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Confronto tra gestione attiva e passiva nei Fondi d'Investimento Il caso AMUNDI ASSET MANAGEMENT

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE -3- CAPITOLO 1. L’ASSET MANAGEMENT -6- 1.1 Considerazioni iniziali -6-

1.1.1 La gestione collettiva del risparmio -10-

1.2 Aspetti normativi -15-

1.3 La storia del risparmio gestito -19-

1.3.1 Evoluzione del contesto di riferimento -19-

1.3.2 Analisi dello scenario italiano -23-

CAPITOLO 2. LA SGR -28-

2.1 Che cosa è una Società di Gestione del Risparmio? -28-

2.2 La struttura -31- 2.3 Le attività -38- 2.4 La vigilanza -39- CAPITOLO 3. I FONDI D’INVESTIMENTO -45- 3.1 Definizione e tipologie -45- 3.2 Gli ETF -56- 3.2.1 Le caratteristiche principali -56- 3.2.2 Le diverse tipologie -60-

3.3 La struttura dei costi -64-

CAPITOLO 4. ANALISI E CONFRONTO -67-

4.1 I prodotti oggetto di analisi -67-

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4.1.2 AMUNDI ETF MSCI EMERGING MARKETS UCITS ETF-EUR -70-

4.2 L’indice di riferimento -73-

4.3 La composizione: ieri, oggi e domani -77-

4.4 Le misure di performance e di rischio -85-

4.4.1 Il rendimento -85-

4.4.2 Il rischio -89-

4.4.3 Le Risk Adjusted Performance -92-

L’indice di Sharpe -93-

L’indice di Treynor -96-

L’indice di Modigliani -97-

L’alfa di Jensen -99-

4.5 I risultati del confronto -101-

4.5.1 Panoramica generale -101-

4.5.2 Applicazione degli indici -104-

CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE -118-

5.1 Rischi e benefici dei due modelli -119-

5.2 Un futuro sempre più tecnologico -121-

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA -124-

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INTRODUZIONE

Dicembre 2017, nuovo record per il risparmio gestito, il cui patrimonio complessivamente raccolto supera quota 2’050 Miliardi di euro per la prima volta. Lo sviluppo dell’industria del risparmio gestito rappresenta uno dei più importanti cambiamenti, intervenuti nei sistemi finanziari dei paesi industrializzati, nel corso degli ultimi due decenni. Tale sviluppo ha modificato il ruolo dei mercati e degli intermediari finanziari nel processo di allocazione delle risorse, ha indotto cambiamenti nella struttura competitiva dell’industria finanziaria, ha determinato un ampliamento senza precedenti della gamma di prodotti finanziari a disposizione degli investitori. Questa evoluzione è stata trainata, dal lato della domanda, dalla crescente richiesta di prodotti previdenziali collegata ai cambiamenti demografici e alle difficoltà finanziarie dei sistemi previdenziali pubblici, nonché dalla liberalizzazione dei capitali che, con lo sviluppo e l’integrazione dei mercati finanziari, ha accresciuto la domanda di consulenza e gestione dell’investimento da parte di investitori che sopportano elevati costi e incontrano difficoltà nella valutazione e selezione dei titoli, spostando quindi l’attenzione sugli Asset manager in grado di abbassare i costi di selezione dei titoli e di diversificazione dei portafogli finanziari. Dal lato dell’offerta invece, la spinta arriva dall’abbattimento dei costi di produzione, elaborazione e trasmissione dell’informazione che ha contribuito al notevole sviluppo delle tecniche di analisi e gestione dei rischi, e di costruzione e gestione dei portafogli finanziari. Il risultato dei cambiamenti sopra indicati è dato dal peso sempre più rilevante che l’investimento delegato ha nell’ambito dei circuiti di intermediazione e, al tempo stesso, dall’accentuazione del ruolo degli intermediari bancari e assicurativi nel guidare l’allocazione delle risorse finanziarie attraverso il mix di mercati e di canali indiretti di intermediazione finanziaria.

Se ci concentriamo in particolare sugli ultimi dieci anni, è facile notare come alle crisi che hanno scosso i mercati globali - la crisi finanziaria iniziata nel 2008, e la crisi dei debiti sovrani scoppiata nel 2011- il mercato ha risposto in maniera significativa alle numerose evoluzioni apportate all’universo dell’Asset management, sia in termini di innovazione di prodotto con l’introduzione di diverse nuove possibilità di investimento, che di nuove normative, il cui obiettivo di regolare maggiormente il mercato e tutelare gli investitori si è tradotto in norme sempre più stringenti per i gestori. Negli ultimi anni infatti, a partire dal 2012, l’evoluzione del risparmio gestito non ha mai conosciuto

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momenti di arresto, con una raccolta netta che ha sempre fatto registrare segno positivo portando il patrimonio complessivamente raccolto a livelli altissimi.

Frutto di una recente esperienza lavorativa presso una Società di Gestione del Risparmio, questo lavoro ha una duplice ispirazione: prima di tutto nasce da una semplice ma al tempo stesso complessa domanda che sin dall’inizio mi sono posto, ovvero capire quando arriverà il momento in cui la capacità dell’uomo nell’ambito dell’investimento verrà superata; capire quindi il momento in cui il “semplice” ricorso al tecniche passive, che si basano in parte sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, sull’utilizzo di algoritmi prevarrà sull’analisi dei fondamentali, dei grafici, e quindi sulla capacità dell’essere umano di leggere il mercato. L’obiettivo fondamentale dell’intero elaborato, come vedremo, è quello di comprendere e analizzare una questione di rilevante e attuale importanza: in che modo possono essere confrontati i fondi a gestione attiva, basati esclusivamente sull’intelligenza umana e sull’abilità gestionale dell’uomo, e i fondi a gestione passiva, il cui funzionamento fa a meno dell’abilità del gestore, il quale attivamente non riveste alcuna importanza, hanno nell’universo del risparmio gestito, cercando di individuare in che modo possano gli uni possano prevalere sugli altri (in termini di rischio-rendimento-costo), e se la loro convivenza, in base ai risultati che gli stessi conseguono e all’evoluzione del contesto, possa venire meno.

Il lavoro si articola nelle seguenti parti.

Dopo una introduzione iniziale nel primo capitolo sul concetto di Asset Management, sulle caratteristiche principali e gli aspetti normativi verrà svolta una breve descrizione dello scenario italiano e non solo, in modo da inquadrare al meglio l’intero ambito di riferimento e analizzare l’evoluzione che questo settore ha avuto. Nel capitolo secondo verrà introdotta approfonditamente la figura della SGR, verrà analizzato il suo funzionamento, la sua struttura, nonché le attività che vengono svolte e in che modo le autorità di vigilanza regolano queste società. L’attenzione nel terzo capitolo sarà quindi successivamente rivolta ai numerosi prodotti che vengono offerti dai vari attori dell’industria del risparmio gestito, con una importante focalizzazione sui fondi di investimento, in particolare verrà effettuato un confronto tra i fondi a gestione attiva e i fondi a gestione passiva, detti anche fondi indicizzati. Sono due prodotti che possiamo definire opposti sotto certi aspetti: mentre infatti i primi prevedono un ruolo attivo del gestore, che attraverso l’analisi del mercato micro e macro economico nel tempo decide quali siano gli strumenti sui quali investire oppure no, nonché cogliere le varie

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opportunità che vengono offerte dal mercato stesso, i secondi prevedono che la gestione sia basata su scelte del tutto passive, che hanno l’obiettivo di replicare gli indici sui quali i fondi stessi si basano, il che porta ad una gestione sulla quale il gestore può intervenire solo successivamente per apporre modifiche a quanto stabilito in precedenza.

