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La creazione e la diffusione della conoscenza nelle knowledge intensive business services: Il caso Pontlab s.r.l

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN STRATEGIA MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di Laurea

LA CREAZIONEE LA DIFFUSIONE DELLA CONOSCENZA NELLE

KNOWLEDGE INTENSIVE BUSINESS SERVICE: IL CASO PONTLAB S.R.L

RELATORE:

Prof. Vincenzo Zarone

CANDITATA:

Agata Catanzaro

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Indice

Indice delle figure e dei grafici ... 4

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO I - L’economia della conoscenza ... 8

1.1 Introduzione ... 8

1.2 La conoscenza ... 9

1.2.1 Il legame tra economia e conoscenza ...9

1.2.2 Le caratteristiche della conoscenza ...13

1.2.3 Il processo di creazione della conoscenza ... 16

1.2.4 La diffusione della conoscenza organizzativa ... 20

1.2.5 Perché gestire la conoscenza? ... 23

1.3 La Knwoledge Based Economy ...26

1.3.1 Una nuova concezione del sapere ...26

1.3.2 La Learning Organization ...29

1.3.3 I Knowledge Workers ... 32

1.3.4 Gli strumenti del Knowledge Management ...34

CAPITOLO II – Le knowledge intensive business service ... 38

2.1 Introduzione ... 38

2.2 Analisi delle Knowledge intensive Business Services ... 39

2.2.1 Cenni storici e definizioni ...39

2.2.2 Classificazioni delle KIBS ... 41

2.2.3 La struttura organizzativa ... 44

2.3 La co-produzione ... 47

2.3.1 Il ruolo delle KIBS nel rapporto di co-produzione ...47

2.3.2 Il ruolo dei clienti nel rapporto di co-produzione ... 50

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2.3.4 T-KIBS e P-KIBS: ruoli e obiettivi a confronto ... 55

2.3.5 Le fasi del rapporto di co-produzione ... 57

2.3.6 Gli ostacoli del processo informativo ... 59

2.3.7 Il rapporto di co-produzione e l’innovazione ... 64

CAPITOLO III – L’azienda Pontlab S.r.l ...68

3.1 Introduzione ... 68

3.2 L’azienda ... 69

3.2.1 Presentazione dell’azienda: il percorso evolutivo dalla sua fondazione ad oggi ... 69

3.2.2 La struttura organizzativa di Pontlab S.r.l ... 71

3.2.3 Il processo produttivo di Pontlab S.r.l ... 77

3.3 Il contesto di riferimento ... 82

3.3.1 Il settore TIC ... 82

3.3.2 L’analisi di mercato ... 85

3.3.3 I clienti... 87

3.4 Il trasferimento della conoscenza nei rapporti di co-produzione ... 90

3.4.1 Il Relationship Learning ... 90

3.4.2 I fattori che influenzano il trasferimento della conoscenza ... 93

3.4.3 Le fasi del trasferimento della conoscenza ... 95

3.5 Il trasferimento della conoscenza tra i Knowledge workers ... 96

3.6 Il Service Recovery System: una strategia per la gestione dei rapporti di co-produzione ... 98

CAPITOLO IV – Analisi dei dati ... 101

4.1 Introduzione ... 101

4.2 L’analisi empirica ... 103

4.2.1 Il rapporto di co-produzione tra Pontlab S.r.l e l’azienda Alfa S.r.l ... 103

4.2.2 La gestione dei Knowledge workers di Pontlab S.r.l ... 104 4.2.3 La gestione del rapporto di co-produzione: Il service recovery system di

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3

Pontlab S.r.l ... 106

4.3 I questionari... 109

4.3.1 L’elaborazione dei questionari ... .109

4.3.2 Questionario A ... 111

4.3.3 Questionario B... 114

4.3.4 Caratteristiche strutturali dei questionari ... 115

4.4 Analisi dei dati ... 117

4.4.1 Elaborazione dei risultati ... 117

CAPITOLO V – Conclusioni ... 129

5.1 Proposte d’intervento e considerazioni conclusive ...129

APPENDICE I ... 133

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Indice delle figure e dei grafici

Figura 1.1 The spiral of organizational knowledge creation ... 17

Figura 1.2 Il processo di creazione della conoscenza. Nonaka e Takeuchi ... 20

Figura 2.1 Classificazione ATECO ... 43

Figura 3.1 Organigramma Pontlab S.r.l ... 72

Figura 3.2 Rappresentazione dei principali processi aziendali di Pontlab S.r.l ... 78

Figura 3.3 Gli elementi che caratterizzano un processo ... 79

Figura 3.4 Le interazioni tra i processi aziendali ... 80

Figura 3.5 Quote di mercato del settore TIC ... 86

Grafico 4.1 La scelta del partner di co-produzione ... 117

Grafico 4.2 L’importanza percepita della relazione ... 119

Grafico 4.3 Le motivazioni su cui si basa il rapporto di collaborazione ... 120

Grafico 4.4 La gestione del rapporto di co-produzione ... 122

Grafico 4.5 Variabili motivazionali ... 125

Grafico 4.6 La creazione della conoscenza ... 126

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INTRODUZIONE

Nel corso del tempo, abbiamo assistito al susseguirsi di innovazioni e trasformazioni che hanno modificato l’intero sistema economico e i processi produttivi, comportando radicali cambiamenti nel modo di fare impresa.

All’origine di tali evoluzioni, possiamo individuare un unico elemento comune, rappresentato dal ruolo svolto dalla conoscenza nei vari contesti sociali.

La crescente consapevolezza dell’importanza assunta da questa risorsa per lo sviluppo economico, nonché per l’ottenimento del vantaggio competitivo, è ormai evidente, tanto che, identifichiamo la società odierna con il termine knowledge economy proprio per indicare come essa rappresenti il principale fattore di sviluppo.

Nella knowledge economy, la capacità di gestire la conoscenza diventa essenziale per le aziende che intendono perseguire un vantaggio adattivo e competitivo sostenibile nel lungo periodo, soprattutto alla luce delle peculiarità che caratterizzano tale elemento. Stiamo parlando di una risorsa sui generis, che pertanto richiede di essere gestita in maniera adeguata affinché generi valore economico.

Tali cambiamenti sono accompagnati dalla crescente “terziarizzazione dell’economia” traducendosi nella crescita dei servizi, in particolare di quelli ad alto contenuto di conoscenza.

Il presente elaborato intende esplorare le dinamiche inerenti la creazione e la diffusione della conoscenza nelle imprese di servizi di tipo knowledge-intensive, conosciute con l’acronimo KIBS (Knowledge intensive Business Services). Lo spunto nasce in seguito allo svolgimento di un tirocinio formativo presso il laboratorio di analisi Pontlab, azienda ad alto contenuto di conoscenza operante nel settore T.I.C (Testing Inspection and Certification). Grazie a quest’esperienza ho potuto osservare da vicino la presente realtà, analizzando la creazione e la diffusione della conoscenza all’interno dei rapporti di co-produzione. Allo stesso modo, abbiamo ritenuto interessante capire i processi che sottendono alla creazione e alla diffusione del know-how tra i dipendenti, i quali possono essere classificati come knowledge workers.

Nel primo capitolo, ci siamo concentrati nell’analisi della conoscenza, in particolare sulle peculiarità che la caratterizzano e sul legame intercorrente tra la suddetta risorsa e lo sviluppo economico, con l’obiettivo di comprenderne l’importanza.

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Nel secondo capitolo, l’attenzione si sposta sulle aziende knowledge intensive. In primo luogo, abbiamo proposto alcune definizione fornite da illustri economisti al fine di restringere il campo oggetto della nostra analisi, successivamente abbiamo analizzato le caratteristiche distintive con riguardo ad un aspetto specifico: i rapporti di co-produzione. Attraverso la consultazione di alcuni testi e articoli sul tema, abbiamo identificato le fasi e le caratteristiche principali del rapporto intercorrente tra l’azienda knowledge intensive e i suoi clienti, per comprendere le dinamiche che favoriscono lo scambio della conoscenza. Allo stesso modo, abbiamo cercato di individuare i cosiddetti “gap del processo informativo”, ovvero gli ostacoli che impediscono la circolazione del know-how.

