di <<incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento>> di cui all'art. 34 c.p.p.,

174Cass., sez. V, 25 settembre 1990, Venosa, Cass., sez. V, 26 settembre 1990, Giuzio, entrambe in Cass. pen., 1991, p. 341 e 495; Cass., sez. V, 21 aprile 1999, Ndiaje, in Cass. pen., 2000, p. 2667.

175Corte cost., 11 maggio 2001, n. 126, in Giur. cost., 2001, p. 996.

176A fronte di una richiesta di emissione di decreto penale concepita come non suscettibile di ritocchi, e per contro, non potendo la stessa vincolare il giudice, il potere di restituzione degli atti al pubblico ministero rimarcherebbe il <<primato della giurisdizione sulle scelte dispositive del pubblico ministero>>. Così, GIARDA, A., La Corte costituzionale continua la <<rilettura>> del nuovo

processo penale, in Corr. giur., 1990, p. 1242.

Una lettura restrittiva dell'art. 459 comma 3° c.p.p., secondo la quale soltanto i motivi attinenti l'ammissibilità del rito legittimerebbero il rigetto della richiesta non è confermata né dal tenore letterale di tale disposizione, né da altre norme. È questa la posizione espressa dalla Corte costituzionale nella sentenza 12 ottobre 1990, n. 447, in Giur. cost., 1990, p. 2678. Nello stesso senso, Cass., sez. V, 26 settembre 1990, Ginzio, in Cass. pen., 1991, II, p. 459.

con la conseguenza che quello stesso giudice non potrà partecipare all'udienza dibattimentale178.

Il provvedimento con cui vengono restituiti gli atti al pubblico ministero è inoppugnabile, salvo il limite dell'abnormità179.

Il potere di restituzione degli atti non è esercitabile per mere ragioni di opportunità, perché in tal caso il giudice finirebbe per sostituire la propria valutazione a quella attribuita dall'art. 405 comma 1° c.p.p. al solo pubblico ministero180.

In mancanza di una disciplina specifica, vi sono variegate opinioni circa la forma che deve assumere il provvedimento di rigetto. Dovendo rispondere ad un'esigenza motivazionale, per consentire al pubblico ministero di compiere le proprie scelte successive con consapevolezza circa le valutazioni effettuate dall'organo giurisdizionale (è ben possibile che, laddove non sia ancora scaduto il termine dei sei mesi, la richiesta possa essere reiterata, corredata delle modifiche suggerite implicitamente dal giudice181), si ritiene che dovrebbe trattarsi di

178Corte cost., 30 dicembre 1991, n. 502, in Giur. cost., 1991, p. 4028, confermando la pienezza del potere di controllo affidato al g.i.p., dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2° c.p.p., <<nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di decreto di condanna per la ritenuta inadeguatezza della pena richiesta dal pubblico ministero>>. Nello stesso senso, la Corte con sent. 21 novembre 1997, n. 346, in Giur. cost., 1997, p. 3411, esclude che possa emettere decreto penale di condanna il giudice che ha ordinato l'elevazione dell'imputazione ex art. 409 c.p.p. Infine, il legislatore, con l'aggiunta del comma 2-bis all'art. 34 c.p.p., esclude in via generale che possa emettere decreto penale il giudice che ha precedentemente svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari.

179Cass., sez. VI, 30 maggio 1995, Motti, in Cass. pen., 1997, p. 98; Cass., sez. V, 10 giugno 1993, Genovese, in Cass. pen.,1994, p. 2725.

180Cass., sez. III, 6 giugno 1996, Frillacchi, in Cass. pen.,1997, p. 1760; Cass, sez. I, 30 aprile 1994, Nastri, in CED Cass.,198289 afferma che <<è abnorme l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che rigetti la richiesta solo per la ritenuta inopportunità del procedimento monitorio, senz'altra enunciazione di ragioni sottostanti>>, perché così si disattenderebbe il principio per cui <<la scelta discrezionale del rito>> appartiene istituzionalmente al pubblico ministero. Di contrario avviso invece Pret. Matera, 3 aprile 1990, in Foro it., 1990, II, p. 460, secondo cui è consentito al giudice <<restituire gli atti al pubblico ministero anche senza motivazione, per aver ritenuto […] il procedimento monitorio inopportuno>>.

un'ordinanza182. La soluzione per cui la forma del provvedimento di

restituzione degli atti sarebbe quella del decreto, sostenuta da parte degli interpreti183, è criticata proprio sotto il profilo dell'onere della

motivazione: i decreti devono essere motivati soltanto ove lo preveda espressamente una disposizione di legge184.

