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La riduzione dei termini ai fini dell’impugnazione.

Il principio di stabilità e l’invalidità dei deliberati.

2. Il principio di stabilità e l’invalidità delle delibere nella società per azioni.

2.2. La riduzione dei termini ai fini dell’impugnazione.

Il secondo gruppo di norme che favorisce la stabilità delle delibere è quello che prevede la riduzione dei termini concessi ai fini dell’impugnazione.

In primo luogo, è a tal proposito necessario distinguere tra le disposizioni dedicate all’annullabilità e quelle che, invece, sono dettate per la nullità delle delibere assembleari.

Per l’esercizio dell’azione di annullamento l’articolo 2377, comma 6 cod. civ. prevede un termine rigido e uguale per tutti i soggetti legittimati, determinando, peraltro, una differenza di rilievo con l’annullabilità negoziale: infatti, se l’annullabilità contrattuale contempla un termine di prescrizione, non diversamente da ciò che avviene per l’esercizio di ogni altro diritto, per l’annullabilità della

300 In questo senso: Pisani Massamormile, 59; Stagno D’Alcontres, 206;

Palmieri-Patriarca, 1121.

301 In questo senso: Conte, 656; Pisani Massamormile, 56; AA. VV. [2], 571;

Stagno D’Alcontres, 206; Palmieri-Patriarca, 1122.

delibera assembleare vi è un termine più breve e di natura decadenziale, con la conseguenza che la previsione di un regolamento della prescrizione in questo ambito finisce per essere inutile303. Il

termine per impugnare la delibera annullabile è pari a novanta giorni, in luogo dei precedenti tre mesi, quindi – pur mantenendone la medesima durata304 - il legislatore della Riforma preferisce esprimersi

in giorni. Benché, poi, il termine decadenziale sia unico, la sua decorrenza è variamente regolata: così, i novanta giorni per proporre l’impugnazione decorrono dalla data della deliberazione, se per questa non è prevista alcuna pubblicità obbligatoria, ma se la decisione dell’assemblea soggiace all’iscrizione nel registro delle imprese o al solo deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, il termine decorrerà dall’adempimento della relativa formalità, indipendentemente dalla data della decisione.

Nelle già richiamate ipotesi tassative in cui la legittimazione ad agire spetta anche alla Consob, alla Banca d’Italia e all’Ivass, il termine per proporre l’annullamento della delibera si allunga, invece, a centottanta giorni.

Chiara appare, quindi, la ratio legislativa; infatti, ai legittimati si attribuisce il potere di domandare l’annullamento della delibera viziata, tuttavia, per tutelare e, anzi, favorire l’interesse dei terzi e della società medesima alla stabilità delle decisioni dell’assemblea e dei loro effetti, l’esercizio di un tale potere resta subordinato a un onere di tempestività: il legittimato deve promuovere l’azione nelle forme di cui all’articolo 2378 cod. civ. e nel termine concesso dalla legge; se, nell’inerzia di chi può agire, il termine decadenziale decorre inutilmente, l’annullabilità non può più essere fatta valere.

In virtù dell’attuale disciplina, lo stesso termine decadenziale vale, poi, altresì per l’azione di risarcimento del danno, attribuita ai soci privi del diritto di voto o che non raggiungano il possesso azionario minimo ai fini dell’impugnazione, in alternativa all’azione di annullamento.

303 Così osserva: Patriarca, 1075.

304 Merita, tuttavia, precisare che nella pratica possono esservi, in realtà,

Qui, tuttavia, un tale termine appare “piuttosto stretto ed inadeguato”305. Invero, la dottrina306 osserva come sia improbabile che

nei novanta giorni previsti il danno possa essersi già manifestato in pieno e se ne possano, addirittura, raccogliere le prove. E si è autorevolmente affermato307 che anche dalle disposizioni sul nuovo

rito societario, disegnato dal Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, si evince la tendenza legislativa a preferire la sanzione obbligatoria; eppure, anche in questo contesto e con riguardo alla relativa azione, il legislatore ha scelto di operare restrittivamente, ritenendo, quindi, di dover perseguire, anche qui, l’obiettivo della stabilità308.

Nell’ambito della nullità, l’intento restrittivo del legislatore è ancora maggiore. Uno dei rivolgimenti più rilevanti operati dalla Riforma sul testo dell’articolo 2379 cod. civ. consiste, infatti, nella caducazione del rinvio all’articolo 1422 cod. civ., volto a ribadire il principio contrattuale dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità, anche per le delibere assembleari. Il testo novellato della disposizione deroga alla disciplina della patologia negoziale e stabilisce un termine triennale, tanto per esercitare l’azione di nullità, quanto per rilevare d’ufficio il vizio; il che dimostra, peraltro, l’unitarietà del termine decadenziale, proprio come accade a proposito dell’annullabilità. È evidente che la decadenza dal diritto a impugnare è inserita anche in questo caso - ma ex novo e con riguardo a vizi più gravi di quelli che provocano l’annullamento – con l’intento di rafforzare la stabilità degli atti societari e consentire che possano continuare ad avere esecuzione. Anche la decorrenza di tale termine è variamente regolata: l’azione deve essere, infatti, proposta entro tre anni dall’iscrizione o dal deposito nel registro delle imprese della delibera, ma se la decisione non soggiace a simili formalità, l’impugnativa deve essere proposta entro tre anni dalla trascrizione della delibera nel libro delle adunanze dell’assemblea. L’unica eccezione è quella delle delibere che

305 Pisani Massamormile, 59.

306 Pisani Massamormile, 59; Patriarca, 1077. 307 Pisani Massamormile, 60.

308 V’è, tuttavia, anche chi sostiene che in questo caso il termine decorra da

modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, giacché per queste il termine decadenziale viene meno e si mantiene il principio negoziale dell’imprescrittibilità dell’azione. Come si è già osservato, tuttavia, tali casi sono “di scuola”, dunque di remota ricorrenza, dato il preventivo controllo notarile, e non possono essere presi troppo in considerazione al fine di valutare in concreto la sorte effettiva del novellato articolo 2379 cod. civ.