Il terzo capitolo si focalizza sull’azienda oggetto del nostro studio, il laboratorio di analisi Pontlab. Dopo aver esposto la sua storia, l’organizzazione e lo sviluppo dei processi, si procede con l’analisi di mercato e della clientela di riferimento. Viene approfondito il processo di co-produzione per capire in che modo, influisce sulla performance dei clienti.

La ricerca è stata svolta attraverso la sottoposizione di due questionari appositamente elaborati, uno rivolto ai knowledge workers e l’altro rivolto all’azienda cliente. La struttura dei questionari verrà analizzata nel quarto ed ultimo capitolo.

Attraverso l’analisi dei dati raccolti e la comparazione con la letteratura di riferimento, è stato possibile fare delle riflessioni in merito ai suddetti aspetti ed avanzare delle proposte di miglioramento per l’azienda. In questo modo si è cercato di fornire un contributo concreto al fine di migliorare la gestione della conoscenza, intesa come risorsa che ha permesso lo sviluppo e la crescita di Pontlab nel corso di questi anni e al tempo stesso, il punto di partenza per il futuro sviluppo economico.

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CAPITOLO I

L’economia della conoscenza

“In un’epoca in cui, l’unica certezza è l’incertezza, l’unica fonte sicura per il vantaggio competitivo

è la conoscenza”

Nonaka I.

1.1 Introduzione

In questo primo capitolo l’attenzione è rivolta allo studio della conoscenza e delle caratteristiche di quella che oggi viene definita knowledge economy o economia della conoscenza, seguendo un percorso lineare.

La cornice teorica di riferimento, prende in esame riflessioni e teorie di alcuni illustri economisti che con il loro contributo hanno messo in evidenza il legame esistente tra economia e conoscenza, elevando quest’ultima a fattore critico di successo. Verranno analizzate le proprietà, le caratteristiche e il processo di creazione del nuovo motore del capitalismo cognitivo. Successivamente, tratteremo il tema della gestione della conoscenza ai fini dell’innovazione organizzativa, alla luce degli schemi logici dei modelli della learning organization, “l’organizzazione che apprende”, per poi concludere con l’analisi degli strumenti che permettono di gestire il sapere aziendale in modo adeguato.

Attraverso questo framework, daremo significatività alle tematiche affrontate all’interno dell’elaborato, sostenendo l’importanza della conoscenza nell’economia attuale, non ascrivibile dunque, ad un fenomeno passeggero ma piuttosto ad un elemento

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imprescindibile per coloro che intendono mantenere e sviluppare un solido vantaggio competitivo.

Tale riflessione nasce in seguito allo svolgimento di un tirocinio formativo presso Pontlab S.r.l, una realtà all’interno della quale, la conoscenza e l’innovazione continua hanno rappresentato, e lo sono tutt’oggi, i fattori determinati del successo e della crescita riscontrata in questi anni.

1.2 La conoscenza

1.2.1 Il legame tra economia e conoscenza

La conoscenza, uno degli elementi più sfuggenti e profondi della storia, è stata da sempre al centro dei dibattiti degli studiosi di ogni epoca, dando vita a pensieri e teorie, spesso tra di loro contrastanti.

Sin dall’antichità, i filosofi, mossi dalla sete di verità, hanno cercato di

comprendere l’essenza e le determinanti degli assiomi che la legittimano. Già Aristotele si contrapponeva, con la sua visione empiristica, a Platone, sostenendo che:

“questi stadi della conoscenza non siano né innati in una forma predeterminata, e nemmeno sviluppati a partire da altri più elevati stati di conoscenza, ma derivino dalla percezione sensibile”1

enfatizzando in questo modo, il vincolo esistente tra il sapere e il contesto nel quale si sviluppa. Come ci fa notare l’economista statunitense Penrose (1973):

“gli economisti hanno sempre riconosciuto il ruolo dominante della conoscenza nei processi economici, tuttavia nella maggior parte dei casi hanno ritenuto che il tema fosse troppo scivoloso per essere affrontato e non sono giunti pertanto a risposte significative ed univoche”2

Dunque, per diverso tempo, il legame tra economia e conoscenza non è stato accuratamente analizzato dalla teoria economica, ignorando o addirittura negando, le implicazioni che ne derivano. Nell’ottocento, la concezione positivista3 assumeva che il

1Aristotele (1973), Analytica Posteriora, II 19 (100a), Bari

2 Penrose E. T. (1973), La teoria dell’espansione dell’impresa, Milano: Franco Angeli

3 Orientamento filosofico che si diffuse in Europa nella seconda metà dell’ottocento ad opera di Auguste Comte (1798-1857), influenzando la cultura e la mentalità del periodo. Espressione di un’epoca di sviluppo scientifico e industriale, i capisaldi possono essere riassunti come segue: la scienza è intesa come unico mezzo di conoscenza della realtà; coincidenza fra i limiti della scienza e quelli della

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sapere fosse una grandezza data, cosi come il mondo e le sue leggi, totalmente indipendente dall’azione dell’uomo.

La teoria economica classica riteneva che i fattori in grado di aumentare la produttività e alimentare lo sviluppo economico, fossero il capitale e il suo continuo investimento. Per la teoria economica neoclassica, invece, tale funzione era svolta dall’azione razionalizzatrice del mercato e dalla dinamica dei prezzi. In particolare, il progresso tecnologico era la risultante dell’ottimale allocazione delle risorse, intesa in termini di posizione geografica e settori economici. Si continuava a negare il ruolo propulsivo della conoscenza sull’aumento di produttività, imputandolo invece, al progresso tecnologico.

Uno dei primi economisti che riconobbe, in modo esplicito, il suo ruolo rilevante nella produzione di ricchezza fu Alfred Marshall, nel suo scritto “Principi di economia” del 1890, sostenendo che “il capitale consiste in larga parte di conoscenze e organizzazione” e definendo la conoscenza come “il più robusto motore della produzione”. La conoscenza e l’organizzazione vengono, per la prima volta, identificati come i capitali che rendono produttivi le materie prime. Da qui, scaturisce l’importanza dell’investimento in conoscenza che permette al fattore lavoro di acquisire e generare capacità produttiva.

Successivamente, la scuola economica Austrica vi prestò sempre maggior attenzione attraverso il contributo dei suoi maggiori esponenti, Frederick Von Hayek e Joseph Schumpeter. La svolta teorica di Hayek4 fu quella di comprendere che, la conoscenza non è una risorsa data ma viene continuamente scoperta e creata da coloro che agiscono, secondo dei meccanismi che dovrebbero essere al centro dell’indagine teorica degli economisti e che invece, fino a quel momento, erano dati per acquisiti. Per citare le sue parole:

“Il carattere particolare del problema di un ordine economico razionale è determinato precisamente dal fatto che la conoscenza delle circostanze di cui ci dobbiamo servire non esiste mai in forma concentrata o integrata, ma solamente sotto la forma di frammenti sparpagliati di conoscenza incompleta e, spesso, contraddittoria, che tutti gli individui possiedono separatamente”5

conoscenza umana; convinzione che scienza e tecnica abbiano migliorato (e migliorino) l’umanità; una chiara distinzione fra scienze e filosofia (le prime accertano fatti e stabiliscono leggi, mentre la seconda è la metodologia generale del sapere scientifico).

4 Premio Nobel per l’economia nel 1974, Hayek, appartenente alla quarta generazione della “scuola austriaca” ha apportato un contributo determinante alla politica liberale “classica” del XX secolo. 5 Hayek F. A. (1945), “The Use of Knowledge in Society”, The American Economic Review, Vol. 35, Num 4.

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La questione fondamentale riguarda la comprensione dei processi mediante i quali avviene l’acquisizione della conoscenza, in un contesto nel quale gli individui posseggono informazioni parziali e frammentate. Pertanto, non si tratta semplicemente di capire come allocare le risorse date in modo ottimale ma di “utilizzare una conoscenza che nessuno possiede nella sua interezza”6.

Joseph Schumpeter7, pose l’accento sull’importanza della ricombinazione continua della conoscenza esplicita, dalla quale si originano prodotti e materiali nuovi ma anche metodi di produzione e modelli organizzativi innovativi. Si evince la natura mutevole e provvisoria di questa risorsa, dimostrata dall’autore attraverso la teoria dinamica del cambiamento economico8. Il sapere è inteso come fattore in grado di spiegare il differenziale di produttività che si originava tra le imprese. Fa il suo ingresso l’innovazione tecnologica, frutto dello sviluppo tecnico scientifico, permettendo il passaggio dalla produzione tradizionale alla modernità:

“l’impresa innovatrice diventa capace, grazie alla superiorità dei prodotti e processi, di ridimensionare le imprese precedenti o addirittura di provocarne la scomparsa dal mercato”.

