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Tra uguaglianza di genere e Islam: il femminismo islamico in Egitto e Marocco

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Laurea Magistrale in Storia e Civiltà

Tesi di laurea

Candidato:

Walter Luigi Pendini

Relatore: Prof.ssa Renata Pepicelli

Correlatore: Prof.ssa Caterina Di Pasquale

Tra uguaglianza di genere e Islam: il femminismo

islamico in Egitto e Marocco

Sessione di Laurea del 28/09/2020 Anno accademico 2019/2020

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3 INDICE Introduzione ... 5 Capitolo I Femminismi e Islam 1.1 Background storico………... 12 1.2 Il Femminismo Laico………... 19 1.3 Il Femminismo Islamico………... 22 1.4 L’attivismo Islamista………... 28

1.5 La politica del velo………. ... 31

Capitolo II La teologia femminista islamica 2.1 Ermeneutica Coranica ... 37

2.2 Riffat Hassan: la nascita di una teologia femminista islamica...43

2.3 Il Gender Jihad di Amina Wadud... 48

2.4 Asma Barlas: verso una visione femminista dell’Islam...54

2.5 Asma Lamrabet: il Corano come strumento di emancipazione femminile..58

Capitolo III L’attivismo femminile in Marocco: tra Islam e modernità 3.1 Il movimento delle donne in Marocco: dall’indipendenza agli anni di piombo………... 63

3.2 Il femminismo militante marocchino………... 66

3.3 La Mudawwana marocchina………...71

3.4 Femminismi in evoluzione: le manifestazioni del 20 febbraio 2011 (M-20F) ………..………...85

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3.5 Il caso del CERFI: un centro di studi e ricerche sulla donna nell’Islam nel

cuore di Rabat...89

3.6 Fatima Mernissi: il profilo complesso di una studiosa musulmana... ..92

Capitolo IV L’attivismo femminile in Egitto: storia ed evoluzioni 4.1 I primi passi del femminismo in Egitto...99

4.2 Il movimento femminista egiziano: dall’indipendenza al regime di Nasser ………...103

4.3 Il movimento femminista egiziano nell’era post-Nasser...107

4.4 Il movimento femminista nel regime di Mubarak: al confine tra i diritti umani e l’autoritarismo... 109

4.5 La partecipazione femminile nella rivoluzione del 2011...113

4.6 Il femminismo Islamico in Egitto...118

4.7 Omaima Abou-Bakr: una femminista islamica egiziana...123

Riflessioni conclusive ...130

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Introduzione

Alla base del seguente lavoro vi è l’analisi del femminismo islamico e, più precisamente, del suo affermarsi nel contesto egiziano e marocchino. Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema hanno una duplice natura. In primo luogo, l’interesse nei confronti del femminismo islamico è stato sicuramente influenzato dalla frequenza a un corso universitario incentrato sulla storia dei paesi islamici; contemporaneamente, è stato incentivato da una curiosità personale che mirava a ridefinire quella convinzione – errata – secondo cui nel mondo arabo-islamico non vi sarebbe spazio per il femminismo. Nel momento in cui si parla di diritti delle donne sembra quasi normale pensare a quelle femministe occidentali che hanno combattuto con tenacia per occupare il loro posto nel mondo. Specialmente nell’immaginario occidentale le donne musulmane vengono ancora oggi “discriminate”, considerate come vittime della propria religione, che non hanno mai lottato per far valere i loro diritti; ma la storia, in realtà, è ben diversa. In questa analisi cerco di relativizzare il luogo comune della subordinazione femminile. Senza dubbio in determinati paesi la disuguaglianza di genere è più marcata e le donne vivono ancora oggi diverse limitazioni alla libertà personale e disparità giuridiche, nondimeno, le loro sfide ed esperienze ci parlano di una storia che va oltre lo stereotipo che le classifica come semplicemente “oppresse”; in effetti, nel corso della storia di questi paesi è possibile confrontarsi con la presenza di numerose militanti che hanno lottato per ottenere l’emancipazione e maggiori diritti.1 È allora possibile parlare di un attivismo femminile presente in questi paesi e, nel caso specifico del mio lavoro, di femminismo islamico, un fenomeno che nonostante dei punti in comune con altri femminismi, presenta tutta una serie di peculiarità. Le donne arabe hanno dovuto (e devono ancora) confrontarsi con un contesto sociale e culturale molto diverso; il loro status nelle società musulmane, così come le strutture patriarcali e le relazioni di genere, sono anche il prodotto di molteplici fattori, all'interno dei quali è presente la religione, che svolge da sempre un ruolo chiave nella società araba, tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica, ma la gran parte dei principi che regolano la società sono stati interpretati e applicati in modo errato. È proprio qui che si situa il dibattito riguardo la presunta incompatibilità tra Islam e modernità, tra principi religiosi e status e ruolo della donna nella società

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musulmana. Ma alla diffusa narrazione che vuole il genere femminile “logorato” da un Islam misogino si oppone lo sforzo di chi, utilizzando a proprio vantaggio la reinterpretazione dei Testi sacri, cerca di promuovere l’uguaglianza di genere, considerando l’Islam come un alleato della questione femminile. Queste attiviste cercano di dimostrare che fin dagli albori dell’islam vi era un’importante presenza femminile, laddove le donne non solo svolgevano ruoli importanti in ambito politico-sociale, godendo di diversi diritti, ma erano anche molto attive nella sfera familiare. Tuttavia, alla morte del profeta Muhammad quei principi religiosi che predicavano uguaglianza di genere e protezione dei diritti delle donne, vennero meno, oscurati da secoli di errate interpretazioni prodotte dall’élite maschili. Dunque, disparità di genere ed emarginazione femminile troverebbero la loro origine nel conflitto che si era creato tra religione e società, la quale aveva ereditato dei pensieri e delle pratiche che miravano a danneggiare il ruolo della donna e la sua partecipazione politica.2

Lo scopo principale del mio lavoro è dunque quello di esplorare, in primo luogo, la storia dell’attivismo femminile che si è sviluppato nel contesto egiziano e marocchino, dimostrando la sua forza e vitalità. Attraverso l’analisi della partecipazione politica delle donne arabe in diversi periodi del secolo scorso, ne registro i successi raggiunti e le sfide che hanno dovuto affrontare; Inoltre, cerco di approfondire il fenomeno del femminismo islamico particolarmente attivo in questi paesi, tracciandone gli sviluppi e le potenzialità. La tesi è articolata in quattro capitoli. La prima parte è dedicata al femminismo islamico. Dopo aver fornito un background storico che ne descrive la nascita, i paragrafi successivi sono invece dedicati alle diverse forme di attivismo femminile che si sono sviluppate nel corso del tempo, distinguendole in tre macro-orientamenti: il femminismo secolare, il femminismo islamico e l’attivismo islamista. Nell’esplorare queste tre forme di femminismo, metto in risalto i punti d’incontro e le differenze che li caratterizzano. Se il femminismo secolare, come si può intuire dal nome, è un movimento che si distacca dalla religione considerata generalmente un ostacolo nella lotta per l’emancipazione, al contrario, il femminismo islamico trova la sua forza nella religione. Ma chi sono le femministe islamiche? Come e dove lavorano? A cosa aspirano? E in cosa consiste il loro attivismo? Cerco di riflettere sulle potenzialità e le sfide di questo attivismo che cerca di promuovere l'uguaglianza e i diritti delle donne nel mondo arabo. Infine, dedico una parte

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all’attivismo islamista. Le donne coinvolte in questa corrente condividono con le altre la necessità di lottare contro l’oppressione delle donne e lo fanno servendosi dei principi islamici. Tuttavia, considerano il proprio programma d’azione più “autentico” rispetto alle altre forme di attivismo, valutate invece come troppo dipendenti dal femminismo di stampo occidentale. Insistendo sul ruolo della donna come moglie e madre, queste attiviste non parlano di uguaglianza ma di complementarità tra uomini e donne. La differenza tra questi ultimi esiste, e non dovrebbe essere ignorata, perché differenze biologiche portano a differenti funzioni nella società e in famiglia.