Gioca in senso ancor più restrittivo la disposizione contenuta nell’articolo 2379 ter cod. civ., a proposito dell’invalidità delle delibere di aumento e di riduzione reale del capitale o di emissione di obbligazioni. In questo caso, infatti, il termine per impugnare subisce un’abbreviazione rilevante o, addirittura, la proponibilità della domanda è esclusa. La nuova norma prevede che l’azione per la dichiarazione di nullità di tali deliberazioni non possa essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della delibera medesima nel registro delle imprese. Quando, poi, la nullità segue alla mancata convocazione dell’assemblea, il termine decadenziale è di novanta giorni dall'approvazione del bilancio d'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata, anche parzialmente, eseguita. La dottrina spiega che la diversificazione del termine d’impugnazione delle delibere nulle per omessa convocazione poggia sulla “necessità di conciliare la stabilizzazione anticipata delle delibere de quibus con quella di garantire comunque «l’effettività del diritto di impugnazione»”309, quindi l’esigenza è quella di assicurare ai

legittimati l’effettiva conoscibilità della delibera. Invero, se la possibilità di sapere dell’avvenuta adozione della delibera, nonostante la mancata convocazione dell’assemblea, è agevole nel termine normale di tre anni, diventa, al contrario, aleatoria se il tempo per l’impugnazione è ridotto e il rischio è di compromettere troppo il diritto d’impugnazione. Se la delibera è stata eseguita, anche parzialmente, la sua esistenza si può però desumere dall’esame del bilancio ed è per questa ragione che il termine decadenziale di

novanta giorni si fa decorrere dall'approvazione del bilancio d'esercizio corrispondente.

Ma la soluzione è ancora più drastica nelle società che fanno appello al pubblico risparmio, giacché, qui, l’esigenza di certezza sulla definitività degli effetti di simili deliberazioni è avvertita in misura più forte, infatti, impugnare la delibera e eliminarne gli effetti incide in maniera rilevante sulla stabilità del mercato. La novellata normativa stabilisce, pertanto, che l'invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata una volta che, nel registro delle imprese, sia stata iscritta l’attestazione che tale aumento è stato anche parzialmente eseguito; e l’esecuzione, anche parziale, preclude la pronuncia d’invalidità delle delibere di riduzione reale del capitale sociale o di emissione di obbligazioni. È chiaro, allora, che il secondo comma dell’articolo 2379 ter cod. civ. gioca alla stregua di un meccanismo di “conservazione”, quindi di sanatoria, delle decisioni dell’assemblea in esso contemplate.

Nel nucleo delle norme che rafforzano la stabilità delle delibere dell’assemblea riducendo i termini per impugnare, può farsi rientrare anche l’articolo 2434 bis cod. civ. Esso prevede che le azioni di cui agli articoli 2377 e 2379 cod. civ. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo; è, semmai, impugnabile solo il bilancio successivo. La disposizione gioca, quindi, in termini di preclusione dell’impugnativa, analogamente all’esclusione di cui all’articolo 2379 ter, comma 2 cod. civ., e – come questa – può considerarsi un meccanismo di “conservazione” o di sanatoria delle delibere viziate. La ratio della norma si spiega, peraltro, alla luce del principio della continuità dei bilanci, secondo cui i bilanci devono essere redatti di anno in anno in base agli stessi criteri di valutazione, salva la deroga espressamente motivata; se c’è un vizio di contenuto del bilancio precedente, ad esempio del 2015, questo si rifletterà anche sul bilancio di esercizio successivo, quindi del 2016, perciò, impugnando il bilancio successivo, basato su quello precedente, sarà ancora possibile far valere tale vizio.

Ma se il rinvio alla nullità, quindi all’articolo 2379 cod. civ. non pone problemi, giacché l’effetto è quello di derogare al termine triennale concesso per promuovere l’azione, il richiamo all’articolo 2377 cod. civ., a proposito dell’annullabilità, genera considerazioni più problematiche. L’articolo 2377, comma 6 cod. civ. prevede, infatti, un termine di decadenza pari a novanta giorni che, di regola, decorrono molto prima del momento di approvazione del bilancio dell’esercizio successivo; che è il termine di riferimento per far scattare la preclusione dell’articolo 2434 bis, comma 1 cod. civ. Dottrina autorevole310 esclude, perciò, che quest’ultimo sia tale da sostituire la

previsione dell’articolo 2377, comma 6 cod. civ., producendo l’allungamento del termine di novanta giorni per proporre l’annullamento sino al momento dell’approvazione del bilancio di esercizio successivo. Ciò sarebbe contrario alla ragion d’essere stessa della disposizione dell’articolo 2434 bis, comma 1 cod. civ., che, semmai, vuole limitare e precludere le azioni d’impugnazione e non prolungarne i termini. La preclusione finisce per assumere, allora, una portata puramente teorica con riguardo all’azione di annullamento e potrebbe valere nel solo caso in cui il bilancio del precedente esercizio sia stato approvato o depositato con notevole ritardo e, quindi, il termine di novanta giorni non sia ancora scaduto al momento dell’approvazione del bilancio successivo311.

2.3. I meccanismi giuridici di “conservazione”. In particolare:

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