Nelson e Winter, compiono un ulteriore passo in avanti dimostrando,

attraverso la teoria evoluzionistica del cambiamento economico e tecnologico, il legame tra tecnologia e conoscenza. L’impresa diventa un deposito di conoscenza, immagazzinata sotto forma di “schemi di comportamento regolari e prevedibili”9 dalle imprese economiche. L’innovazione è una mutazione strutturalmente imprevedibile di routine. Ma sebbene venga riconosciuta l’essenza della tecnologia e la rilevanza nell’ambito del sapere, non giungono ancora a definire un collegamento esplicito fra creazione della conoscenza tecnologica e processi organizzativi complessi.

6 Hayek F. A. (1952), The counter-Revolution of Science, Studies on the Abuse of Reason, Fress Press. Citazione dalla traduzione it. L’abuso della ragione, Vallecchi, Firenze 1967

7 Economista austriaco del XX secolo, contribuì allo sviluppo delle teorie manageriali e imprenditoriali odierne. La moderna teoria della crescita si basa su gli originari schemi di Schumpeter integrati ed arricchiti per tener conto del fatto che, in ultima analisi, la capacità innovativa è guidata dall’obiettivo del profitto ma non può realizzarsi senza lo sviluppo delle conoscenze scientifiche di base e senza il

buon funzionamento delle leggi e delle istituzioni.

8 Shumpeter J. A. (1912), The Theory of Economic Development, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1934 Citazione dalla traduzione it. Teoria dello sviluppo economico, Sansoni, Firenze 1977. Nella teoria dinamica del cambiamento economico, Shumpeter affronta la gestione difficoltosa della

componente soggettiva della conoscenza dovuta alla dinamicità ambientale. Egli afferma che il

capitalismo è per natura, una forma o un metodo di cambiamento economico e non è mai, né può essere, stazionario, rilevando quindi che l’ambiente economico è in continua evoluzione.

9 Nelson R. R., Winter S. G. (1982), An evolutionary theory of economic change, Harvard University Press, Cambridge, pag.14-18/258-259.

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Solo negli anni ’80 inizia a prendere forma il ruolo della conoscenza come risorsa competitiva e fattore critico di successo con il contributo di Peter Drucker10, considerato il padre del management. Secondo Drucker11, la risorsa economica fondamentale non è più rappresentata dal capitale né dalle risorse naturali e neppure dal lavoro, ma dalla “conoscenza” e dai soggetti che la generano, anticipando cosi, l’ingresso nella nuova economia della conoscenza.

Quelle proposte, sono solo alcune delle teorie che si sono sviluppate nel corso del tempo intorno al concetto di conoscenza. Passandole in rassegna si evince come si è andata delineando un’evoluzione che ha condotto progressivamente ad attribuire sempre più importanza a questa risorsa intangibile.

Nell’economia attuale, caratterizzata da incertezza dei mercati, innovazione continua e crescente globalizzazione, il successo delle imprese dipende sempre più dalla capacità di gestire e produrre sempre nuova conoscenza. Infatti, come sottolineato da Michael Jensen, lo sviluppo sociale ed economico e le prestazioni delle imprese dipendono dalla capacità degli individui e delle organizzazioni di porre in essere una continua ricerca e di sfruttare le nuove conoscenze, vale a dire fare innovazione. Inoltre, la crescente attenzione al tema dell’accumulazione e della valorizzazione del capitale umano, mette in evidenza l’importanza della conoscenza ai fini del progresso sociale ed economico, al punto che le prospettive di sviluppo delle economie avanzate vengono ormai collocate soltanto all’interno dell’“economia della conoscenza”. A tal proposito si riporta il punto 5 delle conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona (2000):

“L'Unione si è ora prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.12

Alla luce di queste considerazioni, appare utile analizzarne la natura e le

caratteristiche, al fine di una migliore comprensione del perché la conoscenza e la sua gestione siano così importanti per le organizzazioni.

10 Drucker P. (1909-2005), economista statunitense, è considerato uno tra i maggiori studiosi, consulenti e autori di letteratura manageriale. Fu il primo ad usare il termine “management by objectives”

in The Practice of management, sostenendo che il vero obiettivo di ogni azienda non è quello di raggiungere il massimo profitto ma di raggiungere un profitto sufficiente a coprire i rischi insiti nell’attività economica, e perciò ad evitare le perdite.

11 P. F. Drucker, Post-Capitalist society, Butterworth Heinemann, Oxford 1993, pag.7. 12 Tratto dal sito internet www.europarl.europa.eu

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1.2.2 Le caratteristiche della conoscenza

La conoscenza è stata definita, nelle discipline manageriali, in diversi modi e tutt’oggi non esiste una definizione universalmente accettata. Alcuni studiosi la definiscono uno stato della mente che opera a differenti livelli. In particolare, gli economisti Bengt-Åke Lundvall e Björn Johnson (1994), individuano 4 dimensioni:

➢ know what (sapere cosa): riguarda la conoscenza dei “fatti” che può essere trasmessa con i dati e diffusa con l’ausilio delle banche dati;

➢ know why (sapere perché): fa riferimento alla conoscenza teorica che è alla base della ricerca scientifica e tecnologica e che permette di innovare i processi produttivi;

➢ know how (sapere come): è legato soprattutto all’esperienza operativa sia individuale che condivisa. Rappresenta il capitale umano dell’impresa e delle diverse reti sociali;

➢ know who (sapere chi): permette di individuare le persone dotate delle competenze necessarie e di problem solving.

Altri autori, come Polanyi (1966)13, la definiscono un processo necessario per avere accesso alle informazioni. La conoscenza, infatti è al tempo stesso, sia il fattore che il risultato del processo produttivo. L’output così ottenuto, non è semplicemente il frutto degli input utilizzati ma possiede un valore aggiunto in grado di innovare, adattare, sviluppare la conoscenza precedente per mantenere attive le condizioni che ne giustificano la propagazione e il riuso in contesti che sono sempre differenti da quello di origine. Pertanto, la conoscenza si crea e sviluppa nel corso dell’azione, attraverso l’immaginazione, la sperimentazione e l’elaborazione del nuovo. Un processo che può essere definito come “endless work”14, un lavoro senza fine in quanto non c’è un punto di inizio né un punto di arrivo.

13 Polany M. (1891-1976) economista, filosofo e chimico ungherese. Uno dei massimi esponenti del pensiero liberale, sostiene che la conoscenza non può essere interamente formalizzata in regole o algoritmi e quindi resa esplicita ma vi è sempre un aspetto implicito. Tutta la conoscenza è tacita o radicata nella tacita Il percorso conoscitivo si sviluppa attraverso l’interpretazione personale di una serie di indizi che orientano verso una consapevolezza che da implicita o tacita si fa esplicita. «Una conoscenza interamente esplicita è impensabile» (Polanyi 1988 pag. 181)

14 Polany M., The tacit dimension, Doubleday, New York, 1966. Traduzione it. La conoscenza inespressa, Armando Editore, Roma 1979

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Per comprendere appieno le caratteristiche dell’economia della conoscenza occorre in primo luogo analizzare le peculiarità di questa risorsa sui generis.

La conoscenza è una risorsa intangibile che possiede proprietà intrinseche del tutto particolari in quanto genera valore in modo totalmente diverso rispetto ai fattori produttivi tipici dell’economia tradizionale quali la forza lavoro, il capitale e la terra. A differenza di questi ultimi, non siamo in presenza di una risorsa scarsa, ovvero che si consuma in seguito alla sua utilizzazione, ma al contrario è piuttosto inesauribile. Ne deriva che, la conoscenza è un bene non rivale, caratteristica che contraddistingue i beni pubblici puri insieme alla non escludibilità. La non rivalità implica che il suo consumo da parte di un individuo non ne impedisce il contemporaneo consumo da parte di un altro ma anzi può essere adoperata simultaneamente da diversi soggetti senza costi addizionali e senza che se ne riduca il valore intrinseco. Pertanto, sebbene il suo costo di produzione è solitamente alto, il suo costo marginale è totalmente nullo o quasi. A fronte di quest’evidenza, bisognerebbe cederla a un prezzo uguale a zero, così facendo il bene non sarebbe remunerato e nessuno avrebbe convenienza a produrlo. P. David (1992), parla della caratteristica di uso non rivale usando il termine positivo di “espansione infinita”15.

