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La tutela del paesaggio tra vincolo e piano

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

La tutela del paesaggio tra vincolo e piano

Candidato: Relatore

:

Giuliano Faggioni

Prof. Alfredo Fioritto

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INDICE

INTRODUZIONE pag. I

RINGRAZIAMENTI pag. IV

CAPITOLO I - IL PAESAGGIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO. SVILUPPO STORICO DELLA NORMATIVA IN MATERIA

1. I primi interventi legislativi in materia nell’Italia pre e postunitaria pag. 1

2. Il contributo di Benedetto Croce pag. 3

3. Le “Leggi Bottai” del 1939. L’introduzione dei piani territoriali

paesistici pag. 5

4. Le norme costituzionali in materia di tutela paesaggistica

e ambientale pag. 11

5. La prima legge dell’Italia repubblicana per la difesa del paesaggio:

la “Legge Galasso” del 1985 pag. 16

6. L’evoluzione normativa successiva alla “Legge Galasso”

fino al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004 pag. 21 7. Le fonti sovranazionali.

In particolare: la “Convenzione Europea del Paesaggio” del 2000 pag. 25

CAPITOLO II - L’ATTUALE SISTEMA DI TUTELA

DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO NEL “CODICE URBANI”

1. Genesi, struttura e principi del

“Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” pag. 31

2. Il patrimonio culturale pag. 36

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verifica e dichiarazione dell’interesse culturale,

regime giuridico dei beni culturali pag. 45

4.1. Individuazione pag. 46

4.2. Verifica e dichiarazione dell’interesse culturale pag. 48

4.3. Regime giuridico dei beni culturali pag. 58

5. La nozione giuridica di paesaggio nel Codice pag. 61 6.Beni paesaggistici. Tipologie di beni e modalità di costituzione

dei vincoli pag. 64

7. L’autorizzazione paesaggistica pag. 71

8. Vigilanza, sanzioni e altre misure di tutela dei beni vincolati pag. 79

CAPITOLO III - IL PIANO PAESAGGISTICO

1. Introduzione. Fra tutela del paesaggio e governo del territorio:

che cos’è il piano paesaggistico pag. 84

2. Struttura, funzioni e contenuti del piano paesaggistico pag. 88 3. Procedimento di formazione, soggetti coinvolti, co-pianificazione,

concertazione e partecipazione pag. 97

4. I rapporti con gli altri strumenti di pianificazione territoriale pag. 104 5. Lo stato della pianificazione paesaggistica in Italia pag. 109 5.1 In particolare: i piani paesaggistici di Toscana e Puglia pag. 116

BIBLIOGRAFIA pag. 131

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INTRODUZIONE

La tutela del paesaggio − da considerarsi oggi, alla luce delle evoluzioni giuridico-concettuali, come tutela della forma visibile del territorio e delle sue caratteristiche identitarie derivanti dall’azione sullo stesso di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni − è materia di straordinario interesse e la stessa è stata oggetto di ampia letteratura giuridica di critica e commento delle norme e delle pronunce giurisprudenziali a riguardo che negli anni si sono succedute; ciò nonostante, talvolta la stessa non è trattata in modo particolarmente esauriente all’interno dei manuali di diritto urbanistico. Non si sta dicendo, ovviamente, che la materia sia considerata di “secondo piano”; questo sarebbe impossibile anche solo per il fatto che, come noto ai giuristi e non solo a loro, la tutela del paesaggio è contemplata in Costituzione nell’art.9, fra i “Principi fondamentali dello Stato”, come compito (o attività) affidato alla Repubblica. Quel che si sta dicendo è che, spesso, per poter approfondire in modo soddisfacente l’argomento, occorre fare riferimento a testi maggiormente specializzati, quali i commentari al “Codice Urbani” del 2004, che rappresenta la principale fonte di legge primaria in materia, oppure gli interventi dei maggiori studiosi ed esperti nelle riviste e nei periodici giuridici, oppure, ancora, le informazioni provenienti direttamente dalle istituzioni interessate, reperibili in quel mare magnum che è il web.

In questa tesi si è voluto fare un lavoro di compilazione di alcune di queste fonti per fornire ai lettori una sintesi – ovviamente senza alcuna ambizione di totale esaustività − dell’evoluzione storica di legislazione, dottrina e giurisprudenza in materia, fino ad arrivare allo stato attuale delle stesse. Nel capitolo d’apertura si è voluta sottolineare l’attenzione rivolta nei confronti della protezione delle “bellezze naturali” − e quindi di singoli beni paesaggistici in ragione del loro valore prettamente estetico-storico-culturale – già dai regnanti degli Stati preunitari e poi, in seguito all’Unità d’Italia, da alcuni personaggi storici di primissimo rilievo come ad esempio Benedetto Croce e Giuseppe Bottai, ispiratori, nel 1922 e 1939, di due delle leggi fondamentali sul tema. La tutela del paesaggio, anche e soprattutto sulla scia di quanto fatto precedentemente al 1948, è poi entrata a far parte, come già ricordato, dei principi fondamentali della Repubblica per scelta dell’Assemblea

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Costituente. Da lì in avanti la concezione della tutela del paesaggio si è evoluta ed è andata ad incastonarsi con la tutela dell’ambiente e del territorio genericamente considerato; la “Legge Galasso” del 1985 mise infatti in primo piano le esigenze di protezione di beni paesaggistici di valore eminentemente naturalistico-ambientale, mentre il “Codice Urbani” del 2004 pone delle norme finalizzate alla protezione dei valori paesaggistici espressi dal territorio ed a dettare una disciplina delle trasformazioni territoriali in modo tale che le stesse non comportino lo stravolgimento delle “caratteristiche paesaggistiche ed identitarie” del territorio stesso. Questo tipo di evoluzione è stata possibile anche grazie all’intervento di fonti di carattere sovranazionale; su tutte la “Convenzione Europea del Paesaggio” del 2000, ma anche precedenti atti, non aventi però forza vincolante, come la Dichiarazione ONU di Stoccolma sull’Ambiente del 1972.

Anche delle suddette fonti sovranazionali si è trattato nel primo capitolo; nei successivi due l’attenzione è stata rivolta alle norme del “Codice Urbani”, ai suoi principi ispiratori e alle specifiche discipline in esso dettate con riguardo ai beni culturali e ai beni paesaggistici, ricompresi entrambi nel più ampio concetto di “patrimonio culturale della Nazione” sulla scia delle “Dichiarazioni” della cosiddetta “Commissione Franceschini”, sorta nel 1967 allo scopo di proporre misure per la protezione del patrimonio culturale e ambientale italiano. Il Codice è stata inoltre la prima legge italiana “originale” e di non mero “riordino” in cui sono state prese in considerazione unitariamente le norme relative alle due materie affini della tutela e valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio. In questa tesi, ovviamente, l’approfondimento è stato svolto soprattutto sulla parte III del Codice dedicata ai beni paesaggistici; non mancano però alcuni cenni sui beni culturali, in particolare sulle norme riguardanti la loro individuazione, i provvedimenti di verifica e dichiarazione dell’interesse culturale e il regime giuridico di tali beni.

