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Il principio di stabilita' come forma di tutela dei terzi nell'organizzazione societaria

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Il principio di stabilità come forma di tutela dei

terzi nell’organizzazione societaria

La Candidata

Letizia Francalanza

Il Relatore

Chiar.mo Prof. Andrea Bartalena

A.A. 2016/2017

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Indice

Introduzione ... 4

Capitolo primo - La nullità delle società di capitali: una

prima consacrazione del principio di stabilità ... 11

1. La nuova formulazione dell’articolo 2332 cod. civ. a seguito della Novella del 1969: l’introduzione di un elenco tassativo di cause di nullità. ... 11 1.1. La ratio del principio di tassatività. ... 15 1.2. Alcune incertezze della nuova formulazione: le cause di nullità “elastiche” quale valvola di apertura al numero chiuso? ... 18 1.3. (Segue) Il problema della società simulata. ... 26 2. La Riforma del 2003: un drastico ridimensionamento delle cause di nullità. ... 31 2.1. La ratio del principio di tassatività alla luce della riduzione delle cause di nullità: la continuità con l’impostazione precedente. ... 33 2.2. Tre fattispecie di nullità: ipotesi rare. ... 38 2.2.1. La mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico (n.1). ... 39 2.2.2. L’illiceità dell’oggetto sociale (n. 2). ... 42 2.2.3. Le lacune di contenuto (n. 3). ... 45 2.3. Il problema della società simulata a seguito della riduzione delle cause di nullità. ... 47 3. Gli effetti della nullità e la sanatoria dei vizi. ... 53 4. L’articolo 2332 cod. civ.: una regola eccezionale o l’espressione di un principio generale? In particolare: la disciplina della nullità dettata (per le sole società di capitali) dall’articolo 2332 cod. civ. è applicabile anche alle società di persone? ... 58

Capitolo secondo - La stabilità delle operazioni

straordinarie. ... 67

1. La nuova disciplina della fusione (e della scissione): il legislatore italiano “oltre” la normativa comunitaria. ... 67 1.1. L’effetto totalmente sanante dell’iscrizione dell’atto di fusione nel Registro: rigidità e criticità dell’articolo 2504 quater, comma 1 cod. civ. ... 72

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1.2. Le interpretazioni dottrinali volte a restringere l’operatività dell’articolo 2504 quater, comma 1 cod. civ. In particolare: l’inesistenza giuridica della fusione. ... 75 2. La Riforma del 2003: l’estensione all’invalidità della trasformazione della regola di stabilità della fusione (e della scissione) e l’articolo 2500 ter comma 1 cod. civ. ... 81 2.1. Le osservazioni critiche sull’estensione. ... 84 2.2. La portata innovativa dell’intervento riformatore e la coincidenza solo apparente tra le discipline. ... 86 3. Tutela reale e tutela obbligatoria: le operazioni straordinarie quale esempio della tendenza al ridimensionamento della tutela ripristinatoria. ... 89 3.1. Una diversa ampiezza operativa dei rimedi reali prima dell’iscrizione, tra fusione (e scissione) e trasformazione. ... 91 3.2. Residui margini della tutela reale dopo l’iscrizione. ... 96 3.3. La migrazione della tutela sul piano obbligatorio a seguito dell’iscrizione. ... 99 3.3.1. L’ampiezza e i limiti della tutela obbligatoria nelle operazioni straordinarie. ... 101 3.3.2. Vantaggi e costi della protezione obbligatoria. ... 106

Capitolo terzo - Il principio di stabilità e l’invalidità dei

deliberati. ... 111

1. L’invalidità dei deliberati assembleari nella società per azioni a seguito della Riforma del 2003: l’inversione di prospettiva rispetto all’invalidità contrattuale. ... 111 1.1. La “nullità” delle delibere assembleari quale istituto diverso dalla “nullità” contrattuale. ... 117 2. Il principio di stabilità e l’invalidità delle delibere nella società per azioni. ... 121 2.1. La circoscritta legittimazione ad agire a fronte della delibera viziata. ... 123 2.2. La riduzione dei termini ai fini dell’impugnazione. ... 128 2.3. I meccanismi giuridici di “conservazione”. In particolare: la disciplina dell’invalidità delle deliberazioni assembleari ai sensi dell’articolo 2379 ter cod. civ. ... 133 2.4. Il tentativo di eliminare la categoria giurisprudenziale delle “delibere inesistenti”: l’inesistenza quale problema ancora aperto. 141 2.5. L’arretramento della tutela reale a vantaggio di quella obbligatoria. ... 149 3. L’invalidità delle delibere consiliari. ... 154

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4. L’invalidità dei deliberati nella società a responsabilità limitata: profili di coerenza sistematica e profili di originalità rispetto all’omologa disciplina della società per azioni dopo la Riforma del

2003. ... 157

5. Sulla possibilità di estendere alla società di persone la disciplina dell’invalidità delle delibere dettata per le società di capitali. In particolare: laddove si ammetta l’estensione analogica, quale disciplina d’invalidità (della s.p.a. o della s.r.l.) trova applicazione? ... 170

Bibliografia ... 175

Indice delle pronunce ... 187

Materiali ... 189

Ringranziamenti ... 190

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Introduzione

La Riforma del diritto societario attuata con il Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 s’inserisce tra le riforme organiche delle leggi societarie che hanno investito i diversi sistemi giuridici europei1 e che

hanno il comune obiettivo di modernizzare le “regole di funzionamento delle società di capitali, in una chiave che le rend[a] strumenti più flessibili al servizio di un’economia in profonda evoluzione, soprattutto in chiave finanziaria” 2 . Ciò è chiaro

nell’impostazione della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, che precede l’adozione del Decreto di riforma e indica taluni principi specifici, con riguardo a singole materie, e altri d’ispirazione più generale. Dai principi generali in materia di società di capitali emergono la particolare attenzione e la cura che il legislatore riserva alle «ragioni dell’impresa», vale a dire alle esigenze dell’attività imprenditoriale esercitata attraverso lo strumento delle società; e ciò sia nell’ottica della promozione, dello sviluppo e della competizione delle imprese societarie, sia con riguardo alla loro adeguata organizzazione e alla loro efficiente operatività”3. L’articolo 2, comma

1, della delega collega, infatti, alle ragioni dell’impresa ben cinque degli otto principi generali che dovranno ispirare la Riforma4.

1 Guaccero, 363, nt. 1, ricorda – limitandosi agli interventi sulle società in

generale – le numerose riforme del diritto societario francese dal 2000 al 2011; l’emanazione del Companies Act 2006 nel Regno unito; gli interventi di riforma in Germania dal 1998 al 2008; la riforma organica del Real Decreto Legislativo 1/2010 in Spagna; la legge sulla semplificazione delle BV, nel 2012, in Olanda.

2 Guaccero, 364. 3 Rivolta, 561.

4 “L’obiettivo prioritario” è “favorire la nascita, la crescita e la competitività

delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali” (articolo 2, comma 1, lett. a). Seguono, poi, la valorizzazione del “carattere imprenditoriale delle società” (articolo 2, comma 1, lett. b); la semplificazione della “disciplina delle società, tenendo conto delle esigenze delle imprese e del mercato concorrenziale” (articolo 2, comma 1,

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Tuttavia, l’attenzione della legge delega alle ragioni dell’impresa non si esaurisce nei principi generali, proseguendo anche all’interno delle disposizioni dedicate a singole materie5.

Poiché, allora, le esigenze dell’impresa sono disseminate in più punti all’interno della delega, il legislatore delegato non poteva esimersi dal dettare una riforma organica della disciplina delle società di capitali che ne tenesse conto. In particolare, a tutela delle ragioni dell’impresa, la Riforma del 2003 consolida il principio di stabilità e di conservazione della società per azioni, dei suoi atti e dei relativi effetti, giacché tale tipo societario occupa il posto più importante nello svolgimento dell’attività economica sia per l’ampia diffusione che lo connota sia perché è la forma elettiva delle imprese di media e grande dimensione, a capitale sia privato che pubblico.

