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L’ampiezza e i limiti della tutela obbligatoria nelle operazioni straordinarie.

senso critico ritenendo che non siano percorribili soluzioni tali da aggirare il

3. Tutela reale e tutela obbligatoria: le operazioni straordinarie quale esempio della tendenza al ridimensionamento della

3.2. Residui margini della tutela reale dopo l’iscrizione.

3.3.1. L’ampiezza e i limiti della tutela obbligatoria nelle operazioni straordinarie.

Pur traducendo l’inclinazione legislativa alla migrazione della tutela sul piano obbligatorio a seguito dell’adempimento delle formalità pubblicitarie richieste, gli articoli 2504 quater e 2500 bis cod. civ. mancano di specificare l’ampiezza e i limiti di una tale protezione. Il tenore generico delle disposizioni non fornisce, infatti, alcuna indicazione a proposito dei profili di legittimazione attiva e passiva alle azioni risarcitorie, circa l’estensione del danno risarcibile e la prova della lesione medesima, rimettendone perciò la concreta determinazione all’interprete.

Autorevole dottrina ha osservato221 come, per la verità, il carattere

centrale e pressoché esclusivo della tutela risarcitoria avrebbe fatto auspicare una maggiore attenzione e puntualità legislativa nell’articolare la disciplina dedicata alla materia. Il legislatore

nazionale avrebbe potuto, cioè, costruire la nuova normativa sull’esempio tedesco, giacché – come, peraltro, ammette la Relazione allo Schema di legge delegata per l’attuazione della terza e della sesta Direttiva - il prototipo della normativa nazionale, almeno in tema d’invalidità della fusione e della scissione, è proprio la soluzione adottata con la legge 25 ottobre 1982 in Germania. Anche le disposizioni tedesche prevedono, infatti, un notevole ridimensionamento della tutela reale o demolitoria e individuano nella tutela obbligatoria il contrappeso di una tale inclinazione, ma lo fanno in termini non generici e, in particolare, accordando ai soggetti lesi strumenti di tipo risarcitorio particolarmente efficaci.

L’indagine sugli articoli 2504 quater e 2500 bis. civ. - che, in virtù della genericità delle disposizioni, va, invece, inevitabilmente condotta sul piano ermeneutico – evidenzia, però, che il contenuto precettivo delle due norme non si esaurisce negli argomenti che già trovano espressione all’interno degli articoli 2043 e 2395 cod. civ., ma acquista una “connotazione [che, in realtà, è] autonoma ed ulteriore”222; invero,

dottrina autorevole, a proposito dell’invalidità della fusione e della scissione e prima della Riforma del 2003, guarda all’articolo 2504 quater cod. civ. come a una soluzione che “si presta ad assumere una colorazione speciale”223.

In primo luogo, diversamente dall’articolo 2395 cod. civ., l’ampiezza con cui le due disposizioni sono formulate sembrerebbe accogliere nell’area della protezione obbligatoria anche l’ipotesi in cui il danno non si sia prodotto direttamente ma sia, al contrario, indiretto o riflesso224. Giova, peraltro, notare che l’ambito di operatività della

tutela obbligatoria subisce un’evidente variazione in ragione della nozione di danno che s’intenda adottare: se si ritiene rilevante ai fini risarcitori il solo danno diretto – quello che, appunto, l’articolo 2395 cod. civ. richiama per giustificare l’azione individuale del socio o del terzo, diretta all’accertamento della responsabilità degli

222 Iermano, 425. E così osserva anche Santagata, 692-693. 223 Angelici [3], 272.

amministratori225 – si fa riferimento unicamente al danno che si

produce in modo immediato nel patrimonio del singolo socio, a fronte dell’atto societario viziato; se, al contrario, il danno risarcibile è anche quello indiretto, il riferimento è altresì a una lesione che il socio subisce pro quota, quale conseguenza riflessa dell’impoverimento del patrimonio della società. Il risultato, dunque, è che ove si accolga la sola nozione di danno diretto, la tutela obbligatoria subisce una considerevole limitazione del proprio spazio operativo; il che si traduce anche in un argomento che, di fatto, dà sostegno alla tesi - talvolta sostenuta - che individua la tutela obbligatoria o risarcitoria quale strumento con un minor grado di effettività rispetto a quella reale o demolitoria226.