L’analisi della disciplina dei beni paesaggistici inizia nella parte conclusiva del secondo capitolo. Si inizia prendendo in considerazione le norme sull’individuazione dei beni paesaggistici, in buona parte riprese dalle leggi “Bottai” e “Galasso” del 1939 e 1985, quindi l’attenzione si sposta sul sistema di tutela di tipo “vincolistico”, già presente sin dalla legge “Croce” del 1922 e poi successivamente perfezionato. Oggi il sistema vincolistico vigente

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III

prevede che i vincoli di nuova costituzione abbiano carattere “vestito” e che i vincoli costituiti in precedenza siano oggetto, se necessario, di integrazione, affinché anche questi ultimi assumano quel carattere; per “vincolo vestito” si intende quel vincolo che contiene non solo divieti, limitando le facoltà dei proprietari dei beni, ma anche la specifica disciplina d’uso riferita ai beni vincolati. La presenza di questa caratteristica nei vincoli, come vedremo, ha rilevanza soprattutto con riguardo al provvedimento amministrativo di autorizzazione paesaggistica, necessario per compiere quasi ogni tipo di intervento su beni vincolati, e in particolare sulla discrezionalità delle amministrazioni competenti a decidere sul rilascio o meno del provvedimento stesso. Infine, nel terzo e conclusivo capitolo, ci si soffermerà su quelli che oggi sono i principali strumenti di tutela del paesaggio: i piani paesaggistici, di competenza regionale in ordine alla loro adozione ed approvazione, fermo restando l’ampio ruolo dello Stato in fase di elaborazione degli stessi. Il ricorso alla pianificazione paesaggistica non è una novità assoluta nel nostro ordinamento, in quanto già le leggi del 1939 e del 1985 prevedevano la predisposizione di piani, allora chiamati “paesistici”, per la tutela di particolari beni immobili o aree di valore paesaggistico. Gli attuali piani paesaggistici, però, rappresentano un deciso “potenziamento” dei loro predecessori; hanno infatti una portata ben più ampia, facendo riferimento ai territori regionali considerati nella loro interezza, dei quali forniscono un quadro conoscitivo finalizzato alla ricognizione dei diversi valori paesaggistici presenti nel territorio. A questa “funzione conoscitiva” dei piani se ne aggiungono altre due, una “prescrittiva” e l’altra “programmatica”. Una volta ottenuta l’adeguata conoscenza del territorio considerato, i pianificatori possono infatti procedere a dettare specifiche prescrizioni d’uso per i beni vincolati e “misure di salvaguardia” per i cosiddetti “ulteriori contesti”, ossia quelle parti di territorio non sottoposte a vincoli ma nelle quali sono individuati particolari valori paesaggistici. Con riferimento ai vincoli, poi, i piani paesaggistici possono crearne di nuovi e “vestirne” altri già costituiti. Quanto alla parte “programmatica”, essa è individuabile in quelle parti dei piani che prevedono, ad esempio, l’indicazione di determinati interventi sul territorio finalizzati al miglioramento della qualità paesaggistica. I piani paesaggistici hanno inoltre un ruolo centrale in materia di governo del

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territorio, essendo sovraordinati agli altri strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale in considerazione della primarietà dell’interesse paesaggistico che intendono tutelare.

Dei piani paesaggistici si parlerà anche del loro complesso procedimento di formazione e del coinvolgimento nello stesso di soggetti, pubblici o privati, diversi da Regioni e Stato. Per approfondire meglio l’argomento, in chiusura di tesi verrà proposta una panoramica sul lento avanzamento della pianificazione paesaggistica in Italia e verranno analizzati nello specifico i piani paesaggistici della Toscana e della Puglia, i primi due approvati nel nostro Paese in piena conformità con le norme del Codice “Urbani” dedicate ai piani paesaggistici, in particolare gli artt.135 e 143.

Ringraziamenti

Per la realizzazione di questa tesi si ringraziano il relatore, prof. Alfredo Fioritto, e tutto il personale della biblioteca del Dipartimento di Diritto Pubblico di Piazza dei Cavalieri di Pisa; per le fondamentali nozioni acquisite in questi anni di studi, tutti i docenti dei corsi da me frequentati del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa; per il sostegno morale e materiale, senza il quale non sarei arrivato fin qui, la mia famiglia e i miei amici più cari; per la forza di volontà “messa in campo”, anch’essa imprescindibile, me stesso.

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CAPITOLO I

IL PAESAGGIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO. SVILUPPO

STORICO DELLA NORMATIVA IN MATERIA

1. I primi interventi legislativi in materia nell’Italia pre e postunitaria − 2. Il contributo di Benedetto Croce − 3. Le “Leggi Bottai” del 1939. L’introduzione dei piani territoriali paesistici

4. Le norme costituzionali in materia di tutela paesaggistica e ambientale − 5. La prima legge dell’Italia repubblicana per la difesa del paesaggio: la “Legge Galasso” del 1985 − 6. L’evoluzione

normativa successiva alla “Legge Galasso” fino al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004 − 7. Le fonti sovranazionali. In particolare: la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000

1. I primi interventi legislativi in materia nell’Italia pre e postunitaria

L’Italia è uno Stato il cui territorio è caratterizzato dalla presenza di un patrimonio storico, culturale, artistico e naturale di notevole varietà e interesse. Tale caratteristica non sfugge e non può sfuggire a chiunque abbia avuto la possibilità di trascorrere del tempo nel cosiddetto “Bel Paese” anche solo per una breve vacanza, pur senza una particolare sensibilità o gusto estetico. Non hanno fatto e si spera continueranno a non fare eccezione, oltre a governanti e detentori del potere politico, anche gli studiosi e operatori del diritto, che hanno rivolto la loro attenzione al tema della protezione delle bellezze naturali e culturali sin da molto prima che i padri costituenti scegliessero di inserire nell’art.9 della Carta, fra i principi fondamentali della Repubblica, la promozione dello sviluppo della cultura e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

Già gli stati preunitari adottarono alcune norme rivolte a tale scopo, in specie lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli. In quest’ultimo, pochi anni dopo la scoperta delle rovine di Pompei (1748), sotto il regno di Carlo VII di Borbone, furono emanati alcuni bandi a tutela del patrimonio storico-artistico, mentre circa un secolo più tardi, fra il 1841 e il 1843, alcuni decreti vietarono di “alzare fabbriche che togliessero amenità o veduta lungo Mergellina,

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Posillipo e Capodimonte”1. L’utilizzo del termine “veduta” ci rimanda alla definizione di

paesaggio fornita dall’Enciclopedia Treccani come “parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato”2, tuttavia lo sviluppo di una vera e propria tutela giuridica

del paesaggio inizierà a farsi strada solo molti anni dopo. Anche dopo l’Unità d’Italia, infatti, la legislazione in materia rimarrà principalmente finalizzata alla protezione, conservazione e tutela di singoli beni, o meglio, di singole bellezze, con preferenza per quelle storico-artistiche (e quindi di origine antropica) che non per quelle naturali. La prima legge postunitaria rivolta alla tutela di un bene “paesaggistico” naturale fu la n.411 del 1905. Oggetto di quella legge era la conservazione della pineta di Ravenna, oggi area protetta per effetto dell’istituzione nel 1977 dell’omonima riserva naturale statale3. A essere presa in

considerazione era una singola porzione di territorio per effetto del suo straordinario valore estetico, rimanendo ancora estranea al legislatore dell’epoca l’idea di una tutela generalizzata del paesaggio. Tuttavia, il principale promotore della legge, l’allora Ministro dell’Agricoltura Luigi Rava, originario proprio di Ravenna, la considerò come il punto di partenza per arrivare ad una più generale legge di conservazione delle bellezze naturali, sottolineando, nel discorso di presentazione alla Camera del disegno di legge, come “il culto delle civili ricordanze merita di incarnarsi non solo in monumenti e opere d'arte, ma va esteso ai monti, alle acque, alle foreste e a tutte le parti del patrio suolo che lunghe tradizioni associarono agli atteggiamenti morali ed alle vicende politiche di un grande paese"4. Con

un linguaggio decisamente austero il Ministro sembrò in effetti indicare la strada verso l’attuale concezione giuridica di paesaggio, inteso come territorio o parte di esso avente caratteristiche ben precise derivanti dall’incontro dell’azione umana con quella naturale5.

1 Benedetto Croce, nella sua relazione al disegno di legge n.204 del 1920 (vedi infra § 2), fece riferimento a tali decreti: “…si è così sulla via tracciata da antichi provvedimenti, trasfusi poi in regolamenti edilizi e ancora in vigore. È noto che i rescritti borbonici del 19 luglio 1841 e 17 gennaio 1842 e 31 maggio 1843 vietavano di alzare fabbriche le quali togliessero amenità o veduta lungo la via di Mergellina, di Posillipo, di Campo di Marte, di Capodimonte; ed il regolamento edilizio della città di Napoli ne fece tesoro aggiungendovi anche il “Corso Vittorio Emanuele” da cui si scopre il golfo meraviglioso…”.