Giova, tuttavia, ricordare che la cura e l’attenzione alle ragioni dell’impresa e, con esse, al principio di stabilità delle società di capitali – e, principalmente, delle società per azioni - non sono un’assoluta novità della Riforma, trattandosi di tendenze ben più risalenti nel tempo. Benché, infatti, l’istanza di stabilità della società di capitali e dei suoi atti costituisca uno dei “Leitmotive”6 dell’intervento legislativo

del 2003, in realtà, “essa attraversa tutta la storia della disciplina [del diritto societario], se non addirittura dell’intero diritto commerciale. E c’è anzi chi pensa che, se questo conserva ancora tratti fisionomici propri, all’interno del più vasto ambito del diritto privato in generale,

lett. c); lo scopo di “adeguare la disciplina dei modelli societari alle esigenze delle imprese” (articolo 2, comma 1, lett. e); l’obiettivo di prevedere due modelli societari, l’uno riferito alla società per azioni e l’altro alla società a responsabilità limitata, “nel rispetto dei principi di libertà di iniziativa economica e di libera scelta delle forme organizzative dell’impresa” (articolo 2, comma 1, lett. f).

5 Possono ricordarsi l’articolo 3, comma 2, lett. c, a proposito della società a

responsabilità limitata, e l’articolo 4, comma 5, lett. a, per la società per azioni, i quali prevedono che la Riforma, con riguardo alla disciplina dei conferimenti, sia diretta a dettare una normativa “tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale”; l’articolo 4, comma 2, lett. b, il quale stabilisce, poi, che la riforma della disciplina della società per azioni elabori “un assetto organizzativo idoneo a promuovere l’efficienza e la correttezza della gestione dell’impresa sociale”.

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uno, e uno dei più netti, sia proprio la spiccata esigenza di stabilità”7.

Ben prima del 2003 il legislatore si fa, quindi, carico di salvaguardare le ragioni dell’impresa e la sua stabilità, animato dalla consapevolezza che risolvere le questioni che afferiscono alla società con i tradizionali rimedi contrattuali, spesso, produce conseguenze negative e dirompenti per i terzi che contrattano con l’ente societario e per la società medesima. Per questa ragione, la storia moderna del diritto societario si distingue, da un lato, per il declino progressivo del momento contrattuale, che finisce per perdere il connotato di fulcro della disciplina, e, dall’altro, per un graduale rafforzamento del momento organizzativo teso a favorire l’esercizio dell’attività economica. In effetti, è proprio la crescente attenzione alle esigenze organizzative - il cui soddisfacimento è il presupposto per l’esercizio dell’attività economica d’impresa, che si caratterizza per dinamicità, impatti sul mondo esterno e coinvolgimento di terzi in misura sempre maggiore – a far emergere l’inadeguatezza dei rigidi schemi contrattuali rispetto al fenomeno societario. Di qui, allora, la necessità di adottare strumenti che rafforzino gli assetti patrimoniali e le strutture organizzative della società, che, quindi, la stabilizzino e che, pur senza negare il contratto come momento genetico del fenomeno societario e regolamento di base del rapporto tra i soci, consentano – quando occorre - di superarlo. C’è l’esigenza di ripensare talune disposizioni del diritto societario, così da elaborare una normativa che si affranchi progressivamente dal diritto comune dei contratti al fine di “tutelare interessi che trascendono l’interesse contrattuale dei soci e favorire la conservazione del patrimonio destinato all’esercizio dell’attività economica e la continuità di questa”8. La certezza e la

sicurezza dei traffici giuridici esigono, infatti, la stabilità dell’ente societario e della sua attività; richiedono, cioè, che sia ridotto al minimo il rischio di veder invalidati gli atti che la società ha compiuto in passato.

7 D’Alessandro, 708. 8 Rivolta, 562.

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Giova osservare che della stabilità dell’organizzazione societaria beneficiano direttamente i terzi, che proprio in ragione dell’attività compiuta hanno acquistato i propri diritti. Si può, allora, dire che il principio di stabilità, evitando di porre nel nulla la società e la sua attività, è una forma di tutela dei terzi che hanno contrattato con l’ente societario e che ripongono ragionevole affidamento sulla validità dei suoi atti. La stabilità delle società di capitali - e, al loro interno, delle società per azioni - è, cioè, in primo luogo funzionale alla certezza del diritto e all’affidamento dei terzi. Per questa ragione, ciò che accade nella sfera organizzativa societaria e, in particolare, ciò che si è realizzato nella sfera organizzativa della società ed è stato portato alla generale conoscenza dei terzi con l’iscrizione nel registro delle imprese, diviene un punto di non ritorno nella struttura organizzativa medesima; semmai, l’ordinamento predispone soluzioni alternative alla rimozione dell’atto illegittimo – infatti, il principio di stabilità si traduce anche in una generale contrazione delle tutele reali o demolitorie, quasi sempre a vantaggio di una protezione obbligatoria “sostitutiva” - o soluzioni che, in ogni caso, ripudiano un intervento retroattivo sull’organizzazione.

Una simile impostazione emerge chiaramente all’interno della disciplina della nullità della società per azioni9. D’altra parte, già nella

versione originaria del 1942 l’articolo 2332 cod. civ. si segnalava per un profondo distacco dalla dimensione negoziale della nullità, realizzando la tutela dei terzi che entravano in rapporto con l’ente societario e che potevano comunque contare sulla sua responsabilità patrimoniale, anche se nullo. Ed è, appunto, in questa stessa direttrice di protezione dell’affidamento dei terzi che si risolvono anche le successive Riforme - la prima del 1969, la seconda del 2003 -, le quali individuano un albo chiuso d’ipotesi di nullità per stabilizzare la società e assicurare la certezza dei rapporti giuridici. È chiaro, infatti, che circoscrivere la pronuncia di nullità della società a talune cause tassative limita al massimo le possibilità d’invalidazione dell’ente e

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completa la tutela dei terzi, che si vedono rassicurati di fronte al timore di vedersi opporre la nullità del contratto di società e/o della società stessa e sono, perciò, spinti a concludere i propri affari con questa.

Di tale meccanismo è, poi, espressione anche la disciplina dei limiti statutari ai poteri di rappresentanza degli amministratori10: l’articolo

2384 cod. civ., riformato nel 1969 e in seguito nel 2003, statuisce, infatti, che le limitazioni di tipo volontario non sono opponibili ai terzi11, introducendo un regime di favore per questi ultimi: l’eventuale

violazione di tali limiti da parte degli amministratori non pregiudica la validità degli atti compiuti, semmai rende solo gli amministratori responsabili verso la società per il risarcimento del danno; il che finisce per eliminare i possibili indugi dei terzi a entrare in rapporto con gli amministratori e le remore alla conclusione degli affari con la società, cioè ne ispira la fiducia.

Ancora, del principio di stabilità della società, dei suoi atti e dei relativi effetti come forma di tutela dei terzi sono espressione il nuovo articolo 2504 quater cod. civ., che dal 1991 esclude la possibilità di pronunciare l’invalidità di una fusione o di una scissione ormai iscritta, e l’articolo 2500 bis cod. civ., che dal 2003 estende l’efficacia totalmente sanante della pubblicità anche a un’operazione di trasformazione viziata. Qui, la tutela demolitoria tradizionale è esclusa in radice e ciò, appunto, risponde all’esigenza di stabilità della società e dei suoi atti e tutela direttamente l’affidamento dei terzi: chi intrattiene i suoi rapporti con la società si vede rassicurato, giacché escludere la possibilità di pronunciare l’invalidità di un’operazione straordinaria già realizzata e iscritta significa diminuire o, addirittura, azzerare i rischi di veder invalidato l’atto.