A questo punto, nel secondo capitolo, fornisco una visione più profonda e dettagliata del lavoro di alcune femministe islamiche, trattando dell’ermeneutica coranica, e cioè quel lavoro di studio e reinterpretazione del Corano che cerca di constatare se il testo sostiene a tutti gli effetti l'oppressione delle donne. Esplorando la vita e i lavori di alcune tra le più importanti sociologhe, storiche e teologhe come Riffat Hassan, Amina Wadud, Asma Barlas e Asma Lamrabet cerco di evidenziare come i diritti della donna e l’Islam sono tutt’altro che incompatibili; anzi, la promozione della condizione della donna – secondo queste studiose – era parte del messaggio originale dell’Islam. Infatti, è nei secoli successivi all’avvento dell’Islam che si viene a formare un paradigma teologico-giuridico profondamente misogino, che si allontana dagli insegnamenti del profeta Mohammad. Dopo che le donne furono escluse con successo dalla partecipazione istituzionale alla vita pubblica e segregate nell’ambito privato, questo paradigma continuò a sostenere l’interpretazione teologico-legale degli insegnamenti coranici sulle donne fino ai giorni nostri. Il loro straordinario lavoro di esegesi coranica cerca di ribaltare questa situazione. Attraverso la lettura di determinati versetti e Sure, tentano di proporne una lettura alternativa, che ricavi il modello della giustizia dal messaggio spirituale del testo. Queste donne leggono il Corano e lo interpretano dal proprio punto di vista, secondo le loro esigenze moderne e alla luce dei discorsi moderni globali e dei movimenti di civilizzazione. Si soffermano sul contesto storico e culturale delle società in cui i primi esegeti e giuristi vivevano e analizzano criticamente le loro opere, dimostrando come i primi studiosi del Corano hanno deliberatamente ignorato il messaggio di uguaglianza di genere presente all’interno del Testo sacro e, soprattutto, dimostrano che il Corano – diversamente dagli stereotipi diffusi – è in realtà un testo fortemente anti-patriarcale.

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Il terzo capitolo è dedicato alla questione femminile in Marocco. La prima parte analizza, dopo un breve excursus storico, le diverse fasi dell’attivismo femminile marocchino. Le prime mobilitazioni femminili hanno iniziato a manifestarsi essenzialmente nelle lotte per l’indipendenza e in alcune battaglie per i diritti, articolandosi in un attivismo associativo per lo più caritatevole e assistenziale. All’indomani dell’indipendenza, però, cominciano a svilupparsi sezioni femminili nei partiti e nella militanza sindacale e studentesca. Queste attiviste andranno poi a creare le principali associazioni del femminismo militante. Il paragrafo successivo, considerata l’importanza dei codici della famiglia nei Paesi medio-orientali, è dedicato alla riforma della Mudawwana, un processo lungo quasi cinquant’anni che ha rappresentato uno degli obbiettivi principali del movimento femminista marocchino. Inoltre, dedico una parte alle grandi ondate protestatarie del 2011, con lo scopo di mettere in evidenza l’importanza del ruolo giocato dalle donne e il loro contributo negli eventi delle cosiddette “primavere arabe”. Per concludere, riservo due parti al femminismo islamico marocchino. In primo luogo, tratto del Centre d’etudes et de recherches féminines en Islam (CERFI), che si presenta sulla scena marocchina come uno dei più importanti centri specializzati negli studi sul Corano e nei Women’s studies, prima istituzione religiosa che ha deciso di adottare ufficialmente il femminismo islamico per contribuire alle sue ricerche sul mondo arabo. Successivamente, approfondisco il lavoro svolto da una delle più note attiviste femministe musulmane di fama mondiale, Fatima Mernissi.

Il quarto capitolo è dedicato invece alla questione femminile in Egitto. L’Egitto ha svolto un ruolo trainante nella diffusione delle questioni di genere in Medio Oriente. In parte ciò è dovuto al fatto che il Cairo fu uno degli epicentri culturali del risorgimento arabo-islamico. La nahdah e il fermento culturale a cui diede vita posero le basi per la nascita dei movimenti femministi nel secolo successivo. Nel primo paragrafo, fornisco le coordinate storiche del movimento femminista egiziano, la cui evoluzione si intreccia in maniera inevitabile con le dinamiche politiche e culturali del Paese, e ne individuo i caratteri principali: databile alla fine del XIX secolo, è in questo contesto che emerse un dibattito intorno alla figura della donna cui presero parte intellettuali che si servivano della letteratura e della scrittura come canali principali d’espressione. Questa fase rappresenta uno dei periodi più fertili a livello culturale e politico, dove il femminismo acquistò maggior visibilità intellettuale, si organizzò e si politicizzò. Questo è anche il

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momento in cui s’intensifica il discorso nazionalista egiziano, nel quale il movimento femminista si inserisce all’insegna della lotta per l’indipendenza contro l’oppressore britannico. I paragrafi successivi, invece, sono impegnati con le politiche di genere e le posizioni ideologiche inerenti ai ruoli di genere nella società egiziana adottate dai regimi post indipendenza, da Nasser a Mubarak. Durante la mia analisi cercherò di gettar luce sugli effetti contraddittori che i progetti di modernizzazione condotti dallo Stato egiziano hanno avuto sull'emancipazione delle donne, nei campi politico, sociale e culturale. Lo scopo di questi paragrafi è quello di evidenziare come l'obiettivo dei progetti di modernizzazione dello Stato non fosse la liberazione delle donne di per sé, ma piuttosto il controllo della questione di genere, nel tentativo di costruire una nazione moderna e indipendente, migliorando l’immagine dello Stato agli occhi dell’occidente. Successivamente, riservo anche qui un paragrafo in cui tratto delle grandi ondate protestatarie del 2011, dove le donne furono in prima linea, svolgendo un ruolo estremamente attivo e importante. Infine, i due paragrafi successivi sono invece dedicati all’esperienza del femminismo islamico in Egitto. In primo luogo, analizzo il lavoro di due importanti associazioni che rientrano nel framework del femminismo islamico e che operano nel contesto egiziano: il Women Memory Forum e il Women and Civilization

Journal. Successivamente, approfondisco l’interessante lavoro svolto da una delle

femministe islamiche egiziane più famose e attualmente attiva, Omaima Abou-Bakr.

Le fonti e la letteratura sull’argomento

La maggior parte delle fonti su cui ho condotto la mia analisi è in lingua inglese e/o francese. È importante in questo caso specificare due cose; la prima, è che il materiale in questione è in gran parte costituito da articoli pubblicati all’interno di libri, riviste e di atti di convegni. La seconda, è che una parte del materiale rimanda a riviste online, quotidiani elettronici e video. In diversi paragrafi ho infatti utilizzato questo tipo di fonti per analizzare il lavoro di alcune attiviste o associazioni. Cionondimeno, come vedremo nella parte successiva, per ogni capitolo ho adoperato diversi testi chiave sia delle esponenti del femminismo islamico su cui mi soffermo in questa tesi, sia delle principali studiose di questo movimento.

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La prima parte del mio lavoro è dedicata alla descrizione del femminismo islamico. Il testo principale di riferimento è stato Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme di Renata Pepicelli, che mi ha permesso di entrare nella galassia dei femminismi islamici (perché di femminismi al plurale si deve parlare) offrendomi una panoramica generale sulla genesi di questi movimenti. L’utilizzo di altre fonti importanti, come Musulmane rivelate. Donne, islam, modernità di Rubah Salih, Oltre il velo: la donna nell’islam da Maometto agli ayatollah di Leila Ahmed, e la lettura di articoli scritti dalla studiosa Margot Badran in lingua inglese e/o francese, si sono rivelate molto utili.

Per quanto riguarda la seconda parte, dedicata al lavoro di alcune studiose, teologhe e femministe islamiche, ho utilizzato il testo di Jolanda Guardi e Renata Bedendo Teologhe,

musulmane, femministe che mi ha fornito la possibilità di approfondire il loro pensiero,

ponendo l’accento sul lavoro di interpretazione delle fonti sacre da parte delle donne. Inoltre, nella stesura dei paragrafi dedicati alle studiose, è stato indispensabile la lettura delle loro opere scritte e/o tradotte in lingua inglese: Believing women in Islam: unreading

patriarchal interpretations of the Qu’ran di Asma Barlas, Qu’ran and woman: rereading the sacred text from a woman’s perspective di Amina Wadud, Women and Men in the Qur’ān di Asma Lamrabet. Per quanto concerne le traduzioni in lingua italiana del Corano ho fatto riferimento al testo di Ida Zilio-Grandi Il Corano.