2 http://www.treccani.it/enciclopedia/paesaggio/

3 http://www.parks.it/riserva.statale.pineta.ravenna/index.php

4 C. BARBATI, Il paesaggio come realtà etico-culturale, in “Aedon”, Bologna, Il Mulino, a. X, n. 2, settembre 2007, p.2

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Successivamente lo stesso Rava, divenuto nel frattempo Ministro della Pubblica Istruzione, sostenne anche l’adozione della legge c.d. “Rosadi-Rava” (dai nomi del Ministro e del deputato fiorentino Giovanni Rosadi) n.364 del 1909 recante norme per la tutela dei beni culturali dell’Italia unita. Si trattò in questo caso di una legge di respiro più ampio, a differenza dell’estrema specificità di quella di quattro anni prima. Per trovare il primo intervento legislativo di portata generale per la tutela delle bellezze naturali si dovrà attendere un’altra decina d’anni e l’ascesa alla carica di Ministro della Pubblica Istruzione di uno dei massimi esponenti del pensiero e della scena politica italiana dell’epoca: Benedetto Croce.

2. Il contributo di Benedetto Croce

Il provvedimento legislativo ascrivibile al nome di Benedetto Croce fu la legge n.778 del 1922, approvata dalla Camera l’11 maggio di quell’anno, firmata dal Re l’11 giugno ed infine pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.148 del 24 giugno6 a

conclusione di un iter legislativo travagliato. Il testo era già stato approvato dal Senato il 31 gennaio dell’anno precedente, ma la rapida successione dei governi dell’epoca comportò un sostanziale prolungamento dei tempi e fu grazie alla prosecuzione dell’iter già avviato da Croce ad opera dei ministri suoi successori, Orso Maria Corbino e Antonino Anile, e di uno dei principali promotori della precedente legge 364 del 1909, Giovanni Rosadi, che il testo riuscì infine a raggiungere l’approvazione definitiva7, sia pure con qualche lieve modifica.

Il ministro Croce presentò il disegno di legge n.204 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico” di fronte al Senato del Regno il 25 settembre 1920. Una prima osservazione la si può fare sul titolo stesso del disegno di legge, in cui è espressa la volontà di riunire in un unico testo disposizioni volte a fornire tutela sia ad opere dell’uomo che naturali. Non è dunque un caso che nel discorso tenuto di fronte ai

6 Il testo originale della legge pubblicato in G.U. è consultabile sul portale “AU.G.U.STO -

Automazione Gazzetta Ufficiale Storica” dell’Agenzia per l’Italia digitale (augusto.agid.gov), oltre che, naturalmente, sul portale della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (www.gazzettaufficiale.it). 7 Benedetto Croce ministro e la prima legge sulla tutela del paesaggio, Università Ca’ Foscari Venezia (www.unive.it), Venezia, 3 ottobre 2011.

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senatori del Regno Croce abbia fatto riferimento a entrambe le già citate leggi del 1905 e del 1909. Nella sua relazione introduttiva8 l’allora Ministro della Pubblica Istruzione infatti

così esordì:

“Che una legge in difesa delle bellezze naturali d'Italia sia invocata da più tempo e da quanti uomini colti e uomini di studio vivono nel nostro paese, è cosa ormai fuori di ogni dubbio […], e che una legge siffatta, la quale ponga finalmente un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo, desiderata sia anche dal Parlamento, non è neppure da dubitare, dopo che due ordini del giorno, affermanti la necessità e l'urgenza di essa, furono approvati dalla Camera prima, quando nel 1905 si discusse il disegno di legge sulla pineta di Ravenna, e dal Senato poi in occasione della legge di tutela monumentale del 20 giugno 1909 n. 364”.

Il Croce volle probabilmente sottolineare come la strada verso l’approvazione di un’unica legge che offrisse tutela in un’unica soluzione alle bellezze naturali e storico-artistiche d’Italia fosse già stata tracciata dai lavori parlamentari di una decina di anni prima. Sempre nella sua introduzione Croce affermò inoltre come “nella difesa delle bellezze naturali…” è posto “…un altissimo interesse morale e artistico che legittima l'intervento dello Stato che si identifica con l'interesse posto a fondamento delle leggi protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria”. Questo passaggio rifletteva senz’altro il pensiero crociano che vedeva nel paesaggio un elemento storico più che naturale9, caratterizzato dalla

presenza contemporanea di elementi naturali ed umani che insieme forniscono testimonianza dell’identità culturale della nazione. O meglio, usando le parole di Croce stesso, il paesaggio “altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari […], formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli”.

Passando ad analizzare in breve le disposizioni contenute nei sette articoli della legge 778/1922, il sistema di tutela allora pensato fu quello di assoggettare ad un regime di protezione speciale, mediante la dichiarazione di notevole interesse pubblico ad opera del

8 Disegno di legge n.204 di Benedetto Croce, in “Rivista della Scuola superiore dell’economia e delle finanze”, (www.rivista.ssef.it).

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Ministero della Pubblica Istruzione, le cose immobili indicate nell’art.1, e cioè quelle “di rilevante bellezza naturale aventi particolare relazione con la storia civile e letteraria”, nonché le “bellezze panoramiche”. Si veniva a creare sostanzialmente un sistema vincolistico prototipico che imponeva ai proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo delle cose raggiunte dalla dichiarazione di non eseguire lavori o procedere alla distruzione delle stesse, prevedendo ammende per i trasgressori e affidando la vigilanza agli organi indicati nel conclusivo art.7. A proposito di tale sistema di vincoli occorre ricordare come quelli imposti per effetto della “Legge Croce” continuino tuttora ad avere efficacia10, pur

essendo stata la legge in esame abrogata e sostituita dalla successiva n.1497 del 1939 di cui si parlerà a breve.

Nonostante il contenuto di straordinaria attualità, la legge 778/1922 predisponeva un sistema di tutela rivolto ancora alle singole bellezze e non a vere e proprie parti di territorio. Tuttavia negli anni successivi alla sua approvazione crebbe in Italia l’attenzione per le “meraviglie della natura” e per la loro protezione, come dimostra il fatto che fra il 1922 e il 1935 vennero istituiti i primi parchi nazionali (primo in assoluto quello del Gran Paradiso, sorto il 3 dicembre del 192211). La stessa legge, inoltre, costituì il modello su cui andò a

prender forma la successiva legislazione in materia di tutela del paesaggio.

3. Le “Leggi Bottai” del 1939. L’introduzione dei piani territoriali paesistici

Nel giro di pochi giorni, fra il 1° e il 29 giugno 1939, vennero approvate dal Parlamento le leggi n.1089 “Tutela delle cose di interesse storico e artistico” e n.1497 “Protezione delle bellezze naturali”12 il cui promotore fu il Ministro dell’Educazione Nazionale

Giuseppe Bottai allora impegnato, col supporto di alcuni insigni intellettuali dell’arte come Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan, in una stagione di riforme che contribuì a dar vita a quella normativa di epoca tardo-fascista che illustre dottrina (CASSESE)ha definito come “un 10 G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2014, p.491

11 http://www.pngp.it/

12 Pubblicate rispettivamente sul n.184 dell’8 agosto 1939 e sul n.241 del 14 ottobre dello stesso anno della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, entrambe consultabili sia su www.gazzettaufficiale.it sia su augusto.agid.gov.it

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autentico complessivo programma di politica della cultura”13. Di quel programma14 entrarono

a far parte anche le due leggi in questione, conosciute anche come “leggi parallele” per il loro pressoché contemporaneo iter di approvazione. I temi trattati furono gli stessi oggetto della “legge Croce” del 1922 a cui le due “leggi Bottai” si rifecero e di cui le stesse leggi del 1939 rappresentarono il passaggio logico successivo, ampliandone e perfezionandone l’impianto normativo. Infatti, pur essendo state concepite in pieno regime, tali leggi furono espressione della tradizione di matrice liberale di tutela del patrimonio nazionale e ad esse si ispirarono i padri costituenti per la stesura dell’art.9 della Costituzione15. Alla loro fortuna

senz’altro contribuì anche il lavoro svolto dall’allora presidente del Consiglio di Stato Santi Romano, il più noto giurista del tempo, che presiedette la commissione incaricata di redigere i disegni di legge16.

