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Amina Wadud, studiosa specializzata negli Islamic Studies, ha dedicato la sua opera teologica alla ricerca della giustizia di genere racchiusa nel Corano101 . Afroamericana, convertitasi all’Islam negli anni Settanta, è spinta nel suo lavoro dalla ricerca di quella giustizia emanata dalla religione islamica. La sua carriera accademica ha preso avvio presso l’Università Internazionale Islamica della Malesia, dove ha insegnato fino al 1992; tornata negli Stati Uniti, ha tenuto per diverso tempo il corso di Islamic Studies presso il dipartimento di Philosophy and Religious Studies alla Virginia Commonwealth University di Richmond. La sua prima monografia, Qu’ran nd Women. Rereading the

Sacred Text from a Woman’s Perspective, uscita nella sua prima edizione nel 1991,

rappresenta uno dei testi più importanti del femminismo islamico. Qui prende forma la pratica di lettura esegetica coranica di Wadud e si enucleano le questioni teologiche più rilevanti del suo pensiero. Il suo secondo contributo in volume, Inside the Gender Jihad,

Women’s Reform in Islam102, del 2006, pone in rilievo l’emblematica esperienza

100 J. Guardi & R. Bedendo, Teologhe, musulmane, femministe, Cantalupa (TO), Effatà, 2009, pp. 41-42. 101 Oltre ad aver dato un profondo contributo all’edificazione di un’interpretazione autorevole e rigorosa dei testi religiosi, è anche un’attivista molto impegnata dal punto di vista pratico; infatti, in aperto contrasto con una tradizione di lunga portata nella giurisprudenza islamica, che riserva il ruolo di Imam unicamente agli uomini, ha più volte diretto la preghiera al cospetto di un’assemblea mista, contestando così il ruolo esclusivamente maschile dell’Imam.

102 Il termine Gender Jihad, che significativamente appare nel titolo del libro, rappresenta un’interpretazione differente della jihad intesa come “guerra santa” molto diffusa dai media. Wadud, con

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personale della studiosa, attivista impegnata nell’affermazione dei principi di uguaglianza in molteplici contesti islamici, mantenendo un continuo dialogo con il Testo Sacro, da cui ella fa provenire ogni legittimità di azione.

La riflessione iniziale che accompagna il pensiero di Amina Wadud nello studio del testo coranico riguarda la relazione tra il ruolo concreto della donna nelle società di cultura islamica e l’atteggiamento generato nel testo sacro verso la donna.103 In esso riscontra fin da subito la mancanza della categoria genere come categoria di pensiero fondamentale nell’analisi della formazione degli ideali islamici tanto nell’esegesi classica quanto in quella moderna. La studiosa non suggerisce quindi uno studio sulla donna, ma uno studio in cui genere e prospettiva di genere diventino agenti, ossia categorie di pensiero e di discorso, in cui la donna non è soltanto l’oggetto di studio, ma soggetto agente dello studio stesso.104 L’approccio di analisi proposto dalla teologa chiama in causa oltre alle competenze filologiche, una certa sensibilità tematizzante, la capacità di guardare oltre al dato letterale per comprendere il messaggio globale del Testo Sacro e, appunto, il valore storicistico dato da un contesto di rivelazione in cambiamento, la cui maggiore implicazione è rappresentata dalla possibilità di assumere uno sguardo progressivo rispetto ad alcuni temi nel mondo contemporaneo.

