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La mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico (n.1).

essenziali del tipo sociale L’Autore afferma: “In realtà, l’interpretazione più

2. La Riforma del 2003: un drastico ridimensionamento delle cause di nullità.

2.2. Tre fattispecie di nullità: ipotesi rare.

2.2.1. La mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico (n.1).

La “mancata stipulazione dell’atto costituivo nella forma dell’atto pubblico” è prevista dall’articolo 2332, comma 1, n. 1 cod. civ. e non solleva questioni interpretative di grande complessità.

L’ipotesi di nullità – peraltro, particolarmente remota – allude, in primo luogo, al caso in cui l’atto costitutivo sia redatto senza osservare le prescrizioni indispensabili per dare vita ad un atto pubblico: l’atto è stipulato nella forma della scrittura privata (con o senza

78 Borgioli, 122, a proposito della disciplina positiva elaborata dal codice del

1942, osservava: “si consideri che i casi in materia d’invalidità della costituzione di società di capitali non sono mai stati molto numerosi”.

autenticazione delle firme) ed è, successivamente, oggetto di un’indebita iscrizione nel registro delle imprese. A questo proposito, è possibile immaginare anche l’ipotesi in cui l’iscrizione dell’atto costitutivo della società sia avvenuta pur mancando l’atto medesimo, cioè in assenza di una qualsiasi documentazione che, a questo, si riferisca80; ma il caso è, in realtà, di scuola e si realizza laddove -

complice l’attuale procedura telematica - si compilino i dati contenuti nella domanda d’iscrizione nel registro delle imprese senza, tuttavia, allegare alcun ulteriore documento.

La “mancata stipulazione dell’atto costituivo nella forma dell’atto pubblico” attiene, altresì, al caso in cui la redazione avvenga alla presenza di un pubblico ufficiale incompetente o incapace81.

Con riguardo alla figura del notaio rogante, ci si è chiesti se questo potesse essere dispensato dalla lettura dello statuto.

Una parte della dottrina, già prima della Riforma del 2003, aveva proposto argomentazioni a favore dell’omissione, osservando come questa circostanza non dovesse inevitabilmente condurre alla nullità della società: lo statuto sociale si considerava, infatti, un allegato dell’atto costitutivo e si riteneva che il notaio potesse non darne lettura quando le parti, che sapessero leggere e scrivere, avessero espresso la loro volontà in questo senso e purché della scelta si fosse fatta menzione all’interno dell’atto medesimo; ciò, in forza della legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89, che così recita all’articolo 51, n. 8. Chi, poi, anche a seguito della Riforma, esclude che all’omessa lettura dello statuto debba seguire la declaratoria di nullità della società, osserva come l’articolo 2332 cod. civ. non abbia ricevuto, in realtà, alcuna effettiva innovazione sul punto e come all’intervenuta modifica dell’articolo 2328, comma 3 cod. civ.82 non possa attribuirsi un

80 In questi termini: Sciuto [3], 423; Avagliano [2], 694; Palmieri [6], 273. 81 In questo senso – prima della Riforma del 2003 - anche Borgioli, 366. 82 Che, riformulato nel 2003, recita: “Lo statuto contenente le norme relative

al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell'atto costitutivo. In caso di contrasto tra le clausole dell'atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde”.

significato tale da far ritenere che anche lo statuto sociale debba, in ogni caso, avere la forma pubblica83.

Non sono, tuttavia, mancate le voci contrarie84. L’opinione che esclude

l’ammissibilità della mancata lettura dello statuto fa leva proprio sulla formulazione post Riforma dell’articolo 2328, comma 3, cod. civ.: si ritiene che lo statuto condivida con l’atto costitutivo la natura di atto pubblico e, a questo, sia materialmente unito (non più meramente allegato), giacché ne è una parte integrante; per questa ragione, esige l’osservanza delle medesime regole garantistiche. Se si accede a questa impostazione, l’eventualità in cui il notaio rogante abbia mancato di dare lettura allo statuto ricade nella “mancata stipulazione dell’atto costituivo nella forma dell’atto pubblico” e al suo verificarsi potrebbe seguire una dichiarazione di nullità della società.

