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Asma Lamrabet: il Corano come strumento di emancipazione femminile

Un’altra figura importante del femminismo islamico è attualmente Asma Lamrabet, ex direttrice del centro di studi e ricerche sulla donna nell’Islam (CERFI) di Rabat. Fortemente attiva nel diffondere un discorso religioso favorevole alla compatibilità tra Islam e uguaglianza di genere, definisce il femminismo islamico come una “terza via”, un approccio che si rifà alla dimensione spirituale dell’Islam, cercando di recuperare i valori universali di uguaglianza, dignità e giustizia insiti nel messaggio coranico delle origini e oggi perduti in virtù di alcune forme di estremismo che sanciscono l’inferiorità giuridica, sociale e culturale le donne.136 Sulla questione femminile nell’Islam ha pubblicato diversi articoli e scritto diversi saggi: Musulmane toute simplement (2002),

Aicha, èpouse du Prophète ou Islam au feminin (2004), Le Coran e les femmes: une lecture de liberation (2007), Femmes, Islam, Occident. Chemins vers l’universel (2011), Femmes et hommes dans le Coran: quelle égalité? (2012). Veri e propri manifesti

intellettuali, in cui racconta il bisogno di ridefinire l’identità femminile musulmana decostruendo le letture misogine dell’Islam al fine di riadattarlo alla realtà contemporanea. Per Lamrabet, infatti, è fondamentale riconoscere come non sia il Corano a essere incompatibile con le donne, ma le interpretazioni patriarcali che ne sono state date nel corso della storia. Nel suo ultimo lavoro, Women and Men in the Qur’ān (2018),

fornisce alcune decostruzioni del concetto della superiorità maschile e contestualizza alcune delle disposizioni coraniche più discriminatorie delle donne. Il Corano, secondo la studiosa, rivela una chiara emancipazione delle donne e l'uguaglianza dei credenti, ma tale spirito si riflette a malapena nelle interpretazioni. Intrappolate tra la retorica occidentale che le ritrae come figure sottomesse in disperato bisogno di liberazione, e interpretazioni secolari che sono quasi diventate parte del "sacro", le donne musulmane

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sono sottopressione e profondamente fraintese. Lamenta questo stato di cose e il pregiudizio dei musulmani e dei non musulmani di abbracciare prontamente interpretazioni umane imperfette che svalutano le donne piuttosto che rimanere fedeli al significato del testo sacro. Pieno di intuizioni, questo studio legge attentamente il Corano per arrivare ai suoi insegnamenti spirituali più profondi.137 Tra i vari argomenti a supporto dell’affermazione coranica dell’uguaglianza di genere, dedica un’approfondita analisi ai versetti riguardanti il divorzio, così come previsto dal Corano.

La pratica di divorzio all’interno dell’Islam è consentita perché il matrimonio non è considerato come un sacramento, ma come un contratto che può essere interrotto. Così, mentre nel cristianesimo l'unione coniugale è stata per molto tempo “indistruttibile”, fin dall'inizio, l'Islam ha stabilito i principi per la legislazione del divorzio. Il divorzio esisteva nella società araba preislamica ma solo come diritto esclusivo dei mariti che erano liberi di "ripudiare" le loro mogli ogni volta che volevano e in qualsiasi modo ritenevano opportuno. Nonostante le indicazioni pionieristiche del Corano, ancora oggi molte donne sono vittime di questa usanza abusiva, che incarna una delle forme più dannose di discriminazione di genere. È scioccante vedere l'entità del divario ideologico tra le prescrizioni del Corano riguardanti il divorzio e le disposizioni della legge islamica (fiqh) che istituzionalizzavano una serie di regolamenti (ahkàm) che avvantaggiano i mariti e vincolano le mogli. Così, le mogli venivano private dei diritti che il Corano aveva loro concesso, declassando questi diritti a una serie di obblighi morali minori che dipendono completamente dalla volontà arbitraria e dai capricci, molto spesso, dei loro mariti.138

È molto importante chiarire, fin dall'inizio, che mentre il Corano parla certamente del divorzio (talaq), non discute mai di ripudio, come è stato articolato non solo in numerose traduzioni del Corano, ma anche in certe intuizioni giuridiche della nozione di divorzio nell'Islam. Il termine arabo talaq significa la "rottura del legame", in questo caso, il legame matrimoniale. Nel contesto coranico dell'unione coniugale, talaq corrisponde a una rottura del contratto di matrimonio, come determinato da uno o entrambi i partner, come nel caso del divorzio per consenso reciproco. Secondo il Corano, il divorzio è un

137 Intervista ad A. Lamrabet: “Le Coran n’a jamais été discriminatoire à l’égard des femmes”, 31 Marzo 2017, www.jeuneafrique.com.