Il fulcro principale dell’intero lavoro è rappresentato dal quarto capitolo, il quale si concentra sul confronto e sull’analisi tra due fondi selezionati all’interno delle due categorie citate. In particolare l’analisi verrà svolta sul fondo, AMUNDI AZIONARIO PAESI EMERGENTI (fino al 01/01/2018, data in cui è avvenuta la fusione per incorporazione tra PIONEER INVESTMENTS e AMUNDI ASSET MANAGEMENT, aveva il nome PIONEER AZIONARIO PAESI EMERGENTI) appartenente alla prima categoria, e AMUNDI ETF MSCI EMERGING MARKETS UCITS ETF-EUR appartenente alla seconda, aventi lo stesso benchmark di riferimento, MSCI EMERGING MARKETS (condizione necessaria per poter svolgere un confronto). L’analisi prenderà come riferimento un arco temporale di media lunghezza, e prevede di studiare a fondo la composizione dei portafogli di entrambi i fondi, per vedere come gli strumenti finanziari che li compongono sono cambiati nel tempo e individuarne le ragioni che stanno alla base delle diverse scelte; studiare quali criteri e scenari di mercato ne hanno caratterizzato la gestione e quali rendimenti hanno quindi permesso di realizzare; cercare di capire analizzando i rendimenti che hanno offerto e il profilo di rischio che li caratterizza, quale investimento sia preferibile in certe situazioni, e per quali soggetti. Nel capitolo finale, verranno fornite alcune considerazioni finali e tenteremo di rispondere alle numerose domande che l’intero lavoro si pone.

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CAPITOLO 1

L’ASSET MANAGEMENT

1.1 CONSIDERAZIONI INIZIALI

In ambito finanziario, il concetto di ASSET MANAGEMENT, comunemente tradotto in italiano con il termine “RISPARMIO GESTITO”, viene utilizzato per indicare quella attività di gestione svolta da parte di uno o più gestori professionali, ottenuta tramite mandato, delle quote di reddito accantonate da un singolo individuo o un’altra entità familiare e/o finanziaria. Più precisamente, in modo semplice, l’Asset Management può essere visto come un insieme di attività attraverso cui esperti del settore finanziario, tra cui banche tradizionali e specializzate (Private Bank), compagnie di assicurazione, fondi comuni di investimento, società di intermediazione mobiliare (SIM) investono il capitale dei risparmiatori per ottenere il migliore rendimento possibile collegato ad un certo livello di rischio. Due sono quindi gli elementi distintivi di questa attività che sono generalmente individuati:

i) la costruzione di portafogli finanziari da parte di operatori specializzati (Asset manager) nel processo di valutazione e selezione di titoli negoziabili, la cui combinazione è finalizzata a sfruttare i vantaggi finanziari della diversificazione.

ii) l’esistenza di una delega alla gestione di portafogli finanziari che consente di ricondurre in modo diretto gli investimenti effettuati dal gestore alla situazione patrimoniale degli investitori che sopportano il rischio ultimo delle scelte di investimento. Il risparmio gestito è probabilmente la prima forma di investimento finanziaria davvero collettiva e democratica, e rappresenta la forma più evoluta di investimento a disposizione dell’operatore famiglia: consente di soddisfare da un lato la necessita delle famiglie (in termini di previdenza, crescita del capitale, conseguimento di rendite), dall’altro quelle del mercato dei capitali (maggiore efficienza nell’allocazione delle risorse tra coloro che raccolgono capitali per finanziare la propria attività).

Le modalità previste dalla normativa attraverso le quali gli intermediarti abilitati, possono svolgere questa attività di gestione sono due. In particolare:

- Gestione su base collettiva: con questo termine si identifica lo svolgimento di un’attività finanziaria consistente nella gestione di un patrimonio, con riferimento al quale il gestore

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pone in essere in via continuativa, una serie di operazioni di investimento e disinvestimento, con l’obiettivo di produrre nel tempo un risultato utile o quantomeno, di ridurre il rischio finanziario insito nel portafoglio. Da un punto di vista normativo, l’art 1, comma 1 del TUF, definisce alla lettera n) la gestione collettiva del risparmio come quel servizio che si realizza attraverso la gestione degli OICR e dei relativi rischi. Il termine OICR, Organismi di Investimento Collettivo del risparmio, indica “l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote e azioni, gestito in monte, nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi, nonché investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base ad una politica di investimento predeterminata”. La gestione su base collettiva quindi non avviene in modo separato per ogni singolo cliente ma congiuntamente per tutti, senza che vengano seguiti i particolari interessi del singolo; inoltre il regolamento OICR prevede che i partecipanti non dispongono di poteri connessi alla gestione operativa dell’OICR e delle attività in portafoglio in conformità alla politica di investimento, fermo restando l’esercizio dei diritti riconosciuti agli investitori in qualità di azionisti degli OICR in forma societaria. In base a questa modalità l’intermediario unisce al servizio di selezione dei titoli per conto della clientela un servizio di pooling dei fondi dei singoli investitori che consente di conseguire i vantaggi economici collegati alla diversificazione del portafoglio e all’eliminazione o riduzione delle componenti non sistematiche di rischio. L’investitore detiene una quota di un portafoglio complessivo risultante dall’insieme dei patrimoni che sono stati conferiti per la gestione da una pluralità di investitori e il gestore compie come abbiamo visto atti di compravendita sul totale del patrimonio senza guardare alle specificità dei singoli.

- Gestione su base individuale: All’art 1, comma 5, lettera d) del TUF, la gestione individuale del risparmio viene definita come “gestione, su base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dagli investitori, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”, può essere svolta dalle banche, dalle società di intermediazione mobiliare (SIM) e dalle SGR. Nella gestione su base individuale il servizio viene prestato in via personalizzata, e i patrimoni dei singoli clienti, che hanno la facoltà di impartire alla società istruzioni particolari per la gestione e recedere in qualsiasi momento dal contratto, vengono gestiti separatamente. Le caratteristiche qualificanti di questa gestione, fondata sulla conoscenza del cliente in termini di situazione finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio, sono

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molteplici, tra i quali rientrano la personalizzazione del servizio, l’alta qualità dello stesso e la centralità del cliente. Da un punto di vista giuridico, la normativa prevede all’art 24 del TUF il regolamento del contratto, che si sostanzia fondamentalmente in un mandato fiduciario, che intercorre tra il cliente e l’intermediario autorizzato, unico soggetto al quale è riservata tale attività. Questo prevede che: a) il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere; b) il cliente può recedere in ogni momento dal contratto fermo restando il diritto di recesso dell'impresa di investimento, della società di gestione del risparmio o della banca ai sensi dell'articolo 1727 del codice civile; c) la rappresentanza per l'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari in gestione può essere conferita all'impresa di investimento, alla banca o alla società digestione del risparmio con procura da rilasciarsi per iscritto e per singola assemblea nel rispetto dei limiti e con le modalità stabiliti con regolamento dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob; inoltre sono nulli tutti i patti contrari alle disposizioni dell’articolo, e la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.

Il fulcro principale di questo lavoro, sarà quel ramo dell’intera materia che viene definito come GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO.

Di grandissima importanza risulta porre fin da subito chiarezza sulla distinzione che esiste tra risparmio gestito e risparmio amministrato, termini che molto spesso vengono confusi o addirittura eguagliati dal momento che le definizioni che vengono fornite appaiono molto simili, mentre risultano di gran lunga diversi in relazione al trattamento fiscale. Prima di esplicitarne le differenze, dobbiamo precisare che esistono due categorie di redditi di natura finanziari, quelli da capitale, ovvero dividendi e interessi o cedole, e i cosiddetti redditi diversi, anche noti come plusvalenze. Esistono fiscalmente tre regimi per il trattamento di questi componenti reddituali:

- regime della dichiarazione: è il sistema naturale per la tassazione delle rendite finanziarie; tale regime conduce alla dichiarazione del reddito (di natura finanziaria o di natura capitale) da parte del contribuente che pertanto non opta per l’anonimato sui suoi investimenti finanziari. La tassazione avviene al momento del realizzo; il soggetto ha la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze conseguite; in sede di dichiarazione il cliente è titolato ad imporre sulle plusvalenze l’imposta sostitutiva del 12,50% o del 26%, a seconda delle tipologie reddituali.