Egualmente, i terzi traggono vantaggio dagli interventi legislativi del 2003 che, tesi a stabilizzare l’attività societaria, realizzano l’affievolimento dell’invalidità delle decisioni dell’assemblea di una

10 Così osserva, Galgano [2], 137.

11 Salva l’exceptio doli, cioè salva l’ipotesi in cui il terzo contraente abbia

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società di capitali e limitano o precludono l’invocazione della nullità e dell’annullabilità delle delibere. In questo senso possono, poi, richiamarsi anche i limiti introdotti alla neodisciplinata impugnabilità delle delibere del consiglio di amministrazione, in cui si registra un parziale richiamo proprio alla disciplina dell’invalidità delle delibere della società per azioni (l’articolo 2388, comma 4 cod. civ. riformulato con la Riforma del 2003), e le disposizioni dell’attuale articolo 2434 bis cod. civ., in tema d’invalidità delle delibere di approvazione del bilancio, che, proprio nella direzione percorsa dalle altre delibere assembleari, accentua la deviazione dai principi negoziali. La ratio conservativa e stabilizzante della società anima, infatti, anche le norme predette e di ciò beneficiano direttamente i terzi.

Ma, se il principio di stabilità dell’organizzazione societaria intende realizzare le sopra citate esigenze dell’impresa, merita di essere evidenziato che la sua indagine può condursi anche sotto un altro profilo, per così dire, “macroeconomico”. È vero, cioè, che la stabilità dell’organizzazione societaria è una forma di tutela dell’affidamento dei terzi che contrattano con la società, poiché ne ispira la fiducia e garantisce la certezza dei traffici giuridici. Quindi, sotto un profilo, che si potrebbe definire “microeconomico”, è l’interesse dei terzi a che il rischio di veder invalidata la società e i suoi atti sia ridotto al minimo a ricevere protezione; terzi che, talvolta, sono direttamente tutelati anche a prescindere dal loro status soggettivo, quindi dalla buona o dalla mala fede12. Eppure, consacrare e rafforzare la stabilità

dell’organizzazione societaria, realizzando in primo luogo la tutela dei terzi, finisce – a un livello più ampio - per produrre effetti positivi per la stessa società. Il principio di stabilità consente, sotto un profilo “macroeconomico”, l’emersione del più generale vantaggio offerto a ogni società per azioni di vedere eliminata nei terzi una possibile remora alla conclusione degli affari; ispirare la fiducia dei terzi gioca, cioè, anche a favore della società che, così, moltiplica

12 Ciò, ad esempio, accade nella disciplina della nullità della società per azioni

(articolo 2332 cod. civ.) ed era un tratto caratterizzante già della Direttiva 9 marzo 1968, n. 151, cui il legislatore del 1969 e, poi, del 2003 intende dare attuazione.

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considerevolmente la propria possibilità di contrattare e valorizzare il capitale13. In conclusione, allora, da un lato, chi contratta con la società

si vede rassicurato, essendo diminuiti i rischi di veder invalidato l’atto, dall’altro e in una prospettiva più generale, è la stessa società a beneficiare indirettamente delle innovazioni che ne consolidano la stabilità e la conservazione; se i terzi fossero, al contrario, esposti a tali rischi, l’ente societario finirebbe, infatti, per vedere la sua attività gravemente intralciata.

13 Così osserva Galgano [3], 98-104.

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Capitolo primo

La nullità delle società di capitali: una prima

consacrazione del principio di stabilità.

Sommario: 1. La nuova formulazione dell’articolo 2332 cod. civ. a seguito della Novella del 1969: l’introduzione di un elenco tassativo di cause di nullità. - 1.1. La ratio del principio di tassatività. – 1.2. Alcune incertezze della nuova formulazione: le cause di nullità “elastiche” quale valvola di apertura al numero chiuso? – 1.3. (Segue) Il problema della società simulata. – 2. La Riforma del 2003: un drastico ridimensionamento delle cause di nullità. – 2.1. La ratio del principio di tassatività alla luce della riduzione delle cause di nullità: la continuità con l’impostazione precedente. – 2.2. Tre fattispecie di nullità: ipotesi rare. – 2.2.1. La mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico (n.1). – 2.2.2. L’illiceità dell’oggetto sociale (n. 2). – 2.2.3. Le lacune di contenuto (n. 3). – 2.3. Il problema della società simulata a seguito della riduzione delle cause di nullità. – 3. Gli effetti della nullità e la sanatoria dei vizi. - 4. L’articolo 2332 cod. civ.: una regola eccezionale o l’espressione di un principio generale? In particolare: la disciplina della nullità dettata (per le sole società di capitali) dall’articolo 2332 cod. civ. è applicabile anche alle società di persone?

1. La nuova formulazione dell’articolo 2332 cod. civ. a seguito della Novella del 1969: l’introduzione di un elenco tassativo di cause di nullità.

Il Decreto legislativo 29 dicembre 1969, n. 1127 è stato emanato dal Governo in virtù della delega conferita con la legge 13 ottobre 1969, n. 740 al fine di adeguare le disposizioni del nostro codice civile - in tema di società per azioni, in accomandita per azioni e società a responsabilità limitata - ai principi fissati in sede di Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 9 marzo 1968, n. 151.

Nel nostro ordinamento già esisteva una disciplina positiva dell’invalidità della costituzione delle società di capitali, introdotta con il codice civile del 1942, a cui la Novella del 1969 ha apportato considerevoli modifiche.

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La Riforma non nasce in ragione dell’urgenza di modificare una disciplina inadeguata alle esigenze della prassi - “si consideri che i casi in materia d’invalidità della costituzione di società di capitali non sono mai stati molto numerosi”14 -, bensì in virtù di un’esigenza avvertita in

sede comunitaria: quella di armonizzare, al fine di rendere equivalenti su determinati punti, le legislazioni nazionali dei singoli Stati membri15.

Che la Direttiva costituisca l’antecedente diretto della nostra legge di riforma è circostanza non trascurabile, tanto più se si considera che in capo ai singoli Stati membri esiste un obbligo di adeguamento del diritto interno; ciò, tuttavia, non si traduce nella necessità di una riproduzione meccanica delle norme all’interno del sistema giuridico di ciascuno Stato: le direttive comunitarie - anche laddove formulate analiticamente (c.d. direttive dettagliate), come quella in commento - obbligano gli Stati membri ad introdurne i principi - essendo vincolanti per ciò che attiene al risultato che s’intende raggiungere - non anche alla pedissequa riproduzione di tutte le norme in esse contenute. Agli Stati si riconosce, dunque, uno spazio di libertà ai fini dell’adattamento dei principi da introdurre ex novo con quelli già accolti all’interno dei singoli ordinamenti.

Peraltro, la formula comunitaria secondo cui “la nullità può essere dichiarata soltanto nei seguenti casi” circoscrive il limite massimo, ma non anche quello minimo, d’ipotesi di nullità che ciascuna legislazione nazionale avrebbe potuto prevedere alle sole cause di nullità elencate dalla Direttiva: lo Stato membro è vincolato all’esclusione di tutte le

14 Borgioli, 122.

15 Il coordinamento delle legislazioni nazionali in tema di società di capitali è

finalizzato alla realizzazione della “libertà di stabilimento”. Il fondamento giuridico della Direttiva sta nell’articolo 54, par. 3, lett. g del Trattato di Roma, secondo cui è compito del Consiglio dei ministri della CEE coordinare “nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste negli stati membri alle società, per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi”; tale potere è della Comunità con l’obiettivo di evitare che la diversità di discipline in materia di società, esistenti nei vari Stati del Mercato comune – tra queste, l’invalidità delle società -, possa costituire una remora al diritto di stabilimento delle medesime.

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ipotesi di nullità diverse da quelle previste, non anche a una fedele trasposizione di queste nel diritto interno.

Se in altri Paesi della Comunità la legge di adeguamento è il frutto di un’opportuna meditazione di tali considerazioni, il legislatore italiano nel 1969 ha optato, invece, per la ripetizione tout court dell’elenco delle cause di nullità contenuto all’interno della Direttiva comunitaria: il testo dell’articolo 2332 cod. civ. altro non era che la traduzione letterale dell’articolo 11 della Direttiva 9 marzo 1968, n. 151. Questo non ha mancato di suscitare riserve e contrasti16.