Andando ad analizzare il corpo normativo dei due testi legislativi in esame, è evidente come la l. 1089 sulla tutela del patrimonio storico e artistico sia dotata di una struttura ben più complessa rispetto alla “gemella” n.1497 sulla protezione delle bellezze naturali. Quest’ultima, a fronte degli otto capi e settantatré articoli della prima, presenta appena diciannove articoli, ponendosi in piena continuità anche sotto questo punto di vista con la legge Croce del 1922, composta da appena sette articoli. Nonostante la diversa “robustezza” lo schema dei due testi normativi era pressoché identico: dapprima venivano individuati i beni da sottoporre a protezione, disciplinato il procedimento amministrativo per la dichiarazione di notevole interesse pubblico dei beni oggetto del procedimento stesso e successivamente erano disposti divieti a procedere a determinati interventi sui beni stessi, con la previsione di conseguenti sanzioni per i trasgressori. Il soggetto pubblico a cui

13 G. MELIS, Dal Risorgimento a Bottai e a Spadolini. La lunga strada dei beni culturali nella storia

dell’Italia unita, in “Aedon”, Bologna, Il Mulino, a. XIX, n. 3, settembre-dicembre 2016, p.2

14 Fra gli altri interventi normativi ascrivibili all’opera del ministro Bottai si possono ricordare le leggi sul riordinamento delle Soprintendenze alle antichità e alle belle arti (di cui si parlerà in seguito), di istituzione dell’Istituto Centrale del Restauro e la c.d. “Carta della Scuola” per l’unificazione dell’insegnamento medio.

15 Lo sottolinea più volte S. SETTIS nel suo intervento Conservare perché, in “Patrimoniosos” (www.patrimoniosos.it), 23 gennaio 2004.

16 M. BRAY, La nozione giuridica di paesaggio e la sua evoluzione, in “Nel Diritto. Rivista telematica di diritto” (www.neldiritto.it), Neldiritto editore. L’articolo in questione rimanda a S. CASSESE, I beni

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venivano demandate “tutela” e “protezione” dei beni descritti nelle due leggi era sostanzialmente lo stesso Ministero già individuato nella precedente “legge Croce” del 1922, la cui denominazione era però nel frattempo cambiata nel 1929 per volontà del Governo Mussolini da “Ministero dell’Istruzione Pubblica” a “Ministero dell’Educazione Nazionale”. In entrambi i testi legislativi viene dato risalto nel sistema di tutela e protezione al ruolo delle Soprintendenze. Tali uffici tecnici periferici ministeriali vantavano già una lunga tradizione, risalendo la loro istituzione nell’Italia unita al 1875 per opera del Ministro della Pubblica Istruzione Ruggiero Bonghi, ma fu nella l.185/1902 che vennero chiamati per la prima volta col nome di Soprintendenze. A quella legge però non seguì mai l’applicazione del relativo regolamento e questo fatto determinò lo slittamento dell’ufficialità della nuova denominazione a qualche anno più tardi con l’entrata in vigore della legge 386/1907, che istituì sul territorio italiano 47 uffici di soprintendenza17. Nell’ambito della “riforma Bottai” del

1939, oltre alle leggi nn.1089 e 1497 di cui stiamo trattando, rientrò anche una legge precedente in linea temporale di un mese rispetto alle due sopracitate, la n.823 del 22 maggio, la cui finalità era proprio quella di riordinare il sistema delle Soprintendenze, evidentemente anche in vista della successiva fase della riforma. Si trattò in realtà di un ritorno al passato e, precisamente, proprio allo schema disegnato dalla l.386/1907, che negli anni successivi era stato parzialmente modificato da altri interventi legislativi. Venne infatti recuperata la tripartizione delle Soprintendenze nelle sezioni “scavi e antichità”, “monumenti” e “gallerie”, mentre il numero degli uffici sul territorio nazionale fu elevato a 58 con una ridefinizione delle circoscrizioni territoriali di competenza. Per quel che riguarda la tutela delle bellezze naturali, che maggiormente ci interessa ai fini della presente opera, la competenza venne affidata alle soprintendenze ai monumenti i cui funzionari preposti erano architetti. A questi professionisti venne dunque affidato il delicato compito di esaminare

17 A. VARNI, Ruggiero Bonghi e la Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti, in C. CECCUTI (a cura di), Cento anni di tutela. Atti del convegno di studi. Firenze, lunedì 19 settembre

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nell’ambito della tutela paesistica anche le connesse questioni di natura urbanistica nascenti dai piani regolatori18.

Una delle più importanti innovazioni rispetto alla legislazione del 1922 risiede nella parte iniziale della l.1497/1939. Come già rilevato19, nel testo crociano, all’art.1,

l’individuazione delle “cose immobili di notevole interesse pubblico” nonché le “bellezze panoramiche” da sottoporre a “speciale protezione” era rimessa integralmente al procedimento amministrativo della “dichiarazione di notevole interesse pubblico”. Il legislatore del 1939 fece una scelta diversa, elencando nel secondo comma del primo articolo alcuni beni individuati ex lege come di notevole interesse pubblico, e in particolare:

1. le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; 2. le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose

d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza;

3. i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;

4. le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze. Analizzando questo catalogo di beni paesaggistici individuati ex lege risalta subito la distinzione fra “bellezze individue”, di cui ai numeri 1 e 2, e “bellezze d’insieme”, di cui ai restanti numeri 3 e 4, che verrà in buona parte recepita anche nell’art.134 del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 200420. Riguardo le “bellezze individue” di cui al n.2 è

interessante notare come nei loro riguardi sia disposta la protezione come “bellezze naturali” sulla base della loro esclusione dall’ambito di operatività delle leggi di tutela delle cose d’interesse storico e artistico. Questa particolarità è un’altra conferma della stretta correlazione esistente fra le “leggi parallele” del 1939. I beni individuati dalle due leggi sono differenti ma sono altresì considerati come facenti parte di un tutt’uno, e cioè del patrimonio

18 P. CARPENTIERI, Il ruolo del paesaggio e del suo governo nello sviluppo organizzativo e funzionale

del Ministero e delle sue relazioni inter-istituzionali, in “Aedon”, Bologna, Il Mulino, a. XXI, n.2,

maggio-agosto 2018, p.4 19 Si veda infra § 2

20 M. IMMORDINO, M.C. CAVALLARO, Commento all’art.134, in (a cura di) M.A. SANDULLI,

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storico-artistico e naturale italiano. Il legislatore sostanzialmente volle far in modo che le eventuali lacune lasciate da una delle due leggi potessero essere colmate dall’altra, allo scopo di raggiungere un soddisfacente livello di tutela del patrimonio stesso. Sempre riguardo all’elenco di cui all’art.1 comma 2 l.1497/1939 è stato inoltre osservato e criticato il ricorso del legislatore dell’epoca ad un criterio di individuazione quasi puramente estetico. Effettivamente l’utilizzo reiterato del termine “bellezza” e di altri termini quali “spettacolo” o “belvedere” mostrano in modo inequivocabile quel tipo di scelta. Tale centralità del fattore estetico nella legislazione paesaggistica del 1939 tradì inoltre una “visione aristocratica” del legislatore stesso. La valorizzazione quasi esclusivamente estetica del paesaggio, del solo “bel paesaggio”, consentiva alle sole aristocrazie politiche e culturali di comprendere a fondo l’importanza della tutela dello stesso21. Delle “bellezze naturali” di cui all’art.1 comma 2, la

l.1497/1939 disponeva poi, nel successivo art.2, l’inserimento delle stesse in appositi elenchi redatti su base provinciale da alcune Commissioni presiedute da un delegato del Ministero dell’Educazione Nazionale22. Sulla base di questi elenchi il Ministero stesso avrebbe poi

dovuto procedere alla notificazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico ai soggetti interessati, come previsto dall’art.6 comma 1. Un procedimento amministrativo molto simile a quello già esistente nella “legge Croce” del 1922, reso più agevole dalla già sottolineata previsione ex lege dei beni potenzialmente assoggettabili al procedimento stesso.