Così, le coordinate spazio-temporali si armonizzano con l’esplorazione della categoria di genere femminile racchiusa nel tessuto coranico. L’autrice suggerisce un modello ermeneutico fondato su tre principi. Il primo è quello che consente di leggere il Corano nella sua unità e completezza (tawhid), laddove il termine «unità» da lei usato ricalca il fondamentale principio monoteista dell’unicità divina, tawhid appunto. Wadud spiega che si tratta di una coerenza generale che rappresenta la cornice all’interno della quale inserire l’interpretazione dei versetti, o l’analisi lessicale di singole parole o di gruppi di parole. In sostanza, la spiegazione di un verso o di un termine va sempre messa in rapporto con il testo nella sua totalità sia dal punto di vista semantico sia dal punto di vista grammaticale. Il secondo è la distinzione all’interno del testo tra “particolari” e

l’espressione Gender Jihad vuole sottolineare l’idea dello sforzo interiore necessario ad avvicinarsi il più possibile al senso di giustizia prescritto dal Corano, e dello sforzo esteriore di lotta contro il patriarcato per stabilire l’uguaglianza di genere nel pensiero e nella pratica musulmana.

103 A. Wadud, Qur’an and Women. Rereading the Sacred Text from a Woman’s Perspective, New York - Oxford 1999, p. 9.

104 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, p. 121.

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“universali”, vale a dire, tra versetti particolari le cui prescrizioni sono da leggere in base al contesto storico della rivelazione (l’ambiente socioeconomico dell’Arabia desertica del VII sec.) e versetti carichi di principi etici universali. Il versetto oggetto di studio non viene messo da parte, ma riadoperato, ricavandone il principio universale inteso nel Corano e riapplicato alle diverse realtà storiche e culturali.105 Un esempio al riguardo è rappresentato dal velo. Seguendo questa linea di pensiero, l’atto di velarsi non sarebbe altro che il simbolo di un’ideale di modestia consigliato ai credenti e da non separare dallo specifico contesto storico, economico, sociale e culturale della rivelazione. Rappresenta allora un ideale a cui ci si deve ispirare, non tanto la pratica. E infine, l’ultimo punto riguarda l’individuazione della “Weltanschauung coranica”106, ovvero la necessità di prestare attenzione al reale intento del testo sacro, che deve guidare a una lettura attuale, adeguata alle differenti circostanze storiche e culturali delle realtà contemporanee e, specialmente, non definitiva.107 Nei suoi studi insiste fortemente sui temi della creazione, della visione coranica della donna e dell’equità della ricompensa divina, focalizzando la sua attenzione su alcuni versetti controversi attraverso la cui interpretazione classica ha fondato l’idea di una sorta di gerarchia stabilita da Dio in cui l’uomo è superiore alla donna e alla donna spetta un determinato ruolo nella società. Com’è, allora, la sua visione rispetto a questi problemi?

Per quanto riguarda la creazione umana, sostiene che, nonostante il Corano distingua tra uomini e donne, non vi è alcuna differenza nel valore loro attribuito. Entrambi sono uguali davanti a Dio, ed entrambi sono ugualmente essenziali. Essa afferma che i dettagli della creazione, come altre questioni invisibili, sono umanamente incomprensibili, in cui "ogni discussione dell'invisibile coinvolge l'ineffabile".108 Quindi, qualsiasi dibattito della creazione umana nel testo è principalmente un dibattito linguistico. Rifiuta l'opinione prevalente che la creazione umana è iniziata con un uomo e che, quindi, tutti gli uomini sono migliori delle donne. Invece, insiste sul fatto che la creazione dell'umanità è neutra dal punto di vista del genere e nel Corano non è presente nulla che ne indichi l’opposto. Sostiene infatti che nel racconto coranico della creazione, Allah non ha mai pianificato di iniziare la creazione dell'umanità con una persona maschile; né si riferisce mai alle origini

105 A. Wadud, Qur’an and Women. Rereading the Sacred Text from a Woman’s Perspective, p. 12. 106 Ivi, cit. p. 37.

107 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, pp. 120-121.