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cliente un sistema semplificato di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria - lettere c-bis e c-ter (escluse le cessioni di valute) dell’art 67 del TUIR - con l’esclusione di quelli derivanti dalla negoziazione di partecipazioni qualificate. Tale regime può essere applicato limitatamente alle operazioni indicate. Il risparmio amministrato può essere visto come un mandato per la liquidazione e il versamento dell’imposta, conferito dal contribuente all’intermediario; quest’ultimo esegue gli ordini e le indicazioni ricevute garantendo al cliente l’anonimato e la semplificazione degli adempimenti di dichiarazione e versamento. La tassazione avviene al momento del realizzo; vengono escluse le plusvalenze su partecipazioni qualificate; l’aliquota di imposta sostitutiva è pari al 12,50%, e viene applicata direttamente dagli intermediari sulle singole plusvalenze realizzate; possibilità di compensazione delle minusvalenze e plusvalenze realizzate con il medesimo intermediario; viene garantito l’anonimato del contribuente. Al verificarsi della plusvalenza l’intermediario è tenuto a determinare la base imponibile, ad applicare l’imposta sostitutiva del 12,50%, nonché a curare il versamento dell’imposta sostitutiva e rilasciare al cliente un’attestazione relativa ai versamenti.

- regime del risparmio gestito: previsto dall’art 7, D.Lgs 461/1997, secondo il quale i soggetti che hanno dato un mandato ad un intermediario abilitato di gestire patrimoni non relativi all’impresa, possono optare con riferimento ai redditi di capitale o diversi, per l’applicazione di un regime particolare di tassazione. Si tratta di un regime che si applica solo ed esclusivamente per i redditi di capitale e diversi, e prevede che: in alternativa al regime ordinario, viene applicata dal gestore una imposta sostitutiva del 12,50% sul risultato delle gestioni individuali maturato nel periodo d’imposta; che vengano escluse le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate; che venga garantito l’anonimato del contribuente; che venga effettuata la compensazione tra componenti positivi (redditi di capitale e diversi) e negativi (minusvalenze e spese). Esclusi da questo regime, in quanto hanno diverse specifiche imposte sostitutive, i proventi relativi alle SICAV, ai fondi comuni d’investimento, e ai fondi pensione. Perché possa essere applicato questo regime è necessario che sia stato conferito il mandato ad un intermediario abilitato, e che sia stata effettuata l’opzione per l’applicazione da parte dell’intermediario stesso di tale regime di tassazione. La tassazione riguarda, come già anticipato, solamente i redditi di capitale dei contribuenti non imprenditori, e i redditi diversi; con riferimento ai primi, non si applica l’imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari; la ritenuta del 27% sugli interessi ad altri proventi dei conti correnti bancari; la ritenuta del 12,50% su interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni

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e titoli similari aventi scadenza non inferiore a diciotto mesi, emessi all'estero da soggetti non residenti, e sui proventi derivanti dalle operazioni di riporto e di pronti contro termine su titoli e valute e da operazioni di prestito titoli.

Possiamo quindi concludere questa breve ma fondamentale distinzione sottolineando che mentre Il risparmio amministrato riguarda il caso in cui l’investitore affida i propri risparmi in deposito a un intermediario, generalmente attraverso un contratto di amministrazione e custodia, senza tuttavia delegarne la gestione, nel risparmio gestito il cliente delega all’intermediario abilitato la decisione sulla strategia d’investimento; nel risparmio amministrato quindi al cliente resta il controllo della decisione sui propri investimenti. Differenze risultano anche sul piano della fiscalità, dal momento che nel risparmio gestito è possibile compensare le componenti positive (redditi di capitale, plusvalenze e altri redditi diversi) e quelle negative (minusvalenze e spese) nell’ambito della gestione.

1.1.1 LA GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO

Ma come funzione il Risparmio Gestito?

L’input iniziale all’intero processo viene dato dai risparmiatori, privati o istituzionali, soggetti che tipicamente quindi sono in surplus finanziario, vale a dire che hanno flussi finanziari in entrata che sono maggiori di quelli in uscita; da questa caratteristica deriva un fabbisogno di investimento che può essere soddisfatto attraverso l’acquisto di Asset (reali o finanziari) e la creazione di un portafoglio, definito come l’insieme e la combinazione delle attività di un investitore. La creazione di un portafoglio è un processo tutt’altro che semplice e che deriva da diverse decisioni fondamentali; la sua gestione inoltre richiede tempo da dedicare alle scelte ed un certo livello di cultura finanziaria. Il titolare del portafoglio può quindi decidere se occuparsi personalmente della gestione, o delegarla a investitori professionali. Ed è proprio qui che prende vita la gestione del risparmio.

Il punto di partenza di questo processo che lega il cliente all’intermediario è il mandato fiduciario con il quale viene conferito il potere a quest’ultimo di effettuare le operazioni di acquisto e di vendita di attività finanziarie o reali necessarie a costruire un portafoglio di investimento diversificato; si tratta di operazioni che si basano su un determinato rapporto rischio/rendimento concordato tra le parti in base alla compilazione di un apposito questionario MIFID in fase di apertura del rapporto; queste direttive di rischio/rendimento impartite dal cliente, devono essere seguite dall’intermediario, anche

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se è previsto un determinato grado di discrezionalità. Il rapporto che lega l’investitore alla società ha natura contrattuale, ed il suo contenuto è stabilito dal regolamento del fondo. Il regolamento è un documento standardizzato, predisposto unilateralmente dalla società di gestione, sul cui contenuto l’investitore non ha alcuna possibilità di intervenire. La struttura ed il contenuto sono soggetti a pervasivi controlli amministrativi; il regolamento è infatti sottoposto all’approvazione della Banca d’Italia, ed alla stessa procedura sono soggette anche le eventuali successive modiche. La partecipazione al fondo comune si perfeziona mediante l’adesione al regolamento; tale partecipazione è rappresentata da quote, e più precisamente la partecipazione è incorporata in quote di partecipazione, rappresentate da certificati (le cui caratteristiche sono definite da Banca d’Italia).

Il gestore quindi, prima di potersi rivolgere al mercato ed effettuare le diverse operazioni in base a quanto precedentemente concordato con i vari clienti, deve procedere alla raccolta dei risparmi dai vari soggetti.

Il risparmiatore riceverà, in base al risparmio conferito, un determinato numero di quote dalle quali seguiranno i vantaggi o gli svantaggi naturali che derivano dalla gestione.

Sono previste inoltre scrupolose regole e norme a carico dell’intermediario che sono preposte ad hoc per la salvaguardia dell’investitore. Conferendo all’intermediario questo mandato di gestione, il risparmiatore può effettuare quindi investimenti differenziati sui mercati finanziari.

I principi che regolano questo rapporto tra le parti sono stabiliti dal TUF, art 24. La normativa prevede l’obbligo di redigere il contratto in forma scritta, nel quale deve essere indicato in primo luogo, le caratteristiche della gestione, facendo quindi riferimento agli strumenti finanziari nel quale verranno investiti i risparmi nonché gli eventuali limiti, la

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tipologia delle operazioni che possono essere effettuate e il massimo grado di leva finanziaria utilizzabile.

Il risultato di questa operazione è molto semplice, se infatti il gestore ottiene un rendimento dalle operazioni eseguite, distribuisce il profitto a tutti i partecipanti in base alla loro quota di partecipazione. Viceversa, se il fondo di risparmio gestito accusa una perdita, tutti i partecipanti subiscono una perdita di capitale in proporzione alla loro quota.

Essendo di sua natura un investimento, il risparmio gestito comporta naturalmente un rischio per l’investitore, quello di perdere parte del capitale investito. Ma quali sono i vantaggi di questa forma di investimento? Indipendentemente della tipologia di risparmio gestito presa in considerazione, uno dei vantaggi è che le somme depositate presso il gestore vengono gestite da esperti del mondo della finanza aperti ad ogni esigenza del risparmiatore, capace di offrire loro massima scelta in termini di strumenti e accessibilità, garantendo infatti di accedere anche con piccoli importi ai mercati globali. Questi intermediari consentono di ridurre notevolmente i costi delle brokerage fees e delle commissioni grazie alle economie di scala che realizzano scambiando ingenti quantità di titoli; inoltre essendo soggetti a controlli da parte di diverse autorità, ne viene garantita la correttezza, la trasparenza nonché la tutela dell’intera clientela. Tuttavia il vantaggio principale di questa tipologia di investimento per l’investitore è che il rischio medio dell’investimento è inferiore rispetto alla diretta gestione degli investimenti da parte dei piccoli risparmiatori per un solo e semplice motivo: la diversificazione.