Abbiamo accennato poco sopra alla distinzione operata dal legislatore del 1939 nell’ambito dei beni paesaggistici fra “bellezze individue” e “bellezze d’insieme”. Con riguardo alle “bellezze d’insieme”, indicate ai numeri 3 e 4 dell’art.1, comma 2, la stessa l.1497 all’art.5 introdusse nell’ordinamento la facoltà per il Ministero dell’Educazione Nazionale di procedere alla redazione di “piani territoriali paesistici”, congiuntamente o successivamente alla pubblicazione degli elenchi di cui all’art.2, “al fine di impedire che le

21 P. A. VALENTINO, L’economia dei beni paesaggistici e il Codice dei Beni Culturali e del

Paesaggio, in “Ri-Vista, ricerche per la progettazione del paesaggio”, Firenze, Firenze University Press,

n.10, luglio-dicembre 2008, p.12

22 Ne facevano parte, inoltre, il Regio soprintendente ai monumenti competente per sede, il presidente dell'Ente provinciale per il turismo o un suo delegato, i Podestà dei Comuni interessati e i rappresentanti delle categorie interessate (art.2 c.3 l.1497/1939).

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aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”. Tali piani dovevano poi essere depositati, al fine di consentire la pubblicità degli stessi, presso le segreterie dei Comuni coinvolti (art.5 comma 2). Questa facoltà ministeriale rappresentò senz’altro una delle innovazioni più importanti previste nell’ambito della “riforma Bottai”. Lo strumento del piano venne per la prima volta introdotto nell’ordinamento italiano ai fini della tutela paesaggistica. Il ricorso ai piani stessi, con sostanziali modifiche, verrà successivamente confermato nella “legge Galasso” n.431/1985, nel testo unico dei beni culturali e ambientali del 1999 e in ultimo nel vigente “Codice Urbani” del 2004 che prevede all’art.135 i piani paesaggistici come strumento a disposizione di Stato e Regioni per una pianificazione territoriale da attuarsi “con specifica considerazione dei valori paesaggistici”23.

La l.1497/1939 venne seguita un anno più tardi dal relativo regolamento di applicazione, il regio decreto 1357 del 3 giugno 194024. L’art.23 c.1 del decreto stabiliva come la finalità dei

piani paesistici fosse quella di individuare: 1. le zone di rispetto;

2. il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della località; 3. le norme per i diversi tipi di costruzione;

4. la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati; 5. le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora.

Da questa norma emerge come il legislatore prerepubblicano già fosse consapevole della necessità di dover dar vita ad una normativa di raccordo fra esigenze di protezione e valorizzazione paesaggistica e altre di natura prettamente edilizia e urbanistica. L’esigenza di un “dialogo” fra questi aspetti era certamente necessario ed oggi lo è ancora di più, considerando le continue e spesso frenetiche trasformazioni del territorio in atto nel nostro Paese. L’impianto normativo innovativo e lungimirante costruito dalla “riforma Bottai” rimase punto di riferimento per lungo tempo anche in età repubblicana per quel che riguarda la

23 A. ANGIULI, Commento all’art.135, in (a cura di) A. ANGIULI, V. CAPUTI JAMBRENGHI,

Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, Giappichelli, 2005, p.354

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tutela paesaggistica. E proprio sulla base delle leggi del 1939 l’Assemblea Costituente procedette alla redazione dell’art.9 della Costituzione.

4. Le norme costituzionali in materia di tutela paesaggistica e ambientale

La Costituzione repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio del 1948 al termine dei lavori dell’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946 in contemporanea con lo svolgimento del referendum popolare che determinò il mutamento istituzionale dell’Italia da monarchia a repubblica. Al suo interno la Costituente nominò una Commissione per la Costituzione, anche nota come “Commissione dei 75”, per la stesura del progetto della futura carta costituzionale, e a sua volta la Commissione stessa fu suddivisa in tre sottocommissioni. Alla prima di queste, “Diritti e doveri dei cittadini”, presieduta dal democristiano Umberto Tupini, dobbiamo l’art.9 Cost. che sancisce fra i principi fondamentali dello Stato (a cui sono dedicati appunto i primi dodici articoli della Carta) la “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione” ad opera della Repubblica. La scelta di inserire addirittura fra i principi fondamentali dello Stato la tutela del paesaggio e dei beni culturali, facendo sostanzialmente di essa una delle priorità della neonata Repubblica, a parere di chi scrive non deve stupire più di tanto, considerando la grande attenzione rivolta su questi temi sin dai primi del ‘900 da parte del legislatore del vecchio Regno d’Italia il quale già si era preoccupato di costruire un buon impianto normativo per proteggere i tantissimi luoghi di interesse storico, artistico, culturale e naturale presenti nel nostro Paese25. Non mancarono tuttavia voci di dissenso all’interno della

sottocommissione, in particolare ad opera di coloro che ritenevano non necessaria tale previsione costituzionale essendo più che sufficienti le norme primarie vigenti in materia di

25 È innegabile che il patrimonio culturale, storico, artistico e naturale italiano sia fra i più vasti ed ammirati di tutto il pianeta. Basti consultare la lista dei siti considerati Patrimonio Mondiale

dell’Umanità dall’UNESCO (whc.unesco.org) per poter constatare che, dei 1092 siti ad oggi riconosciuti tali in tutto il mondo, ben 54 sono presenti in Italia, di cui 49 di interesse culturale e 5 di interesse naturale. Ciò nonostante è sempre meglio tenersi alla larga dalle esagerate percentuali di patrimonio italiano sul totale mondiale di cui spesso si sente parlare su alcuni mezzi di informazione tradizionale e sui Social Network, come sottolinea bene F. GIANNINI, La favola dell'Italia che “ha il 50% del

patrimonio artistico mondiale", in “Finestre sull’Arte. Rivista online di arte antica e contemporanea”

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tutela di beni culturali e naturali, e cioè le leggi Bottai del 1939. Tuttavia, infine, prevalse la tesi contraria e l’art.9 prese forma, anche se parte della dottrina successivamente definì quella scelta come una semplice “costituzionalizzazione” del contenuto delle leggi Bottai26.

Rispetto però alle leggi Bottai, in particolare la 1497, nel testo costituzionale troviamo per la prima volta utilizzato il termine “paesaggio”, in sostituzione del precedente “bellezze naturali”. L’utilizzo del più ampio concetto di paesaggio indica l’intenzione del legislatore costituzionale di sottoporre a tutela da parte dello Stato non semplicemente dei singoli luoghi o beni di particolare valore estetico, ma più in generale “la forma del Paese nella sua interezza” (PREDIERI) e cioè l’intero territorio con la sua identità risultante dal prodotto dell’azione umana sulla natura. Dal momento che comunque rimasero in vigore le leggi del 1939, possiamo dire che si vennero a creare due gradi di tutela distinti che andavano a sommarsi fra loro: uno riguardante il territorio del Paese nel suo insieme, previsto da una norma di rango costituzionale e l’altro relativo alle singole bellezze, previsto da norme primarie27.

Il concetto di paesaggio andò dunque a coincidere, se non del tutto, almeno in parte con quello di territorio. L’art. 9 Cost. intende fornire tutela in senso ampio al territorio, sia nei confronti dei suoi elementi naturali sia di quelli umani. Il disposto del secondo comma dell’articolo in questione lo dice chiaramente: la Repubblica deve farsi carico della tutela del paesaggio (elemento naturale del territorio) e del patrimonio storico e artistico della Nazione (elemento umano). La tutela del paesaggio così come delineata dal testo costituzionale supera la mera difesa di valori puramente estetici. Quel che si vuole ora è una razionalizzazione delle trasformazioni del territorio. L’azione umana sullo stesso è consentita, ma deve essere regolata in modo tale da non sconvolgere l’armonia fra i diversi fattori che lo compongono. Questo concetto è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale presieduta allora dal Prof. Giuseppe Chiarelli nella sentenza n.142 del 197228 in materia di

26 M. BRAY, art. cit.

27 A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in “Il capitale culturale. Studies on the value of cultural heritage”, Macerata, Edizioni Università di Macerata, vol. 9, 2014, pp. 235-241. Il testo è un estratto da A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla

tutela del paesaggio in Studi per il XX Anniversario dell’Assemblea Costituente, vol. II, Le libertà civili e politiche, Firenze, Vallecchi, 1969, pp. 381-428.