Invece, nella terza parte dedicata al Marocco, il testo base di cui mi sono servito è

Femminismi e Islam in Marocco: attiviste laiche, teoriche e predicatrici di Sara Borrillo,

che esplora in modo ricco e dettagliato la storia e lo sviluppo del femminismo marocchino. Inoltre, l’utilizzo del testo di Fatima Sadiqi, Moroccan feminist discourse, che costituisce un focus sulla situazione del regno del Marocco, e il saggio Genere e

generazioni in transizione: il movimento delle donne in Marocco dall’indipendenza al post-rivolte arabe di Renata Pepicelli, si sono rivelati particolarmente utili durante la

scrittura dei vari paragrafi.

Infine, per quanto riguarda la parte dedicata all’Egitto, le fonti principali sono state Il

Femminismo islamico in Egitto. Donne, religione e giustizia di genere di Nesma

Elsakaan, la cui lettura si è dimostrata fondamentale per poter comprendere e delineare il volto del femminismo islamico egiziano, integrato con alcuni articoli della studiosa egiziana Mulki Al-Sharmani, come Islamic Feminism Transnational and national reflections.

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Inoltre, un valido supporto è stato la lettura di alcuni scritti della ricercatrice italiana Lucia Sorbera incentrati sulla storia dell’Egitto e del movimento femminista egiziano.

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CAPITOLO I

Femminismi e Islam

1.1 Background storico

Islamic feminism is not about changing God’s words but about bringing attention to them.

(Shaista Gohir, Women’s righst activist)3

Per accostarsi al mondo dei femminismi musulmani è utile tracciare il contesto storico e culturale in cui il movimento si è evoluto nel secolo scorso, fino alle correnti attuali che si identificano nel jihad di genere.4 Ovviamente, i temi della questione femminile e i problemi della condizione delle donne in un dar al Islam5 culturalmente multiforme e

3 Shaista Gohir è una delle principali attiviste per i diritti delle donne musulmane in Gran Bretagna, attualmente presidente del Muslim Women's Network UK (MWNUK). Nel 2015, ha istituito la Muslim

Women's Network Helpline (www.mwnhelpline.co.uk), una linea di assistenza nazionale e culturalmente

sensibile. Nel 2016 ha scritto altre due importanti relazioni: "Mutilazione genitale femminile – Comunità colpite a Birmingham" e anche "Informazioni e orientamenti sul matrimonio musulmano e il divorzio in Gran Bretagna". Inoltre, gestisce anche una società di consulenza SNG Consultancy che fornisce workshop di formazione, ricerca e consulenza su questioni legate al genere come il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, la violenza domestica (www.sngconsultancy.com). nonché membro dell'International

Advisory Group (il più alto comitato decisionale) per Musawah (www.musawah.org). http://shaistagohir.com/

4 C'è anche un altro jihad attualmente in corso in "Oriente" come in "Occidente", un jihad che non riguarda la lotta contro gli "infedeli" e tanto meno la costituzione di un sedicente stato islamico. È il "gender jihad" combattuto da donne, ma anche da uomini, che si richiamano al primo significato della parola jihad che è quello di "sforzo", inteso come lotta interiore che i singoli individui devono intraprendere per migliorare sé stessi e l'ambiente che li circonda. È una battaglia, individuale e collettiva, contro le diseguaglianze di genere i cui principali strumenti sono le fonti religiose islamiche. L'idea di fondo è che l'Islam sia stato portatore di un messaggio di giustizia sociale e di genere, ma che questo messaggio sia stato tradito nel corso degli ultimi secoli da interpretazione misogine e patriarcali del Corano e degli altri testi sacri. Di fronte a questo stato di cose è necessario - sostengono attiviste e teologhe - riaprire le porte dell'ijtihad (parola che deriva dalla stessa radice di jihad). Ovvero, è necessario riattivare lo sforzo di ricerca indipendente sulle fonti religiose con lo scopo di produrre nuove esegesi (tafsir). Queste nuove interpretazioni devono tendere ad attualizzare il messaggio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani che attraversa la dottrina e l'etica islamica delle origini. Cfr. Intervista a Renata Pepicelli, https://www.huffingtonpost.it/renata-pepicelli/ce-anche-un-altro-jihad-che-sta-trasformando-il-mondo-islamico-il-gender-jihad_b_9786846.html

5 Con l'espressione dar al islam (letteralmente "Casa dell'Islam") la cultura islamica identifica uno spazio territoriale e politico soggetto alla legge islamica e abitato dalla umma (comunità) dei credenti, dove i musulmani possono compiere gli obblighi loro richiesti, in particolare l'ottemperanza ai cinque pilastri dell’Islam. Rientra nella teoria islamica della ripartizione territoriale del pianeta, basata su principî confessionali e di extraterritorialità. Partendo dall'assunto che l'obiettivo dell'Islam sia l'intero pianeta, la giurisprudenza islamica (non la teologia islamica) suddivide il mondo in Dar al Islam e Dar al harb ("Dimora della guerra"). Cfr. S. Albrecht, Dar al-Islam revisited, p.2.

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storicamente polivalente, si presentino attualmente difficili da decifrare. Il movimento femminista nel mondo arabo ha avuto sin dal principio diverse anime e, come del resto avviene per quello occidentale, è più corretto parlare di femminismi al plurale, considerata la molteplicità di forme e percorsi che lo caratterizza fin dalle origini.

I movimenti di emancipazione femminile nel mondo arabo fanno la loro comparsa alla fine dell’800 in seno alla Nahdah, un movimento concepito da intellettuali di vario credo interessati alla rinascita sociale e culturale del mondo arabo. In origine, l’emancipazione femminile si presenta come il passo necessario per la modernizzazione, spesso in senso occidentalizzante, delle società arabe. Una figura particolarmente rappresentativa di questo periodo fu l’avvocato egiziano Qasim Amin, il cui testo Tahrir al-mar’a (la liberazione della donna) è considerato il primo grande scritto femminista del mondo arabo. Le donne, argomentava Amin, devono essere istruite in modo tale da poter contribuire nel migliore dei modi alla vita pubblica e privata dello stato moderno; uno degli elementi centrali di questo percorso è l’abolizione dell’uso del velo, maggiore ostacolo all’emancipazione femminile e al progresso dello stato-nazione.6 Tuttavia, al centro delle preoccupazioni di Amin e di molti suoi contemporanei, non c’era tanto la condizione femminile in quanto tale bensì il progresso nazionale – una posizione che gli costerà successivamente le critiche da parte di alcune studiose7 – e la volontà di voler sostituire il predominio maschile di tipo islamico con quello di tipo occidentale.

Anche ai tempi di Amin, si noti, non mancarono donne impegnate profondamente nel progetto emancipazionista. Tra le prime donne impegnate nella rivendicazione di diritti femminili figura la libanese-egiziana Zaynab Fawwz (1864-1914), autrice di Le lettere di

Zaynab, un libro sul diritto della donna all’istruzione e al lavoro e sulla possibilità di

quest’ultima di uscire dall’ambito domestico. Vanno poi ricordate anche la poetessa egiziana Aisha al-Taymuriyyah (1840-1902) che nella sua opera Lo specchio della

contemplazione prende di mira i costumi della classe aristocratica e critica il

comportamento dei mariti verso le proprie mogli. Ma in favore della promozione

6 R. Pepicelli., Femminismo Islamico. Corano, diritti, riforme, Carocci Editore, Roma, 2016, pp.39-40. 7 Ad esempio, la critica della professoressa Leila Ahmed secondo cui Qasim Amin non si proponeva realmente di sradicare il predominio maschile, ma solo di sostituire il modello di patriarcato arabo con quello occidentale. In questo senso, Amin avrebbe a tutti gli effetti strumentalizzato il linguaggio femminista in un’opera di screditamento della cultura Islamica. Cfr. R. Pepicelli, Femminismo Islamico, p. 37.