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diritto che può essere esercitato da un uomo o una donna, e alcuni versetti parlano di diversi tipi di divorzio a seconda delle diverse situazioni. È importante precisare che questa realtà coranica è contraria alla prassi consolidata che si trova in numerose legislazioni islamiche molto più in linea con le norme del diritto consuetudinario ('urf) che con le prescrizioni coraniche. Si può tuttavia distinguere fra tre scenari che sembrano riassumere la posizione del Corano sul divorzio. Il primo, è il divorzio per consenso reciproco, e viene descritto in due versetti del Corano:

«Se temete la separazione tra i due coniugi, allora nominerete un arbitro della famiglia di lui e un arbitro della famiglia di lei. E se poi vorranno accordarsi, Dio li riconcilierà, Dio è sapiente e informato di tutto.»139 (C. 4:35)

«Se il marito e la moglie si separano, Dio arricchirà entrambi dalla Sua abbondanza, e Dio è Onnicomprensivo, Saggio.»140 (C. 4:130)

Questi due versetti riassumono l'essenza della filosofia coranica rispetto al rapporto coniugale che è, soprattutto, considerato fondato sull'armonia e sulla comprensione reciproca. Partendo da questo principio, il Corano ritiene che sia meglio che la coppia si separi nei casi in cui vi sono incomprensioni profonde o differenze inconciliabili che rischiano di destabilizzare l'accordo reciproco stabilito. La seconda forma di divorzio è quella che viene effettuata su richiesta del marito. La procedura è descritta in dettaglio nei seguenti versetti:

«O Profeta! Quando divorziate dalle vostre mogli, divorziate da loro allo scadere del periodo di attesa e contate bene questo periodo e temete il vostro Signore. Non scacciatele dalle loro case; né escano, a meno che non commettano una flagrante indecenza. Questi sono i limiti fissati da Dio; e chiunque trasgredisca i limiti fissati da Dio si è sicuramente offeso. Tu non lo sai se Dio vorrà fare qualcosa nel frattempo. »(C. 65:1)

139 Il Corano, cit., p. 49. 140 Ivi., cit., p.57.

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« Poi, quando avranno raggiunto il loro mandato, tenetele con voi in modo onorevole (ma’rf) oppure separatevi in modo onorevole [ma’rf]. E scegliete tra voi due testimoni giusti a testimoniare e a sostenere la testimonianza di Dio.»141 (C. 65:2)

Per i più classici commentatori del Corano, mentre la prima raccomandazione è fatta al Profeta, si rivolge anche a tutti gli uomini. E si può dedurre dallo stesso versetto che questa prescrizione si applica ugualmente al Profeta nel suo ruolo di rappresentante supremo della comunità di credenti, così come tutti gli uomini, senza la minima differenziazione tra di loro in termini di questi principi. La maggior parte dei commenti classici raccontano resoconti che rivelano l'estrema casualità con cui gli uomini al momento della rivelazione impiegavano il divorzio e lo consideravano un diritto maschile, tanto da esercitare una tale prerogativa di ripudiare le loro mogli per via orale, come e quando volevano, con una semplice formula come il famigerato "sei divorziata" (ant' t'liq). Secondo la giurisprudenza islamica che rimane in vigore nella maggior parte dei paesi musulmani, questa formula, ripetuta dal marito tre volte consecutive, segna un divorzio definitivo.142 La terza tipologia di divorzio è quello su richiesta della moglie (khul'). Il Corano ne parla nel versetto seguente:

«Il ripudio è concesso due volte; dopodiché bisogna trattenere degnamente, o mandare via generosamente (la propria donna). E non vi è concesso riprendere nulla di quel che le avete donato, a meno che entrambi temano di non riuscire a rispettare i termini fissati da Dio. Perché se temono di non poter osservare i limiti fissati da Dio [la moglie avvia il divorzio], e non ci sarà colpa per nessuno dei due in ciò con cui la donna riscatta sé stessa. Questi sono i limiti imposti da Dio; non trasgrediteli. E chi trasgredisce i limiti imposti da Dio, quelli sono i colpevoli.»143 (C. 2:229)

Secondo l’esegesi classica, questo versetto è stato rivelato al fine di porre fine alle pratiche pagane che hanno dato al marito il diritto di ripudiare sua moglie o di riportarla indietro tutte le volte che desiderava. Prima dell'avvento dell'Islam, il marito poteva ripudiare e poi riprendere sua moglie per un totale di cento volte. La rivelazione di questo versetto mirava a limitare il divorzio a due volte decretando l'impossibilità di riprendere una moglie per la terza volta, tranne nel caso in cui avrebbe potuto risposarsi, dopo il

141 Il Corano, cit., p. 356.

142 A. Lamrabet, Women and Men in the Qur’ān, p. 91. 143 Il Corano, cit., p. 22.

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divorzio dal primo marito, e poi divorziare dal suo secondo marito.144 Qui, vediamo come il Corano definisce i confini di una violazione quotidiana, praticata dagli uomini che credevano che le donne fossero di loro proprietà privata e che avessero tutti i diritti di disporre liberamente di loro considerandole di ordine inferiore, create esclusivamente per il loro benessere sulla terra. La chiusura di questo versetto indica la possibilità per la moglie di chiedere il divorzio tramite il pagamento di un risarcimento al marito (f'mà

iftadat bihi), senza specificare minimamente il motivo del divorzio o il tipo o l'importo

del risarcimento. Il divorzio in cambio di un risarcimento, chiamato khul' nella terminologia del Fiqh, è una delle procedure a disposizione delle mogli, nonostante si tratti di una pratica poco diffusa nelle società musulmane. Il termine arabo khul' deriva dal verbo khala'a, che significa abrogazione o annullamento. Questa forma di divorzio è quindi un processo legale che consente a una moglie di "annullare" il legame matrimoniale. Dobbiamo tuttavia sottolineare che le modalità di questo processo nella legge islamica non sono sempre state coerenti con l'etica coranica.145

Il divorzio, sotto le sue diverse forme, costituisce un classico esempio del divario esistente tra i principi stabiliti dal Corano e le leggi che sono state elaborate dai giuristi musulmani nelle collezioni di legge musulmana. Infatti, mentre il Corano, come abbiamo visto, supporta l'uguaglianza di entrambi i partner in termini di divorzio, il fiqh ha ridotto il talaq a un concetto giuridico restrittivo, vale a dire il ripudio, unilaterale e disponibile solo per il marito. In tal modo, le prescrizioni coraniche secondo cui i diritti delle donne avanzate sono state ridotte a specifiche formulazioni discrezionali e secondarie e in alcuni casi sono state semplicemente ignorate sotto la pressione delle usanze locali. Il potere patriarcale è così riuscito a mantenere le antiche norme giuridiche preislamiche, con il ripudio da parte del marito, trasformando il talaq come è stato sostenuto nel Corano in un divorzio unilaterale, stabilito come diritto arbitrario del marito e soggetto alla sua autorità assoluta.146 Dunque, la risposta del Corano come rivelata in questo versetto, è un segno molto chiaro della determinazione del Testo sacro di eliminare le usanze discriminatorie verso i più svantaggiati, in generale, e le donne, in particolare. Ognuno è sullo stesso piano davanti a questa legge divina, e tutti gli uomini e le donne sono uguali in termini di

144 Ivi., p. 97.

145 A. Lamrabet, Women and Men in the Qur’ān, p. 98. 146 Ibid.

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principi fondamentali. Ancora una volta, secondo la lettura delle femministe islamiche il Corano risponde alle richieste delle donne.

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CAPITOLO III

L’attivismo femminile in Marocco: tra Islam e modernità

3.1 Il movimento delle donne in Marocco: dall’indipendenza agli anni di piombo

If women’s rights are a problem for some modern Muslim men, it is neither because of the Koran nor the Prophet, nor the Islamic tradition, but simply because those rights conflict with the interests of a male elite.