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conflitto di competenza Stato-Regioni relativo, fra le altre cose, all’istituzione e conservazione dei parchi naturali. La Consulta in quel caso riaffermò la competenza statale in materia nell’interesse della conservazione del paesaggio (definito in quel caso “insieme paesistico”) inteso proprio come territorio formato, “plasmato”, dall’azione delle comunità umane che vi sono insediate. Sempre allo scopo di chiarire bene cosa intenda la Costituzione per tutela del paesaggio, occorre poi leggere il disposto del secondo comma dell’art.9 in modo coordinato col primo comma dello stesso articolo, il quale prevede che alla Repubblica spetti la promozione della cultura e dello sviluppo della ricerca scientifica e tecnica. Secondo parte della dottrina (SANDULLI, MERUSI) questa lettura coordinata ci indica

come la tutela del paesaggio non sia da considerarsi fine a sé stessa, bensì “diretta alla promozione dello sviluppo della cultura quale imprescindibile condizione evolutiva della società civile”29.

L’altra disposizione costituzionale di rilievo in tema di tutela paesaggistica è l’art.117, secondo comma, lettera s), il cui testo è stato modificato con la riforma del Titolo V della Costituzione attuata con la l. cost.3/2001. La norma in questione attribuisce la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” alla legislazione esclusiva dello Stato. A questa attribuzione esclusiva in favore dello Stato fanno da contrappeso altre disposizioni costituzionali quali il terzo comma dello stesso art.117, che fa rientrare nell’ambito della legislazione concorrente Stato-Regioni la materia della “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, e il terzo comma del successivo art.118, anch’esso modificato dalla l. cost.3/2001, il quale affida alla legge statale la disciplina di forme di intesa e coordinamento fra Stato e Regioni per l’espletamento di funzioni amministrative in materia di tutela dei beni culturali, affine a quella paesaggistica. A queste due disposizioni costituzionali possiamo inoltre aggiungere la sent.226 del 200930 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale del comma terzo dell’art.131 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio nella parte in cui include le Province autonome di Trento e di Bolzano tra gli enti territoriali soggetti al limite della potestà legislativa esclusiva statale prevista dall'art. 117,

29 M. IMMORDINO, M.C. CAVALLARO, Commento all’art. 131, in (a cura di) M.A. SANDULLI,

Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2012, p. 985

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secondo comma, lettera s), della Costituzione. Le due norme costituzionali e la sentenza della Consulta ora riportate sottolineano alcuni aspetti di come la tutela paesaggistica sia intesa nel nostro ordinamento. Anzitutto è operata una distinzione fra “tutela” e “valorizzazione”. I due momenti vengono, per così dire, “gerarchizzati”, “diversificati”, pur appartenendo allo stesso ambito. Per capire bene questo aspetto basta leggere quanto dispone il Codice Urbani del 2004 all’art.1 che, enunciando i principi a cui si conforma il Codice stesso, afferma nel secondo comma che tutela e valorizzazione “concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura” e che le attività concernenti la valorizzazione (oltre che la fruizione e la conservazione) “sono svolte in conformità alla normativa di tutela”. La tutela del paesaggio (e del patrimonio storico e artistico) è dunque affidata allo Stato in quanto principio fondamentale dello stesso, ma tale tutela per essere attuata necessita della cooperazione dei diversi livelli di governo territoriale31a cui spetta operare per permettere la conservazione,

fruizione e valorizzazione del “patrimonio culturale”32, senz’altro nel rispetto dei principi di

differenziazione, adeguatezza e sussidiarietà a cui devono conformarsi le funzioni amministrative esercitate dagli enti territoriali ai sensi del comma 1 dell’art.118 Cost.

Torniamo ora alla lettera s) del comma secondo dell’art.117 e al terzo comma dell’articolo stesso, entrambi in tema di competenze legislative statali e regionali, perché è interessante sottolineare come in queste norme in realtà non si faccia mai riferimento al “paesaggio” o ai “beni paesaggistici”, bensì a concetti a prima vista diversi quali quelli di “ambiente”, “ecosistema” e “beni ambientali”. In realtà sin dalla seconda metà degli anni ’80 la giurisprudenza della Corte Costituzionale chiarì come le due nozioni di ambiente e paesaggio dovessero essere sostanzialmente considerate come un tutt’uno. In particolare nella sent.167 del 1987 la Consulta affermò che il patrimonio paesaggistico e ambientale costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito notevole rilievo, la cui tutela deve essere attuata dalla Repubblica con lo sforzo congiunto di tutti i soggetti che operano sul

31 In particolare le Province autonome di Trento e Bolzano operano con un ampio grado di autonomia anche in questa materia, come dimostra la sent. C. Cost. 226 del 2009 sopracitata.

32 Con “patrimonio culturale” il Codice Urbani intende l’insieme di beni culturali e beni paesaggistici, specificandolo nel primo comma dell’art.2

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territorio della stessa. A questa sentenza occorre citarne altre due dello stesso anno, la n.210 e la n.641, nelle quali l’ambiente è individuato come valore di rango costituzionale e bene giuridico fondamentale, in quanto elemento determinante la qualità della vita33.

Ambiente e paesaggio sono dunque entrambi meritevoli di tutela e la stessa è garantita ad entrambi dalla nostra Costituzione. La scelta da parte del legislatore della riforma costituzionale del 2001 di utilizzare la nozione di ambiente in luogo di quella di paesaggio è da considerarsi in linea con la precedente giurisprudenza della Consulta e le disposizioni contenute negli artt.9 e 117 della Carta devono essere lette senz’altro in modo congiunto, senza alcun dubbio interpretativo relativo alla scelta terminologica.

Alla luce di questa tendenziale sovrapposizione delle nozioni di ambiente e paesaggio e della loro considerazione di assoluto rilievo nell’ordinamento, perché valori costituzionalmente protetti e tutelati in quanto elementi fondamentali per garantire e migliorare la qualità della vita dei cittadini e di chiunque si trovi nel territorio della Repubblica ed “usufruisca” dello stesso, possiamo comprendere pienamente la lezione di A.PREDIERI34

che affermò come l’art.9 comma 2 Cost. dovesse essere considerato come un’applicazione dell’art.3 comma 2, relativo alla cosiddetta “uguaglianza sostanziale”. Anche la tutela del paesaggio e, di conseguenza, del patrimonio ambientale fanno parte, secondo questa lettura, di quelle attività che la Repubblica deve svolgere affinché possa raggiungere gli obiettivi “di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e (N.d.A., in questo caso soprattutto) sociale che… impediscono il pieno sviluppo della persona umana” e di plasmare dunque un modello di società diverso rispetto a quello esistente al 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione, che i Padri costituenti ritennero evidentemente come “ingiusto” e da superare35.

33 G. TAMBURELLI, Evoluzione della disciplina a tutela del paesaggio, in “ISGI – Istituto di Studi Giuridici Internazionali” (www.isgi.cnr.it), 2004, p.3

34 Nella sua opera già citata Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, Firenze, 1969.

35 Si riporta qui un estratto del testo del PREDIERI: “L’art. 3, 2° comma, considera la società esistente nel 1948 come ingiusta, come contenente un coacervo di ostacoli da superare. In altre parole, come un modello da non seguire, da non conservare, da modificare, da sostituire attraverso un comportamento imposto, normativizzato, con un altro modello di società, in relazione ai fini assunti dall’ordinamento giuridico. Questi fini normativizzati tendono ad instaurare una struttura sociale diversa, di cui la

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5. La prima legge dell’Italia repubblicana per la difesa del paesaggio: la “Legge Galasso” del 1985

Tornando ora all’analisi dell’evoluzione della normativa primaria, va ricordato che per trentasette anni dall’entrata in vigore della Costituzione la legge di riferimento in materia di tutela paesaggistica rimase la 1497/39 sulla “Protezione delle bellezze naturali”. Nonostante il favore riscontrato da questa legge d’epoca fascista anche in seguito alla caduta del regime, la stessa iniziò ad essere considerata come espressione di una tutela paesaggistica troppo legata alla difesa di valori puramente estetici, insufficiente allo scopo di ottenere il più ampio risultato di una tutela paesaggistica che fosse anche da considerarsi come tutela dell’ambiente e del territorio. L’impianto normativo della legge del 1939 venne non sostituito bensì integrato e, almeno nelle intenzioni del legislatore, migliorato nel 1985 quando entrò in vigore la l.431 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 27 giugno 1985, n.312, recante “disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”36.