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intellettuale delle donne si pronunciavano anche le riviste femminili8; è questo il caso dell’egiziana Malak Hifni Nasif, che in una serie di articoli sulla condizione femminile esaminò le sfide a cui dovevano far fronte le donne per accedere alla vita della nazione e allo spazio pubblico.9 Ma bisognerà aspettare gli anni ’20 perché questi attivismi individuali diano luce a forme politiche organizzate. È a partire da questo momento che il dibattito comincia a trasformarsi in vero e proprio attivismo femminile. Nel 1923 si forma in Egitto, sotto la guida di Hoda Sharawi, l’Unione femminista egiziana, la prima organizzazione esplicitamente femminista del paese. Stesso anno in cui Hoda Sharawi e Saiza Nabarawi, di ritorno dal congresso dal IX congresso dell’International Woman

Suffrage Alliance, si strapparono pubblicamente il velo alla stazione del Cairo, immerse

negli applausi di quante le accoglievano. L’anno successivo, in Palestina, fa la sua comparsa l’Associazione per la rinascita delle donne, seguita nel 1927 dall’Associazione delle Signore Arabe, costituitasi a Gerusalemme. Gradualmente, organizzazioni simili si diffusero in tutti i paesi della regione, affiancandosi a numerose peculiarità locali. Inizialmente, si trattava in larga parte di movimenti di ispirazione decisamente laica e spesso panarabista, in cui femminismo e anticolonialismo, emancipazione femminile e liberazione nazionale, erano discorsi profondamente intrecciati e reciprocamente funzionali.10

Le prime attiviste del mondo arabo davano vita a battaglie autoctone per l’affermazione dei diritti femminili, dimostrando chiaramente come il femminismo che si stava sviluppando non rappresentava una sorta di prodotto importato dall’Occidente; è innegabile che eventi come la schiavitù, il colonialismo, le lotte di liberazione nazionale hanno posizionato le donne in modo diverso nel mondo, segnandone profondamente i linguaggi, le pratiche e le problematiche. L’attivismo di genere e la costruzione di un paradigma attento a promuovere l’emancipazione femminile sono elementi indigeni di un mondo arabo che ha saputo declinarli in modo originale.11 La stretta coloniale ebbe, ovviamente, conseguenze importanti sui movimenti femministi, facendo aumentare le fila di uomini e donne insofferenti al tentativo coloniale che strumentalizzava la presunta inferiorità delle musulmane per imporre, in realtà, il proprio controllo politico. Molte

8 Tra le riviste femminili menzioniamo: “Anis al-Jalis” (1898-1908); “Fatat al-Sharq”(1906-1939); “Al-Afaf”(1910-1922).

9 R. Pepicelli, Femminismo islamico, pp. 33-35. 10 Ibid., pp.37-39.

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femministe si unirono ai movimenti nazionalisti accantonando le proprie istanze di genere a favore della liberazione della società intera. Anzi, le donne furono spesso in prima linea contro la dominazione straniera, colorando la loro lotta di nazionalismo e patriottismo.12 Il fenomeno del nazionalismo, però, portò con sé anche conseguenze negative: se da un lato, infatti, le donne che si mobilitarono in difesa della patria si distaccarono dallo spazio privato per acquisire visibilità in quello pubblico, dall’altra, il linguaggio retorico nazionalista finì per confinarle in nuove costrizioni. Il corpo delle donne divenne simbolo della patria, che va protetta e vigilata, e quindi duramente controllata. Così, nel corso degli anni Quaranta e Sessanta, anziché premiare le donne per il vitale contributo alla costruzione di uno stato nazionale, si chiede loro di fare un passo indietro dalla scena pubblica. Le donne vennero estromesse in nome dell’unità nazionale; in Algeria, Marocco, Egitto e altri paesi post-coloniali, le donne furono escluse non solo dalla condivisione del potere politico, ma anche da un giusto riconoscimento dei loro diritti fondamentali.13

Dopo un ventennio di continue attività, gli anni Cinquanta e Sessanta segnarono l’inizio di una fase particolare per il movimento femminista. Ironicamente, i discorsi sull’emancipazione femminile furono relegati in secondo piano rispetto alla realizzazione del socialismo arabo, a discapito di tutte le donne che, per anni, avevano contribuito alla lotta per l’indipendenza; in questo clima, si andava sviluppando quello che viene definito come Femminismo di Stato. Infatti, nel corso degli anni Sessanta (e in modo graduale nei decenni successivi) l’azione del femminismo autonomo e indipendente era stato oscurato dalla comparsa del cosiddetto “Femminismo di Stato” che si è imposto come un elemento caratterizzante della storia di diversi paesi del mondo arabo. In questo caso, lo Stato, dotandosi di organi dedicati alle “politiche femminili”, si appropriava di parole e discorsi del movimento delle donne, deprivandoli della loro radicalità e oscurando il dibattito sulla questione dell’uguaglianza tra i sessi.14 Questa strategia – adottata in diverse parti

12 Sul primo femminismo egiziano cfr. M. Badran, “Competing Agenda: Feminists, Islam, and the State in 19th and 20th century Egypt”, in D. Kandiyoti (a cura di), Women, Islam and the State, McMillan, Londra 1991, pp. 201-236.

13 R. Pepicelli, Femminismo islamico, pp. 40-41.

14 Ad esempio, la Tunisia di Bourghiba post indipendenza (1956) darà vita a una serie di riforme volte a perseguire un ideale di stato moderno e semi-secolare, ben visto in occidente. Tra le prime leggi promulgate vi è il Codice di statuto personale, uno dei documenti più liberali in fatto di uguaglianza di genere. Eppure, la questione femminile è in questi anni fortemente condizionata dallo Stato, strumentalizzata per servire le esigenze del regime. Molti sindacati nati prima dell’indipendenza sono messi al bando, e i gruppi femminili autonomi cooptati nella National Union of Tunisian Women. Un percorso molto simile sarà attraversato

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dell’aria MENA15 – fu carica di aspetti contraddittori, perché sebbene consentì alle donne l'accesso all'istruzione, alla salute e all'occupazione, non mise realmente in discussione gli atteggiamenti sociali e culturali negativi nei confronti delle donne che venivano ancora considerate dipendenti dagli uomini. In questo contesto, il movimento femminista dovette inoltre confrontarsi con la pressione dei movimenti islamisti che cercavano di affermare e diffondere la loro visione patriarcale delle relazioni di genere. Nel corso del XX secolo la mobilitazione delle donne in seno ai movimenti islamisti cresce in diversi paesi tra cui l’Egitto, la Tunisia e il Marocco. Ma l’esperienza femminile islamista non corrisponde a quella femminista. Vi sono senz'altro elementi in comune e spazi di dialogo tra gli ambienti di militanza, ma i percorsi di formazione delle attiviste e le prospettive ideologiche sono intimamente diverse.16

Successivamente, dopo una fase di incertezza e di forti pressioni politiche, nel corso degli anni Ottanta e Novanta l’attivismo femminile comincia a mostrare un nuovo volto. Si moltiplicano le organizzazioni non governative, che intendono la politica come impegno quotidiano per la promozione dei diritti sociali, la difesa dei diritti umani e la promozione della cultura. È in questa fase che il femminismo mediato dalle istituzioni inizia a venir meno, aprendo la strada ad un movimento di donne che lottavano per i loro diritti e per la libertà all’interno di una cornice islamica. In molti paesi del mondo arabo si è sviluppato ciò che potremmo definire come un laboratorio di rinegoziazione tra identità femminista e identità religiosa delle donne musulmane, perché la riappropriazione del tema religioso non chiude le porte al femminismo inteso come movimento che si rappresenta (o si autorappresenta) dentro cornici ideologiche secolari. Si rivela infatti un nuovo orientamento in cui si assiste a un riposizionamento dell’Islam all’interno di movimenti femminili.17 Accanto al femminismo secolare che continua a essere presente in questi paesi – supportando l’affermazione del rispetto dei diritti umani

anche dall’Egitto di Nasser e i suoi successori che, nonostante l’attuazione di politiche gender oriented, porteranno il movimento femminista egiziano a vivere una lunga fase di torpore. Cfr. S. EL-Masri, “Tunisian Women at a crossroads: cooptation or autonomy?”, in Middle East policy council, Vol. XXII, No.2, 2015. M. Picchi, “Genere, modernità e politiche sociali nell’Egitto di Nasser”, in Storia del pensiero

politico, rivista quadrimestrale, 2018, pp. 53-54.

15 Acronimo di Middle East and North Africa.

16 F. Sadiqi & M. Ennaji, “The feminization of public space: women’s activism, the family law, and social change in Morocco”, in Journal of Middle East Women's Studies , Vol. 2, No. 2, Special Issue: Women's Activism and the Public Sphere, 2006, pp. 104-109.