Tra le riflessioni elaborate all’indomani della Riforma, emerge l’opinione che esclude la riconducibilità all’articolo 2332, comma 1, n. 1, cod. civ. di ogni vizio, sostanziale o procedimentale, che non attenga alla forma di atto pubblico dell’atto costitutivo, quindi di ogni anomalia che si presenti indipendentemente dalla veste formale con cui l’atto è redatto85. Questa tesi rifiuta la lettura estensiva della nullità

della società per mancanza della forma dell’atto pubblico; interpretazione che applica la causa di nullità anche all’ipotesi in cui il notaio rogante non abbia correttamente svolto il controllo di conformità dell’atto costitutivo alla legge e alla quale potrebbe indurre la soppressione del controllo preventivo (articolo 2332 cod. civ. comma 1, n. 3 del vecchio testo), giacché, dopo la Riforma, la verifica di legalità è riservata al solo notaio. Si osserva che se si accogliesse quest’orientamento, si finirebbe per dilatare oltremodo la portata della previsione dell’articolo 2332, comma 1, n. 1 cod. civ. in contrasto con il principio di tassatività, che, al contrario, ne raccomanda un’interpretazione stretta.

83 In questo senso: Avagliano [2], 694-698. 84 Tra queste: Palmieri [3], 851; Palmieri [4], 94; Palmieri [6], 273; Fauceglia, 1003. 85 La tesi è sostenuta da: Palmieri [3], 852; Palmieri [4], 94; Palmieri [6], 273.

Un interrogativo, a cui la Riforma del 2003 non sembra aver dato risposta, investe, infine, la portata del requisito della forma dell’atto pubblico: ci si chiede se questa sia richiesta o meno come dato formale ad substantiam ai fini della stipulazione dell’atto costitutivo. L’opinione prevalente si esprime in senso favorevole a un’attribuzione di rilevanza all’atto pubblico ai fini della validità86. 2.2.2. L’illiceità dell’oggetto sociale (n. 2). L’”illiceità dell’oggetto sociale” (n. 2) è la causa di nullità che tutela la legalità dell’agire societario ed è l’ipotesi, senza dubbio, più rilevante tra quelle che la norma in commento prevede.

La Riforma del 2003 innova la formulazione precedente - contenuta all’interno dell’articolo 2332, comma 1, n. 4, cod. civ. vecchio testo - eliminando il riferimento alla “contrarietà all’ordine pubblico” e limitando il nuovo testo alla sola “illiceità dell’oggetto sociale”; l’illiceità assorbe, così, la contrarietà all’ordine pubblico e - abbandonandosi le incertezze che avevano innervato la passata impostazione - a questa si riconduce anche l’ipotesi di contrarietà al buon costume.

Oggi, la nozione d’illiceità accolta dall’articolo 2332, comma 1, n. 2 cod. civ. si considera pacificamente coincidente con quella tradizionale87 di

“contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume”.

Eppure, benché il concetto d’illiceità sia ormai molto ampio, le ipotesi in cui è possibile apprezzare quest’anomalia si riducono, per la maggior parte, ai soli casi in cui l’oggetto sociale sia illecito a causa della contrarietà alle norme imperative. Invero, la contrarietà al buon costume – che, peraltro, è un’ipotesi di scarsa verosimiglianza - e la contrarietà all’ordine pubblico – anche richiamando il concetto di

86 In questo senso, tra gli altri: Palmieri [3], 852; Palmieri [4], 94; Palmieri [6],

273.

ordine pubblico “economico”88 – appaiono fattispecie d’improbabile

realizzazione.