Questa fu considerata come la prima legge italiana di difesa organica del territorio ed è tutt’oggi conosciuta principalmente come “legge Galasso” dal nome del suo promotore, il prof. Giuseppe Galasso, Sottosegretario del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali dal 1983 al 1987 durante il primo e secondo Governo di Bettino Craxi. Galasso portò avanti la propria riforma in un contesto culturale in cui diverse associazioni ambientaliste, quali Italia

Costituzione delinea un modello, contrapposto a quello della società esistente. Nella proposizione dell’art. 3, 2° comma, l’indicazione della sussistenza di ostacoli di fatto contrastanti con i fini

costituzionali, cioè del modello di società da modificare, costituisce una indicazione di presupposti di fatto o, se vogliamo, una motivazione (nel senso generico di una esposizione dei fatti) della norma che impone alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale. […] L’art. 9, 2° comma, della Costituzione, costituisce una applicazione del principio posto dall’art. 3, 2° comma. […] La norma puntualizza, nei confronti degli interventi a favore della comunità, dell’individuo sul suolo e sull’ambiente, il precetto sull’azione dello Stato per mutare in una determinata direzione la struttura sociale, osservando la preminenza di taluni valori sociali e individuali, rispetto a quelli individuali e anche non individuali di carattere economico, che contrastino con quei valori sociali. Si tratta, quindi, di valori comunitari e, insieme, di libero sviluppo della persona, incentrati – nel nostro caso – sulla posizione dell’uomo nell’ambiente. La Costituzione intende affidare la trasformazione della società civile all’apparato dello Stato, sotto l’azione della comunità che introduce le sue istanze

nell’interno delle strutture dello Stato e, al tempo stesso, su di esse preme dall’esterno. […] L’azione di tutela inevitabilmente limita la libertà di espressione artistica, in quanto sostituisce valori estetici assunti o determinati autoritativamente e discrezionalmente dall’apparato di governo a quelli individuali; l’equilibrio non facile può essere trovato solo nell’azione della società civile, della cultura, che

permeando le convinzioni dei titolari degli uffici dell’apparato e premendo su di essi, ne determinano e ne modificano le convinzioni estetiche e paesistiche.”

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Nostra, Legambiente e il Fondo per l’Ambiente Italiano, denunciarono più volte le diverse devastazioni territoriali che allora interessavano l’Italia a causa del diffuso abusivismo edilizio, per il contrasto del quale non appariva più sufficiente lo schema disegnato dalla vigente legge 1497/1939 che individuava alcune categorie di beni paesaggistici (“bellezze d’insieme” e “bellezze individue”)37 che apposite Commissioni, istituite su base provinciale,

avevano facoltà di inserire in elenchi da inviare successivamente al Ministero per ottenere l’imposizione del vincolo paesistico su di essi. Secondo il prof. Galasso38 la strada per un

più efficace contrasto all’abusivismo edilizio doveva passare attraverso un’opera di prevenzione con l’adozione di provvedimenti statali nei quali si dovevano individuare le zone e i beni di particolare valore paesaggistico da sottoporre subito ex lege a vincolo, andando a “disegnare basi e criteri di una sorta di piano paesistico nazionale”39.

In particolare l’obiettivo prefissato dalla l.431/1985 fu quello di coordinare la normativa contenuta nella l.1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali con le disposizioni delle due leggi 765/1967 e 1187/1968 di modifica ed integrazione della legge urbanistica 1150/1942. In entrambe le leggi il piano regolatore generale era individuato come uno degli strumenti primari attraverso cui realizzare la tutela paesaggistica. La prima di esse, all’art.31, prevedeva che con l’approvazione del piano regolatore potessero essere introdotte d’ufficio le modifiche indispensabili per assicurare la tutela del paesaggio, la seconda invece attribuiva ai piani regolatori la funzione essenziale di imporre vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico. La “legge Galasso” all’art.1-bis obbligò le Regioni a servirsi degli strumenti pianificatori del “piano paesistico” o “piano urbanistico-territoriale” per sottoporre a “specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale” alcune vaste zone di territorio nazionale individuate e sottoposte a vincolo

37 Si veda infra § 3

38 Fra i principali collaboratori del Galasso nella sua opera di riforma vi fu il celebre professore e magistrato Paolo Maddalena, allora in Corte dei Conti. Fra coloro che approvarono maggiormente la riforma stessa possiamo ricordare Antonio Gullotti, allora proprio Ministro dei Beni Culturali e Ambientali, e Giuliano Amato, allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 39 In questo ultimo virgolettato vi sono parole pronunciate dallo stesso prof. Galasso nel corso di un’intervista realizzata da E. OSSER, Il paesaggio si può ancora salvare: ora o mai più, in “Il Giornale dell’Arte” (www.ilgiornaledellarte.com), n.276, maggio 2008, dalla quale sono tratte anche le note storiche riportate nel testo e nelle note.

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paesaggistico dalla legge stessa (art.1)40. La legge fu oggetto di giudizio di legittimità

costituzionale; le Regioni ricorsero sostenendo che l’imposizione per legge statale del vincolo paesaggistico contrastasse con l’assetto delle competenze statali e regionali delineato dall’allora vigente testo costituzionale. Infatti l’art. 117 faceva rientrare l’urbanistica fra le materie di competenza legislativa regionale con conseguente spettanza alle Regioni stesse delle funzioni amministrative in materia, ai sensi dell’art.118.

Proprio sulla base degli articoli 117 e 118 Cost. allora vigenti vennero emanati nell’arco di cinque anni due decreti del Presidente della Repubblica, il n.8/1972 e il n.616/197741, con i quali vennero prima affidate alle Regioni le competenze relative alla

predisposizione e approvazione dei piani territoriali paesistici previsti dalla l.1497/1939 (d.P.R. 8/1972 art.1 ultimo comma) e poi trasferite alle stesse le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato “per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni” (d.P.R. 616/1977 art.82). Tuttavia occorre anche ricordare che lo stesso art.117 nell’attribuire determinate materie alla competenza legislativa regionale allo stesso tempo prevedeva che le norme dovessero essere emanate dalle Regioni “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e “sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale”. La legge 431/1985 si propose proprio di attuare quanto disposto dall’art.9 della Costituzione, che sancisce la tutela del paesaggio come principio fondamentale dello Stato. La Corte Costituzionale riconobbe il nuovo sistema normativo disegnato dalla “legge Galasso” come maggiormente adatto rispetto al precedente per la compiuta realizzazione di tale valore costituzionale primario, in quanto permetteva l’attuazione di una protezione globale e integrale del territorio della Repubblica42. I giudici della Consulta respinsero quindi

i ricorsi presentati dalle Regioni con tre sentenze consecutive, le nn. 151, 152 e 153 del 198643, ritenendo, in sintesi, che l’interesse all’attuazione del principio fondamentale dello

40 Paesaggio (ad vocem), in AA.VV., Enciclopedia Garzanti del Diritto, Milano, Garzanti, 1993, p.852 41 Pubblicati rispettivamente sulle GG. UU. n.26 del 29 gennaio 1972 e n.234 del 29 agosto 1977, consultati su www.normattiva.it

42 M. R. COZZUTO QUADRI, Stato, regioni e tutela ambientale: la l. 431/85 supera il vaglio della

Corte Costituzionale, nota a sentt. nn. 151, 152, 153 del 1986, in Foro it., 1986, pp. 2698-2700.