17 M. Badran, “Between Secular and Islamic Feminism/s: reflections on the Middle East and Beyond”, in

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e dell’eguaglianza di genere nell’ambito di uno Stato laico – e la critica di genere sostenuta da donne impegnate in organizzazioni islamiste, si intreccia dunque un nuovo interessante orientamento: il femminismo islamico, una terza via tra diritti umani e religione. Il ritratto diversificato che ne deriva ci mostra la necessità di queste donne di reinterpretare da una prospettiva di genere la tradizione musulmana.18 Ovviamente, nel rivolgere il nostro sguardo verso la sponda sud del Mediterraneo, osserviamo come la realtà sia più complessa di quello che appare. Attori internazionali, religiosi, secolari, tradizionalisti e modernisti, si sono infatti interrogati apertamente sul “ruolo” o sulla “posizione della donna”.

Questa nuova forma di attivismo che cominciava a svilupparsi rappresentò la conseguenza di una riformata partecipazione femminile alle attività religiose in cui le maschilistiche e autocratiche interpretazioni dell’islam provocarono la critica di moltissime donne, comprese quelle che credevano fermamente nei dettami della loro religione, ma non nella complicità di questa con un regime patriarcale. Le musulmane, mentre condannavano un certo tipo di femminismo, che ricollegavamo con l’imperialismo e con la promiscuità occidentale, d’altro canto credevano fermamente nella lotta per affermare i propri diritti e nel bisogno di creare un femminismo autoctono. Forti di una nuova consapevolezza, le donne rigettarono l’apparente contraddizione tra fede e femminismo.19 Esse furono in grado di creare tipologie autoctone di lotta che univano un’argomentata rilettura delle fonti sacre dell’islam – soprattutto del Corano – con la richiesta di equità e diritti. Prendono così forma, sul finire degli anni Ottanta, movimenti di pensiero classificati come “femminismi islamici”, che contrastano la dittatura patriarcale basata su pretese regole religiose, combattendola con le armi di una nuova ermeneutica. Questo nuovo paradigma si basa sulla convinzione che l’islam non sia una religione fondata su affermazioni misogine, ma, piuttosto, che molti suoi enunciati siano stati manipolati dalle gerarchie religiose maschili nel corso dei secoli. Le donne, unendo una lettura dei testi fondamentali aperta alle esigenze delle nuove società, con un approccio pratico riescono a conciliare la fede e la loro identità con la lotta per l’uguaglianza.20 Il femminismo trova allora nuove energie, supportato proprio dalla legge

18 R. Pepicelli, Femminismo islamico, p. 44. 19 Ibid.,

20 A. Vanzan, Le donne di Allah. Viaggio nei femminismi islamici, Bruno Mondadori, Milano-Torino, 2010, pp. 139-140.

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coranica, opponendosi a influenze e intrusioni occidentali, anelando maggiori presenze e libertà pubbliche femminili, difendendo il diritto delle donne a essere ascoltate, a esprimersi. Simile ai movimenti di altre donne in tutto il mondo, il movimento delle donne musulmane nel mondo musulmano o nel mondo non musulmano, dall'Indonesia all'India, dall'Egitto all'Arabia Saudita è fondato sull'idea centrale che essere una 'femminista' inizia con il rifiuto di subordinare la propria vita ai dettami di carattere maschile delle istituzioni religiose e non religiose. L'idea centrale del femminismo è che le donne e gli uomini sono sì, biologicamente diversi, ma questa differenza non dovrebbe tradursi in una valutazione ineguale dell'esperienza delle donne e dell'esperienza degli uomini; nel senso che la biologia non dovrebbe portare a differenze di status giuridico, a privilegi o diritti diversi.21

Nel lavorare all'interno di nozioni occidentali "laiche" di femminismo o teologia femminista, le donne utilizzano una varietà di strategie basate sulle loro situazioni esistenti per superare la discriminazione. La questione della donna è una questione centrale ovunque, e le donne sono attive; raggruppano e utilizzano una varietà di metodi per raggiungere obiettivi di parità di genere, dignità, potere pubblico, obiettivi che sono stati ostacolati nel loro raggiungimento dalle tradizioni patriarcali al potere.22 Fattori come povertà, violenza domestica, partecipazione politica, circoncisione femminile, alfabetizzazione, classe sociale, discussione del velo, appropriazione della parola scritta, uguaglianza giuridica sono tra gli aspetti maggiormente discussi all’interno del movimento. E le strategie che queste donne utilizzano per affrontare i loro problemi, anche se spesso diverse dall'Occidente, meritano rispetto e offrono una nuova fonte di ispirazione. Nella loro lotta per l'uguaglianza giuridica ed economica sottolineano la vitalità del gruppo familiare, il senso di responsabilità verso il gruppo più ampio, l'importanza dei valori religiosi, per sviluppare diverse ideologie femministe.23

21 D. Kandiyoti, Women, Islam and the State, New York University Press, New York, 1990, pp. 2-3. 22 E. Fernea, In Search of Islamic Feminism: one woman’s global journey, Anchor, 1998, p. 416. 23 Ivi., pp. 421-422.

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1.1 Il femminismo laico

Per apprezzare pienamente l'opera rivoluzionaria del femminismo islamico, è utile considerare brevemente la versione del femminismo che l'ha preceduta nel mondo musulmano. Come abbiamo avuto modo di osservare nel paragrafo precedente, comparve per la prima volta in vari paesi musulmani nel mondo arabo all'inizio del XX secolo, e si caratterizzava per un tratto per lo più laico. Coloro che per primi hanno discusso di questioni di genere, spingendosi a rivendicare diritti per le donne, hanno attinto e ampliato le idee umanitarie islamiche moderniste conciliandole con ideali laici e nazionalisti; hanno dibattuto pubblicamente per comprendere le cause della decadenza in seno alle società mediorientali, condannando - tra le altre cose - anche la posizione di inferiorità delle donne, dovuta soprattutto allo scarso accesso all’istruzione. Quel che appariva come la comparsa di una “questione femminile” si intrecciò fortemente con il processo di emancipazione coloniale, elaborando un discorso femminista decisamente peculiare.24 Questa tipologia di femminismo mirava ad aprire la strada all'ingresso delle donne nella sfera pubblica – cioè nella vita della nazione e della società nei primi anni coloniali e postcoloniali. Come femministe nazionaliste, queste musulmane si unirono a connazionali di altri contesti religiosi per garantire che le nuove istituzioni degli Stati sovrani emergenti rispondessero alle esigenze di tutti i cittadini e che quei cittadini, maschi e femmine, sarebbero stati in grado di partecipare liberamente all'organizzazione e alla gestione dello Stato e della società moderna. Il femminismo, secondo le femministe laiche, deve sfociare nel rifiuto di subordinare la propria esistenza ai dettati maschili delle istituzioni religiose e non religiose. La differenza tra donne e uomini non si deve tradurre in una valutazione negativa dell’esperienza delle une o degli altri e, soprattutto, non deve condurre a differenze nello status legale.

Da quando è apparsa per la prima volta, i critici di questa prima forma di femminismo del mondo arabo hanno insistito sul fatto che si trattava di un fenomeno straniero e, più in particolare, occidentale. Ma l'istruzione formale limitata delle donne e la generale mancanza di accesso allo spazio pubblico, compresi i luoghi di culto, ha reso prematuro qualsiasi tentativo di garantire l'uguaglianza di accesso agli uffici religiosi e ai ruoli di leadership25. Di maggiore rilevanza immediata per le donne erano infatti tutte le questioni

24 A. Aruffo, Donne e Islam, p.9-11.

25 Tra le prime richieste pubbliche delle femministe secolari in Egitto (realizzate nel 1911) vi fu l'accesso delle donne alle moschee per il culto congregazionale. Vedi Badran, Feminists, Islam, and Nation, p. 69.