La dottrina227 ha, peraltro, osservato che nell’ordinamento nazionale

esistono talune ipotesi in cui appare possibile applicare la tutela obbligatoria anche alla presenza di un danno indiretto e, tra queste, ha richiamato quella specifica in cui l’assemblea straordinaria approva una delibera di fusione con una società che, tuttavia, ha un patrimonio incapiente. Se in questo caso la deliberazione trova esecuzione, il patrimonio della società si riduce e, di riflesso, anche i soci subiscono un danno pro quota - quindi indiretto - che, nella prospettiva estensiva, deve però considerarsi risarcibile.

225 Pinto [1], 921 osserva che “è pacifico, quantomeno in linea di principio, che

per «danno diretto» debba intendersi il pregiudizio arrecato dagli amministratori al patrimonio individuale dei soci e dei terzi nella «neutralità» del patrimonio sociale”; Pinto [1], 929 aggiunge che il requisito del «danno diretto» “costituisce la «proiezione» sulla fattispecie di illecito civile di cui all’art. 2395 c.c. delle regole societarie tese, ad imprimere un vincolo sul patrimonio d’impresa: il divieto fatto al socio di ottenere per sé il risarcimento di un danno subito «indirettamente» è funzionale ad impedire che, quando si tratti di risarcire un pregiudizio cagionato dagli amministratori al patrimonio della società, si verifichi quel deflusso «incontrollato» di valori patrimoniali dalla sfera sociale alla sfera individuale dei soci che le regole sul capitale intendono prevenire”.

226 Contra, con riguardo alle fusioni, Genovese [1], 104: “Neppure si può

disconoscere che ai fini della tutela della posizione partecipativa il rimedio risarcitorio possa funzionare, in ultima analisi, in modo più soddisfacente di quello invalidativo. Dunque la previsione dell’articolo 2504 quater cod. civ. non determina diminuzioni di tutela per il socio”.

Le due disposizioni sul regime d’invalidità delle operazioni straordinarie svincolano, poi, l’esercizio dell’azione dei soci o dei terzi pregiudicati dalla prova dell’elemento soggettivo – il dolo o la colpa – dei soggetti che hanno causato il danno228; con ciò, allontanandosi

dall’articolo 2043 cod. civ.

Una tale impostazione normativa apre a un altro tema capace d’incidere sull’ampiezza della tutela obbligatoria, quello della sua configurazione in termini risarcitori o indennitari. Invero, se la tutela obbligatoria acquista il carattere di protezione indennitaria, è un mezzo diretto a riparare le alterazioni negative del patrimonio ed è indipendente dalla causazione del danno con dolo o con colpa, perciò si avvicina alla tutela reale; diversamente, se la tutela obbligatoria ha natura risarcitoria (contrattuale o extracontrattuale), richiede, in ragione delle regole generali, che il danno sia frutto di una condotta colposa o dolosa.

Si osserva229 che la scelta di svincolare la tutela obbligatoria dai

requisiti soggettivi è la conseguenza della preoccupazione di costruire un rimedio che, sia pure su un piano diverso, sostituisca e – nei limiti in cui ciò è possibile – sia anche equivalente a quello reale230. Ma a

proposito dell’indagine sulla natura della tutela, con riguardo alle operazioni di fusione, dottrina autorevole ha, poi, precisato che, “posto che l’attivazione della tutela obbligatoria è in ogni caso svincolata dalla prova dell’elemento soggettivo, appare allora scarsamente feconda

