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Asma Barlas: verso una visione femminista dell’Islam

Al pari di Amina Wadud, un’altra importante figura del “femminismo islamico”124 è rappresentata da Asma Barlas. Nata in Pakistan e ora residente negli Stati Uniti, ha raggiunto la fama internazionale attraverso il suo libro Believing Women in Islam,

Unreading Patriarchal Interpretations of the Qur’an. in cui sviluppa un approccio

interpretativo al Corano di tipo paritario, che si colloca agli antipodi dell’interpretazione sostenuta e diffusa dall’approccio patriarcale.125 Come per altre studiose, anche il suo impegno in ambito della teologia islamica venne promosso più da un bisogno personale che per curiosità scientifica. Cominciò infatti a pensare a sé stessa e al Corano perché molti anni prima, in Pakistan, si era resa conto che le donne non avevano praticamente alcun diritto. È diventata gradualmente sempre più sensibile al fatto che la stragrande maggioranza delle donne musulmane con difficoltà coniugali poteva essere cacciata dalle loro case dai loro mariti e far portare via i loro figli. Si rese ben presto conto di tutta una serie di pratiche oppressive contro le donne che si trovavano nella contraddizione più profonda con ciò che insegna il Corano. L’Islam riconosce in qualche misura e asseconda l’oppressione della donna? Il Corano è un testo che giustifica la misoginia e che conferma l’autorità degli uomini sulle donne? Queste domande sono alla base dell’approccio della Barlas e segnano la direzione delle sue analisi.126

123 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, cit. p. 124.

124 Ricordiamo che fin dalla sua nascita, il femminismo islamico si è caratterizzato per l’eterogeneità e fluidità delle posizioni di teoriche e attiviste. Asma Barlas, ad esempio, ha inizialmente accettato e poi rifiutato di vedersi definire con il termine femminista islamica, nonostante sia consapevole di quanto deve al femminismo e al pensiero femminista. A. Barlas, Interview with DW. http://www.dw.de/dw/article/0,,1919362,00. Html.

125 A. Barlas, Believing Women in Islam, cit. p. 31. 126 Ivi., cit., p. 1.

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Contrariamente all’opinione molto diffusa tra i non-musulmani che l’Islam opprima le donne negando il loro diritto alla parità con gli uomini, la studiosa propone un’inedita interpretazione del Corano, che mette in risalto l’idea della parità tra uomo e donna. Il suo approccio è fondato su un’analisi storica dei rapporti tra potere e sapere, e prova in questo contesto a mostrare in che modo i musulmani hanno favorito una lettura non- egalitaria del Corano, per legittimare le strutture storiche, religiose e sociali dominanti. Da questo punto di vista, la lettura patriarcale del Corano è intimamente legata agli interessi dei suoi autori. L’obiettivo principale del suo approccio è quello di una critica radicale diretta a colpire il criterio patriarcale dominante, rompendo così il monopolio teologico dell’interpretazione riduzionista del Corano, per preparare la strada della rivendicazione, da parte delle donne musulmane, dei loro diritti nell’ambito di una nuova lettura del Corano, che sostenga la parità radicale tra uomo e donna, assecondando, a partire da un inedito approccio epistemologico, una pratica di reciproco riconoscimento.127 Il testo coranico fornisce esso stesso dei criteri di lettura: innanzitutto, un criterio olistico: è il testo stesso a dire di sé che esso proviene interamente da Dio e a criticare chi lo legge in modo parcellizzato e selettivo. Inoltre, il Corano spinge il credente a leggerlo secondo il significato migliore, spinta che non solo conferma che il credente può leggere il testo in molti modi, ma anche che non tutte le letture sono ugualmente buone o accettabili. Il testo, inoltre, non afferma che solo una certa categoria di persone sia deputata alla lettura di questi significati migliori né definisce cosa intenda per migliori, lasciando al credente la scelta. Secondo Barlas, ciò apre a una “democrazia testuale di significati”128, concedendo ai musulmani la possibilità di scegliere come costruire il proprio sapere religioso. Non solo: apre anche la via alla costruzione della democrazia politica, permettendo al credente di affermare come non sia possibile giungere a una nozione condivisa di lettura “migliore” fintanto che le donne sono escluse dal processo di costruzione della conoscenza e fintanto che i musulmani non godono delle libertà politiche e civili necessarie per impegnarsi in un dialogo pubblico o per esprimere dissenso senza timore di persecuzione.129

127 Ivi., pp. 2-4.

128 A. Barlas, “Does the Qur’an support gender equality?”, in Marjo Buitelaar & Monique Bernards (eds.),

Negotiating autonomy and authority in Muslim Contexts, Leuven, the Netherlands, 2013, cit., p. 67.