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relative alla famiglia. Durante i processi di secolarizzazione negli stati a maggioranza musulmana, la famiglia era tipicamente l'unica sfera che continuava ad essere regolato dalle autorità religiose. Nel frattempo, la famiglia rimase sotto l'artiglio di una serie di presunte nozioni e pratiche culturali islamiche che possono variare – a volte drammaticamente – da un contesto sociale, geografico e nazionale all'altro.26

Da un punto di vista teorico, l’ideale di questo tipo di femminismo si accompagnava con il secolarismo come quadro ideologico della liberazione dell’individuo da un potere autoritario, la cui connotazione è patriarcale e teologica insieme. Per questo, il femminismo laico si batte per la doppia democratizzazione familiare e politica, laddove osserva che se in un sistema democratico lo Stato è chiamato ad assicurare l’uguaglianza di diritti e responsabilità tra tutti i cittadini, tale garanzia deve riguardare inevitabilmente le donne. Vi è l’esigenza di riconoscimento del soggetto femminile come indipendente, autonomo, dotato di ragione, diritti e responsabilità. Sul piano operativo, invece, il femminismo laico considera fondamentale la decostruzione della dicotomia pubblico/privato, al fine di rivelare la repressione patriarcale in ambito domestico elaborandola come un fatto politico. È necessario comprendere e far comprendere che pubblico e privato interagiscono e sono spazi strettamente collegati.27

Con tali obbiettivi, le femministe laiche da decenni fanno pressione sulle istituzioni incoraggiando la reale percezione della società attraverso petizioni, campagne di sensibilizzazione, dibattiti, giornate di studio sulle problematiche più tangibili della discriminazione contro le donne: la violenza di genere, i matrimoni delle minori, l’obbligo della verginità prematrimoniale, la disuguaglianza nel diritto successorio l’analfabetismo, le mancate tutele in tema di salute riproduttiva.28 Influenzate dal pensiero modernista islamico della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo, queste donne si sono battute per una riforma giuridica della famiglia “patriarcale” e un miglioramento del comportamento dell’uomo nei loro confronti. Ma per teorizzare l'uguaglianza di genere all’interno della famiglia, le femministe dovevano superare i limiti del primo pensiero modernista islamico; hanno optato allora per l'eradicazione del patriarcato piuttosto che tollerare la

26 Z. Mir-Hosseini, “Toward gender equality: Muslim family law and the shari’a” in Zainah Anwar (ed.),

Wanted: Equality and Justice in the Muslim Family, p. 14.

27 Moaquit, L’ideal égalitaire féminin, p.15.

28 S. Borrillo, Femminismi e Islam in Marocco: attiviste laiche, teologhe, predicatrici, Edizioni scientifiche Italiane, 2017, p.76-77.

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sua continua esistenza in forma regolata dallo Stato, compartimentata all'interno del dominio religioso pubblico e della sfera "privata" della famiglia.29

Nel frattempo, la consapevolezza di genere era aumentata significativamente tra le donne musulmane, che possedevano la formazione e gli strumenti (grazie alle opportunità educative ampliate vinte dalle generazioni precedenti di femministe) necessarie per portare avanti questa critica nei confronti del patriarcato presente all’interno della famiglia e della società come un elemento non islamico. Infatti, le femministe laiche sostengono l’affermazione delle libertà individuali nell’ambito di uno Stato di diritto, in cui i diritti delle donne siano concepiti come diritti umani universali e in cui l’Islam resti afferente alla sfera privata del culto religioso e non a quella pubblica del potere politico e delle leggi. Il Femminismo laico ha mostrato particolare forza negli anni Ottanta quando sul piano internazionale il discorso sui diritti delle donne fu rilanciato nella decade ONU per i diritti delle donne 1975-1985. Inoltre, l’incorporazione nelle istituzioni di alcune femministe, precedentemente considerate come dissidenti e poi valorizzate in qualità di esperte nell’approccio di genere, diede avvio a una seppur ridimensionata diffusione dei valori dell’uguaglianza di genere nelle strutture statali.

Ma ciò che è importante sottolineare è che le rivendicazioni di tutti i movimenti femministi nelle società musulmane, da quelli più laici a quelli più credenti, si mossero all’interno di un discorso che vedeva in un’interpretazione misogina dell’Islam, e non nell’Islam stesso, la causa fondamentale della segregazione femminile nelle società musulmane. Nel corso del tempo, i discorsi laici sulla promozione dell’eguaglianza di genere sono stati spesso screditati come elitari o filoccidentali, fornendo l’occasione unica al femminismo islamico di presentarsi al pubblico come autentico e unico terreno entro il quale la richiesta di diritti per le donne può effettivamente prosperare nelle società musulmane.30

29 Sull’approccio delle femministe egiziane alla riforma familiare, vedi Badran, Feminism, Islam, Nation,

capitolo 7, "Recasting the Family", pp. 124-141, e sulle richieste panarabe delle femministe per la riforma delle leggi sullo status personale (famiglia), vedi capitolo 12, “Arab feminism”, pp. 221-50.

30 L. Ahmed, Oltre il velo: la donna nell’islam da Maometto agli ayatollah, La nuova Italia, Firenze, 1995, p.114.

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1.2 Il femminismo islamico

Negli anni Ottanta del Novecento, un importante cambiamento di paradigma nel pensiero di genere musulmano – quello che alla fine sarebbe diventato noto come 'femminismo islamico' – era in corso. Ma cos’è il femminismo islamico? In che modo differisce dagli altri femminismi? A queste domande si può rispondere meglio esaminando le dinamiche del femminismo islamico e il suo potenziale nel mondo musulmano. È difficile e forse inutile inserire le voci femministe emergenti nell'Islam in categorie ordinate e cercare di generare una definizione che rifletta la diversità delle posizioni e degli approcci delle femministe islamiche. Come con altre femministe, le loro posizioni sono locali, diverse, multiple e in evoluzione. Infatti, è importante sottolineare che le stesse interessate non si sono sempre designate come tali e molte di loro – ancora oggi - non si riconoscono in questa denominazione. Nonostante ciò, le donne che hanno contribuito a rendere accessibile il concetto di femminismo islamico così come è apparso dagli inizi degli anni Novanta, sono per la maggior parte impegnate nelle reti intellettuali e militanti, che cercano di mettere insieme la riflessione sulle questioni di genere nell’Islam ad un impegno sociale per il miglioramento del proprio statuto e, più in generale, contro le discriminazioni che subiscono le donne musulmane. 31

Nella definizione di Margot Badran, il femminismo islamico è “un discorso e una pratica femminista articolata all’interno del paradigma Islam”32. Il termine, che ha acquisito visibilità grazie anche ad una serie di pubblicazioni, tra cui alcuni articoli della rivista femminile Zanan (fondata nel 1992 da Shahla Sherkat), il libro Feminism and

Islam di May Yamani (1996) e The Forbidden Modern (1991) di Nilufer Gole, rimanda

dunque a un tipo di discorso prettamente islamico, che nasce prima di tutto nel e per il contesto musulmano ma che, al tempo stesso, si configura come un fenomeno globale, in grado di trascendere i confini geografici e le differenze culturali. Questo femminismo rivendica una tradizione autoctona a dispetto di coloro che, sostenendo che le idee e i movimenti femministi sono esclusivo appannaggio occidentale, ne denunciano l’estraneità all’Islam. L’affermazione di un’origine esclusivamente occidentale del femminismo, ci dice Badran, rappresenta un malinteso storico che si presta all’idea ampiamente diffusa in Occidente di un mondo musulmano arretrato, incapace di una

31 R. Salih, Musulmane rivelate. Donne, islam, modernità, Roma, Carocci, 2008, p. 105.

32 M., Badran, Islamic feminism: what’s in a name?, weekly.ahram.org.eg/2002/569/cu1.htm; Web; gennaio 2002.

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riflessione critica sullo squilibrio delle relazioni tra i generi come pure di liberazione da parte delle donne riguardo alla loro condizione di inferiorità.33 Allo stesso modo, molte femministe laiche di origine musulmana o occidentale, come sottolinea Ruba Salih, negano che il femminismo islamico sia un prodotto della agency delle donne. Esse lo considerano piuttosto l’effetto, da un lato, della crescente islamizzazione del discorso pubblico dei movimenti postcoloniali seguita al fallimento dei governi nazionalisti post-indipendenza e, dall’altro, di un dannoso relativismo culturale, assai diffuso in Europa, che ha finito per favorire le istanze più conservatrici dell’Islam.34

Il femminismo islamico si iscrive nella continuità del pensiero riformista musulmano emerso alla fine del diciannovesimo secolo e invita ad un ritorno alle fonti dell’islam (Corano e Sunna), al fine di sbarazzarsi delle letture e delle interpretazioni sessiste che tradiscono il fondo di liberazione del messaggio della Rivelazione coranica, e all’uso dello strumento giuridico dell’ijthad, che permette di concepire l’islam in relazione all’evoluzione del suo contesto. Secondo le femministe islamiche, infatti, l’islam originale non giustifica alcun tipo di patriarcato, ma promuove "il principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani"35. Si richiamano ad una lettura e ad una rilettura delle fonti dell’islam per estrarne i principi di parità e giustizia e per allontanarne le interpretazioni – misogine – elaborate a partire da una griglia di lettura maschilista e patriarcale, di cui è ereditario soprattutto il fiqh. L'atto stesso di rilettura rappresenta un atto di empowerment: dà alle donne l'opportunità di dispiegare testi religiosi in difesa dei loro diritti, permettendo loro di ricavare il libero arbitrio e la forza dall'interno della tradizione islamica.

