• Non ci sono risultati.

L'archeologia delle alluvioni: problemi di analisi dei contesti ceramici. Un caso di studio dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa-San Rossore.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'archeologia delle alluvioni: problemi di analisi dei contesti ceramici. Un caso di studio dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa-San Rossore."

Copied!
910
0
0

Testo completo

(1)

DOTTORATO IN

SCIENZE STORICHE, ARCHEOLOGICHE

E STORICO-ARTISTICHE

Coordinatore prof. Francesco Caglioti

XXXI ciclo

Dottoranda: Teresa Tescione

Tutor: prof. Luigi Cicala

Tesi di dottorato:

L’archeologia delle alluvioni: problemi di analisi dei contesti ceramici.

Un caso di studio dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa-San Rossore.

(2)

Sommario

TOMO PRIMO ... 4

INTRODUZIONE ... 6

1. Archeologia delle alluvioni ...10

1.1. Archeologia delle alluvioni: approcci metodologici ...11

1.2. Archeologia e alluvioni antiche: storia della ricerca ...13

1.3. Le alluvioni ...16

1.4. Le caratteristiche delle alluvioni ...17

1.5. Le tematiche di ricerca dell’Alluvial Geoarchaeology ...20

1.5.1. Impatto antropico o cambiamento climatico? ... 20

1.5.2. Il rapporto uomo-ambiente nei contesti alluvionali ... 29

1.5.3. Problemi di conservazione dei siti archeologici ‘alluvionali’ ... 35

1.5.4. Ricostruzioni paleoambientali dei contesti alluvionali ... 36

1.6. Contesti di ricerca ...37

1.6.1. Pianure alluvionali... 37

1.6.2. Terrazze fluviali ... 38

1.6.3. Ventagli alluvionali ... 38

1.7. Metodi della ricerca ...39

1.7.1. Tecniche di datazione ... 39

1.7.2. Metodologia di ricostruzione dei fenomeni alluvionali ... 41

1.8. Record archeologici e contesti alluvionali ...44

2. Cantiere delle Navi Antiche di Pisa San Rossore ...49

2.1. La scoperta del sito ...50

2.2. Contesto storico-archeologico ...57

2.2.1. Pisa dal periodo tardo-repubblicano al tardo antico: un inquadramento storico-archeologico…57 2.2.2. San Rossore ... 61

2.3. Inquadramento geo-morfologico e contesto ambientale dell’approdo di San Rossore ...76

2.3.1. Cenni sull’evoluzione geo-morfologica della piana alluvionale pisana ... 76

2.3.2. Idrografia ... 78

2.3.3. Deposito fluviale di San Rossore: status questionis ... 82

2.4. Analisi stratigrafica dei depositi alluvionali ...84

2.5. Cause del dissesto idrogeologico ...89

2.6. Ricostruzione del paleoambiente del sito di San Rossore ...91

2.7. Il sistema portuale pisano ...92

2.7.1. Approdo di S. Rossore ... 98

3. Cantiere delle Navi Antiche di Pisa San Rossore: Area 5 ... 100

3.1. Le vicende di scavo dell’Area 5 ... 101

3.1.1. Indagini archeologiche 1998-2001 ... 101 3.1.2. Indagini archeologiche 2004-2005 ... 104 3.1.3. Indagini archeologiche 2013-2014 ... 105 3.2. Il contesto storico-archeologico ... 106 3.2.1. Sequenza stratigrafica 1998-2001 ... 106 3.2.2. Sequenza stratigrafica 2004-2005 ... 108 3.2.3. Sequenza stratigrafica 2013-2014 ... 113

(3)

3.3. Inquadramento geomorfologico e paleoambientale ... 117

3.3.1. Analisi geoarcheologica della sequenza stratigrafica ... 117

3.3.2. Ricostruzione del contesto geomorfologico dell’Area 5: il limite settentrionale del bacino 119 3.3.3. Ricostruzione paleoambientale dell’Area 5 ... 120