D’altro canto, la conoscenza è un bene parzialmente escludibile. Con tale espressione, intendiamo un bene per il quale non è possibile o non è economicamente conveniente escludere qualcuno dal suo godimento.

La conoscenza infatti è un sapere aperto, liberamente accessibile a tutti, e facilmente trasferibile grazie ai bassi costi di riproduzione. Nonostante ciò, i suoi elevati costi di produzione hanno reso necessaria, sia l’introduzione di un sistema di regole attraverso il quale stabilire in modo chiaro i diritti di proprietà su di essa, che l’imposizione di divieti formali riguardo il suo utilizzo a scopo di lucro. In mancanza di questi, infatti, non vi sarebbe convenienza a produrre (e scambiare) la conoscenza, con il rischio che si generi una progressiva diminuzione di investimenti il che si tradurrebbe inevitabilmente in un danno per l’intero sistema economico.

Altro aspetto da non sottovalutare, riguarda la misurazione dei suoi rendimenti. La misurazione degli stock, già difficoltosa nel caso del capitale fisico, lo diventa ancora di più, quando ha ad oggetto una risorsa intangibile e non direttamente osservabile come la conoscenza, proprio perché non è sempre possibile isolare le variabili in gioco e

15 Espressione utilizzata per valorizzare la conoscenza: David P., “Knowledge, Property and the System Dynamics of Technological Change”, in Proceedings of the world bank annual conference on

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individuarne gli effetti reali. Inoltre, bisogna considerare che la conoscenza immagazzinata all’interno delle organizzazioni non viene scambiata sul mercato e pertanto non valutata in termini monetari. Gli studi sulla conoscenza rilevano che “i modi con cui la conoscenza produce valore convincono che essa è una risorsa ribelle dotata di una sua insopprimibile autonomia”.16

La situazione si complica in presenza di quelle che Marshall definisce, esternalità non pecuniarie, ovvero la capacità di generare ulteriore conoscenza a beneficio di terzi nel lungo periodo, non concretamente quantificabili. D’altro canto, gli effetti prodotti costituiscono un beneficio a vantaggio non solo di terzi ma dell’intera economia stimolando il progresso e l’innovazione. Al contrario, se la conoscenza non venisse diffusa, potrebbe non sviluppare tutte le sue potenzialità.

L’economia della conoscenza si trova quindi a dover risolvere il “dilemma del bene pubblico”17, analizzato da Foray.18 Stiamo parlando della contrapposizione tra beneficio sociale da un lato e interessi privati dall’altro. Tale contrapposizione genera inevitabilmente un fallimento di mercato, dovuto al fatto che i produttori non sono in grado di appropriarsi dei benefici prodotti a favore della collettività. Pertanto, se da un lato risulta conveniente, oltre che auspicabile, proteggere la libera accessibilità al bene, in quanto la condivisione aumenta le probabilità che le potenzialità innovative vengano approfondite, dando luogo ad un ulteriore produzione di conoscenza, dall’altro, la diffusione gratuita e la conseguente mancanza di compartecipazione ai costi di produzione, ridurrebbe i vantaggi economici legati alla sua produzione portando inevitabilmente ad una riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo.

Da tali considerazioni, si evince che le regole applicate ai fattori produttivi tradizionali non possono essere applicate alla conoscenza che per la sua natura e le sue caratteristiche porta con sé delle chiare inefficienze. Pertanto, nasce la necessità di organizzare le proprietà anomale della conoscenza per renderle compatibili con la sostenibilità del processo di investimento nella produzione di nuova conoscenza.

16 Rullani E. (2006), Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti. Carocci, Milano.

17 L’efficienza massima nell’uso delle risorse per produrre nuova conoscenza impone che i costi di tutte le risorse utilizzate siano compensati dal valore economico dei risultati concreti cui si pervenga. Pertanto, è necessario che gli inventori abbiano i mezzi utili al fine di appropriarsi dei benefici economici attribuibili all’uso della conoscenza. Tuttavia, questo è possibile solo in presenza di un uso limitato della stessa. Inoltre, imporre delle limitazioni ha come conseguenza il rallentamento del progresso collettivo finendo per rinunciare alle opportunità offerte dalle nuove combinazioni tra conoscenza acquisite.

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1.2.3 Il processo di creazione della conoscenza

Dopo avere analizzato le peculiarità di questa particolare risorsa intangibile divenuta il motore dello sviluppo dell’economia odierna, ci concentreremo sulle modalità di creazione e diffusione della stessa all’interno dell’organizzazione.

Nel contesto competitivo attuale, caratterizzato da elevato dinamismo, una delle determinanti fondamentali ai fini del vantaggio competitivo è la produzione di conoscenza. L’obiettivo che le imprese si prefiggono di raggiungere è aumentare le quote di valore aggiunto, sia attraverso lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze pratiche, che con l’introduzione dei risultati del progresso scientifico-tecnologico generato dall’ambiente esterno. Aumentando in questo modo, la produttività sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Proprio per questa ragione è opportuno comprendere le dinamiche relative alla sua creazione e le modalità con le quali la stessa si diffonde, soprattutto con riferimento alle aziende ad alta intensità di conoscenza, la cui core-competence è incentrata sulla produzione e sul trasferimento della conoscenza, oltre che sulla creazione delle migliori condizioni possibili per permettere l’interazione tra soggetti che sviluppano conoscenze complementari. Inoltre, la continua ricerca di nuove e sempre più efficienti capacità innovative, spinge le aziende ad adottare nuove politiche di gestione della conoscenza basate su rinnovate modalità di creazione e diffusione della stessa in modo da essere flessibili e ricettivi sfruttando i benefici del cambiamento.

Il filoso M. Polanyi rivoluzionò la concezione della conoscenza,

introducendo un elemento di svolta nel processo di diffusione della stessa. Polanyi, infatti, fu il primo a definire la conoscenza come processo, nello specifico, un processo di generazione di innovazione attraverso l’apprendimento e la pratica. In particolare, distingue tra due tipi di conoscenza: la conoscenza tacita e quella esplicita.19 Una volta compresa l’importanza della conoscenza tacita, infatti, si inizia a pensare all’innovazione in modo del tutto nuovo, valorizzando il ruolo del singolo individuo all’interno dell’organizzazione. Tali dimensioni, sebbene prendano in considerazione due aspetti differenti della conoscenza, risultano essere interdipendenti.

La conoscenza tacita, fa riferimento al sapere personale di ogni individuo, frutto dell’esperienza e dello specifico contesto. La difficoltà di formalizzazione e

19 Polany M. (1979), The tacit dimension, Doubleday, New York, 1966. Traduzione it. La conoscenza inespressa, Armando Editore, Roma.

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verbalizzazione, rende difficoltoso il suo trasferimento all’esterno attraverso forme comunicative esplicite.

La conoscenza esplicita invece, è codificabile, ovvero esprimibile attraverso un linguaggio formale sistematico che ne consentono il trasferimento ad altri, attraverso opportuni strumenti quali manuali, computer ecc. Pertanto, la conoscenza che può essere espressa in parole e numeri, rappresenta solo la punta dell’iceberg del corpo complessivo delle conoscenze, “we know more than we tell”20 (Polanyi, 1966).

Lo stesso argomento è stato ripreso e approfondito da Nonaka e Takeuchi21 (1995), i quali hanno applicato tale concetto alla realtà aziendale. Nello specifico, i due autori elaborano un modello dinamico a spirale, “l’Organizational Knowledge Conversion”, che spiega il processo di creazione e diffusione della conoscenza all’interno dell’organizzazione attraverso l’interazione di conoscenza tacita ed esplicita. L’obiettivo del suddetto modello è quello di far sì che l’azienda gestisca le conoscenze nel miglior modo possibile, convinti che da questo derivi il conseguimento degli obiettivi aziendali.