In senso critico, autorevole dottrina17 ha osservato come la Direttiva

fosse volta alla limitazione delle cause di nullità negli ordinamenti che (come quello italiano e francese), in assenza di un albo chiuso, riconoscevano quali cause di nullità dell’atto costitutivo quelle previste in generale per i contratti; scopo che, tuttavia, non poteva considerarsi esteso anche all’imposizione di cause di nullità non previste nel diritto interno.

Il testo ante Riforma dell’articolo 2332 cod. civ. contemplava espressamente – senza, tuttavia, identificarle - solo le cause di nullità in senso tecnico dell’atto costitutivo, cosicché la dottrina avrebbe dovuto individuarle risalendo ai principi validi per i contratti. La disposizione prevedeva, infatti, che una volta “avvenuta l’iscrizione della società nel registro delle imprese, la dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo non [avrebbe] pregiudica[to] l’efficacia degli atti compiuti in nome della società” (comma 1); e aggiungeva, poi, - discostandosi profondamente dalla dimensione negoziale - che “i soci non sono liberati dall’obbligo di conferimento fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali” (comma 2), che “la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori” (comma 3) e, infine, che "la nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata per effetto di una modificazione dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese” (comma 4). Eppure ciò - salvo alcune oscillazioni -

16 In senso critico: Angelici [1], 178; Bocchini [1], 128; Borgioli, 121 s.s.; Ferri,

[2] 168; Meridda, 775.

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aveva determinato il consolidarsi “di un orientamento dottrinario, corroborato anche dalla giurisprudenza, che costituiva una guida abbastanza sicura per la pratica”18. Si aggiunga, poi, la critica secondo

cui il previgente sistema dell’articolo 2332 cod. civ. si caratterizzava per una maggiore rigidità, offrendo ai soci e ai terzi una tutela più rigorosa di quella che la Direttiva comunitaria intendeva imporre, in guisa che le esigenze di armonizzazione potevano – forse - dirsi già soddisfatte, senza che alcuna modifica fosse necessaria19.

La Novella del 1969 preferisce, al contrario, un’elencazione tassativa d’ipotesi di nullità della società, quindi - al pari dell’articolo 11 della Direttiva - il nuovo articolo 2332 cod. civ. viene ad essere così formulato: “Avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi: 1) mancanza dell’atto costitutivo; 2) mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma di atto pubblico; 3) inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 2330, relative al controllo preventivo; 4) illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale; 5) mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti o l’ammontare del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale; 6) inosservanza della disposizione di cui all’art. 2329 n. 2; 7) incapacità di tutti i soci fondatori; 8) mancanza della pluralità dei soci fondatori”. Le otto cause di nullità tassative – poiché frutto di una pedissequa traduzione delle fattispecie di nullità contemplate dalla Direttiva – finiscono per tratteggiare una miscellanea d’ipotesi di nullità, ipotesi di annullabilità e ipotesi d’inesistenza dell’atto costitutivo (la mancanza dell’atto costitutivo o della pluralità dei soci fondatori), cui si aggiungono alcuni vizi del procedimento di omologazione (il mancato versamento dei decimi o l’inosservanza delle disposizioni in punto di omologazione). Il legislatore nazionale sceglie di assoggettare tutto alla medesima disciplina, quella contenuta negli altri commi dell’articolo 2332 cod. civ. e prevista originariamente per la sola

18 Bocchini [1], 131.

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nullità dell’atto costitutivo; ne segue ciò che una parte della dottrina ha definito “quel grosso pasticcio che è l’art. 2332 cod. civ. nuovo stile”20.

Il catalogo delle cause di nullità adottato nel 1969 non si traduce nella migliore delle soluzioni legislative possibili, perciò si sono poste all’interprete alcune difficoltà ermeneutiche e di coordinamento; questioni che, tuttavia, è possibile risolvere anche alla luce del significato delle norme comunitarie, quali antecedente diretto della disciplina nazionale.

1.1. La ratio del principio di tassatività.

La Direttiva 9 marzo 1968, n. 151 – e, insieme, la Riforma del 1969 che la accoglie - definiscono un primo cambio di rotta rispetto alla precedente impostazione in tema di nullità della società di capitali. Il nuovo testo dell’articolo 2332 cod. civ. formula norme particolari per l’ipotesi in cui la nullità dell’atto costitutivo di una società sia accertata a seguito della sua iscrizione nel registro delle imprese: il comma 1 riduce le cause di nullità ad otto fattispecie tassative - le stesse contemplate dalla Direttiva -, in deroga ai principi generali sui contratti e, in particolare, alla previsione dell’articolo 1418 cod. civ.; i commi seguenti, in senso ancor più radicale, convertono le cause di nullità dell’atto costitutivo in altrettante cause di scioglimento della società.

Il meccanismo appare chiaro: quando la società sia stata iscritta, la nullità può essere dichiarata solo se ricorre una delle ipotesi tassative dell’articolo 2332, comma 1 cod. civ. e, laddove la nullità sia stata dichiarata, non produce i normali effetti previsti dalla disciplina generale dei contratti. Il requisito dell’iscrizione, che dovrebbe - al limite - impedire la nascita di una società invalida, è utilizzato per assicurarne una sopravvivenza limitata.

20 Ferri [2], 168. Sulla possibilità di guardare all’articolo 2332 cod. civ. quale

“tipico caso di «pasticcio» legislativo”, anche Meridda, 775.

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Quali ragioni sono sottese alla nuova opzione? Qual è la ratio della limitazione ai casi tassativamente elencati della possibilità di pronunciare la nullità-scioglimento delle società di capitali? È opportuno risalire alle istanze accolte dal legislatore comunitario, prima, e, poi da quello nazionale.

Una prima osservazione poggia sulla rilevanza organizzativa dell’atto colpito dalla nullità: una volta che la società sia stata iscritta nel registro, la disciplina dell’invalidità negoziale non si dirige tanto nei confronti di un contratto invalido, ma, piuttosto, nei riguardi di un’organizzazione imprenditoriale che, sebbene nata illegalmente, ha già fatto ingresso nel traffico giuridico e ha costruito una trama di rapporti e affari in sé validi. Ne segue, quindi, l’esigenza di isolare le ipotesi in cui la società deve essere eliminata dall’ordinamento poiché viziata nelle sue basi negoziali; e ciò, secondo regole di rimozione che siano opportune all’assetto degli interessi conseguente all’inizio dell’attività e idonee alla tutela di coloro che, in qualità di terzi, abbiano realizzato affari con la società. In questo, lo spirito della Direttiva e dell’elenco tassativo di cause di nullità che l’articolo 2332 cod. civ. – quale pedissequa traduzione della prima - sostituisce alla disciplina dell’invalidità negoziale.

L’eliminazione dello stato d’incertezza in cui il terzo verrebbe a trovarsi a fronte della declaratoria di nullità della società con cui ha intessuto rapporti ispira, quindi, la formulazione tassativa delle fattispecie d’invalidità ma esige una precisazione. Si osserva come la Direttiva comunitaria abbia l’obiettivo di assicurare la certezza giuridica delle relazioni tra la società e i terzi e che a essere protetto sarebbe l’interesse del terzo a che non si disgreghi – proprio in ragione della pronuncia di nullità - la società con cui ha stabilito legami e sulla cui persistenza nel tempo ha fatto affidamento. In realtà, dottrina autorevole21 ha chiarito che non sono i terzi, ma è la società di

capitali l’ultima beneficiaria dell’impostazione accolta a proposito della nullità in sede nazionale e sulla scia della Direttiva comunitaria.

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La protezione dei terzi è solo il “tramite intermedio”22 di una tutela

che investe l’interesse della società per azioni (in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) a che il terzo non sia frenato da possibili remore alla conclusione degli affari, in ragione del timore di una declaratoria di nullità.