La diversificazione, concetto che può essere tradotto, in termini dozzinali, con “non mettere tutte le uova nello stesso paniere, perché se cade la cesta si rompono”, è una tecnica basilare per la costruzione e la gestione di un portafoglio di investimenti. Il

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funzionamento di questa tecnica è semplice: aumentando il numero di titoli presenti nel mio portafoglio, ho la possibilità di ridurre il rischio complessivo; questo a patto che le attività nelle quali investo abbiano un basso livello di correlazione. In questo modo ho un portafoglio in cui gli strumenti finanziari reagiscono all’andamento dei mercati in maniera differente, pertanto le perdite registrate su alcune tipologie di investimento vengono compensate dai guadagni ottenuti da altri investimenti. Quello che fanno i gestori è quindi all’apparenza semplice: investono in molti titoli, che differiscono per capitalizzazione, mercato e settore di appartenenza, per cui le perdite che derivano dal crollo di uno o alcuni sono bilanciate dalle performance delle altre posizioni che compongono il portafoglio. Quando ho un portafoglio diversificato il rischio che devo sopportare è solo quello di mercato, che per sua natura è ineliminabile, se invece ho investimenti eccessivamente concentrati sui singoli strumenti, oltre al rischio di mercato devo anche sopportare un’altra componente, il rischio specifico, tipico dei singoli titoli. Oltre ai vantaggi ravvisabili per gli investitori, possono essere facilmente dedotti quelli che riguardano nel complesso gli interi mercati finanziari. Questi derivano direttamente dalle competenze degli investitori professionisti citate in precedenza; attraverso una migliore conoscenza dei soggetti che operano sul mercato e degli strumenti finanziari disponibili, gli investitori istituzionali possono contribuire ad una migliore efficienza allocativa dell’offerta di fondi. Essi, monitorando continuamente i mercati, hanno la capacità di ridurre le asimmetrie informative, quindi indirizzare l’offerta dei fondi verso le unità economiche meritevoli di affidamento e creare un clima di maggior fiducia. In questo modo, gli intermediari abilitati alla gestione collettiva attivano un circuito positivo: i risparmiatori sono più propensi a investire sui mercati finanziari, allo stesso modo i soggetti che sono in deficit finanziario, come imprese e Pubblica Amministrazione, possono ricorrere più facilmente al finanziamento sui mercati finanziari per la maggiore disponibilità di fondi.

Ma da chi viene svolta questa attività?

Il soggetto principale e più importante riconducibile alla attività di gestione collettiva, che rappresenta il fulcro principale intorno al quale ruota l’intero lavoro, è la SGR (alla quale è riservato l’intero capitolo 2). Le Società di Gestione del Risparmio sono società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzate a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio. Diverse sono le attività che queste società possono svolgere, come gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi,

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l'istituzione e la gestione di fondi pensione, la custodia e l’amministrazione di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) di propria istituzione, la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari e le attività connesse o strumentali indicate nel Testo Unico dell'Intermediazione Finanziaria; la principale tuttavia risulta quella di gestione collettiva, ossia l'istituzione e/o la promozione di fondi comuni di investimento.

Le SGA, ovvero società di gestione armonizzate. Sono SGR costituite in uno degli stati membri dell’Unione Europea, Italia esclusa, che sono autorizzate a operare in Italia attraverso il principio del mutuo riconoscimento.

Come detto in precedenza, la gestione collettiva è un servizio che si realizza tramite la gestione degli OICR e dei relativi rischi. Il TUF ne disciplina unicamente due tra le possibili forme utilizzate, nella prassi internazionale, per la gestione collettiva: la forma contrattuale (fondi comuni di investimento), e la forma societaria (SICAV e SICAF). • Le SICAV, società di investimento a capitale variabile. Sono società per azioni che hanno per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di proprie azioni (che possono essere nominative o al portatore). Insieme alle SICAF rientra tra gli OICR costituiti in forma societaria. Introdotte nell’ordinamento italiano nel 1992, con D.Lgs 25 Gennaio n.84, sono regolate dal TUF. Per la costituzione è necessaria un’autorizzazione della Banca d’Italia, che la rilascia sentita la Consob, al decorrere di determinate condizioni: forma giuridica della s.p.a; sede legale e direzione generale nel territorio della rep. Italiana; capitale sociale di ammontare non inferiore a quanto stabilito da Banca d’Italia; possesso per gli esponenti aziendali, dei requisiti di onorabilità e professionalità; oggetto esclusivo sia l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l'offerta al pubblico delle proprie azioni). Le SICAV possono anche svolgere ogni altra attività connessa e strumentale a condizione che venga garantito il corretto svolgimento dell’attività principale dell’impresa; inoltre la gestione del patrimonio può avvenire direttamente o essere affidata ad una SGR.

• Le SICAF, società di investimento a capitale fisso. Sono società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi. A differenza delle SICAV, rappresentano un OICR di tipo chiuso, caratterizzate da un capitale fisso. Anche alle SICSF non è consentito prestare servizi diversi dalla gestione collettiva, e come anche previsto pe le SICAV possono costituirsi solo previa autorizzazione delle Banca d’Italia, sentita la Consob

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• I Fondi Comuni d’Investimento

Sono strumenti di investimento (appartenenti alla categoria degli OICR contrattuali), costituiti, regolati e gestiti dalle SGR, che riuniscono le somme di una pluralità di risparmiatori e che le investono in attività finanziarie con lo scopo di creare nuovo valore, e quindi profitto rispettando regole volte a ridurre i rischi. Attraverso la gestione collettiva il fondo riesce a ottenere vantaggi in termini di rendimento, di minori costi, di maggior potere contrattuale e di diversificazione del portafoglio. Nonostante non garantisca la restituzione dell’intera somma investita, è comunque un prodotto facile e relativamente sicuro. Sono suddivisi in quote, ovvero parti uguali unitarie, che vengono sottoscritte dai risparmiatori e che garantiscono uguali diritti. Diverse sono le tipologie oggi disponibili sul mercato, ognuna con precisi limiti, caratteristiche e modalità di funzionamento che tuttavia per maggiore chiarezza espositiva verranno analizzate nel proseguo del lavoro. Risulta di fondamentale importanza sottolineare sin da subito che la stessa attività può essere svolta anche dalle società di investimento a capitale variabile (SICAV) o a capitale fisso (SICAF). In teoria, la differenza è netta, perché il fondo comune è un patrimonio a sé stante, costituito con il denaro dei sottoscrittori e gestito dalla SGR, mentre le SICAV e le SICAF sono vere e proprie società di cui i sottoscrittori divengono soci con tutti i relativi diritti (ad esempio il diritto di voto). Per tutti i fondi esistono organi di vigilanza che hanno lo scopo di sorvegliare il fondo, in modo che le regole vengano rispettate; tra questi ricordiamo la Consob e la Banca d’Italia.

1.2 ASPETTI NORMATIVI

Risulta di fondamentale importanza, prima di potersi addentrare ad analizzare approfonditamente l’industria del risparmio gestito, con i vari soggetti e strumenti che la compongono, fare un breve passo indietro per poter collocare questo fenomeno nel tempo, ripercorrendone le tappe principali dello sviluppo normativo e del suo consolidamento nel sistema italiano.