Figura 1.1: The spiral of organizational knowledge creation (Nonaka, 1992)

Fonte: NONAKA I,. TAKEUCHI H., The knowledge creating company, Guerini e Associati, Milano, 1997

20 Polanyi afferma che la conoscenza tacita è costituita da intuizioni, sensazioni, idee ed è difficile da trasmettere poiché radicata nell’esperienza individuale. Questa può essere ulteriormente scissa in due dimensioni, una tecnica e l’altra cognitiva. La prima fa riferimento alale competenze le le abilità possedute da coloro che svolgono una professione ad alto contenuto di conoscenza; la seconda riguarda gli ideali e i valori non facilmente identificabili ma determinanti del modo di relazionarsi degli individui e che sono stati identificati con la cultura di una popolazione. M. Polany, “The tacit dimension”,

Doubleday, New York, 1966. Traduzione it. La conoscenza inespressa, Armando Editore, Roma 1979 21 Cfr. NONAKA I, TAKEUCHI H. (1997), The knowledge creating company, Guerini e Associati, Milano.

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18

La figura 1.1, illustra il processo di creazione della conoscenza. Tale processo si sviluppa lungo due dimensioni: ontologica (asse delle ascisse) e epistemologica (asse delle ordinate).

La dimensione ontologica prende in esame il rapporto tra gli individui e l’organizzazione. La conoscenza può essere creata e detenuta solo dai singoli individui, assimilabile tramite processi di trasformazione, archiviazione, condivisione ecc. È possibile distinguere quattro momenti di apprendimento: la conoscenza individuale, di gruppo, organizzativa e inter-organizzativa.

➢ Conoscenza individuale: il processo di apprendimento avviene in maniera individuale attraverso l’esperienza, l’osservazione e l’istruzione;

➢ Conoscenza di gruppo: l’apprendimento si genera grazia alla partecipazione e alla condivisione di informazioni ed esperienza personale tra gli individui del gruppo; ➢ Conoscenza organizzativa: l’individuo apprende grazie alla consultazione di

manuali o documenti ufficiali messi a disposizione dall’azienda;

➢ Conoscenza inter-organizzativa: la conoscenza si genera grazie all’interazione tra l’organizzazione e l’ambiente sociale di riferimento. Da queste interazioni sorgono delle collaborazioni che facilitano il flusso di conoscenza da un’organizzazione all’altra e al tempo stesso ne generano di nuova.

La dimensione epistemologica, esprime la relazione esistente tra la conoscenza tacita ed esplicita. La trasformazione/creazione della conoscenza organizzativa, avviene attraverso l’interazione di queste due dimensioni dando vita ad una spirale di conoscenza che si compone di quattro fasi: socializzazione, combinazione, esteriorizzazione e interiorizzazione.

➢ Socializzazione: indica la trasformazione da una conoscenza tacita ad un’altra sempre tacita. Questo tipo di conoscenza non essendo codificabile, si trasmette solo attraverso il contatto diretto con chi la detiene. Il “training on the job”, rappresenta una possibilità di trasferimento basata sulla pratica, attraverso l’osservazione e l’imitazione. Pertanto, l’elemento fondamentale è l’esperienza condivisa. Nelle aziende vengono messe in atto “campi di brainstorming”22

22 Il brainstorming (o tempesta celebrale) è una tecnica ideata da Osborn (1993) consiste in una breve riunione creativa volta a stimolare la produzione spontanea e non sistematica di idee utili per la risoluzione di problemi. L’obiettivo è quello di spingere i partecipanti a produrre il maggior numero di idee relative al problema stesso, attivando una discussione incrociata e guidata dal moderatore. Tale tecnica si fonda sulla constatazione che le idee espresse, richiamano alle persone che ascoltano, altre idee

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19

proprio per ricreare dei contesti informali in cui le persone possono “socializzare”, con la finalità di trasmettersi conoscenza implicita. Gli incontri informali, infatti, facilitano lo scambio di idee e di visioni anche tra persone con background e interessi diversi.

➢ Combinazione: è il processo che descrive l’organizzazione e la formalizzazione dei dati e delle informazioni già esistenti generando nuove forme di conoscenza. Descrive la trasformazione di conoscenza da esplicita ad esplicita, rappresentando la modalità più semplice ed immediata per la sua diffusione. In questo contesto, la tecnologia, grazie all’uso dei sistemi informatici, gioca un ruolo fondamentale in quanto favorisce la circolazione della conoscenza già esistente e ne permette la creazione di nuova.

➢ Esteriorizzazione: fa riferimento alla trasformazione della conoscenza da tacita ad esplicita. L’individuo esprime la conoscenza tacita attraverso il linguaggio, Tuttavia, il ricorso alle espressioni linguistiche appare inadeguato e talvolta insufficienti per esprimere appieno i concetti. Pertanto, la soluzione è lo schema: metafora – analogia – modello. Si inizia utilizzando le metafore, le quali possono generare contraddizioni, e si giunge ad elaborare modelli, nei quali, i concetti espressi in forma sistematica non lascerebbero posto ad alcuna contraddizione. ➢ Interiorizzazione: è il passaggio dalla conoscenza esplicita alla conoscenza tacita.

Stiamo parlando del learning by doing: l’individuo assimila ed elabora tutto ciò che è esplicito e lo fa proprio, al fine di creare nuova conoscenza.

In questo modo, la conoscenza da esplicita ritorna ad essere tacita, concludendo la spirale.

Tutti gli step sono utili all’individuo al fine di apprendere e far sue le conoscenze attraversando le varie fasi della conversione che abbiamo elencato, le quali interagiscano tra di loro in modo logico. Infatti, quando le esperienze maturate attraverso la socializzazione, l'esteriorizzazione e la combinazione vengono interiorizzate dall'individuo sotto forma di modelli condivisi, o di competenze, queste si diffondono all’interno dell’organizzazione generando nuova conoscenza.

sulla base di quella che viene definita una vera e propria fecondazione incrociata. La sessione si articola in cinque fasi: presentazione del problema; identificazione dei dati che descrivono il problema;

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20

Possiamo riassumere quanto detto attraverso il seguente modello SECI: Socializzazione - Esteriorizzazione - Combinazione - Interiorizzazione

Figura 1.2: Il processo di creazione della conoscenza. Nonaka e Takeuchi

Fonte: Rielaborazione tratta daNONAKA I, TAKEUCHI H.(1997), The knowledge creating company, Guerini e Associati, Milano.

L’originalità del modello sta nel mettere in luce l’importanza del singolo individuo all’interno dell’organizzazione, il quale costituisce la base di partenza per l’ulteriore produzione di conoscenza. Il processo, infatti, di per sé non è garanzia di creazione di nuova conoscenza, ma ne costituisce il presupposto.

1.2.4 La diffusione della conoscenza organizzativa

Un ruolo fondamentale nella diffusione della conoscenza a livello organizzativo è svolto dall’ambiente di riferimento. Le condizioni affinché si generi un’interazione agevole tra i soggetti, sono condizionate dal contesto sociale ed organizzativo di riferimento, il quale può facilitare o veicolare il processo di creazione e condivisione della conoscenza.

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vedremo, possiamo classificare tra le aziende ad alto contenuto di conoscenza, ho avuto la possibilità di osservare da vicino i processi di creazione e diffusione della conoscenza il che mi ha permesso di poter fare delle riflessioni a riguardo.

In primo luogo, possiamo affermare che le conoscenze che si generano

all’interno dell’azienda, sono il risultato sia di processi individuali, inerenti la singola impresa unitariamente considerata, sia relazionali, afferenti alle dinamiche che si instaurano tra le imprese localizzate nella medesima area.

Appare chiaro che, il processo di conversione della conoscenza risente dell’influenza del contesto sociale e della popolazione di imprese operanti all’interno dello stesso distretto industriale. Ne consegue che, le conoscenze cosi generate hanno una natura “contestuale”, cioè strettamente legate all’ambiente socio-produttivo di generazione. Inoltre, il carattere esperienziale e cumulativo, dà luogo ad una conoscenza che, come abbiamo già spiegato, ha natura tacita (Polanyi, 1962; 1966), cioè radicata nell’azione e nell’esperienza individuale e trasferibile solamente attraverso processi di socializzazione.