La ratio della limitazione agli otto casi tassativamente elencati della possibilità di pronunciare la nullità-scioglimento della società si spiega in forza dell’esigenza di tutelare l’interesse della società medesima alla conclusione del maggior numero di affari; esigenza che si realizza, appunto, limitando i possibili indugi con cui il terzo potrebbe scontrarsi.

Al quesito per cui il principio di tassatività delle cause di nullità avvantaggi più i terzi o la società, anche Bocchini23 risponde nei

termini di un’indubbia utilità in capo alla seconda: l’elencazione tassativa dei casi di nullità contrae, infatti, le ipotesi che potrebbero provocarne l’estinzione e dilata il principio generale di conservazione della società, che di ciò beneficia. A sostegno di questa tesi milita, peraltro, l’assenza di riferimenti alla tutela dei terzi all’interno dell’articolo 2332, comma 1 cod. civ, che contiene l’enunciazione del principio di tassatività: in realtà, è la seconda parte della norma – relativa al principio di irretroattività delle cause di nullità – a dedicarsi, in primo luogo, ai terzi. Se ne deduce che la tassatività delle cause di nullità e la loro sanabilità da parte della società ruotano attorno alla tutela dell’interesse di questa – e, al suo interno, del gruppo di comando – alla conservazione dell’impresa24.

A ben vedere, già in sede comunitaria emergono elementi in ragione dei quali la tutela dell’interesse dei terzi – che pure è il contenuto delle affermazioni programmatiche della Direttiva, insieme all’obiettivo della certezza del diritto - si rivela solo il riflesso di una protezione che investe l’interesse della grande impresa.

22 Galgano [3], 104. 23 Bocchini [1], 126; Bocchini [2], 73-80. 24 Così: Bocchini [1], 126; Bocchini [2], 79-80.

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La prospettiva di coordinamento delle legislazioni nazionali è finalizzata al potenziamento della libertà di stabilimento delle società di capitali e l’eliminazione dell’alea - connessa all’invalidazione delle medesime - ne è il corollario. La prevenzione e la restrizione delle cause di nullità tassative e, insieme, l’affermazione del loro operare come mere cause di scioglimento sono gli strumenti con cui la tutela dell’interesse alla stabilità e alla sicurezza degli affari trova realizzazione; interesse di cui, appunto, beneficiaria ultima è la società. Il nuovo testo dell’articolo 2332 cod. civ., nel rispondere alle istanze accolte dal legislatore comunitario, ha codificato nel nostro ordinamento una regola diversa dall’invalidità negoziale e funzionale ad assicurare la stabilità e la conservazione, perciò l’irregredibilità, degli effetti dell’attività organizzativa: è la prima consacrazione del principio di stabilità e di conservazione dell’organizzazione societaria.

1.2. Alcune incertezze della nuova formulazione: le cause di nullità “elastiche” quale valvola di apertura al numero chiuso?

Il principio di tassatività intende realizzare un’esigenza di certezza, dunque il nuovo testo dell’articolo 2332 cod. civ. avrebbe dovuto operare la rigorosa delimitazione delle singole ipotesi di nullità della società di capitali, al fine di soddisfare una tale necessità: la tassatività è, altrimenti, vanificata nella sua enunciazione.

Al contrario, la Novella del 1969 ha preso la Direttiva alla lettera e la disciplina nazionale – quale fedele trasposizione dell’articolo 11 – ha accolto tutte le fattispecie di nullità che, in sede comunitaria, erano state enucleate come elenco “massimale”: un vincolo per gli Stati membri all’eliminazione delle cause di nullità non contemplate dalla Direttiva, non anche il venir meno della libertà di non prevederne alcuna.

L’imprecisione con cui il legislatore si orienta nel costruire il nuovo sistema, in sostituzione del vecchio - che, tuttavia, aveva raggiunto un suo grado di sicurezza, anche in virtù dell’opera della dottrina e della giurisprudenza –, genera alcune incertezze: l’elenco tassativo delle

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cause di nullità include talune fattispecie aperte “o, se si preferisce elastiche”25, per questa ragione ci si domanda se la flessibilità con cui

la causa di nullità si presenta possa costituire una valvola di apertura al numero chiuso delle fattispecie di nullità che l’articolo 2332 cod. civ. accoglie. La “mancanza dell’atto costitutivo” (n. 1) e la “mancanza della pluralità dei soci fondatori” (n. 8) sono, infatti, formule equivoche e polivalenti, cui – non a caso – sono stati ricondotti i fenomeni spinosi della società simulata o di comodo.

La “mancanza dell’atto costitutivo” presenta una notevole difficoltà d’inquadramento a causa dell’improprietà tecnica dell’espressione usata dal legislatore: il nuovo testo dell’articolo 2332, comma 1, n. 1 cod. civ. – in ossequio al contenuto della Direttiva comunitaria - precisa che, in difetto dell’atto costitutivo, la società non può essere validamente costituita.

Che il legislatore abbia avvertito la necessità di dettare una disposizione ad hoc desta, peraltro, alcune perplessità se si considera la fattispecie di nullità immediatamente successiva: la “mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico” (n. 2) già offre sufficienti garanzie per l’ipotesi in cui l’atto costitutivo sia assolutamente mancante, infatti, se l’atto costitutivo non esiste, non potrà neppure assumere la veste di un atto pubblico, in guisa che la seconda ipotesi (il difetto di forma) finisce per assorbire la prima (la mancanza dell’atto costitutivo)26.

Si è oscillato, allora, tra una ricostruzione della formula in termini di “mancanza dell’atto-documento” o, piuttosto, quale “mancanza dell’atto-consenso”.

Autorevole dottrina27 ha osservato come la disposizione in commento

integri la fattispecie di nullità in cui più chiaramente si manifestano i pericoli che seguono all’incerta formulazione dell’articolo 2332 cod. civ., cosicché solo una visione complessiva della norma – attraverso una tecnica di esclusione delle soluzioni che appaiano, con essa,

25 Bocchini [1], 133.

26 In tal senso: Borgioli, 360-361; Ferri [2], 168. 27 Angelici [1], 264-265, nt. 274.

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inconciliabili - ne consente il chiarimento; così, dovrebbe escludersi l’interpretazione della “mancanza dell’atto costitutivo” quale “mancanza di assenso” e, al contrario, troverebbe spazio l’alternativa tra la mancanza materiale dell’atto costitutivo come documento e l’ipotesi in cui l’atto non corrisponde ai requisiti richiesti dal sistema per individuare una società per azioni. Quest’ultima ipotesi appare preferibile, infatti, la mancanza materiale dell’atto costitutivo è fonte di perplessità soprattutto alla luce della prima parte dell’articolo 2332 cod. civ. Questo prevede che, “avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi”; è chiaro, allora, come la fattispecie della società nulla presupponga il momento dell’iscrizione e, tuttavia, se l’atto costitutivo non esiste materialmente risulta difficile immaginare come la società possa venire effettivamente iscritta all’interno del registro delle imprese.

Altra soluzione è quella che trae spunto dalla Direttiva comunitaria, la quale sembra espressamente riferire l’ipotesi di “mancanza dell’atto costitutivo” all’azione di “inesistenza” della società28; ma poiché la

soluzione dell’inesistenza materiale non appare priva di inconvenienti, è all’inesistenza giuridica dell’atto costitutivo della società di capitali che si rinvia29.

L’inesistenza giuridica abbraccia una serie d’ipotesi in cui la mancanza di elementi dell’atto costitutivo ne impedisce l’identificazione in

28 Dai lavori preparatori della Direttiva comunitaria – e, in particolare, dal

testo dell’articolo 13 del Progetto di Direttiva - emerge il nesso tra l’azione d’inesistenza della società e l’ipotesi della “mancanza dell’atto costitutivo”.

