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La partecipazione femminile nella rivoluzione del 2011

Nel panorama egiziano, la rivolta del 2011 non è un fenomeno isolato, né tanto meno

rappresenta la prima nella quale la partecipazione femminile è stata importante. Da un secolo all’altro, quasi cent’anni dopo, le donne egiziane nel gennaio 2011 si sono di nuovo unite in massa alle manifestazioni di piazza Tahrir. Questa volta per protestare contro l’ingiustizia e la corruzione del regime di Mubarak. Ricordiamo che già nel lontano 1919 le donne partecipavano alla rivolta anticoloniale e chiedevano che fosse riconosciuta la loro visibilità politica, sfidando le visioni patriarcali indigene e il potere coloniale. Nel 1952 i temi dominanti erano l’antimperialismo, la lotta di classe e l’uguaglianza politica attraverso il riconoscimento del suffragio. Sia nel 1919 sia nel 1952 il movimento delle donne concentrò i suoi sforzi soprattutto sui temi dell’uguaglianza nella sfera pubblica.274

un'apparente facciata democratica che vede i regimi egiziani manipolare la questione femminile, spesso utilizzata come strumento di contrattazione nell'arena internazionale. D. Kandiyoti, ”Disentangling religion and politics: whither gender equality?” in IDS Bulletin, Vol. 42, No. 1, 2011, p. 138.

272 H. Elsadda, “Droits des femmes en Égypte: L'ombre de la Première Dame.” in Tumultes, 2012, Vol. 38- 39, n. 1, pp. 306-308.

273 Tuttavia, la legge del khul' è stata percepita dalla società egiziana in modo molto diverso, generando un dibattito animato su diversi fronti. Come per la legge n. 44 del 1979, il tentativo di riforma è stato rapidamente politicizzato, creando proteste e dissenso nella comunità egiziana. Questo perché il Khul' avrebbe sconvolto nelle fondamenta un sistema matrimoniale legalmente e socialmente fondato sul ruolo privilegiato del marito. N. Sonneveld, “The implementation of the Khul law in Egyptian courts”, in Recht

van de Islam Vol. 21, 2004, p. 21.

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Ma le donne hanno svolto un ruolo di primo piano anche negli scioperi di El Mahalla275 nel 2006 e nel 2008, e nel famoso sciopero degli esattori delle imposte nel 2009. Le giovani donne del movimento Kefaya, il gruppo del 6 aprile, i socialisti rivoluzionari, le organizzazioni femministe e altri gruppi per i diritti umani si sono mobilitate e organizzate per manifestazioni nelle strade di tutto il paese, chiedendo giustizia sociale e la fine della legge d'emergenza, che era in vigore da quando Mubarak è salito al potere nel 1981. Le artiste, le giornaliste, le scrittrici e molte altre hanno chiesto e organizzato manifestazioni per chiedere la libertà di espressione e la dignità umana in una società caratterizzata da profonde divisioni sociali, di classe e corruzione.276 Ma nel 2011 la militanza politica femminile s’inserisce in un contesto culturale più complesso. In questo caso, la rivoluzione verte su una ridefinizione complessiva dell’idea di mascolinità e di femminilità, la stessa che si impone a livello globale, e che in Egitto si declina in base ai temi e le priorità specifiche del paese.

Una delle attiviste più note che prese parte alla rivoluzione è Asma Mahfouz, figura di spicco del rivoluzionario gruppo del 6 aprile. Asma fa parte di quella generazione di giovani che attraverso l’uso intelligente del cyber spazio riuscirono a mobilitare le masse e a far sentire la propria voce.277 In vista delle proteste del 25 gennaio 2011, ha pubblicato un video su Youtube in cui affermava:

“Se ti consideri un uomo, vieni con me il 25 gennaio. Invece di dire che le donne non dovrebbero partecipare alle manifestazioni per il pericolo di essere picchiate. Mostrami un po’ di onore, sii uomo, vieni con me il 25 gennaio. In caso contrario, allora sei un traditore della nazione, come la polizia e il presidente sono traditori '”278

È evidente da questo estratto che la lingua di Mahfouz si appropria immediatamente di un discorso che rivendica la legittimità di definire e stabilire i criteri su cosa significa essere parte della nazione, e cosa, o meglio, chi, è un traditore per la nazione. Nel caso di

275 In Egitto, a 140 chilometri a nord del Cairo, si trova la città di Mahalla. Nel 2006, in questo grande centro industriale, pieno di fabbriche tessili, scoppiò un’importante rivolta contro le condizioni di lavoro a cui erano sottoposti migliaia di operai e operaie. Le mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici di Mahalla hanno dato una forte spinta alle lotte nell’interno paese. www.internationalcommunistparty.org. 276 D. Mostafa, “Introduction: Egyptian women, revolution, and protest culture”, Journal for Cultural

Research, Vol. 19, No. 2, 2015, pp. 118-129.