In questo ambito, riveste un ruolo fondamentale la figura del manager o del responsabile, il quale, oltre ad attivare il processo di apprendimento dell’impresa, contribuisce, con le proprie competenze tecniche specifiche, al processo evolutivo della stessa. In particolare, le conoscenze generate dai processi di apprendimento individuale possono essere distinte in: personal-embodied knowledge o individual skills e in routine organizzative. Le prime si generano in seguito ad un processo di accumulazione, a livello individuale, di conoscenze empiriche sviluppate attraverso la ripetizione costante e sistematica di specifiche pratiche lavorative. Si tratta quindi di conoscenze strettamente collegate ad una specifica fase del ciclo produttivo, le quali avranno pertanto, natura specializzata (specialized knowledge) oltre che tacita. Le routine organizzative, invece, rappresentano le conoscenze organizzative di natura interpersonale, frutto di un complesso processo di interazione face-to-face a livello intra-organizzativo, ovvero tra gli individui operati all’interno dell’organizzazione.

Per quanto riguarda le conoscenze generate attraverso i processi relazionali esterni, si fa riferimento alle interazioni che avvengono con l’ambiente esterno e che sono vitali per l’azienda. Anche in questo caso distinguiamo: le routine inter-organizzative ed i valori socio-culturali locali (local socio-cultural values).

Le routine inter-organizzative rappresentano le conoscenze relazionali sviluppate tra più imprese nei processi di networking. Hanno natura tacita e sono radicate nelle

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abilità delle singole imprese di rapportarsi con altre in modo flessibile. Si trasferiscono attraverso processi di socializzazione inter-impresa, manifestantesi nella forma di interazioni dirette, sia tra gli imprenditori, sia tra gli operatori delle differenti imprese integrate lungo la filiera produttiva. A tal proposito, Albertini23 distingue quattro diverse tipologie di processi di networking della conoscenza:

➢ Networking di tipo speculativo: queste relazioni presentano un grado di incertezza, relativo alla nuova conoscenza generata, particolarmente elevato in quanto hanno ad oggetto l’esplorazione di nuove aree di ricerca. I rapporti tra le organizzazioni si basano su interessi e obiettivi comuni. La conoscenza ha spesso natura tacita e l’apprendimento avviene mediante la comunicazione interpersonale e processi face to face;

➢ Networking di ricerca esplorativa: gli obiettivi che si vogliono raggiungere sono stati definiti chiaramente, pertanto, l’incertezza non riguarda i risultati attesi, ma i mezzi da utilizzare. Dal risultato si può generare nuova conoscenza specifica; ➢ Networking di sviluppo esplorativo: mentre le relazioni/effetto sono note, i

risultati attesi sono piuttosto incerti. L’interazione tra gli attori genera conoscenza contestuale, contenuta nelle specifiche relazioni attivate;

➢ Networking di sfruttamento e valorizzazione: in questo caso risultano noti sia le relazioni causa/effetto che gli obiettivi. La conoscenza distribuita è specifica, codificata e trasferibile, pertanto tra le organizzazioni si realizza una divisione del lavoro utilizzando linguaggi condivisi.

Tali relazioni inter impresa permettono un arricchimento cognitivo direttamente proporzionale allo “spessore” delle stesse relazioni, nelle quali si sommano molteplici aspetti: tecnici, economici, di mercato e personali (Hakansson, 1987). Inoltre, tali relazioni potrebbero dar luogo ad una riduzione dei costi di coordinamento all’interno dell’area considerata, attraverso una condivisione di codici comportamentali che diminuiscono l’incertezza e l’ambiguità degli scambi informativo-cognitivi. (Albino et al., 1999).

I valori socio-culturali locali, invece, interessano una molteplicità di aspetti connessi alle caratteristiche psicologiche e sociologiche del sistema sociale. Sono il

23 Ditillo A. (2006), Ordine e creatività nelle aziende ad alto contenuto di conoscenza, sistemi di costing, reporting e controllo nelle società di consulenza, di software e dei servizi professionali, Pearson.

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23

risultato di un’espansione delle reti personali, caratterizzanti le singole imprese, al di fuori dei confini organizzativi e coinvolgono tutto il sistema locale. Hanno in comune la medesima visione, uno stesso background culturale e politico, la condivisione di codici di comportamento, di stili di vita e di un’“etica del lavoro”.

Analizzando i processi di diffusione della conoscenza all’interno di Pontlab s.r.l, è possibile notare come questi siano il frutto della collaborazione tra il responsabile/superiore e i tecnici suoi subordinati (a livello organizzativo interno), diffondendosi attraverso l’osservazione e la pratica. Accanto a queste, si realizzano delle collaborazioni instaurate con altre realtà locali che permettono la mobilità del personale inter-impresa, favorendo la diffusione del sapere pratico e di best-practice operative sviluppate a livello di singola impresa. In questo modo, si genera uno scambio informale di informazioni, ed un’elevata variabilità delle relazioni in accordo con il modello della specializzazione flessibile, che porta differenti imprese ad interagire tra loro con una conseguente condivisione e scambio di esperienze operative.

Nello specifico, sono state strette relazioni in tal senso con diverse imprese operanti nella medesima area e nel medesimo settore, al fine di creare delle collaborazioni utili sia al trasferimento che alla creazione di ulteriore know-how. Allo stesso modo risulta fondamentale, come vedremo più avanti, il rapporto con i clienti. La necessità di mantenere determinati standard qualitativi e la politica di contenimento dei costi richiesti dal cliente, hanno rappresentato degli stimoli volti all’innovazione favorendo il progresso tecnologico e il miglioramento continuo.

1.2.5 Perché gestire la conoscenza?

Al giorno d’oggi le aziende si muovono all’interno di un’ambiente che

potremmo definire turbolento, caratterizzato da crescente incertezza e instabilità dei mercati e una continua spinta verso il cambiamento e l’innovazione. La globalizzazione ha comportato l’estensione dei mercati, rendendoli più dinamici e attivi. Negli scenari competitivi, si assiste dunque, all’accelerazione del ritmo del cambiamento, con la nascita di problematiche nuove e con cicli ridotti che hanno reso sempre più costosa la reinvenzione – anche parziale – di soluzioni e modelli decisionali. Questo ha provocato

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24

un crescente interesse verso il knowledge management e verso i processi di accumulazione della conoscenza, generando la crescente necessità di rinnovare le prassi organizzative, e di reagire in modo efficiente ed efficace alle sfide della nuova realtà.

In tali contesti, le tradizionali fonti di vantaggio competitivo non sono più sufficienti ad assicurare un vantaggio competitivo solido tanto da essere soppiantate da una nuova fonte di valore per l’impresa: la conoscenza. A tal proposito Nonaka (1997) afferma che “in un’epoca in cui l’unica certezza è l’incertezza, l’unica fonte sicura per il vantaggio competitivo è la conoscenza”.

Come abbiamo già detto però, il semplice possesso di conoscenza non assicura all’impresa l’ottenimento dei vantaggi che da essa potrebbero scaturire, ma è necessario che questa venga adeguatamente sfruttata e gestita in relazione agli obiettivi di ciascuna impresa. Pertanto, possiamo definire la gestione della conoscenza come un insieme di processi (o attività) “che permettono di identificare, catturare, organizzare e distribuire conoscenza con l’obiettivo di migliorare la capacità competitiva dell’impresa.”24 L’analisi economica sottolinea la difficoltà di gestione, per il fatto che, come abbiamo già avuto modo di spiegare, la risorsa in questione è molto particolare.

Di seguito elenchiamo le principali motivazioni che sostengono l’importanza di una sua corretta gestione.

In primo luogo, il mercato della conoscenza è inefficiente per definizione. L’informazione è posseduta in maniera frammentata dagli agenti economici e come ben sappiamo, siamo in presenza di una risorsa per la quale è impossibile misurarne con esattezza il valore. Pertanto, la gestione della conoscenza potrebbe rappresentare un tentativo per migliorare l’efficienza dei mercati proteggendo le innovazioni e assicurandosi al contempo il libero accesso alle aree di ricerca e innovazione.