Secondo le femministe islamiche, l'Islam non era originariamente la fonte delle disuguaglianze di genere in Medio Oriente, come sostiene la sociologa marocchina Fatima Mernissi “Paradossalmente, e contrariamente a quanto si crede, l’Islam non avanza la tesi dell’intrinseca inferiorità femminile; piuttosto il contrario, afferma la potenziale uguaglianza tra i sessi"36, affermando che la visione etica dell'Islam era in

33 M. Badran, “Le féminisme islamique revisité, MusulMoman”, Agenda interculturel, 256, 2007, pp. 6-10.

34 R. Salih, Femminismo e islamismo. Pratiche politiche e processi di identificazione in epoca

postcoloniale, in T. Bertilotti, C. Galasso, A. Gissi, F. Lagorio (a cura di), Altri femminismi. Corpi Culture

Lavoro, Roma, Manifestolibri-Società italiana delle storiche, 2006, p. 112.

35 M. Badran, Feminism in Islam: Secular and Religious Convergences. Oxford: Oneworld Publications, 2009, cit., p. 224.

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origine ostinatamente egualitaria e che la disuguaglianza esistente è il risultato di istituzioni sociali designate per contenere il potere femminile. Infatti, è stato messo in evidenza che la maggior parte delle letture dell'Islam non sono manifestazioni della volontà divina o di un sistema sociale completamente definito, ma piuttosto costrutti umani che sono diventati nel tempo le fondamenta di un pensiero islamico completamente distorto. Il problema principale risiede in un'esegesi sclerotica, effettuata nel corso dei secoli da gruppi elitari di sesso maschile, dove le parole del Corano vennero seguite soprattutto nella misura in cui permettevano al potere maschile ed alla famiglia patriarcale di consolidare il loro potere, mentre tutte le parti più apertamente favorevoli alle donne non trovarono un’effettiva attuazione. In quell’epoca, il rapporto delle donne con il potere risulta assente (o non registrato) e ciò che giunge ai nostri giorni sono dei testi codificati esclusivamente da autori di sesso maschile. Come conseguenza, la componente femminile di quelle narrazioni è stata quasi del tutto esclusa dai processi politici e culturali.37 Tutto questo sarebbe accaduto anche per via dell’estromissione storica delle donne dalla possibilità di poter interpretare e codificare i testi sacri. È qui che, di fronte a questa grande discrepanza tra lo spirito del testo e le letture che ne sono state fatte, si inserisce il nuovo discorso femminista islamico.38

Attraverso un tale incontro tra ambito femminista e ambito islamico, il femminismo islamico introduce così nei due ambiti degli interrogativi fondamentali. In quello femminista rimette in questione la dominazione del modello occidentale, coloniale e neocoloniale, impostosi come l’unica via di liberazione e d’emancipazione, così come l’idea che il femminismo sarebbe antinomico rispetto alla dimensione religiosa e imporrebbe una messa a distanza di quest’ultima. non è l’Islam in sé che viene messo in discussione, ma un complesso intreccio di ideologie patriarcali ad essere ritenuto responsabile della condizione femminile. Le femministe islamiche sostengono che si può lottare per i propri diritti senza rinnegare la propria religione; si può essere femministe e anche musulmane. Anzi, proprio la religione per queste attiviste è lo strumento fondamentale per rivendicare i loro diritti all’interno della società.39 Cercano di mettere in evidenza il fatto che la giurisprudenza islamica sia stata elaborata a partire da un punto di vista maschile e sessista, denunciandone così la marginalizzazione del ruolo delle

37 R. Salih, Musulmane rivelate. Donne, islam, modernità, Carocci, Roma, 2008, cit., p. 109.

38 I. Chouder, “Féminisme-s islamique-s”, Confluences Méditerranée, vol. no 95, no. 4, 2015, pp. 81-85. 39 Ivi., pp. 86-90.

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donne nella storiografia musulmana classica, così come l’appropriazione del sapere e dell’autorità religiosa da parte degli uomini a dispetto delle donne. Sul piano intellettuale, il movimento femminista islamico contemporaneo è stato all’origine di un gran numero di produzioni accademiche e di un certo numero di congressi e colloqui internazionali, che hanno permesso di riunire i suoi pensatori e le sue pensatrici e di coordinare le iniziative connotate da una visione comune. Per schematizzare, sul piano intellettuale, il femminismo islamico ha concentrato il suo lavoro nei seguenti tre ambiti:

1) Una revisione del fiqh, giurisprudenza islamica, ed una rilettura del tafsir, esegesi e commentario coranico, con lo scopo di estrarne le letture e le interpretazioni maschili e sessiste e di metterne in luce, a partire da una lettura delle Fonti, i principi fondamentali di giustizia e uguaglianza. Pionieri in questo ambito sono stati i lavori di Ziba Mir-Hosseini, di Azizah al-Hibri e di Asma Lamrabet con il GIERFI, in collaborazione con la Rabita Mohammadia delle ‘Ulémas marocchine, che illustrano una riappropriazione del sapere religioso da parte delle donne, in particolare attraverso il lavoro di collaborazione con alcuni studiosi musulmani.40

Le rivendicazioni vanno da una semplice revisione del fiqh e dall’invito ad utilizzare lo strumento dell’ijtihad, ad una rifondazione degli usul al-fiqh, principi fondamentali che orientano l’elaborazione del diritto e della giurisprudenza, integrando gli strumenti delle scienze sociali nel lavoro sui Testi. Possiamo evocare, tra le altre, la rete Wise che ha lanciato il Global Women’s Shura Council ed anche l’iniziativa recente che costituisce il lancio in Qatar, nel contesto dei movimenti di protesta arabi, del Research Center for

Islamic Legislations and Ethics nel mese di gennaio del 2012, ancor di più dal momento

che la tematica di genere è stata considerata e presentata come centrale in questo progetto. 2) La produzione di un sapere nuovo attraverso la (ri)scrittura della storia delle donne musulmane e della riabilitazione del loro spazio e del loro ruolo nella storiografia musulmana, così come un lavoro di revisione della storia islamica da un punto di vista femminile e femminista. Dall'inizio della comunità islamica nei primi decenni del VII secolo, le donne hanno assunto un ruolo di primo piano nella conservazione e nella coltivazione delle principali fonti di conoscenza islamica, cioè il Corano e Sunna. L'eredità dell'attivismo accademico delle donne fu in seguito soppressa e indebolita, ma

40 Z. Ali, 2013. Des féminismes islamiques, Les cahiers de l’Islam. Revue d’Etudes sur l’Islam et le Monde

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mai del tutto estinta.41 Attraverso i racconti storici musulmani cercano di far emergere le voci e le soggettività femminili con lo scopo di mettere l’accento sulla loro marginalizzazione e d’insistere sulla necessità della loro integrazione alla storia passata e presente, così come all’elaborazione del pensiero e della produzione giuridica musulmana. Si tratta anche di mettere in risalto delle intellettuali, pensatrici, sagge e storiche dell’islam e di costituire un sapere religioso e scientifico prodotto sulle donne da loro stesse.

3) L’elaborazione di un pensiero femminile e femminista musulmano globale che sarebbe centrato sul principio del Tawhid, monoteismo musulmano, come fondatore della parità tra gli esseri umani e sulla riflessione sul senso profondo della shari’a percepita come “via, strada, sentiero” e non come Legge. Infatti, cercano di dimostrare che le leggi, in quanto elaborate dall’uomo, sono suscettibili all’errore mentre la shari’a, è la legge che deriva dalla volontà divina. Dunque, mentre le leggi degli uomini sono potenzialmente ingiuste e modificabili, la shari’a è l’unica ad essere saggia ed eterna, ma è necessario interpretarla alla luce della realtà storica del momento.42

Il femminismo islamico ha dato impulso ad una riflessione sulla questione dell’uguaglianza sociale e spirituale, interrogando il pensiero islamico nel suo insieme rispetto alla sua fedeltà al principio di giustizia e di uguaglianza nell’Islam. Il recupero di un passato islamico, completamente purificato dal residuo di secoli di interventi misogini da parte degli uomini, è utile alle donne che lottano per la libertà nel mondo islamico. Prendendo così come griglia di lettura la parità dei sessi e in maniera più generale i principi di giustizia e uguaglianza, i pensatori e le pensatrici introducono una nuova visione all’interno del pensiero musulmano ortodosso e ne propongono una riforma radicale.43 Sul piano di quello che potremmo chiamare un attivismo nazionale e transnazionale, il movimento femminista musulmano ha concentrato il suo lavoro sulla questione della revisione degli statuti personali ispirati dalla “Legge islamica” in numerosi paesi musulmani e sull’informazione e la formazione delle donne musulmane riguardo ai loro diritti nell’Islam, come fa, per esempio, in Malesia l’organizzazione

Sisters in Islam.