129 A. Barlas, “un-reading patriarchal interpretations of the Qur’an and beyond”, in American Journal of

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In questa sua analisi, un concetto importante è quello di tawhid. Dio è uno e nessuno, Dio non è né padre né figlio né marito né uomo né maschio e nemmeno creato o rappresentabile, tanto meno “mascolinizzabile”. Questo Dio è dunque al di là dell'affinità con i maschi e dell'odio per le femmine.130 E questa concezione permette, secondo Barlas, di definire a priori il Corano come un testo anti-patriarcale. Nella sua analisi, cerca di proporre una lettura del Corano che mira a scoprire ciò che Dio può aver inteso. In tal modo, al testo vengono aggiunte un’intenzione e un’intenzionalità.131 Così facendo, la logica conseguenza sarà non solo quella di dover fare attenzione a ciò che il testo dice, ma anche a ciò che non dice, perché il “non detto” partecipa attivamente alla costruzione del senso. Il testo, infine, viene inserito in un contesto storico-sociale nel quale il Profeta funge da mediatore tra il discorso divino e l’interpretazione attuale, passando per il testo scritto. Cioè, il Corano non definisce donne e uomini in termini di attributi di sesso/genere, tanto meno in termini di opposizioni binarie; ad esempio, l'uomo come essere logico, la donna come illogico; l'uomo come intelligente, la donna come essere emotivo; l'uomo come il Sé, la donna come l'Altro. Infatti, in quanto gli esseri umani iniziano da un singolo Sé nel Corano, non c'è nessun “altro” reale o simbolico. In linea con la sua visione delle donne e degli uomini come agenti morali uguali, il Corano li tiene entrambi agli stessi standard di comportamento morale e promette loro la stessa ricompensa per la rettitudine:

«Gli uomini e le donne, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, gli uomini che dicono la verità e le donne che dicono la verità, gli uomini e le donne che hanno pazienza, che hanno umiltà, che versano l’elemosina e digiunano e conservano la castità e spesso rammentano il nome di Dio, per tutti Dio ha preparato un perdono e una generosa ricompensa.»132 (C. 33-35)

Il fatto che il Corano consideri le donne e gli uomini come agenti morali ugualmente responsabili è chiaro non solo da questo versetto, ma anche dal fatto che designa le donne e gli uomini credenti come awliya l'uno dell'altro, cioè protettori reciproci, o reciprocamente "incaricati" l'uno dell'altro:

130 Ivi., p. 159.

131 A. Barlas, Beliving Women in Islam, cit., p. 21. 132 Il Corano, cit., p. 257.

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«I credenti e le credenti sono [awliya], l’uno per l'altro. Ordinano il bene e proibiscono il male: osservano le preghiere regolari, pagano l’elemosina e obbediscono a Dio e al suo inviato. Di loro Dio avrà misericordia, Egli è potente e saggio.»133 (C. 9-71)

Insomma, il Corano non distingue tra il comportamento morale-etico e il potenziale delle donne e degli uomini. Non definisce le donne e gli uomini in termini di una specifica divisione sociale o sessuale del lavoro, o etichetta il lavoro come “femminile” o “maschile”. Questo è il motivo per cui è difficile, se teniamo a mente la totalità dei suoi insegnamenti, accettare un diverso trattamento delle donne e degli uomini rispetto ad alcune questioni come prova del suo sostegno alla disuguaglianza sessuale. Un’altra analisi interessante riguarda il concetto di poligamia nel Corano. Per la studiosa, il testo sacro si limita a un caso molto specifico, ovvero quello di garantire giustizia alle orfane; e suggerisce di leggere il versetto alla luce del contesto storico-sociale in cui è stato rivelato, per comprendere al meglio le circostanze in cui Dio autorizza un uomo a sposare fino a quattro mogli:

«E date agli orfani i loro beni e non scambiate il buono col cattivo, e non incamerate i loro beni ai vostri ché questo è peccato grande. Se temete di non esser equi con gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non esser giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso; questo sarà più atto a non farvi deviare.»134 (C. 4, 2-3)

Secondo la studiosa, ai tempi del Profeta molto uomini perivano in battaglia e le donne restavano sole con molti figli da accudire. Gli uomini che rimanevano in vita dovevano allora prendersi cura degli orfani e in particolari delle orfane e dei loro beni. Se non erano in grado di poter garantire loro i diritti al di fuori del matrimonio, allora potevano sposarne le madri, dopo averne ottenuto il consenso. Inoltre, il Corano ha inserito un importante cambiamento rispetto alle usanze del tempo: la limitazione a quattro del numero massimo di mogli che un uomo poteva sposare. A tal proposito, commenta Barlas, dato che non vi può essere giustizia nel trattamento di più mogli, il Corano disincentiva i matrimoni poligamici, incoraggiando invece la monogamia. Dunque, la poligamia non sarebbe un elemento a favore degli uomini, ma sarebbe stata concessa da Dio per garantire giustizia per le donne rimaste orfane.135 Dunque, la conclusione cui giunge Barlas è che l’Islam

133 Ivi., Cit., p.116. 134 Ivi., cit., p. 45.

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differenzia gli esseri umani esclusivamente secondo la loro prassi morale, e non in base al genere. L’Islam, infatti, distingue tra coloro che hanno fede e coloro che non l’hanno, i credenti e i non credenti. In ogni prospettiva di vita e del pensiero musulmano le persone sono separate in gruppi secondo il grado con cui compiono il proposito della vita.