Nel nostro paese, la storia del Risparmio gestito inizia alla fine degli anni ’60, precisamente nel 1968 quando viene effettuata la prima sottoscrizione di fondi comuni in Italia, per opera di alcuni finanzieri che in assenza di regole, immettono sul mercato i primi fondi di investimento, chiamati fondi Atipici, organizzati e gestiti seguendo i principi mutuati dall’esperienza del mondo finanziario anglosassone. Da quel timido inizio prende il via la promozione da parte di alcune società di fondi con sede legale in

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Lussemburgo, i fondi Lussemburghesi (fondi LUX). Agli inizi degli anni ’80 viene presentata in senato il progetto di legge per l’istituzione e la disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare. Nel 1983, viene approvata la legge 23 marzo 1983 n. 77 “Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare”; con questa legge vengono introdotti nell’ordinamento italiano i primi organismi di investimento collettivo di diritto italiano, in particolare quelli che oggi conosciamo come i Fondi comuni d’investimento mobiliare di tipo aperto, e viene inoltre introdotto il concetto di un nuovo soggetto: la Società di Gestione. Nel 1989 nasce Assogestioni, a seguito della trasformazione di Assofondi, precedentemente fondata nel 1984. Assogestioni rappresenta oggi la società italiana di riferimento per il risparmio gestito. La legge 77/83 viene successivamente più volte modificata negli anni, in un’opera di completamento dell’offerta dei prodotti del risparmio gestito: la legge 25 gennaio 1992, n. 84 ha disciplinato le Società di investimento a capitale variabile, le SICAV; la legge 14 agosto 1993, n. 344 ha istituito i Fondi comuni d’investimento mobiliare di tipo chiuso; infine, la legge 25 Gennaio 1994 n. 86, ha regolamentato i Fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso. Addentrandoci adesso nell’ambito prettamente normativo, occorre porre alcune precisazioni sulle principali leggi in ambito europeo, e che sono recepite anche nell’ambito Italiano. Diverse sono le normative principali:

• AIFMD: Direttiva 2011/61/UE sui gestori dei fondi di investimento alternativi. Entrata in vigore il 21 Luglio 2011, è il risultato della volontà politica del G20 di introdurre un controllo regolamentare più stringente sul rischio sistematico che può derivare dalle attività dei soggetti che operano nel settore dei fondi cosiddetti “alternativi”.

La direttiva definisce regole armonizzate per i gestori di tutti i fondi di investimento diversi da quelli ricompresi nella direttiva UCITS, prevede regole di condotta, di trasparenza informativa e di requisii patrimoniali, organizzativi e di controllo del rischio analoghi a quelli previsti per le società di gestione di fondi UCITS.

• UCITS V: Direttiva 2014/91/UE, recepita in Italia il 18 marzo del 2016, rappresenta lo sviluppo della UCITS IV recepita in Italia nel 2012, e che ha rappresentato il primo vero passo avanti per la creazione di un mercato interno caratterizzato da una maggiore efficienza integrativa. Tale direttiva concerne il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), al fine di tener conto dell’evoluzione del mercato e rafforzare il grado di armonizzazione delle regole e delle prassi a livello europeo. In particolare: mira a incrementare il livello di armonizzazione della disciplina del deposito

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di OICVM; mira a dotare le società di gestione di politiche di remunerazione e incentivazione sane e prudenti, in linea con quella già esistente per i gestori di fondi di investimento alternativi (Direttiva AIFMD); mira a rafforzare il sistema sanzionatorio e i poteri di intervento delle Autorità di vigilanza nazionali e europee

• MIFID II: acronimo di Markets in Financial Instruments Directive, rappresenta la naturale e necessaria evoluzione della direttiva MIFID entrata in vigore nel 2007, che ha abrogato la prima direttiva sui servizi di investimento detta ISD e che era volta a favorire la creazione di mercati integrati ed efficienti, ad assicurare un grado di armonizzazione necessario per poter offrire agli investitori un livello elevato di protezione e a consentire alle imprese di investimento di prestare servizi in tutta la comunità europea.

Adottata dal parlamento europeo nel 2014, era stato previsto inizialmente che i singoli stati membri avrebbero dovuto recepire le misure di questa direttiva entro il 2016, per poi entrare in vigore ad inizio 2017. Nel febbraio 2016 però Bruxelles ha posticipato di un anno l’effettiva applicabilità, con il suo recepimento che quindi è avvenuto solo ad inizio 2018. Rispetto a quanto previsto dalla precedente versione, viene ampliato e rivisto l’ambito applicativo con l’obiettivo di tutelare gli investitori e favorire l’integrazione e l’efficienza dei mercati finanziari europei, arrivando a sviluppare un mercato unico dei servizi finanziari in Europa. Le novità introdotte, modellate sulla base di quanto già emanato con la normativa precedente in modo tale da rendere il mercato ancora più efficiente, riguardano direttamente i temi trattati e sono molteplici:

i) Vengono ridotti gli strumenti per i quali è possibile il servizio execution only;

ii) Gli intermediari dovranno fornire tempestivamente maggiori informazioni sia ai clienti al dettaglio che a quelli professionali, che riguardano l’intermediario finanziario, i servizi offerti, gli strumenti finanziari e le strategie di investimento, le sedi di esecuzione d cui si avvale e tutte le informazioni sui costi. In questo modo gli investitori vengono posti nelle migliori condizioni di comprendere le caratteristiche del prodotto, per valutare che siano in linea con le proprie esigenze e col proprio profilo di rischio. In termini di costi, questi dovranno essere tutti esplicati all’investitore, includendo anche quello della consulenza aggregata; in questo modo sarà più facile valutare l’ammontare degli oneri e il loro peso sul rendimento atteso e confrontare i prezzi dei vari prodotti e dei servizi offerti.

iii) La ripartizione del servizio di consulenza in materia di investimenti in: consulenza dipendente e consulenza indipendente;

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iv) Le autorità di vigilanza nazionali e sovranazionali incrementeranno il loro controllo: potranno proibire o limitare la vendita di alcuni strumenti finanziari ritenuti legati a rischi potenziali eccessivi per gli investitori, o pericolosi per la stabilità finanziaria del sistema; v) In termini di valutazione dell’idoneità e dell’adeguatezza dell’investitore, si prevede gli operatori debbano ricevere informazioni necessarie in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente o potenziale tale in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio, alla sua situazione finanziaria, tra cui la sua capacità di sostenere perdite e ai suoi obiettivi di investimento, inclusa la sua tolleranza al rischio;

vi) non è più prevista inoltre la possibilità per le imprese finanziarie di ricevere ( e trattenere) incentivi monetari da terze parti, in particolar modo dalle società di prodotto; in questo modo si riduce la possibilità che le imprese raccomandino determinati prodotti finanziari a discapito di altri;

vii) In materia di market trasparency, viene esteso il principio di trasparenza per i prodotti non equity e il rafforzamento dei poteri di vigilanza ed una armonizzazione anche per i derivati su merce, introducendo anche una nuova piattaforma di negoziazione (l’Organised Trading Facility - OTF) e specifici obblighi per i fornitori di un sistema consolidato di informazioni relativo ai prezzi delle sedi in cui sono effettuate le negoziazioni.

In termini generali, questa normativa ha reso gli obblighi di comportamento dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento assai più raffinati ed efficaci rispetto al passato proprio al fine di contrastare quello squilibrio contrattuale che può potenzialmente pregiudicare, oltre al contraente debole, l’intera stabilità del mercato.

In ambito Italiano, oltre a quanto precedentemente esposto, l’intera materia riguardante la gestione collettiva è stata unificata con il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 nel TUF, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, che rappresenta la principale fonte normativa in materia di finanza e intermediazione finanziaria. La sua emanazione, che segna un ulteriore passo in avanti verso l’unificazione e la globalizzazione del settore finanziario nell’ambito degli stati dell’Unione Europea, merita una riflessione particolare vista la mole di novità introdotte nell’ordinamento. In particolare:

- Sulla scia del TUB (1993, entrato in vigore nel 1994) viene emanata una lunga serie di definizioni giuridiche dei vari concetti utilizzati nel testo normativo, e indica nella Consob la principale autorità competente in materia.