3.4. Inquadramento cronologico della sequenza stratigrafica dell’Area 5 ... 121

4. Metodi della ricerca: questioni teoriche e scelte operative ... 123

4.1. Metodologie di analisi geoarcheologica della sequenza stratigrafica dell’Area 5 ... 123

4.1.1. Approcci nella ricostruzione del paleopaesaggio dell’Area 5 ... 125

4.2. Metodologie di analisi del contesto ceramico dell’Area 5 ... 128

4.2.1. Analisi quantitative ... 132

4.2.1.1. Premessa metodologica ... 132

4.2.1.2. Sistemi a confronto per il caso di studio... 142

4.2.2. Analisi qualitative ... 144 4.2.2.1. Premessa metodologica ... 144 4.2.2.2. Il caso di studio ... 148 4.2.3. Analisi cronologiche ... 149 4.2.3.1. Premessa metodologica ... 149 4.2.3.2. Il caso di studio ... 166 4.2.4. Analisi spaziali ... 168 4.2.4.1. Premessa metodologica ... 168 4.2.4.2. il caso di studio ... 176

4.3. Paleo-idrologia: spunti di riflessione ... 177

5. Elaborazione dei dati stratigrafici e analisi del contesto ceramico dell’Area 5 ... 184

5.1. Lettura geoarcheologica della sequenza stratigrafica dell’Area 5: risultati della ricerca ... 185

5.1.1. Ricostruzione del paleo-paesaggio dell’Area 5 ... 202

5.2. Analisi del contesto ceramico dell’Area 5 ... 207

5.2.1. Analisi quantitative ... 208

5.2.2. Analisi qualitative ... 213

5.2.2.1. Aspetto delle fratture e delle superfici ... 213

5.2.2.2. Indice di completezza... 216

5.2.2.3. Indice di frammentarietà ... 219

5.2.2.4. Tracce d’uso ... 223

5.2.2.5. Indicatori di produzioni ... 224

5.2.3. Analisi cronologiche ... 225

5.2.3.1. Somma delle medie ponderate ... 225

5.2.3.2. Analisi cronologiche ‘cumulative’ ... 233

5.2.3.3. Indici della residualità e intrusività ... 236

5.2.4. Analisi spaziali ... 240

5.2.4.1. Mappe di diffusione ... 240

5.2.4.2. Mappe di dispersione... 246

5.2.4.3. Mappe di distribuzione delle classi ceramiche... 253

5.2.4.4. Analisi spaziale dell’indice di completezza ... 284

5.2.1.1. Analisi del flusso alluvionale ... 288

5.2.1.2. Indice di magnitudine alluvionale ... 292

5.2.2. Storie di alluvioni ... 294

6. I contesti ceramici dell’Area 5: analisi e letture ... 301

6.1. Età tardo-repubblicana ... 303

6.2. Età alto-imperiale ... 309

6.3. Età medio-imperiale ... 332

(4)

6.5. Fasi di frequentazione dell’approdo ... 364

6.6. La ceramica dell’Area 5: il contributo alla lettura dello scalo di San Rossore ... 367

6.7. Una proposta di sintesi ... 369

TOMO SECONDO ... 373

7. Il Catalogo ... 374

7.1. La struttura del catalogo... 374

7.2. Gli impasti ... 382

7.3. I materiali... 514

7.3.1. Ceramica a vernice nera ... 514

7.3.2. Ceramica italo-megarese... 514

7.3.3. Ceramica a pareti sottili ... 514

7.3.4. Lucerne ... 519

7.3.5. Ceramica sigillata ... 521

7.3.5.1. Ceramica sigillata italica ... 521

7.3.5.2. Ceramica sigillata tardo-italica ... 525

7.3.5.3. Ceramica sigillata africana ... 539

7.3.5.3.1.Produzione A ... 539 7.3.5.3.2.Produzione C ... 547 7.3.5.3.3.Produzione D... 548 7.3.6. Contenitori da trasporto ... 553 7.3.6.1. Anfore italiche ... 553 7.3.6.2. Anfore iberiche ... 585 7.3.6.3. Anfore galliche ... 612 7.3.6.4. Anfore orientali... 619 7.3.6.5. Anfore africane ... 621 7.3.7. Ceramica comune ... 655 7.3.8. Balsamari ... 678 7.3.9. Ceramica da cucina ... 678 7.3.9.1. Ceramica da cucina ... 678