29 Aderiscono a questa prospettiva: Abbadessa [1], 173-174, secondo il quale

“nulla, dunque, si oppone ad interpretare la fattispecie dell’art. 2332, n. 1 nel solo significato compatibile con la direttiva comunitaria e, al tempo stesso, provveduto di qualche autonomo rilievo: a leggervi, cioè, un riferimento all’inesistenza del contratto di società.”; Bocchini, [2] 189; Meridda, 778. Analogamente anche la sentenza della Cassazione, 10 dicembre 1996, n. 10970: “[…] sembrando indubbio che «la mancanza dell'atto costitutivo», letteralmente prevista da tale disposizione come causa di nullità, sia riferibile non soltanto ai casi in cui l'atto costitutivo manchi da un punto di vista materiale (anche perché tale ipotesi, oltretutto di scuola, finisce per essere assorbita da quella contemplata dal n. 2 dello stesso articolo), ma anche alle ipotesi in cui l'atto manchi da un punto di vista giuridico, non corrispondendo, quello concretamente stipulato, ai caratteri essenziali del tipo sociale risultante dalla iscrizione nel registro delle imprese”.

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termini di atto: l’identificazione è impossibile laddove l’incompletezza sia tale da escludere che all’interno dell’atto possa ravvisarsi un contratto di società.

Si è sostenuto che “i soli casi di inesistenza praticamente ipotizzabili rispetto al contratto di società per azioni sono il falso e il difetto di rappresentanza in quanto le altre (discusse) manifestazioni del fenomeno restano di fatto precluse dal preventivo controllo notarile imposto dall’uso vincolato della forma pubblica (non manca, tuttavia, la possibilità di formulare qualche ipotesi di scuola come quella del contratto concluso in stato di ipnotismo da tutti i contraenti, se si accetta l’equazione dell’ipnotismo alla violenza fisica e la tesi che ravvisa in questa una ragione di inesistenza del regolamento contrattuale)”30. Diversa la tesi di chi31, invece, ritiene l’elenco - che

riduce la “mancanza dell’atto costitutivo” al solo falso (materiale o ideologico) e al difetto di rappresentanza - tale da peccare per eccesso e per difetto.

A ben vedere, peraltro, anche l’opinione che guarda alla “mancanza dell’atto costitutivo” come all’ipotesi in cui l’atto non corrisponde ai requisiti che il sistema esige per individuare una società per azioni finisce per potersi ricondurre all’alternativa dell’inesistenza giuridica dell’atto, nonostante lo sforzo di differenziazione: l’ipotesi, infatti, è quella in cui un problema - che in astratto sarebbe di “qualificazione dell’atto” - viene risolto nei termini della “nullità della società”32.

30 Abbadessa [1], 174. 31 Bocchini [2], 190.

32 Così ammette lo stesso Angelici [1], 264-265, nt. 274. La precisazione è

presente anche in Bocchini [2], 197. In questa prospettiva, si ritiene che l’indagine sul “tipo” di società sia, a monte, un’indagine sulla “validità”, instaurando una questione di qualificazione del contratto: una società per azioni atipica - in cui l’atto costitutivo non risponde al tipo della società per azioni -, ancorché iscritta nel registro delle imprese, non potrebbe essere qualificata giuridicamente come società per azioni; ne segue, quindi, l’inesistenza. Dunque, laddove la “mancanza dell’atto costitutivo” s’interpreti quale ipotesi d’inesistenza giuridica dell’atto, al suo interno sarà possibile sussumere anche il caso della società atipica.

In senso conforme anche Pupo, 123, il quale - commentando la sentenza della Cassazione, 10 dicembre 1996, n. 10970 – ritiene che la “mancanza dell’atto costitutivo” sia riferibile all’ipotesi in cui l’atto sia mancante dal punto di vista giuridico, giacché l’atto concretamente stipulato non corrisponde ai requisiti

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La soluzione che, al contrario, interpreta la “mancanza dell’atto costitutivo” come “mancanza dell’atto-consenso” presenta l’inconveniente di allargare la sfera di azione dell’articolo 2332 cod. civ. al punto da vanificare la portata riduttiva del principio di tassatività, eccedendo lo scopo della norma e – prima ancora – della Direttiva, che ne è all’origine. Il principio di tassatività, infatti, finirebbe per aprirsi, così da far rifluire all’interno della disposizione molte delle cause di nullità dei contratti in generale e, in particolare, quelle che ruotano attorno ai vizi del consenso.

Se le interpretazioni più o meno estensive della nullità per “mancanza dell’atto costitutivo” non appaiono conformi alla ratio della Novella del 1969 – che sceglie di restringere, anziché allargare, le probabilità di una dichiarazione di nullità -, una parte della dottrina33 ha preferito

indagare il significato dell’espressione nella direzione della “mancanza” quale inesistenza materiale. In questa prospettiva, non sarebbe, allora, condivisibile la tesi di chi rileva che l’interpretazione letterale, quindi la mancanza materiale dell’atto, andrebbe respinta, argomentando che “la fattispecie «società nulla» presuppone […] l’iscrizione, che evidentemente non può intendersi come iscrizione di un … niente”34. Tra i sostenitori dell’inesistenza quale mancanza

materiale si tiene, infatti, conto di tale critica, ammettendosi che se l’atto costitutivo non esiste materialmente, “resta in pratica difficile immaginare come la società possa venire effettivamente iscritta nel registro delle imprese e ciò anche volendo tutto concedere alla

essenziali del tipo sociale. L’Autore afferma: “In realtà, l’interpretazione più appropriata del 2332, n. 1 sembrerebbe dunque proprio quella che la Cassazione fa propria nel caso di specie, quella cioè che vede la norma in questione sanzionare con la nullità quello che, in una logica contrattuale, sarebbe un problema di qualificazione, cioè a dire l’ipotesi che i profili della società, come rivelati dall’iscrizione, non corrispondano a quelli propri di una società per azioni; che, in definitiva, quello iscritto non sia l’atto costitutivo di una società per azioni (che, da questo punto di vista si potrebbe, dunque, considerare mancante)”.

33 Borgioli, 364-365, il quale è, tuttavia, favorevole anche a un’interpretazione

più ampia, che assimili alla “mancanza dell’atto costitutivo”, quale mancanza materiale del documento, l’ipotesi particolare in cui l’atto costitutivo sia assolutamente falso; Palmieri [1], 77.

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distrazione dei giudici chiamati a svolgere l’attività di omologazione e alla dabbenaggine dei cancellieri”35; ma si aggiunge anche che “d’altro

canto, perché la prescrizione di cui al n. 1 operi, è presupposto che la società sia stata iscritta, per cui è gioco forza ammettere che, in qualche modo, si sia arrivati a tale formalità”36. Si tratterebbe, quindi,

di una “specie di circolo vizioso, creato dallo stesso legislatore, al quale sembrerebbe si possa sfuggire solo immaginando ipotesi più o meno di scuola o estravaganti”37. D’altra parte, tale dottrina osserva che le

tesi dell’inesistenza giuridica e della simulazione assoluta non sembrano condivisibili anche alla luce del testo della Direttiva comunitaria, che intendeva colpire solo il dato formale della mancanza del documento e, quindi, non lasciava spazio ad altre ipotesi oltre a quella. Anche per questo, allora, il significato della formula non andrebbe ricercato nella direzione dell’inesistenza giuridica o della simulazione assoluta “(che altrimenti si finirebbe col reintrodurre per la finestra gran parte di quelle cause di invalidità che si sono volute estromettere dalla porta)” 38, ma solo nella direzione dell’inesistenza

materiale. Altra dottrina ritiene, poi, che sarebbe la stessa analisi dell’iter formativo della disposizione a consentire un pieno chiarimento del significato della formula “mancanza dell’atto costitutivo” e a “ribadire che è improponibile un’interpretazione diversa da quella letterale, anche se ciò comporta l’inapplicabilità della stessa norma”39, giacché un’interpretazione di questo tipo non è priva

d’inconvenienti. Le ipotesi che l’articolo 2332 cod. civ. prevede - separate e autonome - ai numeri 1, 2 e 3 nascono, infatti, come fattispecie alternative tra loro40. Invero, la Direttiva comunitaria ha

l’obiettivo di tutelare il rispetto della regolarità formale del procedimento costitutivo della società di capitali e la formulazione di

35 Borgioli, 362. 36 Borgioli, 362. 37 Borgioli, 362. 38 Borgioli, 364. 39 Palmieri [1], 79.

40 L’articolo 11, n. 2 lett. a della Direttiva 9 marzo 1968, n. 151 stabiliva

espressamente la nullità della società nell’ipotesi di “mancanza dell’atto costitutivo oppure inosservanza delle formalità relative al controllo preventivo o della forma di atto pubblico”.