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della razza umana con Adamo. Sostiene inoltre che Allah non crea la donna dalla costola di Adamo, ma crea tutta l'umanità, con uguali diritti e doveri della stessa essenza o nafs. Affermazione, questa, molto diffusa tra le studiose. È importante sottolineare che questa esclusione è degna di nota perché la versione coranica della creazione dell'umanità non si esprime in termini di genere. Per dimostrare il suo punto di vista, rilegge così il famoso versetto:

«[…] temete il Vostro Signore il quale vi creò da una persona sola [min nafs wahidatin] della cui stessa natura [min] creò la compagna [zawga-ha] e da essi suscitò molti uomini e donne» (C. 4,1).109

Dunque, in primo luogo, il Corano descrive l'uomo e la donna come compagni. In nessuno dei trenta passaggi o più che descrivono la creazione dell'umanità – indicata in termini generici come Al-nas, al-Insan – c'è qualche affermazione che possa essere interpretata come che l’uomo fu creato prima della donna o viceversa. Pur riconoscendo la differenza biologica tra uomini e donne, non assegna né attribuisce a questi ruoli specifici o gerarchie di genere.110 O ancora, attraverso un’analisi lessicale del versetto citato in precedenza, la studiosa documenta la mancanza di termini di genere nel processo di creazione coranico ed evidenzia una come caratteristica necessaria della creazione divina: l’aspetto dualistico delle cose. Ciò significa che qualunque atto di creazione divino accade in coppia: come recita il versetto «E di ogni cosa, abbiamo creato una coppia»111(C. 51,49) anche la prima creazione è stata quella di una coppia di due esseri equilibrati nella loro essenza.112 Rifiuta l'immagine della donna come tentatrice e la fonte del male e sottolinea, inoltre, che il Corano impiega la doppia forma, con una sola eccezione,113 dimostrando come la donna non è responsabile del primo errore di Adamo; entrambi hanno ugualmente sbagliato nel disobbedire a Dio. Entrambi chiesero perdono ed entrambi furono perdonati. Alla luce di questa discussione, ribadisce che la creazione

109 La traduzione italiana qui proposta ricalca l’esegesi dell’autrice, cfr. A. Wadud, Qur’an and Women, pp. 17-20 la quale sottolinea come i termini nafs («anima, individuo/persona» in arabo grammaticalmente al femminile) e zawğ («il compagno, la compagna, l’uno di una coppia» in arabo grammaticalmente al maschile) sebbene siano vocaboli dotati di genere dal punto di vista linguistico, non lo sono però dal punto di vista semantico.

110 A. Wadud, Quran and Women, pp. 17-20. 111 Il Corano, cit., p. 326.

112 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, p. 122.

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umana è neutra dal punto di vista del genere e che non esistono distinzioni essenziali tra la coppia distinta ma compatibile114.

Secondo Wadud, il Corano riconosce la donna come un individuo a sé stante. Spiritualmente parlando, il Corano si occupa dell'individuo, sia maschio che femmina, su un piede di uguaglianza: "cioè, qualunque cosa il Corano dica sul rapporto tra Allah e l'individuo non è in termini di genere".115 Quindi, non c'è distinzione tra i due per quanto riguarda la capacità individuale, il potenziale rapporto con Dio e le aspirazioni personali. Il Corano, continua, non attesta, né in modo implicito né in modo esplicito, che c'è una distinzione tra i due in materia spirituale; appunto per questo, le differenze esistenti tra di loro non hanno alcun valore intrinseco. Ci dice invece che, attraverso le tre fasi dell'esistenza umana, tutte le persone, i maschi e le femmine sono intrinsecamente posseduti di uguale valore.116 D’altro canto, nel Corano è presente un’attenzione all’individualità della persona che, a prescindere dal genere, viene valutata in modo esattamente equo di fronte a Dio a seconda di ciò che avrà saputo guadagnarsi; non esiste una distinzione tra uomini e donne rispetto alle capacità individuali né alle potenzialità spirituali. Rileggendo la sura IV al versetto 124: “Quelli che faranno del bene e crederanno, maschi o femmine che siano, entreranno in Paradiso […]”117, comprende come le diverse sorti a cui gli individui andranno incontro non riflettono né implicano un sistema di valori differenziati, esse si basano esclusivamente sul concetto di taqwa, ossia quella profonda coscienza della presenza di Dio nella vita dell’uomo che lo incita a aderire al Suo sistema morale.118