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- Viene sancita una divisione dei compiti tra le due autorità di vigilanza (Consob e Banca d’Italia) sulla base delle differenti finalità. Mentre alla Consob viene affidato il compito di sorvegliare sulla trasparenza dei mercati, delle negoziazioni e sulla correttezza degli intermediari, alla Banca d’Italia vengono affidati compiti di vigilanza sulla stabilità e sui controlli prudenziali, nonché il compito di stipulare accordi con le autorità di vigilanza degli altri paesi europei ai fini di creare le necessarie collaborazioni per una corretta sorveglianza dei gruppi operanti in più stati membri dell’EU.

- Viene regolato per la prima volta in Italia il Gruppo Finanziario.

- Viene creata la Società di gestione del risparmio (SGR), in questo modo nasce anche in Italia la figura del gestore unico, come negli altri paesi europei, in grado di svolgere il servizio di gestione di patrimoni sia su base individuale che collettiva.

Dal 3 Gennaio 2018 è in vigore una nuova versione aggiornata della normativa, che ha sostituito la precedente versione.

1.3 LA STORIA DEL RISPARMIO GESTITO

1.3.1 EVOLUZIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO

Prima di poter svolgere un’analisi del risparmio gestito nel nostro continente, risulta obbligatoria quantomeno una breve introduzione generale del legame che lega il risparmio agli italiani, in quanto punto di partenza dell’intero processo evolutivo. A differenza di quanto avviene nei maggiori paesi europei, in Italia le famiglie fino alla prima metà degli anni ’90, hanno avuto un tasso di risparmio particolarmente elevato, tra il 20% e il 30% del reddito disponibile. A partire dal 1995, tuttavia, accelerando una tendenza negativa in essere già dagli anni ’80, nel giro di pochi anni l’incidenza del risparmio sul reddito disponibile delle famiglie è diminuita fino a raggiungere valori compresi tra il 15% e il 17%, allineandosi a quella di Paesi sotto molti aspetti paragonabili al nostro - come Francia e Germania - e come l’Italia coinvolti nel processo di convergenza che nel 1999 porterà al varo della moneta unica.

Sul finire del 2008, dopo un periodo di relativa stabilità durato quasi un decennio, con il progressivo peggioramento della crisi economica il tasso di risparmio delle famiglie ha subito un’ulteriore flessione, proseguita fino alla metà del 2011, che lo ha portato dal 15% al 12%, valore su cui si è successivamente attestato. Quello che risulta dai dati aggiornati, come si può vedere dal grafico sottostante, è che questo tasso sia ulteriormente sceso, e anche in maniera consistente anche se non in maniera omogenea per tutti i paesi.

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Figura 1) Evoluzione del tasso di risparmio nell’area Euro

Fonte: Eurostat

Livelli di risparmio così elevati nel tempo hanno avuto importanti conseguenze. Come riportato nel grafico sottostante, l’Italia è arrivata ad essere la prima nazione a livello europeo per ricchezza totale delle famiglie, con un valore complessivo di 8’583 miliardi di euro, pari al 522% PIL, quasi ad un livello doppio della seconda della “classe” (la Francia infatti si ferma ad un livello del 322,4% PIL). Da notare però che la ricchezza complessiva si compone di due classi: la ricchezza reale (l’insieme delle attività reali detenute da un individuo o da una collettività, a partire da immobili e terreni) e la ricchezza finanziaria (l’insieme di attività finanziarie possedute da un individuo o da una collettività), e proprio questa seconda classe a noi interessa esclusivamente.

Figura 2) La ricchezza delle famiglie in termini percentuali rispetto al PIL

Fonte: Banca d’Italia 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17

EVOLUZIONE del TASSO DI RISPARMIO

ITALIA GB FRANCIA GERMANIA EU

522%

264,60% 322,40% 264,80%

195%

132% 164%

205%

ITALIA GERMANIA FRANCIA REGNO UNITO

Ricchezza Delle famiglie (% PIL)

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Se spostiamo quindi adesso l’attenzione dalla ricchezza totale alla sola ricchezza finanziaria, notiamo che in Italia solamente un terzo degli 8’583 miliardi viene investito nei mercati finanziari, in termini percentuali il 195% PIL. Quello che invece accade negli altri paesi è ben diverso: la Gran Bretagna vi destina ben il 75% della ricchezza complessiva, mentre la Francia e la Germania il 50%. Questi numeri sono molto significativi, mostrano infatti come ci sia tantissima strada che ancora il nostro paese deve fare sotto questo aspetto, e, cosa ben più importante, come la cultura finanziaria non sia radicata nel nostro sistema, andando in questo modo a “compromettere” l’intero sistema finanziario destinando le risorse verso altri ambiti..

Figura 3) Evoluzione allocativa della ricchezza finanziaria in Italia

Paese Anno Moneta Titoli

Obblig Azioni quotate Azioni non quotate Risparmio Gestito Prestiti e altro Totale ITALIA 1999 23.7 15.7 7.6 22.8 23.4 6.9 100% 2006 25.6 18.3 5.7 22.3 20.4 7.8 100% 2012 31.6 19.3 1.6 18.1 25.1 4.2 100% 2017 31.9 8.6 2.1 19.7 34.9 2.8 100% Fonte: Assogestioni

Come mostra la Figura 3), se analizziamo come si è voluta nel tempo in Italia la ripartizione della ricchezza finanziaria, e svolgendo al tempo stesso un confronto con quello che è accaduto nei maggiori paesi industrializzati (dati Assogestioni), notiamo come numerosi sono stati i cambiamenti negli ultimi anni.

Facendo un confronto con quello che è accaduto nei maggiori paesi, notiamo come esistono notevoli differenze di grande significatività. Si tratta di un’evoluzione che mostra come il movimento del risparmio gestito sia totalmente diverso nel nostro paese rispetto a quello che avviene nei maggiori nazioni europee e non solo. Nonostante come visto in precedenza l’Italia presenti una ricchezza finanziaria elevatissima, l’utilizzo del risparmio gestito a cui le famiglie italiane fanno ricorso ha un valore dimezzato rispetto alla media, anche se negli ultimi anni questo disallineamento si sta assottigliando. La differenza è dovuta principalmente al fatto che i depositi, le obbligazioni e le azioni non quotate

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rappresentano, così come hanno sempre fatto, tre categorie di primissima importanza per i risparmiatori italiani.

In particolare abbiamo notato che:

- è aumentata la tendenza a detenere i propri risparmi sotto forma di cash e depositi bancari di quasi il 10% negli ultimi 20 anni (ad oggi è circa il 32%; dato questo che se ci avvicina alla Germania e alla Francia, rispettivamente 36% e 27%, mentre gli USA hanno un livello di circa il 14%);

- è rimasta altissima la percentuale di obbligazioni in portafoglio: nonostante sia dimezzata nel corso degli ultimi 5 anni, gli italiani detengono circa il 9% della loro ricchezza finanziaria in obbligazioni, dato circa 3 volte superiore alla media europea (dove addirittura la Gran Bretagna ha un valore dell’1,1%).

- è diminuita la percentuale di azioni in portafoglio

- sono aumentati, anche se lentamente, gli investimenti indiretti effettuati per tramite degli investitori istituzionali (fondi comuni, fondi pensione e imprese di assicurazione). Mentre in Germania, Francia e Stati Uniti il risparmio gestito costituisce sin dal 1999 circa il 40% di tutta la ricchezza finanziaria delle famiglie, nel Regno Unito questa percentuale sale addirittura oltre il 60%, in Italia la quota a questo settore destinata è sempre stata di poco superiore al 20%, e solo recentemente si è assistito ad un importantissimo balzo che ha portato tale quota ad un valore prossimo al 32% (gran parte della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è detenuta, come abbiamo sottolineato, cash o concentrata nei depositi bancari. Se questa percentuale tornasse ai livelli pre-crisi, 24% del totale delle AF, si smobilizzerebbero fino a 320 miliardi di € a favore degli investimenti). L’entità di questo divario costituisce un’altra un’importante caratteristica distintiva degli investimenti delle famiglie italiane. Numeri questi che mostrano come nonostante negli ultimi quindici anni la partecipazione delle famiglie italiane a prodotti di investimento di lungo termine a carattere previdenziale o assicurativo sia cresciuta, il relativo peso sul portafoglio finanziario non ha mai raggiunto livelli paragonabili a quello degli altri paesi sviluppati.