41 Z. Alwani, “Muslim Women as Religious Scholars: A Historical Survey.” Muslima Theology: The Voices

of Muslim Women Theologians, edited by Ednan Aslan et al., Peter Lang AG, Frankfurt Am Main, 2013,

pp. 45–58.

42 R. Pepicelli, Femminismo islamico, pp. 49-60. 43 Z. Ali, 2013. Des féminismes islamiques, pp.9-11.

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La rete Women Living Under Muslim Laws, così come la rete Musawah che dal 2009 promuove l’uguaglianza e la giustizia nella famiglia musulmana, lavorano ad una riforma delle leggi sugli statuti personali nei paesi musulmani. Nelle società occidentali, si tratta di una militanza musulmana impegnata sia nella difesa dei diritti delle donne musulmane contro le discriminazioni di cui sono vittime, sia di un lavoro d’informazione sui diritti delle donne nell’Islam, come nel caso dell’organizzazione Karamah – Muslim Women

Lawyers for Human Rights, con sede negli Stati Uniti. Il movimento femminista islamico

ha lavorato anche alla costituzione di un’élite femminile competente nel padroneggiare le scienze islamiche e in grado di partecipare all’elaborazione giuridica musulmana e alla consolidazione delle organizzazioni e dei gruppi di donne musulmane attive, sia nelle reti musulmane e islamiche sia in maniera indipendente. I loro discorsi apertamente critici riguardo la visione tradizionale delle donne nell’Islam, partecipano alla ridefinizione dell’identità femminile musulmana e all’interrogazione dell’ortodossia sulle questioni di genere.

Il femminismo islamico, in definitiva, vuole essere uno strumento in grado di consentire alle donne di districarsi facilmente tra sistema patriarcale e religione, rendendole pienamente consapevoli dei propri diritti e delle proprie opportunità in ambito sociale e famigliare. Al di là delle contraddizioni, delle controversie e delle divisioni che fanno da sfondo a un fenomeno ancora oggetto di vivace discussione, il dibattito sulla compatibilità tra uguaglianza di genere e Islam è trasversale al mondo occidentale come a quello musulmano; il femminismo islamico può essere visto come un movimento di riforma, ed è indubbio che esso abbia offerto alle donne, e in particolare a quelle che si muovono in contesti oppressivi o comunque gravati da un pesante maschilismo, un importante strumento politico e culturale per ripensare e trasformare le relazioni di genere e promuovere una politica di diritti delle donne.

Il femminismo islamico ha anche messo in luce una certa porosità dei confini tra militanza “laica” e islamista, nella misura in cui la sua elaborazione non si appoggia sulle ricerche e sui lavori strettamente religiosi, ma si nutre al contrario delle scienze sociali per formulare il proprio pensiero e le proprie idee. Possiamo dire che il movimento stia dando adito ad una nuova dinamica, che funge da ponte tra una riflessione e degli scritti

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prodotti in ambito islamico e dei lavori elaborati al di fuori di questo ambito da degli/delle intellettuali “laici”.44

1.4. Le attiviste islamiste

I movimenti dell’Islam politico appaiono con tempistiche diverse nelle società islamiche ma viene accomunato dallo stesso obbiettivo: la realizzazione di una società retta dalla shari’a, una società ideale che si ispira all’Islam delle origini e che, grazie al crescente radicamento popolare, si è gradualmente imposto nel panorama politico riappropriandosi del discorso islamico. Negli stessi anni in cui si afferma il femminismo islamico, comincia a registrarsi un certo attivismo che propone rivendicazioni per un miglioramento della condizione femminile da un punto di vista islamista e che si sviluppa all’interno dei gruppi islamisti. Le attiviste di genere in una cornice islamista sono generalmente donne giovani e istruite decise a rivendicare l’accesso allo spazio pubblico dichiarando l’adesione all’Islam come carattere distintivo della propria identità.45

L’emancipazione femminile proposta dalle islamiste segue, da un lato, una traiettoria comune alle altre forme di attivismo, che può essere ricondotta per esempio all’importanza concessa al diritto all’istruzione o l’accesso allo spazio pubblico, ma al contempo la loro proposta s’inquadra strettamente in un set di valori islamici che attaccano l’impianto patriarcale in modo differente. Infatti, secondo il loro pensiero, la liberazione delle donne va conseguita tramite l’affermazione dei diritti che l’Islam riconosce loro dotandole di dignità, come denota la formula Islam karamat al-mar-a (l’Islam ha reso degna la donna).46 La questione femminile che si sviluppa all’interno dei movimenti islamisti cerca di opporsi con tutte le sue forze all’omologazione culturale occidentale, alla globalizzazione. Questi movimenti islamici auspicano un ritorno all’islam originale e si battono per sconfiggere il laicismo dalla società. L’immagine della donna musulmana – devota e militante – proposta da questi movimenti, che trova il suo fondamento nella rilettura dei testi sacri, ha portato diverse studiose a considerare le

44 R. Salih, Musulmane rivelate, pp. 105-108.

45 Z. Hesova, “Secular, Islamic or Muslim feminism? The place of religion in women’s perspectives on equality in Islam”, Gender and research,20 (2), 26-46, 2009.

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islamiste come elementi attivi nella galassia del femminismo islamico, tuttavia, per diverse studiose costituiscono un gruppo a sé.47

Un tale accostamento tra islamiste e femministe islamiche deriva dal fatto che nella lotta di genere, nell’affermare i diritti delle donne, tanto prime quanto le seconde fanno riferimento ai testi sacri dell’Islam. Tuttavia, nonostante entrambi i gruppi facciano riferimento ai testi sacri, vi sono delle differenze fondamentali, in quanto il valore attribuito a concetti come shari’a, ijtihad, questione femminile ecc. risulta essere differente, e ne deriva una visione differente della società: le islamiste non si preoccupano molto di inserire al centro dei loro programmi le relazioni di genere, ma la realizzazione di società rette dai principi islamici e basate sulla famiglia, luogo in cui più di altri la donna vede affermati e valorizzati i propri diritti. Infatti, queste attiviste si battono per il diritto femminile all’istruzione e allo spazio pubblico, da intendersi però come premessa per la realizzazione in ambito domestico della donna “custode delle tradizioni”, tanto che la già citata Elizabeth Fernea definisce questa corrente come “family feminism”, ovvero un femminismo incentrato sulla famiglia, che le donne non tentano di lasciare o distruggere, ma di riequilibrare attraverso una ridefinizione dei loro ruoli di madri, mogli, sorelle.48

Si crea così una sorta di gap tra le richieste di uguaglianza che le islamiste rivendicano nella sfera pubblica e quella privata. Non dovrebbe sorprenderci come molte attiviste islamiste si mostrano critiche nei confronti di alcune letture “troppo progressiste” in chiave di genere, che vedono le donne poste sullo stesso piano dell’uomo sotto tutti gli aspetti sociali e religiosi. Ne deriva che il ruolo della donna nella visione islamista risulta complementare e non uguale all’uomo, in quanto biologicamente diversi, uomini e donne non possono fare le stesse cose.49 Forniamo alcuni esempi: l’idea di una donna Imam (cioè in grado di condurre la pregheria) portata avanti da alcune femministe islamiche, risulta essere per le islamiste distante dal messaggio coranico. Anche riguardo l’abolizione della poligamia gran parte delle islamiste si dimostra contraria, che la considera invece un diritto che Dio serva agli uomini. E ancora, mentre alcune femministe

47 R. Pepicelli, Femminismo Islamico, pp., 100-101.

48 E. Fernea, “Family feminism or individual feminism? Different histories, different paths to gender equality”, in Hawwa, Journal of women of the Middle East and the Islamic World, I, 3, 2003, p.131 49 R. Pepicelli, Femminismo Islamico, p. 101.

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