(Fatima Mernissi)147

Le prime esperienze di mobilitazione femminile in Marocco si registrano nell’ambito del movimento nazionalista, in cui fin dal protettorato francese (1912) la presenza femminile si era manifestata in azioni di sostegno alla resistenza, soprattutto come supporto logistico per le proteste anticoloniali e la lotta armata.148 Se queste si presentavano come reazioni spontanee alla resistenza coloniale, il diritto all’istruzione fornì l’occasione alle donne per una collaborazione politica più strutturata con il movimento nazionalista. Così, nel corso degli anni ’40, il progressivo accesso femminile all’istruzione pubblica cominciava a mettere in discussione l’intera impalcatura sociale che per lungo tempo aveva impedito l’incontro pubblico di uomini e donne. Nonostante la presenza femminile in ambito pubblico fosse ancora fortemente limitata, è un dato storico che le donne siano state agenti attive nella storia del Marocco sin dai primi anni del Novecento.149 Tuttavia, la nascita di un movimento di donne più strutturato non avviene prima del 1946, anno in cui viene fondata l’associazione delle Sorelle della Purezza, composta da esponenti della borghesia

147 F. Mernissi, “Preface to the English edition”, The Veil and the Male Elite: A Feminist Interpretation of

Women’s Rights in Islam, New York, Perseus Publishing, cit., p. 9.

148 Come in occasione della Guerra del Rif contro le truppe spagnole e francesi (1921-1926). C. Gomez Camarero, “El feminismo femenino y feminista en Marruecos”, in C. Perez Beltran – C. Ruiz de Almodovar (eds.), El Magreb, Coordenadas socioculturales, Universidad de Granada, Granada, 1995, pp. 39-65. 149 S. Borrillo, Femminismi e Islam in Marocco, PP. 56-57.

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di Fez vicine al Partito Indipendenza (Istiqlal); queste donne vengono considerate un primo esempio di femministe marocchine poiché invocavano diritti più strutturati rispetto al passato e successivamente le loro richieste rappresentarono il fulcro delle battaglie femministe: ad esempio, l’istruzione obbligatoria femminile, l’abolizione della poligamia, del ripudio e dei matrimoni precoci ecc. Durante questo periodo, attraverso il discorso giornalistico e accademico, le femministe hanno iniziato a mettere in discussione le divisioni di genere, esaminare le radici storiche e ideologiche della disuguaglianza e promuovere il riconoscimento del lavoro delle donne. Esse descrivevano la condizione delle donne non come uno "stato naturale", ma come uno stato derivante da pratiche storiche.150

Nel corso degli anni ’50, le donne presero nuovamente parte alla lotta per l’indipendenza, vere e proprie partigiane, nascondendo armi nei carichi alimentari, trasmettendo messaggi, svolgendo missioni di spionaggio. Nonostante l’importante ruolo svolto durante questa fase storica, nel post-indipendenza il Codice di Statuto personale, la cui approvazione è avvenuta in fretta e furia con alcuni decreti reali adottati tra il 1957 e il 1958, non riconobbe in modo adeguato alle donne il loro contributo alla costruzione dello stato.151 Il movimento delle donne fu infatti amaramente deluso dall’adozione del Codice che regolava tutte le questioni relative alla vita familiare. È vero che le donne ottennero il diritto di voto nel 1956 e avevano il diritto a un'istruzione gratuita, ma allo stesso tempo venivano ancora considerate subordinate ai loro mariti o padri e trattate come minori di fronte la legge. Inoltre, uno dei principi fondamentali del matrimonio richiedeva l'obbedienza della moglie al marito in cambio di un mantenimento finanziario, e il marito continuava ancora a mantenere la capacità di ripudiare la moglie senza l'autorizzazione di un giudice. Non dovrebbe pertanto sorprenderci che il movimento

150 F. Sadiqi, “Morocco”, in S. Kelly & J. Breslin (eds.), Women's Rights in the Middle East and North

Africa: Progress Amid Resistance, New York, 2010, pp. 1-2.