1.3.2 ANALISI DELLO SCENARIO ITALIANO

Analizzando adesso l’evoluzione dello scenario italiano del risparmio gestito, è possibile vedere come l’intero arco temporale che caratterizza l’Asset Management, possa essere diviso in epoche ben marcate e distinte tra loro. Le cause di questa segmentazione sono riscontrabili:

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- nelle varie crisi che si sono susseguite negli anni, che hanno avuto il loro culmine nel 2008, e di conseguenza anche alle riprese economiche successive, nella scarsa capacità delle persone nel riuscire a capire realmente di cosa effettivamente il risparmio gestito sia, dei benefici che può portare, in poche parole alla cultura finanziaria dei soggetto.

- nella poca propensione ad affidare ad altri i propri risparmi.

- nella ridotta capacità che dal canto suo l’industria del risparmio gestito ha nell’attirare i risparmi dei soggetti e a diffondere quella sicurezza, quella fiducia e quel senso di protezione, naturalmente a livello finanziario, che tutti quanti ricercano.

A partire dalla costituzione in Italia dei primi fondi fino ai primi anni del XXI secolo, il Risparmio Gestito ha affrontato una crescita continua in termini di raccolta, con un boom eccezionale tra gli ultimi anni 90 e i primi anni del XXI secolo. Nel 1998 e 1999 la raccolta dei fondi ha toccato livelli altissimi, con un totale di circa 350 miliardi raccolti dagli intermediari. Per poter spiegare questo boom, è opportuno ricordare quanto già detto in precedenza sull’elevato tasso di risparmio delle famiglie italiane, con un conseguente loro impiego in ambito finanziario, dovuto anche grazie al recepimento della nuova normativa che ha armonizzato l’Italia con l’ambito europeo. Dopo un breve scetticismo iniziale dei risparmiatori, dovuto alla poca conoscenza di questi nuovi strumenti, nonché ai dubbi e alle avversità che si provano di fronte a enormi novità che ci vengono proposte, la raccolta netta non ha mai incontrato battute di arresto fino al 2005.

Alla fine del periodo considerato, prima dello scoppio della crisi, il valore complessivo della raccolta in strumenti finanziari (non caratterizzati da una gestione diretta, come azioni o obbligazioni) si aggirava intorno ai 1.115 miliardi, un aumento in termini assoluti di circa il 100% rispetto ai fine anni ’90, dove il valore complessivo della raccolta si aggirava intorno ai 500 miliardi, circa il 25% del totale della attività finanziarie delle famiglie Italiane.

Nella seguente Tabella vengono mostrati i dati della raccolta netta realizzata per il periodo preso in considerazione (i dati precedenti al 1997 sono di irrilevante importanza visto il modesto importo); nella Gestione Collettiva troviamo riassunti i dati riferiti sia ai fondi Aperti che ai fondi Chiusi, mentre nella Gestione di Portafoglio troviamo invece riassunti i dati riferiti alle GPF Retail, alle GPM Retail, ai prodotti assicurativi e quelli relativi ai prodotti previdenziali.

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Figura 4) Evoluzione del risparmio gestito nel periodo 1998-2005

Fonte: Assogestioni (dati in mln di euro)

A partire dal 2006 i dati riguardanti la raccolta netta mostrano come questa entra per la prima volta in territorio negativo.

In quella che possiamo definire come la seconda fase, i risultati fino a qui realizzati dall’industria del risparmio gestito, iniziano ad avere una flessione per circa 8 anni, intervallati da una piccola ripresa nel 2009. Come evidenzia la tabella sottostante, a causa della crisi finanziaria prima, e della crisi del debito sovrano successivamente, per la raccolta netta ha preso avvio un processo negativo che ha abbracciato gli anni che vanno dal 2006 al 2012.

Figura 5) Evoluzione del risparmio gestito nel periodo 2006-2012

RACCOLTA NETTA 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 Gestioni collettive 2779 -30948 -7330 -96 -142159 -52095 -8652 Gestioni di portafoglio -14476 -9894 18581 34981 -57984 -27258 -27151 Totale -11696 -40842 25911 34885 -200144 -79354 -18589

Fonte: Assogestioni (dati in mln di euro)

Nonostante le crisi susseguite, il valore complessivo del patrimonio gestito è rimasto all’incirca stabile dal 2005 al 2012, subendo alcune flessioni nel tempo, come era naturale che accadesse, toccando un valore minimo di 841 miliardi nel 2008, una diminuzione del 28% rispetto a tre anni prima.

RACCOLTA NETTA 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 Gestioni Collettive 21489 1115 29569 -5759 2168 34924 88015 167064 Gestione di Portafoglio 30556 19166 16840 / / / / / Totale 52045 20282 46410 -5759 2168 34924 88015 167064

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La “terza fase” prende avvio dal 2013; in quell’anno abbiamo infatti assistito ad un netto cambio di tendenza nella raccolta netta, che dopo anni è tornata in territorio positivo. Se

da un lato la crisi economica ha limitato la capacità di risparmio e d’investimento dei

privati, dall’altro il buon andamento dei mercati finanziari e il sostegno garantito dalle banche centrali hanno portato nuovamente a crescere il patrimonio dell’industria italiana del risparmio gestito, dopo una lunga fase di contrazione. In considerazione del ruolo centrale che le banche ricoprono nella distribuzione dei prodotti finanziari, questo miglioramento relativo può essere in parte attribuito agli interventi di carattere straordinario messi in campo dalla BCE per contrastare le difficoltà dell’Euro sistema originate dalla crisi del debito sovrano. Il grande ammontare di liquidità messa a disposizione dalla Banca centrale a favore degli istituti di credito, attraverso le operazioni di rifinanziamento di lungo termine operate a cavallo della fine del 2011, ha contribuito ad allentare la pressione sulla raccolta diretta presso la clientela Retail (depositi e obbligazioni), consentendo a quella indiretta di riprendere fiato. Come risulta dalla tabella sottostante, la raccolta netta ha continuato ad aumentare anno dopo anno, portando l’intero patrimonio gestito a nuovi record. Dal 2012 l’intero volume della raccolta ha subito un aumento di circa il 90%, passando dai 1193 ai 2046 miliardi di fine 2017. La tabella che segue mostra i risultati ottenuti dall’industria nel periodo preso in considerazione.

Figura 6) Evoluzione del risparmio gestito nel periodo 2013-2017

Fonte: Assogestioni (dati in mln di euro)

Facendo adesso un passo indietro, e guardando il valore dell’intero patrimonio complessivamente gestito (considerando tutti gli strumenti disponibili sul mercato) invece che la sola raccolta netta, vediamo come la crescita a partire dai primi anni duemila

RACCOLTA NETTA 2017 2016 2015 2014 2013 Gestioni collettive 78704.4 35275.7 95235.7 92062.4 46081.1 Gestioni di portafoglio 18729. 20450.3 45966.5 41348.7 15924.4 Totale 97433.3 55726 141202.2 133411.1 62005.5

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sia avvenuta in modo esponenziale.

Il grafico sotto riportato infatti mostra l’evoluzione che l’universo del risparmio gestito ha avuto in termini prettamente numerici, e come stia continuando a crescere, successivamente alle crisi avvenute precedentemente esposte, senza conoscere battute d’arresto grazie al continuo processo di innovazione di prodotti e la maggiore credibilità che le istituzioni stanno riscuotendo nei confronti del pubblico.

Figura 7) Evoluzione nel tempo del valore complessivo del patrimonio gestito

Fonte: Assogestioni (dati in mln di euro)

Per una panoramica generale al 31/12/2017 sull’industria del risparmio gestito all’interno del territorio della Repubblica Italiana, in termini di raccolta per singoli strumenti tra le diverse SGR, si rimanda all’allegato A.

Ed il futuro?