Un’altra spiegazione concerne il voler arginare i fenomeni di occultamento e perdita di conoscenza che spesso si verificano in azienda. È possibile che le tradizionali prassi di lavoro alimentino nei dipendenti comportamenti di tipo individualistico, tendenti alla conservazione del sapere. Una gestione adeguata, invece, alimenta meccanismi che facilitano l’accessibilità e la condivisione della conoscenza. Le competenze vengono trasmesse e condivise con l’intera organizzazione al fine di sfruttare quanto appreso trasformandolo in conoscenza utile. Si tratta di favorire le opportunità di innovazione ricombinando le sinergie e il know-how intersettoriale. La conoscenza condivisa viene

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25

capitalizzata creando valore per l’intera organizzazione. La perdita di conoscenza, inoltre, può essere dovuta all’interruzione di collaborazione tra il singolo dipendente qualificato e l’impresa d’appartenenza. Proprio per far fronte a quest’eventualità, viene istituito un sistema organizzativo, che attraverso l’uso di una strumentazione consona, permetta di conservare il patrimonio intellettuale d’impresa archiviando adeguatamente la conoscenza acquisita di ogni lavoratore. Tutto ciò consentirà di incrementare la produttività d’azienda ed evitare così eventuali perdite.

Da ultimo, non bisogna dimenticare come la valutazione del capitale intellettuale sia divenuta un elemento fondamentale nella valutazione dell’impresa. Sebbene le sue caratteristiche rendono il valore stimato altamente incerto, sia a preventivo che a consuntivo, questa contribuisce alla determinazione del risultato d’esercizio e del capitale di funzionamento (Pozza, 1999). Pertanto, vi è l’esigenza di definire dei criteri di valutazione chiari per aumentare la trasparenza dell’informativa societaria, ed è necessario che tali criteri siano condivisi e applicati da tutti per rendere i dati presentati dalle imprese comprabili tra loro.

Possiamo affermare, pertanto, che il costo associato al mancato sfruttamento di un’invenzione, o alla cattiva gestione della stessa, oltre ad essere di entità elevata avrà ripercussioni nel lungo periodo diventando un ostacolo alla sopravvivenza dell’impresa stessa. Non si può pertanto ignorare l’esistenza della conoscenza, né tanto meno si può prescindere da una sua corretta gestione. Risulta quindi essenziale adottare strategie organizzate non solo per accogliere e sfruttare al meglio il sapere ma anche per incentivare e stimolare la creatività di ciascun lavoratore al fine di cogliere ogni possibilità di successo.

Dopo aver illustrato le ragioni che hanno portato alla necessità di occuparsi della conoscenza e della sua gestione attraverso la creazione, passiamo ora all’analisi vera e propria della gestione della conoscenza trattando gli aspetti salienti del knowledge management.

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26

1.3 La Knwoledge Based Economy

1.3.1 Una nuova concezione del sapere

Oggi, sta progressivamente prendendo forma quella che viene definita

«l’economia della conoscenza», cioè una moderna economia basata sulla crescente specializzazione, sull’apprendimento, sull’innovazione e caratterizzata da veloci cambiamenti nelle conoscenze tecnologiche, dove alcuni settori produttivi mostrano dinamiche più accentuate rispetto ad altri.

In realtà, tale fenomeno, come afferma Rullani (2004)25, non rappresenta una scoperta recente ma trova le sue origini nella ormai lontana rivoluzione industriale, laddove la conoscenza si manifestava nella produzione di valore ottenuta attraverso la propagazione degli usi disponibili, e dal successivo re-investimento dei profitti cosi conseguiti, nella produzione di ulteriore nuova conoscenza. La novità introdotta dalla modernità consiste «nel fatto che diventa conveniente – grazie alla natura riproducibile della conoscenza – investire in processi di apprendimento»26. Questa nuova concezione del sapere quale risorsa indipendente e soprattutto riproducibile, cambia radicalmente la logica della produzione dando vita ad una serie di cambiamenti strutturali dell’economia. La meccanicizzazione dei processi lascia il passo al fordismo, all’interno del quale, la conoscenza si concretizza nell’organizzazione scientifica, per poi svilupparsi nell’economia dei distretti generando la propagazione territoriale della stessa ed infine nella c.d. New Economy dove la divulgazione delle informazioni assume un carattere dominante.

Il primo a parlare di Knowledge economy (o economia della conoscenza) fu Peter Drucker nel 199327 annunciando l’ingresso nella nuova società della conoscenza, nella quale la risorsa economica fondamentale non è più rappresentata dal capitale, né dalle risorse naturali o dal lavoro, ma dalla conoscenza e dai soggetti che la generano. Secondo Drucker, una delle più importanti sfide che ogni organizzazione deve affrontare è la capacità di costruzione di procedure sistematiche per gestire i propri processi di

25 Rullani E. (2004), Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Milani.

26 Rullani E. (2004), Intervista, L’economia della conoscenza, Universita Ca’ Foscari, Venezia 27 Drucker P. (1993), Post capitalist society, HarperCollins, New York

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27

trasformazione. Pertanto, l’impresa deve essere in grado di abbandonare la conoscenza divenuta obsoleta ed apprendere come crearne nuova attraverso:

➢ Il miglioramento continuo di ogni attività;

➢ Lo sviluppo di nuove applicazioni a partire dai propri successi; ➢ Un processo organizzativo di innovazione continua.

I caratteri distintivi rinvenibili in questo cambiamento che coinvolge l’intero sistema economico, possono essere riassunti come segue:

➢ Un aumento dello stock di capitale intangibile nello stock di capitale reale; ➢ L’espansione delle industrie ad alta intensità di conoscenza;

➢ Una crescente importanza dell’occupazione qualificata.

Per secoli il progresso tecnologico è sempre stato neutrale rispetto ai fattori produttivi ma come ci fanno notare Abramowitz e David (1996)28 con il passare del tempo, si registra un cambiamento in questa neutralità, sintomo del crescente ruolo assunto dalla conoscenza. Infatti, nel diciannovesimo secolo, l’innovazione ha generato una distorsione a favore del capitale tangibile, traducendosi nel minore ricorso al fattore lavoro nel processo produttivo. A partire dagli anni 20 del secolo scorso, invece, il progresso ha determinato un’inversione di tendenza tradottosi con l’aumento del ricorso al capitale intangibile. Pertanto, il contributo apportato dal capitale fisico all’aumento della produttività diminuisce notevolmente. In particolare, nel 1973 lo stock di capitale intangibile diviene equivalente allo stock di capitale fisico e tale rapporto raddoppia tra il 1929 e il 199029.

Tali tendenze vengono confermate e incoraggiate anche in seguito all’espansione delle aziende ad alta intensità di conoscenza. Lo sviluppo di queste ultime, infatti, ha contribuito in misura via via maggiore all’incremento del prodotto interno lordo. Un segnale forte lo si registra nel 1980 negli Usa, dove il contributo apportato, passa dal 29% nel 1958 al 34% nel 198030. Sebbene vi sia una forte disparità in termini di investimento in R&S, istruzione pubblica e programmi informatici tra i vari Paesi OCSE, nel corso del tempo si è registrata una certa convergenza in termini di crescita annuale dei suddetti

28 Abramovitz M., David P.A. (1996) “Technological Change and the Rise of Intangible Investments: The US economy's growth-path in the twentieth century”, Industrial and Marketing, Vol. 41

29 Foray D. (2006), L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 30 Foray D. (2006), L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna

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investimenti. In Italia la spesa in R&S è passata dal 2005 al 2015 da 1.74% a 2.03% del PIL31.

Quindi, ciò che distingue l’economia basata sulla conoscenza è la necessità di mantenersi al passo con il continuo e rapido cambiamento dovuto all’evoluzione spesso imprevista e imprevedibile della tecnologia e delle scoperte scientifiche che spinge tutti coloro che sono impegnati nelle varie occupazioni a sviluppare nuove capacità, abilità e profili professionali; tutto ciò va ben oltre il costante aggiornamento delle conoscenze tecniche poiché appartiene alla capacità di comprendere e addirittura anticipare il cambiamento stesso. Ciò che più conta, pertanto è l’intensità del ritmo con cui essa viene creata e la sua velocità di diffusione. Due sono le modalità principali con cui si crea innovazione e si vengono così a determinare delle “fratture” rispetto alla situazione precedente: attraverso un lavoro di ricerca e sviluppo istituzionalizzato off line, cioè non collegato ai regolari processi di produzione di beni e servizi; oppure l’apprendimento on line, dove gli individui apprendono sul lavoro e così perfezionano il modo di esercitare le loro attività di produzione.