43 La Corte fu presieduta in tutti e tre i casi dal Prof. Livio Paladin. Sentenze disponibili su “Consulta online”, www.giurcost.org

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Stato costituito dalla tutela del paesaggio dovesse prevalere o quantomeno non essere subordinato alle rivendicazioni di competenza da parte delle Regioni.

Come già accennato la principale innovazione della legge Galasso fu l’introduzione del vincolo paesaggistico ex lege su vaste zone di territorio. Tali aree, caratterizzate da omogeneità morfologica, erano così individuate dall’art.1, che prevedeva la sottoposizione “a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939 n.1497”44 de:

a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;

b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;

c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;

d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;

e) i ghiacciai e i circhi glaciali;

f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;

h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;

i) le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;

l) i vulcani;

m) le zone di interesse archeologico.

Leggendo questo elenco risulta ancora più chiaro come il legislatore del 1985 avesse concepito la tutela del paesaggio decisamente più in linea con il dettato costituzionale alla

44 A conferma di quanto accennato prima in questo paragrafo, e cioè che la legge Galasso non sostituì ma bensì perfezionò il sistema di tutela paesaggistica previsto dalla precedente legge Bottai.

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luce anche dei chiarimenti operati dalla giurisprudenza della Consulta, e cioè non come una semplice difesa di alcuni beni di particolare pregio estetico ma come tutela globale e integrale dell’ambiente e del territorio. I vincoli posti dalla legge su queste vaste aree di territorio andavano a sommarsi a quelli già costituiti in forza delle disposizioni della l.1497/1939, che in realtà non erano sorti in gran numero a causa dello scarso utilizzo dei piani territoriali paesistici previsti dall’art.5 della legge Bottai. Lo scarso utilizzo forse fu dovuto al fatto che il procedimento previsto a monte dell’adozione degli stessi risultava essere troppo macchinoso, o più probabilmente perché il Ministero aveva solo la facoltà di disporli, anche a seguito della redazione ad opera delle istituzioni locali degli elenchi delle bellezze naturali da proteggere. Anche a causa di questi punti deboli nella normativa vigente, insomma, l’interesse alla tutela del paesaggio non riuscì ad imporsi rispetto ad altri interessi pubblici e privati. La legge Galasso invece introdusse l’obbligo per le Regioni, a cui nel frattempo, come già ricordato, erano state delegate le funzioni di pianificazione paesaggistica, di adozione dei piani paesistici o urbanistico-territoriali con riferimento ai beni e alle aree elencate nell’art.1; l’obbligo era posto dall’art.1-bis, nel quale era previsto anche un termine per l’adozione degli stessi fissato al 31 dicembre 1986. Per quel che riguarda i poteri ministeriali, essi erano soprattutto di vigilanza e controllo sull’osservanza dei vincoli. Nonostante il nuovo assetto normativo molte Regioni rimasero inadempienti nei confronti dell’obbligo di adozione dei piani e più volte il Ministero dovette intervenire per annullare atti regionali di autorizzazione al compimento di opere in aree di particolare interesse paesaggistico-ambientale45. L’opera di prevenzione voluta dal Sottosegretario Galasso fu

dunque tradotta in legge ma questo non appariva ancora sufficiente a frenare gli abusi in corso sul territorio italiano.

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6. L’evoluzione normativa successiva alla “Legge Galasso” fino al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004

Le difficoltà del piano paesistico ad affermarsi come strumento fondamentale di tutela paesaggistica e, di riflesso, di difesa territoriale e ambientale furono ancora più evidenti a seguito della approvazione della l.183 del 198946 recante “Norme per il riassetto

organizzativo e funzionale della difesa del suolo”. La legge, avente l’obiettivo di assicurare la “difesa del suolo”, “la fruizione e la gestione del patrimonio idrico”, nonché “la protezione degli interessi ambientali ad essi connessi” (art.1), istituì, a tal fine, le Autorità di bacino e i piani di bacino. L’art.17 relativo a tali piani specificava al quarto comma che le autorità competenti per la redazione e approvazione dei piani paesistici e urbanistico-territoriali avrebbero dovuto adeguare gli stessi alle disposizioni contenute nei piani di bacino entro dodici mesi dalla approvazione di questi ultimi. Inoltre la “Legge quadro sulle aree protette”, n.394/199147, all’art.12 aveva introdotto il “Piano per il parco” di competenza dell’Ente parco

per “la tutela dei valori naturali ed ambientali” e questo strumento andava a sostituirsi per quelle aree ai piani paesistici e urbanistico-territoriali di cui alla legge Galasso. Si venne a creare così un intreccio molto complicato di piani finalizzati alla tutela paesaggistico-ambientale. In quel periodo l’attenzione verso la tematica ambientale aumentò a seguito dell’esplosione del reattore nucleare sovietico di Cernobyl del 26 aprile 1986. In seguito a quei fatti si svolse in Italia il celebre referendum abrogativo dell’8 e 9 novembre 1987 sulle centrali nucleari. Ancor prima, per quel che più ci interessa, in Italia venne istituito con l.349/198648 il Ministero dell’Ambiente, che manterrà questa denominazione fino alla c.d.

“riforma Bassanini” del 1999 a seguito della quale divenne Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. L’art.1 della legge istitutiva del Ministero attribuiva allo stesso diverse funzioni quali la “promozione”, “conservazione”, “valorizzazione”, “difesa”, del “patrimonio naturale nazionale”, delle “risorse naturali”, delle “condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività”. La tutela dell’ambiente, come abbiamo avuto modo di chiarire in precedenza, era ormai considerata strettamente correlata alla tutela del

46 Pubblicata su G.U. n.120 del 25 maggio 1989 47 Pubblicata su G.U. n.292 del 13 dicembre 1991 48 Pubblicata su G.U. n.162 del 15 luglio 1986

(29)

paesaggio, principio fondamentale della Repubblica ex art.9 Costituzione. Da questo punto di vista la legge 349/1986 intendeva contribuire dunque alla piena attuazione di tale principio, condizione necessaria per la soddisfazione del fondamentale interesse della collettività al miglioramento della qualità della vita. Tuttavia l’art.1 della legge facendo riferimento soltanto ad elementi naturali, attraverso l’utilizzo di espressioni quali “patrimonio naturale nazionale” e “risorse naturali” sembrava presentare una distinzione fra paesaggio “antropico”, creato dall’interazione umana con la natura, e paesaggio puramente “naturale”, considerandoli quindi come elementi distinti e forse attribuendo alla tutela degli elementi naturali un ruolo più consistente per il raggiungimento degli scopi prefissati dalla legge. Una distinzione che il Codice Urbani del 2004 cercherà di eliminare con la nozione unitaria di paesaggio fornita dall’art.131 comma 1: “Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”.49

La legge 349/1986 introdusse inoltre due importanti novità: l’introduzione dell’istituto della Valutazione d’Impatto Ambientale, per la preventiva verifica delle modificazioni paesaggistiche e ambientali provocate da alcune categorie di opere, e la possibilità per il Ministero di individuare con proprio decreto, previo parere del Consiglio Nazionale per l’Ambiente, alcune “associazioni di protezione ambientale” a “carattere nazionale” o “presenti in almeno cinque regioni” (art.13). Con quest’ultima norma si volle evidentemente rinforzare il ruolo dei cittadini nel perseguimento dell’interesse collettivo alla protezione ambientale e paesaggistica, prevedendo la partecipazione attiva degli stessi tramite queste associazioni, alle quali veniva riconosciuta la possibilità di “intervenire nei giudizi per danno ambientale” e di “ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi” (art.18).

Seguendo la strada di semplificazione normativa e amministrativa aperta dalla legge 59 del 15 marzo 199750, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle

regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, si giunse infine all’ultima tappa legislativa precedente l’approvazione del

49 A. CROSETTI, Paesaggio (ad vocem) in AA.VV., Digesto delle discipline pubblicistiche,

Aggiornamento, Tomo II, Milano, UTET, 2008

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