7.3.9.2. Vernice rossa interna ... 696

7.3.9.3. Ceramica da cucina africana ... 696

7.3.9.4. Pantellerian Ware ... 732

7.3.10. Grandi contenitori ... 733

7.3.11. Ceramica post-antica ... 734

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE ... 735

ABBREVIAZIONI DEGLI AUTORI ANTICHI ... 775

INDICE DELLE FIGURE ... 776

(5)
(6)
(7)

INTRODUZIONE

Il crescente interesse che, negli ultimi decenni, è andato maturandosi intorno ai temi della Alluvial Archaeology, in particolare sull’analisi di contesti stratigrafici formatisi per effetto di eventi naturali di grande portata, costituisce lo spunto iniziale di questa ricerca. I sistemi alluvionali, come altri ambienti naturali, sono oggetto di studio, soprattutto, dell’archeologia dei paesaggi, della geoarcheologia, dell’archeologia delle acque. Ciascuna di queste discipline ha definito, nel tempo, ambiti specifici di indagine: l’analisi geoarcheologica è finalizzata all’individuazione dei processi formativi degli eventi alluvionali1; l’archeologia ambientale focalizza l’interesse sulla ricostruzione del

paleoambiente, in cui si formano i contesti alluvionali2; l’archeologia delle acque3 tende a caratterizzare

e a quantificare alcune caratteristiche, come la direzione, la velocità e la magnitudine dei flussi, in chiave paleo-idrologica.

Sul piano archeologico, invece, lo studio dei record derivanti da depositi alluvionali non ha trovato finora un dibattito ampio e organico. In letteratura, di frequente, l’analisi dei materiali ceramici, restituiti da questo tipo di depositi, resta limitata alla prospettiva del contesto ‘aperto’, considerando, gli stessi reperti, come un insieme eterogeneo e indifferenziato, poco utile in termini di datazione e di ricostruzione dei processi.

Partendo da questi problemi aperti, che esprimono un sostanziale ‘relativismo’, si è inteso definire un percorso di ricerca in grado di “recuperare” il ruolo e il potenziale informativo della ceramica, fossile guida archeologico, nell’ambito dei contesti alluvionali.

Gli obiettivi di questo lavoro mirano alla definizione e alla discussione di un modello di lettura dei contesti ceramici in questo tipo di depositi, attraverso diversi livelli di analisi, quali l’esame delle proposte metodologiche presenti in letteratura; la definizione, in chiave multidisciplinare, del rapporto tra analisi archeologica e geologica dei contesti alluvionali; la discussione critica degli approcci analitici dei ‘depositi’ ceramici in contesti alluvionali; l’individuazione degli strumenti per il trattamento dei dati; la definizione degli output derivati dall’elaborazione dei dati.

La sperimentazione di questo approccio ha preso forma nel lavoro condotto su di un caso di studio esemplificativo e di particolare significatività nell’ambito dell’Alluvial Archaeology. Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa San Rossore rappresenta, in tal senso, un contesto privilegiato per analizzare fenomeni naturali di grande portata e formazione dei depositi ceramici4. L’area di San Rossore ha

restituito l’evidenza di un canale fluviale inattivo in epoca romana, ma collegato al mare, per il