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tre cause di nullità diverse è funzionale all’applicazione della disposizione all’interno di ciascuno Stato membro della Comunità. La difformità tra le discipline nazionali impone alla Direttiva di immaginare le possibili anomalie del momento costitutivo, ma non genera l’obbligo di un loro integrale recepimento41. Al contrario, il

legislatore nazionale non solo trascura la possibilità di escludere un’integrazione tout court delle ipotesi di nullità, ma ne viola l’alternatività, separandole, “senza, peraltro, tenere conto che le prime due si sarebbero dimostrate del tutto inapplicabili e foriere di inutili questioni interpretative”42. Ad ogni modo, la dottrina43 ritiene che,

benché l’operazione di adattamento del legislatore appaia imprecisa alla luce della portata della norma comunitaria, se accogliere una prospettiva estensiva nell’interpretazione della formula finisce per deviare dallo scopo della Novella, non sarebbe possibile accordare alla disposizione un significato diverso dal suo valore letterale; ciò anche se la nullità per “mancanza dell’atto costitutivo”, assimilata alla mancanza materiale, finisce per trovare rappresentazione, nel nostro ordinamento, solo in casi di scuola.

Per la verità, simili conclusioni scontano un forte limite: contro l’interpretazione della mancanza dell’atto costitutivo quale inesistenza materiale del documento milita, infatti, il presupposto dell’articolo 2332 cod. civ., cioè, la considerazione che la fattispecie “società nulla” presuppone l’iscrizione nel registro delle imprese. A tale limite la dottrina che critica l’interpretazione letterale ha fatto riferimento, affermando che immaginare la mancanza come una mancanza materiale appare difficile poiché si tratterebbe di immaginare l’“iscrizione di un … niente”44. Peraltro, parlare di “ipotesi di scuola o

41 Infatti, se per alcuni paesi (come il Belgio e il Lussemburgo) era incongruo

accogliere la nullità dell’atto costitutivo per “inosservanza del controllo preventivo”, non esistendo alcun controllo, ugualmente, in altri Stati, recepire le altre due cause di nullità non era necessario.

42 Palmieri [1], 80.

43 In questo senso: Palmieri, 80-81. 44 Angelici [1], 265, nt. 275.

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estravaganti” 45 - come le definiscono i sostenitori dell’inesistenza

materiale, senza tuttavia identificarle puntualmente -, per sfuggire a un simile inconveniente e superare il “circolo vizioso” che il legislatore avrebbe creato, appare una forzatura dalla tenuta logica labile. Il limite dell’iscrizione dell’atto nel registro - presupposto ineliminabile dell’articolo 2332 cod. civ. -, semmai, resta ed è, per questa ragione, che l’interpretazione della formula in termini di mancanza materiale del documento appare illogica e difficilmente sostenibile.

L’ultima ipotesi invalidante contempla la nullità della società di capitali a causa della “mancanza della pluralità dei soci fondatori” (n. 8).

La formula – come la “mancanza dell’atto costitutivo” (n. 1) - è “elastica”, perciò ha generato un problema di ordine esegetico e sistematico: si è discussa la possibilità di ricomprendervi – rendendoli, così, passibili di nullità – i casi in cui la società assume la veste di una società di comodo, preordinata a un unico azionista; ipotesi nelle quali la pluralità dei soci fondatori è simulata, giacché la società è stata costituita da una sola persona con l’ausilio di uno o più prestanomi compiacenti o con l’intesa che le azioni o le quote, subito dopo la costituzione, si concentrino in capo ad un unico soggetto.

La soluzione prevalente esclude che la “mancanza della pluralità dei soci fondatori” trovi applicazione alla società di comodo, che resta valida46; infatti, “la società fondata da un unico socio è nulla quando

l’unicità […] è «apparente e iniziale», cioè quando essa risulta manifesta dal testo dello stesso atto costitutivo o dai suoi allegati. Così se un solo soggetto stipula tale atto. Ovvero se uno dei due (soli) stipulanti agisca quale mandatario con rappresentanza dell’altro”47.

45 Borgioli, 362. Nel senso di immaginare “ipotesi di scuola” per superare

l’inconveniente dell’iscrizione, che mal si concilia con l’interpretazione nei termini d’inesistenza materiale del documento, anche: Palmieri [1], 80 s.s.

46 In questo senso: Angelici [1], 260; Bocchini [2], 322; Borgioli, 376; Meridda,

790-793; Palmieri [1], 81.

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Si è, altresì, sostenuto che la formula non valga neppure a modificare la disciplina codicistica in tema di società unipersonale (articolo 2362 cod. civ.)48.

Il richiamo normativo alla “mancanza della pluralità dei soci fondatori” si spiegherebbe alla luce della maldestra operazione di attuazione della Direttiva: se il richiamo alla pluralità dei fondatori appare logico quando è riferito a quegli ordinamenti giuridici che, a fini costitutivi, esigono un numero di soci inizialmente superiore a due49, altrettanto non può dirsi per il nostro ordinamento, in cui la

società – che è un contratto - si considera validamente costituita con l’intervento necessario, ma anche sufficiente, di due sole persone. Dunque, la fattispecie dell’articolo 2332, comma 1, n. 8 cod. civ. – escludendone un’interpretazione estensiva, volta a ricondurvi il fenomeno della società di comodo preordinata a un unico azionista – ha un valore sistematico, a conferma della natura contrattuale della società.

1.3. (Segue) Il problema della società simulata.

La questione dell’ammissibilità della simulazione nel campo delle società di capitali e della sua possibile rilevanza come causa di nullità non è nuova e inesplorata, è stata – anzi – riproposta, benché il nuovo testo dell’articolo 2332 cod. civ. abbia elaborato un elenco tassativo d’ipotesi di nullità, in occasione della Novella del 1969. Che l’utilizzazione abusiva della struttura organizzativa della società potesse essere efficacemente repressa attraverso l’applicazione dei principi della simulazione restava, infatti, un’opinione viva.

La configurabilità del fenomeno simulatorio nell’ambito delle società di capitali esige un’indagine che tenga conto dei mutamenti apportati dalla Riforma alla disciplina della nullità e della matrice comunitaria del dato normativo, frutto della Novella. Invero, l’innovazione ha modificato i termini tradizionali del dibattito: la tesi che esclude la

48 Angelici [1], 260; Bocchini [2], 322; Meridda, 791.

49 In Belgio, Francia, Inghilterra e Lussemburgo la società per azioni può

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rilevanza della simulazione rispetto alle società di capitali trae il suo fondamento testuale nella mancata indicazione di questa all’interno dell’elenco tassativo elaborato dall’articolo 2332 cod. civ.; un’assenza che, appunto, diviene il motivo determinante per estromettere la simulazione dalle ipotesi di nullità della società50.

La rinnovata formulazione della norma non ha scoraggiato le opinioni che, al contrario, hanno affermato l’ammissibilità della simulazione considerandola estranea alla nozione e alla categoria della nullità medesima ovvero ritenendo il fenomeno simulatorio suscettibile di rientrare tra le cause di nullità che si presentino “elastiche” nella stesura: la “mancanza dell’atto costitutivo” (n. 1) o la “mancanza della pluralità dei soci fondatori” (n. 8).

Nella direzione dell’estraneità si pone la sentenza della Cassazione 1 dicembre 1987, n. 8939 (la sentenza Jore c. Bocchi)51, che ha escluso la

pertinenza tra l’articolo 2332 cod. civ. e la simulazione.