277 G. Gervasio, “Egitto: una rivoluzione annunciata”, in Le Rivoluzioni arabe, a cura di Francesca Maria Corrao, Milano, Mondadori, 2011, pp.134-161.

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Mahfouz, la sua comprensione della nazione va di pari passo con la sua politica in cui coloro che si uniscono alle proteste contro Mubarak fanno parte della nazione, e coloro che non lo fanno, si uniscono a Mubarak al di fuori dei suoi confini. Inoltre, nel video, Mahfouz parla di concetti di dignità e giustizia sociale, e proprio come l'estratto di cui sopra, evoca concetti di genere. Durante il video, si rivolge al suo pubblico con sostantivi maschili. Ancora più importante, si appropria delle parole della cultura patriarcale: "onore", "virilità", "protezione", e le reinventa per rivendicare il suo diritto, come giovane donna egiziana, di unirsi alle proteste. Questa azione di appropriazione e reinvenzione delle parole dell'oppressore – in questo caso, l’autoritarismo patriarcale – da parte del dissidente è anche parte del patrimonio femminista egiziano. Così, sfida lo stato nel definire la nazione e sfida gli egiziani, in particolare gli uomini, a unirsi alla lotta oppure affrontare l'esclusione dalla sua versione della nazione nei giorni che verranno.279

La mobilitazione di massa è iniziata il 25 gennaio 2011 contro il governo autocratico di Mubarak, in cui moltissime donne - provenienti da tutto lo spettro sociale egiziano – si ritrovarono nelle strade per protestare. Giovani e anziane, velate e svelate, povere e benestanti, che hanno manifestato in gran numero per sostenere il movimento per una rivoluzione democratica, e lo hanno fatto marciando fianco a fianco con gli uomini, senza discriminazioni; superando le barriere patriarcali che di consuetudine impedivano loro di occupare lo stesso spazio pubblico, i tabù sociali sembravano essere temporaneamente dimenticati e i ruoli di genere sospesi. La forza di queste voci mandò un forte segnale ai leader politici, mostrando come in nessun caso le donne egiziane sacrificherebbero la loro dignità o libertà. La visibilità della presenza femminile in Piazza Tahrir fu notevole, promuovendo la creazione di nuovi spazi di libertà per essere viste e ascoltate.280 Ma all’indomani della rivolta, e dopo la caduta di Mubarak, il femminismo diffuso, non istituzionale, che ha resistito ai margini della sfera istituzionale negli anni Ottanta e Novanta, emerge in tutta la sua complessità. In continuità con il passato, le partecipanti alla rivoluzione egiziana sentono il diritto e il dovere di intervenire ma, in una prima fase – un po' come accadde in Marocco – viene meno la centralità di tutti quei temi legati all’uguaglianza di genere che, a un secolo dalla nascita del femminismo, rimangono

279 A. Kadry, “Gender and Tahrir Square: contesting the state and imagining a new nation”, Journal for

Cultural Research, Vol, 19, No. 2, 2015, 199-206.

280 M. Morsy, “Egyptian women and the 25th of January Revolution: presence and absence”, The Journal

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ancora irrisolti. Infatti, la lotta di genere non figurava tra le priorità dei movimenti femministi che hanno preso parte alla rivoluzione, perché durante quei giorni si sentirono parte di un contesto un po’ diverso dalla norma, in cui la lotta di genere lasciava spazio a ideali più grandi, come l’ottenimento di una giustizia sociale ed economica – facilmente condivisibili da tutti – che vedeva impegnati insieme per la prima volta uomini e donne.281

La grande presenza delle donne alle manifestazioni del gennaio 2011 racchiude in sé un nuovo femminismo, che tenta di ridefinire ed allargare i concetti di libertà, giustizia e uguaglianza, mirando a ristabilire i princìpi e i diritti fondamentali dell’essere umano e dei cittadini, calpestati dal regime di Mubarak. Eppure, la politica di genere dell'Egitto post-Mubarak sembra sorprendentemente familiare, con la partecipazione delle donne alla ricostruzione dello Stato egiziano strettamente controllata dal governo di transizione. Nessuna donna è stata nominata alla commissione convocata dal Consiglio Supremo per le Forze Armate (SCAF) per proporre modifiche alla costituzione in seguito alle dimissioni forzate di Mubarak. Anche le “quote rosa” ebbero vita breve. Infatti, nell’ottobre del 2011, il governo dello SCAF scelse di abrogarle, adducendo la motivazione pretestuosa che si trattava di un’eredità del regime di Mubarak. Nelle prime elezioni dopo la caduta di Mubarak le candidate hanno riportato un tasso di successo di appena l’uno per cento. L’assenza delle donne sembra essere parte di una crisi complessiva della legittimità politica, destinata ad assumere proporzioni drammatiche nel corso del 2013.282