Il suo scopo è allora quello di provare che non vi è una gerarchia prestabilita da Dio così come non vi sono ruoli e funzioni sociali indicate nel Corano per uomini e donne. Studiando certi versetti controversi prova che tante delle idee tipiche riguardo al ruolo che la donna dovrebbe compiere nella società non trovano spazio nel Corano. Circoscrivendo alcune pratiche e affermazioni coraniche al loro particolare contesto storico di rivelazione, l’autrice ci presenta una prospettiva diversa: una visione in cui i

114 A. Wadud, The Qur'an and Woman, pp. 19-25. 115 Ivi., cit. p. 34.

116 Ibid.

117 Il Corano, p. 56.

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diritti e le responsabilità di uomini e donne si intrecciano profondamente.119 In questo caso, i versetti studiati sono quelli in cui, secondo la tradizionale interpretazione, la donna viene confinata a determinate funzioni sociali e al contempo si sostiene la supremazia dell’uomo su quest’ultima.120 Ecco il versetto 228 della sura della Vacca dopo aver trattato di divorzio:

«[…] Esse agiscano con i mariti come i mariti agiscono con loro; tuttavia, gli uomini sono un gradino [daragatun] più in alto e Dio è potente e saggio».121

La studiosa in questo caso svolge una duplice analisi. Da un lato, inserisce il versetto in un contesto ben definito, sostenendo che è solo nel campo del divorzio che l’uomo ha realmente una posizione favorita rispetto alla donna poiché beneficia della facoltà di emettere in modo arbitrario e unilaterale la sentenza di divorzio, mentre la donna deve rivolgersi a un’autorità. Dall’altro, studia l’uso coranico del termine arabo daraga (grado, gradino) sottolineando come nel Corano esso non designa mai un ordine gerarchico diverso tra uomo e donna, ma indica i diversi «gradini» (nel senso di gruppi) in cui uomini e donne giungeranno a trovarsi nel Giorno del Giudizio a seconda delle proprie azioni:

«Ognuno avrà il compenso di quel che ha compiuto, per diversi gradi [daragatun]. Il tuo signore non è disattento a quel che fanno» (C. 6,132).122

Wadud, a supporto della propria spiegazione, evidenzia che tributare come universale una gerarchia tra i sessi a capo della quale vi sarebbe l’uomo, è incoerente con il principio di equità tra gli individui stabilita dal sistema coranico. In modo analogo, cerca di chiarire tutta una serie di argomenti controversi che trovano solitamente origine nell’esegesi classica di alcuni passi coranici. Ad esempio, l’obbedienza della moglie al marito non viene mai indicata come un obbligo nel Corano dal momento che non si tratta di una

119 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, pp. 123-124.

120 Per un’esposizione delle diverse interpretazioni moderniste di C. 4,34 si veda B. F. Stowasser, “Gender Issues and Contemporary Quran Interpretations”, in Y. Haddad & H. esposito (edd), Islam, Gender and

Social Change, New York 1998, pp. 30-44.

121 Il Corano, cit. p. 22. 122 Ivi., p. 84.

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prescrizione, ma una “proposizione ipotetica”.123 In conclusione, il suo lavoro rappresenta un tentativo interessante che si sta svolgendo nel contesto dell'attuale dibattito islamico sulle questioni di genere, in cui l’autrice arriva a documentare la compatibilità tra etica coranica e le questioni che riguardano la donna moderna insistendo sulla flessibilità del testo e sulla sua necessaria adattabilità alle realtà più diverse, dal momento che solo in questo modo il testo sacro potrà conservare il suo compito di guida universale per le attuali e future comunità di credenti.