151 Il Codice era infatti ben lontano dal principio di uguaglianza giuridica tra coniugi: fondava la famiglia sulla centralità della figura del marito o del padre, legalizzava la poligamia, confermava la proibizione del matrimonio tra una musulmana e un non musulmano; fissava anche l’età minima matrimoniale a diciotto anni per i ragazzi e a quindici per le ragazze, rendendo di fatto impossibile il ricorso ad appelli legali contro i matrimoni precoci. Inoltre, sosteneva la presenza necessaria della figura del tutore matrimoniale, invocando anche il bisogno del permesso maritale per svolgere un lavoro extradomestico. Sulla base di queste disposizioni, che confermavano il potere del marito sulla moglie, del padre sulla famiglia e il trattamento della donna come eterna minore, la Mudawwana si presentava come il manifesto politico di uno Stato che consacrava giuridicamente la subordinazione femminile in famiglia e in società. Ivi., cit., p.

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femminista marocchino abbia concentrato i suoi sforzi sulla modifica della

Moudawwana, vista a lungo come il luogo principale della discriminazione legale e civile

contro le donne.152

Seppur in modo graduale, all’indomani dell’indipendenza l’accesso all’istruzione e allo spazio extradomestico da parte delle donne continuò a crescere, favorendo una graduale presa di coscienza dei propri diritti che porterà nel corso degli anni ’60 – una fase di acuta crisi economico-sociale – a una loro partecipazione attiva all’interno dei sindacati e nelle lotte studentesche. Per il loro attivismo si scontrarono con la repressione sistematica da parte del regime contro intellettuali e attivisti critici: una fase della storia del Marocco che è conosciuta come gli “anni di piombo”.153 In questo clima, nel 1962, venne celebrato il primo congresso dell’Unione Progressista delle Donne Marocchine (UPFM), sezione femminile della Unione Marocchina del Lavoro (UMT).154 Il congresso esigeva l’emancipazione femminile per dare il proprio contributo alla democrazia, libertà e giustizia. La risposta di re Hassan II per limitare l’impatto politico che un simile evento poteva generare fu la creazione della prima grande associazione femminile ufficiale,

l’Union Nationales des Femmes Marocaines (UNFM) i cui obbiettivi però non andavano

oltre l’alfabetizzazione di base.155 Contemporaneamente, per supplire alla scarsa rappresentanza femminile in politica, i partiti di stampo più progressista, come l’Unione socialista delle forze popolari (USFP) e il Partito del Progresso e del Socialismo (PPS) cominciarono a promuovere un tipo di propaganda in cui l’emancipazione femminile veniva vista come necessaria al fine del progresso nazionale. Così, intorno alla fine degli anni ‘60, molte militanti femministe entrarono a far parte di questi partiti. Altre attiviste, soprattutto quelle che si sono mobilitate nei sindacati o nei movimenti studenteschi, scelsero una via diversa; ad esempio, l’Unione Nationale des Etudiants Marocains

(UNEM), in cui nacquero delle commissioni femminili che supportavano campagne

d’alfabetizzazione per le donne, occupandosi essenzialmente del miglioramento delle condizioni femminili in Marocco.

152 F. Sadiqi, “Morocco”, pp. 2-3.

153 Gli storici fanno coincidere gli anni di piombo con il trentennio tra la dichiarazione dello stato d’eccezione nel 1962 e i primi anni ’90, quando Re Hassan II concesse la cosiddetta “alternanza democratica”. Si tratta del periodo più buio della storia marocchina in cui il regime si macchiò di efferati crimini contro l’umanità.

154 L’Union marocaine du travail (UMT) venne creata clandestinamente nel 1955, per poi divenire ufficiale dopo l’indipendenza.

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Dunque, nonostante la dura realtà repressiva degli anni di piombo, tra gli anni ’60 e ’70 le idee femministe cominciarono a diffondersi in diversi settori della società, grazie anche alle rivendicazioni dei diritti delle donne che hanno trovato eco all’interno di riviste e giornali che cercavano di sensibilizzare le donne marocchine sulla questione di genere. Anche alcuni romanzi che proponevano una nuova immagine dell’Io femminile in alternativa alla visione stereotipata diffusa nella società riscossero particolarmente successo.156 Queste prime espressioni femministe sulla letteratura e sulla stampa hanno rappresentato un importante contributo alla costituzione del femminismo intellettuale marocchino che, attraverso la parola scritta, supporta il femminismo militante destinato a svolgere un’energica attività nell’arena politica e sociale.157