228 Così osservano: Santagata, 692-693; Iermano, 425-426; Sacchi [1], 155. 229 Sacchi [1], 155-156. 230 Sulla tendenza a costruire un sistema di tutela equivalente a quello reale, la dottrina ha sollevato talune osservazioni critiche: Pinto [2], 861 – a proposito delle deliberazioni dell’assemblea - ha osservato che “è lo stesso obiettivo di raggiungere il massimo livello di equivalenza possibile del rimedio obbligatorio rispetto al rimedio reale, che rappresenta il fine ultimo delle tesi indennitarie, ad apparire di dubbia compatibilità con il sistema normativo”; Beltrami [2], 177 s.s. osserva come, secondo l’opinione prevalente, l’indennizzo sia una forma di «compensazione» monetaria della lesione apportata da un atto legittimo ad un bene, al fine di riequilibrare il pregiudizio arrecatogli e non di reagire a un danno antigiuridico. Ma se il presupposto dell’indennizzo è la legittimità dell’atto, allora la tesi della natura indennitaria della tutela obbligatoria offerta dall’articolo 2504 quater, comma 2 cod. civ. non sembrerebbe condivisibile: qui, infatti, il presupposto per l’esperibilità dell’azione sarebbe proprio l’invalidità/illegittimità dell’atto.

una prospettiva d’indagine tesa ad appurare la sua natura indennitaria o risarcitoria”231.

Manca anche qualsiasi indicazione limitativa sulla legittimazione attiva e passiva all’esercizio dell’azione risarcitoria, di cui all’articolo 2504 quater, comma 2 e 2500 bis, comma 2 cod. civ.232. Una simile

ampiezza fa sì che le due categorie debbano essere intese in senso ampio, per cui i legittimati attivi, quindi i soci, i creditori e i terzi lesi dall’operazione viziata, possono agire – anche contestualmente – contro i legittimati passivi, quindi gli amministratori, i sindaci, gli esperti o la società di revisione, e la stessa società risultante dalla fusione.

Tra i legittimati passivi si annovera altresì il socio di controllo: la dottrina233 osserva, infatti, che l’estensione della responsabilità a

quest’ultimo si giustifica in ragione di un coordinamento, che sembra necessario, tra le disposizioni in esame e il principio della corretta gestione societaria e imprenditoriale, previsto in tema di esercizio di attività di direzione e coordinamento, di cui all’articolo 2497 cod. civ. Quanto ai limiti circa l’operatività della tutela obbligatoria possono richiamarsi le perplessità che investono le modalità della riparazione e, in particolare, la possibilità di accordare un risarcimento in forma specifica al danno causato dall’operazione straordinaria viziata. Nell’ambito della fusione, ad esempio, l’ipotesi più frequente di danno ai soci è quella che consiste nell’incongruità del rapporto di cambio ed è a questo proposito che si discute se il giudice abbia il potere e il dovere di correggere il rapporto di cambio e di riassegnare le azioni, così da ripristinare la violata parità di trattamento tra i soci delle società partecipanti alla fusione234. Una parte della dottrina235 adotta

una soluzione favorevole, ritenendo che il giudice possa modificare il rapporto di cambio incongruo in ragione della neutralità di un tale

231 Santagata, 648 e 687-688.

232 In questo senso: Santagata, 693; Iermano, 426.

233 Santagata, 693. Di questa tesi dà conto anche Iermano, 426.

234 Del risarcimento in forma specifica e per equivalente come modalità di

riparazione del danno da fusione, dà conto – in senso critico - Santagata, 656 s.s. e i dubbi sono espressi anche da Iermano, 426-427.

provvedimento rispetto al procedimento di fusione ormai completato; ma si tratta di una scelta che non ha mancato di suscitare dubbi e osservazioni critiche e che altra parte della dottrina236 ritiene, al

contrario, di dover fermamente respingere.

Rispetto alla portata della tutela obbligatoria viene altresì richiamato237 il dubbio che genera l’assenza di unitarietà nella

soluzione del quesito circa la natura, aquiliana o contrattuale, dell’obbligo risarcitorio.

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