1 BROWN 1997.

2 Si veda da ultimo HOWARD 2003. 3 EDGEWORTH 2011.

4 Il presente lavoro è stato reso possibile grazie alla cortese disponibilità del Soprintendente Archeologo per le province di Pisa

e Livorno, dott. Andrea Muzzi e, in particolar modo, del dott. Andrea Camilli, Direttore del Cantiere delle Navi Antiche di Pisa, che ha generosamente reso disponibile lo studio del contesto ceramico e la consultazione dei dati di archivio. Un ringraziamento particolare va a tutto il personale del Cantiere delle Navi per la cordiale disponibilità, in particolare le dott.sse Annamaria Puccinelli e Paola Quagliarella, per la gestione del magazzino e per le indicazioni utili allo svolgimento del lavoro, e il sig.re Giuseppe Cavagnuolo. Ringrazio il prof. Luigi Cicala, senza il quale questa ricerca non avrebbe avuto inizio, il prof. Marco Pacciarelli per i preziosi suggerimenti metodologici, il prof. Marco Benvenuti, per la discussione dei dati geo-archeologici dell’Area 5, la prof.ssa Simonetta Menchelli, che mi ha fornito utili indicazioni sul contesto ceramico analizzato, la prof.ssa Giovanna Greco per il supporto scientifico e le proposte interpretative, i prof. Ricardo Gonzalez Villaescusa e Carlos Fabiao per le informazioni sul vasellame di importazione africana e lusitana. Un ringraziamento particolare va al prof. Luigi Vecchio per il supporto epigrafico e al prof. M. De Nardis per le informazioni riguardanti lo ius alluvionis. Un sentito ringraziamento va al Dott. Domenico Barreca, che mi ha fornito una notevole quantità di informazioni derivanti dalle campagne di scavo da lui condotte per la cooperativa archeologica Archeologia s.r.l. e per le significative proposte interpretative. Un ulteriore ringraziamento va al dott. Michele Cotugno, che mi ha coadiuvato nel periodo di studio pisano e senza il quale questo lavoro non sarebbe stato possibile, nonché alle giovani archeologhe Benedetta Castronuovo, Michela Centola, Rita Didelfo, Martina Imbimbo, Francesca Mottola, Federica Pellecchia che mi hanno seguito nel lavoro di catalogazione dei manufatti ceramici. Un ringraziamento sentito va alla dott.ssa Gloriana Pace, che mi ha affiancato nel corso dell’esperienza pisana e mi ha fornito dati inediti, frutto del suo lavoro di ricerca. Un rigraziamento particolare va al prof. Francesco Caglioti per la sua estrema disponibilità nel corso degli ultimi due anni del percorso di ricerca.

(8)

trasferimento delle merci verso la vicina Pisa5. Il paleo-alveo è stato interessato da una serie di eventi

alluvionali, generati dalle esondazioni del fiume Arno, posto 1 km più a Sud6. La sequenza degli eventi

nel tempo ha determinato, nel corso del VI sec. d.C., la definitiva obliterazione dell’invaso fluviale7.

Considerata l’estensione del sito archeologico e la quantità dei record restituiti nel corso di 15 anni di indagine, è stata scelta, come campione, l’Area 5, uno dei depositi più interessanti dal momento che costituisce l’ultima unità sedimentaria alluvionale (Unità 4), in cui si riscontrano non solo i depositi alluvionali più recenti, ma anche quelli più antichi nella storia fluviale del bacino di San Rossore.

Gli obiettivi che hanno animato la ricerca sono stati diversi: l’integrazione del record archeologico con i dati geo-morfologici, pedologici e stratigrafici; la periodizzazione e l’inquadramento cronologico della sequenza stratigrafica; l’analisi e la discussione dei contesti ceramici (approcci quantitativi e qualitativi); la definizione degli elementi caratterizzanti per le ipotesi di ricostruzione dei possibili contesti di provenienza dei materiali residuali e intrusivi; l’analisi delle aree di dispersione dei manufatti ceramici.

Lo studio dei processi formativi dei contesti ceramici indagati, incentrato soprattutto sugli apporti alluvionali, ha avuto come base di partenza l’analisi della sequenza stratigrafica restituita dalle indagini 1998-2014. La lettura stratigrafica è stata sviluppata in chiave geo-archeologica, attraverso una valutazione sinottica delle informazioni derivanti dai sondaggi geologici e di quelle restituite dallo scavo archeologico.