In base ad una indagine svolta da Price Waterhouse Coopers, PWC, si prevede che l’industria dell’Asset Management in Italia da qui al 2020 crescerà ad un ritmo costante del 5,5%, con una raccolta di patrimonio complessivo che arriverà a rompere la barriera dei 2'500 miliardi di euro.

Il patrimonio gestito in Italia ha registrato nel periodo 2012-2016 un compound annual growth rate, CAGR, del +10,2%, passando da 1.194 miliardi di Euro a 1.943 miliardi a fine 2016 grazie specialmente alla crescita dei prodotti assicurativi e dei fondi pensione. Lo scenario prospettico al 2020 vede il consolidamento di tale incremento, seppur ad un ritmo più moderato, legato al grande potenziale aumento delle masse gestite. Ad oggi,

0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000

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solo il 34% delle attività finanziarie delle famiglie italiane risulta gestito, contro una media europea che supera il 43%; a tale opportunità l’industria del wealth management dovrà rispondere con nuovi modelli di servizio e con nuove soluzioni. Numerosi sono gli strumenti e i modelli digitali sui quali i player del Wealth Management potranno afre leva; in particolare è prevista una più efficiente gestione dei costi, attraverso la riduzione del cost-to-serve per il segmento Retail servito con strumenti di robo-advisor, ed una rimodulazione della propria offerta, includendovi soluzioni rivolte alla clientela più giovane, con forte propensione alla gestione diretta dei propri investimenti.

Queste soluzioni consentiranno quindi una gestione più dinamica della clientela esistente nonché l’incremento della base clienti. Per esempio, un aspetto che sarà profondamente innovato è la comunicazione con la clientela, resa più interattiva, più immediata e più conveniente, con una riduzione dei costi operativi ed una più efficiente gestione del rischio operativo.

Altro aspetto fondamentale che influirà sulla crescita dell’Asset Management è il fattore demografico; la percentuale di anziani (> 64 anni) sul totale della popolazione in età lavorativa raggiungerà il 25,4% nel 2050, rispetto all’11,7% del 2010. Questi dati pongono sfide importanti per l’industria del wealth management che, nei paesi sviluppati, dovrà fornire prodotti specifici per il post pensionamento e, nelle economie emergenti, sviluppare prodotti indirizzati alla classe media che sta emergendo e che, a livello globale, crescerà del 180% sino al 2040.

Modifiche verranno apportate anche al portafoglio dei prodotti. Trovano sempre più spazio, nella parte core dell’asset allocation di portafogli Retail ma non solo, gli strumenti passivi; inoltre risulta anche una crescita degli investimenti alternativi, il che conferma come essi rappresentino un’opportunità di diversificazione e di extra rendimento per investitori istituzionali e HNWI, sempre più accessibili anche a clientela affluent e Retail tramite strumenti Wrap (gestioni patrimoniali e fondi di fondi).

Secondo Mauro Panebianco, Partner di PWC e AWM Consulting Leader Italy: “Tecnologia, regolamentazione, la generazione dei millenial e l’invecchiamento della popolazione spingeranno i wealth manager a puntare su soluzioni personalizzate e digitali, su servizi ad alto valore aggiunto come corporate, art e real estate advisory, nonché sulla pianificazione successoria e la gestione di tematiche fiscali. Il rischio di una compressione dei margini, per effetto sia di una riduzione delle commissioni che dell’aumento dei costi di compliance, renderà sempre più necessario far leva su economie di scale che porterà inevitabilmente ad un consolidamento del settore”.

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CAPITOLO 2

LA SGR

2.1 CHE COSA E’ UNA SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO?

Il termine SGR, introdotto per la prima volta nell’ordinamento Italiano con il recepimento del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, rappresenta l’acronimo delle SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO.

L’Art 1, lett. O) del TUF, definisce la SGR come la società per azioni, con sede legale e direzione generale in Italia, autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio. A seguito dell’entrata in vigore del TUF, quindi, la gestione collettiva del risparmio è riservata, oltre alle SICAV, alle società di gestione del risparmio (art 33, comma 1, TUF). Rispetto al sistema anteriore, però, l’ambito di operatività della società di gestione del risparmio risulta notevolmente più ampio visto che le è consentito di istituire e gestire fondi pensione, di offrire al pubblico anche "il servizio di gestione su base individuale di portafogli d’investimento per conto terzi" e le altre attività connesse e strumentali. La società di gestione del risparmio viene autorizzata dalla Consob, sentita la Banca d’Italia, ad esercitare il servizio di gestione collettiva del risparmio e di gestione su base individuale di portafogli d’investimento se ricorrono le condizioni stabilite dall’art 34, comma 1 del TUF. Queste condizioni prevedono che:

i) Venga adottata la forma di società per azioni

ii) La sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica iii) Il capitale sociale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia; questo aspetto verrà approfondito in seguito, in quanto sono presenti determinate eccezioni sulle quali è opportuno focalizzarsi

iv) I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo abbiano i requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti dall’art 13

v) I partecipanti al capitale siano in possesso di requisiti di onorabilità stabiliti dall’art 14. vi) La struttura del gruppo di cui è parte la società non sia tale da pregiudicare l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa

vii) Venga presentato un programma concernente l’attività iniziale oltre che una relazione sulla struttura organizzativa

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Due aspetti meritano di essere più affondatamene analizzati.

Facendo riferimento al capitale minimo di cui deve disporre la SGR in fase di costituzione, la normativa stabilisce un ammontare minimo di un milione di euro. Tuttavia è possibile che siano costituite SGR con un capitale ridotto, cioè con capitale sociale minimo almeno pari a quello richiesto dal codice civile per la costituzione delle società per azioni (cc. dd. "SGR con capitale ridotto"); le condizioni che devono essere rispettate sono:

- La SGR svolge esclusivamente l’attività di promozione e/o gestione di fondi chiusi; è partecipata, nella maggioranza assoluta del capitale sociale, da Università, centri di ricerca con personalità giuridica autonoma, enti pubblici territoriali, fondazioni universitarie e bancarie, consorzi universitari partecipati da Università e Camere di commercio; gestisce fondi il cui patrimonio iniziale non è superiore a 25 milioni di euro (in caso di superamento di tale valore, la SGR, entro 12 mesi dalla data in cui l’importo risulta superato, adegua il proprio capitale a quello richiesto in via generale).

- I fondi, come indicato nel regolamento di gestione: sono chiusi e riservati a investitori qualificati, con quota minima di sottoscrizione non inferiore a 250 mila euro; sono destinati a essere investiti, fatta eccezione per l’eventuale detenzione di disponibilità liquide per esigenze di tesoreria, esclusivamente in azioni o altri titoli rappresentativi di capitale di rischio di società di recente costituzione o da costituire, che hanno come oggetto sociale l’attività di ricerca e di utilizzazione industriale dei risultati della ricerca stessa, nell’ambito di nuove iniziative economiche ad alto contenuto tecnologico.

Sempre in termini di patrimonio, un altro importante aspetto merita di essere considerato. Risulta opportuno sottolineare infatti che la SGR ha una operatività molto più ampia rispetto alle precedenti società di gestione dei fondi comuni d’investimento, essendo gestore unico abilitato a prestare contestualmente servizi di gestione collettiva e individuale ovvero di istituire e gestire tutte le tipologie di fondi. Per evitare il rischio di conflitto di interessi derivante dalla unificazione in un medesimo soggetto dell’operatività sia in monte che su base individuale, sono stati posti vincoli di separazione patrimoniale tra le due attività ed è stato disposto il principio di esclusività dell’oggetto sociale delle SGR, che pertanto non possono svolgere alcun tipo di servizio finanziario o di investimento, come la negoziazione.

Analizzando adesso il programma riguardante l’attività necessario per l’autorizzazione, la normativa prevede che questo deve illustrare l’attività dell’impresa, le sue linee di sviluppo, gli obiettivi perseguiti, le strategie che la società intende seguire per la loro realizzazione nonché ogni altro elemento che consenta di valutare l’iniziativa. Nel

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