L’economia basata sulla conoscenza è improntata a una crescente specializzazione e ciò comporta una notevole frammentazione della conoscenza. Di conseguenza vi è necessariamente un problema di coordinamento fra le varie attività altamente specializzate. David e Foray indicano come soluzione a tale questione, quella già trovata da Alfred Marshall, ovvero ridurre i costi di trasporto e favorire la concentrazione locale di attività virtuali, ossia di veri e propri «distretti della conoscenza». Ma le nuove tecnologie non risolvono automaticamente il nodo dell’integrazione della conoscenza, è necessario piuttosto stabilire e sviluppare comunità interdisciplinari composte da un insieme eterogeneo di soggetti.

Lo sviluppo tecnologico e la continua innovazione, danno vita a nuove forme di sapere che necessitano di essere continuamente aggiornate, contestualizzate e rielaborate affinché non deperiscano. Da tale necessità nasce l’esigenza di gestire e coordinare le forze e le relazioni con la collettività di appartenenza al fine di produrre conoscenza innovativa la cui valenza complessiva è maggiore rispetto ai risultati ottenuti dai singoli. Anche i tradizionali centri deputati alla ricerca, come le università, beneficiano della collaborazione con l’industria, non solo per alimentare il trasferimento di informazioni ma soprattutto per elaborare processi innovativi. In questo scenario in costante divenire è

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opportuno domandarsi se i consueti modelli organizzativi sono adeguati a sostenere lo sviluppo delle nuove dinamiche finalizzate alla creazione di valore e in caso contrario capire come adattarsi per beneficiare del cambiamento.

1.3.2 La Learning Organization

I continui cambiamenti che caratterizzano lo scenario competitivo attuale, fanno sì che il mercato interno della conoscenza, con il passare del tempo diventi sempre più rapidamente obsoleto e pertanto, ogni azienda, per rimanere competitiva non può far altro che aggiornare costantemente le proprie conoscenze attraverso un apprendimento continuo. Le teorie manageriali, non più adeguate a gestire la complessità dei recenti cambiamenti, vengono soppiantate dai più recenti sistemi di knowledge management. In particolare, Druckers pone l’accento sull’improduttività del lavoro manuale:

“Productive work, in today’s society and economy, is work that applies vision, knowledge and concept – work that is based on the mind rather than the hand.32

Quello che si richiede oggi alle aziende è che si trasformino in organizzazioni orientate principalmente all’apprendimento, agendo con rapidità per rispondere ai cambiamenti che si susseguono nel proprio mercato o ambiente di riferimento. La flessibilità diviene una caratteristica fondamentale per valorizzare la conoscenza e garantire che le esperienze e il sapere individuale, siano messi a disposizione dell’intera organizzazione. Stiamo parlando di quella che oggi viene definita Learning Organization ovvero l’«organizzazione che apprende». Il termine è stato introdotto per la prima volta da Peter Senge33, affermando che:

“L’organizzazione che avrà davvero successo in futuro sarà quella che saprà stimolare l’impegno e la capacità di imparare della gente a tutti i livelli organizzativi.34”

Senge continua definendo la stessa come:

“L’organizzazione che apprende è quella che incoraggia l’apprendimento permanente e la generazione di conoscenza a tutti i livelli, istituisce processi che possono far circolare

32 Drucker P. (1959) Landmarks of Tomorrow, Harper & Brothers, New York

33 Senge P., teorico dell’organizzazione che apprende, descrive l’apprendimento sulla base di cinque discipline che permettono alle persone di apprendere quando sono inserite in un contesto organizzativo. 34 Senge M. P., (1990), The Fifth Discipline, the Art and Practice of the Learning Organization. Traduzione it. di A. Rolandini Martelli, Sperling & Kupfer (2006) L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo.

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30 con facilità la conoscenza nell’organizzazione là dove essa è necessaria e può tradurla rapidamente in cambiamenti nel modo di agire sia all’interno sia all’esterno.”

Questa nuova visione, implica il delinearsi di un’organizzazione che impara e incoraggia l’apprendimento dei suoi membri. La learning organization promuove la comunicazione ad ogni livello organizzativo, in modo tale che tutti siano coinvolti nell’identificazione e nella risoluzione delle problematiche che possono via via presentarsi, sperimentando, migliorando e incrementando le proprie capacità. L’obiettivo è quello di creare un’ambiente nel quale le informazioni siano liberamente accessibili ad ogni livello gerarchico e favorire una cultura che incoraggi l’adattabilità e la partecipazione.

Quindi, il presupposto fondamentale della learning organization è la capacità di apprendimento tramite l’azione e l’esperienza dei suoi membri che attraverso i risultati conseguiti generano beneficio per l’intera organizzazione.

Secondo Senge, l’organizzazione che apprende è capace sia di apprendimento generativo (attivo) sia di apprendimento adattivo (passivo), che insieme costituiscono le fonti sostenibili di vantaggio competitivo.

Pertanto possiamo rinvenire, la chiave del successo, nel creare le opportunità affinché i lavoratori possano collaborare al meglio. Il protagonista di questo tipo di organizzazione è il knowledge worker o lavoratore della conoscenza, che, come vedremo meglio nel paragrafo successivo si distingue notevolmente dal lavoratore tradizionale. Il knowledge worker istaura rapporti all’interno dell’organizzazione, tra i colleghi, attraverso l’utilizzo di strumenti quali la rete aziendale, utile per soddisfare sia le proprie esigenze di apprendimento che per contribuire a mantenere e migliorare la propria posizione all’interno dell’organizzazione. L’interazione esterna avviene invece con i clienti, i fornitori e le aziende partner, tutti imparano, rafforzano la propria

posizione sul rispettivo mercato di riferimento. Inoltre, possiamo notare come cambia il ruolo del cliente: nelle organizzazioni basate sulla conoscenza, la relazione con

quest’ultimo non è più guidata a senso unico dal mercato, ma diventa una partnership in cui le soluzioni sono concreate e la conoscenza circola in entrambe le direzioni.

Dal punto di vista manageriale, la Learning Organization è caratterizzata dalla decentralizzazione delle decisioni e delle responsabilità, dalla maggiore autonomia conferita ai gruppi di lavoro, dall’integrazione di tutte le funzioni lavorative all’interno del sistema globale aziendale, e dall’abbattimento generalizzato delle tradizionali strutture gerarchiche che conferiscono rigidità all’intero sistema.

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Senge suggerisce che le basi di una Learning Organization siano un mix di cinque elementi, o discipline e che da queste basi sia possibile costruire organizzazioni innovative, orientate all’apprendimento. Per costruire un’organizzazione capace di apprendere, i manager dovrebbero seguire questi principi:

➢ adottare un pensiero sistemico: riuscire ad anticipare le relazioni di causa effetto attraverso l’osservazione dei vari processi al fine di valutarne gli esiti.;

➢ incoraggiare in sé stessi il “governo personale”: l’apprendimento individuale non implica necessariamente un apprendimento organizzativo. Il manager deve essere in grado di porre in essere i processi necessari affinché tale condizione si realizzi, mobilitare le risorse per generare un sapere condiviso.

➢ portare in superficie e porre in discussione i “modelli mentali” prevalenti: si tratta di favorire l’istaurazione di modelli mentali fluidi e flessibili, orientati all’apprendimento e all’innovazione

➢ costruire una “vision condivisa”: infatti, l’apprendimento deve essere una scelta e non un compito assegnato. Per questo è importante che gli obiettivi e la vision aziendale sia pienamente condivisa e fatta propria.

➢ facilitare “l’apprendimento nel team”: la creazione dei gruppi di lavoro permette di affrontare meglio le problematiche e di aumentare le possibilità di sviluppare innovazioni tecnologiche.

Paradossalmente, se il sistema di Knowledge Management non è adeguatamente implementato esso è “causa dei suoi stessi mali”. Infatti, se il personale non ha chiaro i benefici legati alla sua implementazione, si possono innescare sentimenti di reticenza e ostilità. Cosi come, l’eccessiva complessità nell’adozione e le nuove pratiche, possono originare nuove difficoltà che prima non esistevano. Per questo motivo una corretta interpretazione ed applicazione dello stesso, attraverso l’uso di adeguati strumenti, sono condizioni necessarie e imprescindibili per una eccellente gestione della conoscenza.

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