La portata dell’articolo 2332, comma 1, n. 2 cod. civ. dovrà, quindi, misurarsi - in via principale - con l’ipotesi più frequente d’illiceità, quella di contrarietà dell’oggetto sociale alle norme imperative. Ma, in questa prospettiva, l’incertezza a proposito dell’ambito di applicazione della disposizione ha generato un primo nodo problematico: la norma accoglie solo i casi d’illiceità “forte” oppure anche le forme “deboli” d’illiceità dell’oggetto sociale? La prima categoria attiene alle ipotesi in cui l’atto costitutivo della società programmi un’attività che la legge proibisce senza eccezioni; la seconda categoria si riferisce, al contrario, al caso in cui l’atto costitutivo abbia previsto un’oggetto sociale che è lecito in astratto ma, affinché l’attività possa essere in concreto esercitata, si rende necessaria la concessione di speciali autorizzazioni (l’attività bancaria o l’intermediazione mobiliare ne sono un esempio).

Dottrina autorevole si è espressa con favore per l’applicazione dell’articolo 2332, comma 1, n. 2 cod. civ. anche alle ipotesi d’illiceità “in senso debole” 89. Si osserva, infatti, come la distinzione tra le forme

“deboli” e quelle “forti” non trovi giustificazione e appaia priva di senso, giacché un trattamento diverso finirebbe per accordare una protezione giuridica a quelle società che, in ogni caso, si sono costituite e svolgono la loro attività violando norme imperative. L’opinione favorevole all’estensione trova, peraltro, sostegno nella previsione dell’articolo 223 quater comma 2, disp. att., che legittima l’autorità competente al rilascio delle prescritte autorizzazioni (indicate all’interno del comma 1) a proporre l’istanza di cancellazione della società dal registro delle imprese quando l’iscrizione sia avvenuta, nonostante l’assenza o l’invalidità delle autorizzazioni

88 Il riferimento all’ordine pubblico economico è presente in: Palmieri [3],

853; Palmieri [4], 95; Palmieri [6], 274; Sciuto [3], 426.

89 Palmieri [3], 854, ritiene che la distinzione sia “evanescente” e

“ingiustificata”; nello stesso senso anche: Palmieri [4], 95-96; Palmieri [6], 275. Sciuto [3], 426, esclude che “in senso contrario possa invocarsi il principio di tassatività che domina la materia”. Contra l’estensione, invece, Avagliano [2], 699.

medesime. Se il tribunale accoglie la richiesta, si applica proprio l’articolo 2332 cod. civ., quindi la mancanza delle autorizzazioni necessarie ai fini dell’iscrizione genera, in virtù del collegamento legislativo, le conseguenze che la disciplina della nullità delle società di capitali prevede.

È in forza della previsione dell’articolo 223 quater comma 2, disp. att. che si è ventilata l’opportunità di allargare la portata dell’articolo 2332, comma 1, n. 2 cod. civ. fino a comprendere anche le ipotesi d’impossibilità sopravvenuta in fatto dell’oggetto sociale90. La tesi

ritiene che la disposizione di attuazione non si applichi al solo caso di mancanza o irregolarità ab origine dell’autorizzazione prescritta, ma anche al caso di una revoca successiva dell’autorizzazione o a quello in cui la prescrizione di legge sia subentrata dopo l’iscrizione della società, determinando il venir meno dei presupposti che le norme imperative impongono ai fini dell’esercizio dell’attività.

Una seconda questione ha, poi, riguardato il modo in cui la liceità dell’oggetto sociale deve essere valutata, se solo alla luce di quanto previsto dall’atto costitutivo o, al contrario, anche in base all’attività che la società svolga concretamente. L’opinione prevalente ritiene che l’illiceità si apprezzi guardando all’attività dichiarata all’interno dell’atto costitutivo, non anche a ciò che la società abbia effettivamente realizzato. Ciò sembra, peraltro, confermato dalle riflessioni che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha elaborato in occasione della sentenza 13 novembre 1990, causa C-106/89 (la sentenza Marleasing SA c. La Comercial Internacional de Alimentación SA). Invero, la Corte ha chiarito: “la locuzione «oggetto della società» deve essere intesa nel senso che si riferisce all’oggetto della società così com’è descritto nell’atto costitutivo o negli statuti”91.

90 In questi termini: Palmieri [3], 854; Palmieri [4], 96; Palmieri [6], 275;

Sciuto [3], 429.

91 CGUE, 13 novembre 1990, Marleasing SA c. La Comercial Internacional de

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