La Cassazione ha ritenuto invalida per simulazione una società per azioni la cui effettiva attività si limitava all’acquisto e alla cessione in affitto di un fondo rustico, quindi non costituiva esercizio di un’attività d’impresa commerciale ai sensi dell’articolo 2247 cod. civ. Tuttavia, la sentenza non riconduce la simulazione dell’atto costitutivo alla categoria della “nullità” ma all’”inesistenza” della società e - giacché il fenomeno simulatorio non si considera compreso tra le fattispecie di nullità dell’articolo 2332 cod. civ. - la disciplina della comunione si applica direttamente e retroattivamente, senza ostacoli.

Qui non emerge il conflitto che si determinerebbe tra la disposizione dell’articolo 2332 cod. civ. e l’articolo 2248 cod. civ. se si accogliesse una ricostruzione che ipotizzi l’inclusione della simulazione tra le cause tassative di nullità e l’estensione della disciplina della comunione anche alle ipotesi in cui questa sia mascherata in forma di società: l’articolo 2248 cod. civ. esige, infatti, che alla comunione dissimulata in forma di società si applichi la disciplina della

50 Nel senso dell’esclusione: Angelici [1], 260-261 e Borgioli, 379 s.s.

51 Cass., 1 dicembre 1987, n. 8939, in Giur. Comm., 1988, II, 495 s.s. e in Riv.

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comproprietà; al contrario, l’articolo 2332 cod. civ. applica le regole della società alla stessa fattispecie ma ne impone la liquidazione una volta che la simulazione sia stata svelata e la nullità accertata.

La Cassazione sceglie l’estraneità dei fenomeni simulatori alla categoria della nullità, perciò si supera il conflitto tra le due disposizioni e trova applicazione la disciplina della comunione52: la

realtà effettiva, mascherata dall’apparenza della società, si traduce nell’inesistenza dell’attività imprenditoriale, giacché, in realtà, tra gli apparenti soci esiste una semplice situazione di comproprietà.

La Corte applica la disciplina della comunione senza tenere conto della personalità giuridica societaria conseguita dall’apparente società. La sentenza, infatti, propone il superamento dello “schermo” della personalità giuridica societaria come conseguenza della difformità tra la causa dichiarata e quella attuata. Così, lo svolgimento di un comportamento attuativo diverso da quello dichiarato all’interno dell’atto costitutivo – nel caso di specie un puro godimento – svela la simulazione e, in ragione dell’iter argomentativo che la Cassazione percorre, l’applicazione diretta delle regole della fattispecie che si sia concretamente realizzata (l’articolo 2248 cod. civ.) ne è il corollario53.

In senso critico, si è rimarcato54 come la soluzione che la pronuncia

propone non offra, in realtà, risultati utili per dimostrare la compatibilità tra lo schema della simulazione e il contratto di società di capitali. Si osserva che l’opinione prevalente sembra orientata alla nullità (o all’inefficacia) e non accoglie l’ipotesi dell’inesistenza del negozio simulato. Si aggiunge, poi, che anche laddove si scegliesse di aderire alla tesi che svincola la fattispecie della simulazione dall’articolo 2332 cod. civ., questo troverebbe – in ogni caso - applicazione: il termine “nullità” non deve intendersi in senso tecnico, dunque al suo interno rifluiscono anche le ipotesi in cui l’atto costitutivo sia inesistente. Ciò sembra confermato anche dalla circostanza che la Direttiva comunitaria esclude la soggezione della

52 In questi termini: Marasà [2], 171, commentando la sentenza 1 dicembre

1987, n. 8939.

53 Così osserva Marasà [2], 171.

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società alle cause d’inesistenza, nullità assoluta o relativa e annullabilità al di fuori delle ipotesi di nullità espressamente previste, esaurendo, così, tutti i possibili casi di eliminazione di una società viziata55.

L’ammissibilità del fenomeno simulatorio nell’ambito delle società di capitali è stata sostenuta56 anche guardandosi alla possibilità di

sussumere la simulazione tra le cause tassative di nullità della società di capitali, che l’articolo 2332 cod. civ. prevede. In quest’ottica, non pare condivisibile l’opinione che assimila il silenzio del legislatore a una negazione di rilevanza; anzi, la flessibilità che distingue alcune ipotesi di nullità contribuisce alla debolezza dell’argomento letterale e “offre ampio spazio per la simulazione sia, in generale, sub specie di «mancanza dell’atto costitutivo» sia, con particolare riguardo alle società di comodo costituite tramite interposizione fittizia di persone, sub specie di «mancanza della pluralità dei soci fondatori»”57.

L’opinione che esclude la configurabilità della simulazione nella società di capitali muove, al contrario, proprio dall’argomento testuale della tassatività e fa leva sull’esigenza di un’interpretazione restrittiva delle cause di nullità.

Già all’indomani della Novella, una parte della dottrina58 aderiva

all’impossibilità di utilizzare lo schema della simulazione, sia pure con argomentazioni diverse. Invero, se tra gli Autori l’origine dell’estromissione poggia sulla lettera della disposizione, sono

55 Anzi, proprio il fatto che la formula di chiusura dell’articolo 11 (“fuori di

questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità”) non trovi fedele traduzione all’interno dell’articolo 2332 cod. civ. - che si limita ad una formulazione solo sintetica del principio di tassatività (“la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi”) - renderebbe evidente l’esigenza di un’interpretazione della nullità delle società di capitali coerente con la lettera e con lo spirito della Direttiva comunitaria, al fine di superare le proposte interpretative delle cause di nullità che appaiono con questa incompatibili.

56 Marasà [1], 567 s.s.; Marasà [2], 171. 57 Marasà [1], 576.

58 Abbadessa [1], 174-175; Angelici [1], 260; Bocchini [1], 170 s.s.; Bocchini

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peculiari le conclusioni a cui approda Bocchini59, che – non senza

esporsi a critiche60 - afferma l’irrilevanza in generale della simulazione

ma osserva anche che la disposizione dell’articolo 1414 cod. civ. trova applicazione “solo nell’ipotesi in cui il contratto di società permanga tra i soci originari e questi siano partecipi del concerto simulatorio”61;

al contrario, se si realizza la circolazione delle partecipazioni azionarie, la disposizione non si applica nei confronti dei terzi in buona fede. Anche la dottrina più recente62 ha negato l’ammissibilità del fenomeno simulatorio nell’ambito delle società di capitali e la sua riconducibilità alle cause di nullità “elastiche”, che l’articolo 2332 cod. civ. introduce a seguito della Riforma. Tra le ragioni che giustificano l’impossibilità di ritenere configurabile la nullità della società per azioni a causa della simulazione offre spunti di riflessione l’opinione63 che argomenta anche oltre la lettera della

norma: non è solo in ragione dell’assenza della fattispecie tra le cause di nullità e in forza della difficoltà che s’incontrano quando, qui, si voglia inserirla in via interpretativa che lo schema della simulazione non sembra utilizzabile, giacché anche la disciplina degli effetti della nullità, disegnata dall’articolo 2332 cod. civ., è incompatibile con quella che l’articolo 1414 cod. civ. e le norme seguenti contemplano; il che, peraltro, riflette la diversità degli interessi che le due disposizioni intendono tutelare. Ugualmente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione64 ha avallato l’interpretazione restrittiva dell’articolo 2332 cod. civ., sostenendo che l’assenza della simulazione all’interno del novero delle cause di nullità legittima l’inammissibilità della fattispecie nell’ambito delle società di capitali. Il nuovo orientamento produce l’abbandono del precedente:

59 Bocchini [1], 170 s.s.; Bocchini [2], 146 s.s. 60 Angelici [2], 199-201. 61 Bocchini [1], 185; Bocchini [2], 146. 62 Palmieri [1], 90 s.s.; Cian [1], 470 s.s.; Sciuto [2], 241 s.s. 63 Palmieri [1], 90 s.s. 64 Cass., 17 novembre 1992, n. 12302; Cass. 14 maggio 1992, n. 5735; Cass., 28 aprile 1997, n. 3666.

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