Tesi divergenti sussistono anche riguardo le scelte operabili dal pubblico ministero a seguito della restituzione degli atti, posto che questa determina una regressione del procedimento185. Le opinioni

spaziano dall'intervenuta consumazione del potere di archiviazione186,

alla riespansione piena dei poteri in capo all'organo dell'accusa187, con la

possibilità di compiere ulteriori indagini188, di esercitare l'azione penale

182SELVAGGI, E., Art 459, cit., p. 874; CORDERO, F., Procedura penale, 2006, cit., scrive che <<è sottinteso che sia un'ordinanza>>. Opta per la forma dell'ordinanza anche NAPPI, A., Guida al codice di procedura penale, cit., p. 628, rilevando che tale forma è richiesta in quasi tutte le altre ipotesi in cui il giudice può restituire gli atti al pubblico ministero: è così per l'incompetenza dichiarata dal giudice ai sensi dell'art. 22 c.p.p. e per il provvedimento che nega l'archiviazione ai sensi dell'art. 409 comma 2° c.p.p.

183Cass., sez. V, 25 settembre 1990, Venosa, in Cass. pen., 1991, II, p. 341, ritiene che il provvedimento di restituzione degli atti debba assumere la forma del decreto, <<al pari della decisione di accoglimento>>. Nota PIZIALI, G., Il procedimento

per decreto, cit., p. 468, che tale decisione ha trascurato la natura di decreto sui generis del provvedimento di accoglimento. DELL'ANNO, R., I Procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, in Quad. C.S.M., 1989, n. 28, p.

378, sostiene che il provvedimento dovrebbe essere privo di una motivazione, al fine di sottolineare come il giudice sia <<completamente libero nelle sue motivazioni>>. Più estremo ROSINI, R., Il procedimento per decreto, in Quad.

C.S.M., 1991, n. 44, p. 50, che arriva a sostenere che per il diniego <<non è

richiesto alcun provvedimento specifico>>, perché esso si sostanzia in una <<pura e semplice restituzione degli atti al p.m., senza alcun obbligo di motivazione>>. 184Così, PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 468.

185Tale regressione può definirsi latu sensu riferita alla fase delle indagini preliminari. 186Scrive CORDERO, F., Procedura penale, 2006, cit., p. 1801: <<il requirente […] formula l'imputazione; i relativi casi, dunque, non sono più archiviabili, quando gli atti rifluiscano all'attore>>. Nello stesso senso, CONSO, G., I nuovi riti

differenziati tra <<procedimento>> e <<processo>>, in Giust. Pen., 1990, III, p.

199 (seppur in riferimento al patteggiamento); Pret. Matera, 30 marzo 1990, in

Giur. it., II, 1990, p. 285, per cui il pubblico ministero., una volta rigettata la

richiesta di emissione del decreto penale, non può continuare le indagini, né richiedere l'archiviazione: lo impedirebbe il principio di irretrattabilità dell'azione penale.

187Corte cost., 12 ottobre 1990, n. 447, in Giur. cost., 1997, p. 2678, afferma che <<a seguito della restituzione degli atti da parte del giudice […] il pubblico ministero viene ad essere reinvestito di tutti i poteri ad esso spettanti>>.

nelle altre forme previste, di reiterare la richiesta di procedimento per decreto e di richiedere l'archiviazione189. Per i sostenitori di quest'ultima

impostazione, la determinazione del giudice non integrerebbe <<un giudizio negativo sull'idoneità dell'azione in sé>>, quanto un <<giudizio d'idoneità a supportare quel giudizio penale>>190. Di conseguenza, il

pubblico ministero potrà svolgere l'attività investigativa191, potrà

chiedere l'archiviazione192, in quanto l' irretrattabilità dell'azione penale