Inoltre, durante la fase iniziale delle proteste a piazza Tahrir, nessuna violenza ha preso forma contro i manifestanti e l'esercito è apparso piuttosto incline a adottare un ruolo protettivo nei confronti degli attivisti. Tuttavia, all’indomani della caduta di Mubarak e la presa di potere da parte del Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) le cose cambiarono drasticamente.283 Infatti, è necessario ricordare che nonostante lo spazio di azione ottenuto dalle donne nei giorni della rivoluzione, nel marzo 2011, meno di un mese dopo la rivoluzione, sono riemersi i problemi delle ingiustizie di genere. Quel giorno, diverse attiviste e gruppi per i diritti delle donne hanno manifestato in piazza Tahrir per commemorare la Giornata internazionale della donna, organizzando un sit-in pacifico che

281 L. Sorbera, “Femminismo e rivoluzione in Egitto. Un secolo di storia”, p. 102. 282 M. Hatem, "Gender and Revolution in Egypt," Middle East Report 261, 2011

283 E. Johansson-Nogués, “Gendering the Arab Spring? Rights and (in)security of Tunisian, Egyptian and Libyan women”, The new Middle East: A critical appraisal, Vol. 44, No. 5, pp. 393-396.

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venne però interrotto dall’ostilità dei passanti con la tacita approvazione dell’esercito che scelse di non intervenire; sono state verbalmente molestate e accusate di aver distolto l'attenzione dai principali problemi del paese, accusate di star cercando di minare i valori e la sacralità della famiglia.284 In questo caso appare evidente come gli uomini che in modo ostile cercarono di ostruire le manifestazioni, si sentivano minacciati da un’agency femminile che non ha timore di far sentire la propria voce. Addirittura, 17 donne vennero arrestate e detenute per un paio di giorni mentre coloro che non erano sposate vennero costrette a sottoporsi perfino ad un test di “verginità”, difeso dall’allora capo dell’Intelligence militare Abdel Fattah Al-Sisi, in quanto “dimostrare” la verginità delle donne avrebbe protetto l'esercito dalle “false” accuse di stupro (operando sulla difettosa logica patriarcale legata a quei concetti di “purezza”, secondo cui solo le vergini possono essere violentate).285 Una delle donne sottoposte al test di verginità, Samira Ibrahim, ha condotto una causa contro l'esercito, una mossa coraggiosa che è stata definita come uno degli eventi più importanti del 2011 in Egitto, perché ha confermato uno dei principali obiettivi della rivoluzione: non aver paura di lottare per la dignità umana e il diritto delle donne all'integrità fisica.286 Quel giorno c'è stata più di una protesta intorno a Piazza Tahrir, ma la marcia delle donne è stata l'unica che ha subito molestie e intimidazioni. Ecco come il governo tentò di contrastare la rivoluzione: attraverso la violenza di genere. I militari hanno violentemente posto fine a una protesta in Piazza Tahrir, arrestando diverse manifestanti, perquisendone e sottoponendole altre al test di verginità. L'uso della violenza sessuale da parte dell'esercito contro le attiviste egiziane era destinato ad umiliarle e screditarle.287

Malgrado questo, la rivoluzione del 2011 ha aperto nuovi spazi per l'azione politica e ha messo in scena una nuova generazione di femministe egiziane. Questo nuovo femminismo è diverso, non istituzionale, e cresce all'interno delle linee dei movimenti che hanno dato origine alla rivoluzione, che trovano espressione nei social media e nei blog, e nella cultura popolare. All'alba del XX secolo, i saloni letterari e la lotta

284 N. Al-Alì, “Gendering the Arab Spring” in Middle East Journal of Culture and Communication, V. 5, pp. 28-29.

285 H. McRobie, “Sexual violence and state violence against women in Egypt, 2011-2014” in Chr.

Michelsen Institute, n. 7, pp. 2-3.

286 Khaled Fahmy, Reflections on Egypt, the Middle East and history, www.khaledfahmy.org.

287 D. Wahba, “Gendering the Egyptian Revolution”, in F. Sadiqi, (Eds.) Women’s Movements in Post-Arab

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nazionalista aprirono la strada all'emergere di una consapevolezza femminista e di un attivismo politico. Oggi gli spazi sono diversi, ma la pratica delle donne che scrivono da e per le donne, e di scrivere la storia della Rivoluzione da una prospettiva di genere si consolida, e contribuisce a plasmare le idee femministe. In questo scenario politico, è verosimile concepire che da questo laboratorio di esperienze possa nascere una nuova ondata di femminismo, che, proprio come accadde in passato, troverà la sua forza nella sintesi creativa tra rivendicazioni universali e locali, reti transnazionali e specificità nazionali.288