Gli strumenti operativi più idonei per questo tipo di approccio, naturalmente, privilegiano le tecnologie GIS, che nel caso dell’Area 5 di San Rossore hanno consentito di gestire dati documentari, caratterizzati da una considerevole quantità ed eterogeneità, relativi alla fase di scavo e post scavo dei relitti I e D8. La complessità della documentazione, frutto di operatori diversi e redatta in anni diversi

(dal 1998 al 2014), ha reso necessario un intervento finalizzato alla normalizzazione dei dati. La piattaforma GIS ha permesso la restituzione topografica delle unità stratigrafiche e la rielaborazione della sequenza stratigrafica, sviluppata a partire dalla registrazione delle caratteristiche sedimentologiche e delle relazioni stratigrafiche. In tal modo, è stato sviluppato un vero e proprio “Sistema Informativo Stratigrafico”9, pertinente a tutte le fasi riconosciute nel corso dello scavo.

Il passaggio successivo ha visto la restituzione tridimensionale della realtà stratigrafica, con la creazione di un modello DEM (Digital Elevation Models), che ha permesso una migliore percezione del rapporto tra i relitti (D, I) e i contesti deposizionali, facilitando la ricostruzione delle dinamiche alluvionali dell’Area 5.

Su questa base documentaria è stato avviato lo studio dei contesti ceramici inediti, attraverso un’accurata analisi filologica di circa 37000 frammenti, che rappresentano un insieme molto ampio e articolato per cronologia e classi ceramiche. Il database relazionale, implementato per la catalogazione dei frammenti, è stato trasformato, successivamente, in un database spaziale nell’ambito della piattaforma GIS.

Tale trattamento dei record ceramici ha consentito l’applicazione di differenti procedure di tipo matematico-statistico e la restituzione spaziale delle aree di dispersione dei reperti analizzati. La quantità dei frammenti, tuttavia, ha reso necessaria una selezione dei contesti da analizzare, scegliendo i depositi relativi alle fasi dalla 1 alla 7, che vanno dalla obliterazione definitiva del canale ai depositi sottostanti il relitto I.

Lo studio del contesto ceramico è stato sviluppato attraverso differenti tipi di analisi e di osservazione, valutati con l’applicazione di diversi trattamenti statistici. Per l’analisi quantitativa sono state sperimentate, in primo luogo, alcune delle proposte discusse in letteratura10, scegliendo, sulla

base dei risultati, l’approccio metodologico sviluppato nell’ambito del Protocole Beauvray11.

5 Da ultimo BENVENUTI ET ALII 2006. 6 BENVENUTI ET ALII 2006.

7 BENVENUTI ET ALII 2006.

8 L'elaborazione della piattaforma GIS è stata sviluppata ricorrendo al software Open Source Qgis. 9DESACHY 2008.

10 ADROHER AUROUX ET ALII 2016; ARCELIN-TRUFFEAU LIBRE 1998;ORTON ET ALII 1993. 11 ARCELIN-TRUFFEAU LIBRE 1998.

(9)

Le analisi qualitative hanno consentito di valutare lo stato di conservazione delle fratture, l’indice di completezza e di frammentarietà, l’aspetto delle superfici. In tal modo, è stato possibile raccogliere molti dati sulle vicende deposizionali e post-deposizionali delle stratigrafie dell’Area 5.

Per quanto riguarda le analisi cronologiche, si è tentata una lettura dei contesti ceramici attraverso il metodo della somma delle medie ponderate, rielaborando le proposte di N. Terrenato e G. Ricci12, a partire da una prima riformulazione di questa metodologia, sviluppata da M. Ceci per i contesti

ceramici dei Fori Imperiali13. La somma delle medie ponderate sul totale delle ceramiche ha permesso

la ricostruzione cronologica delle singole fasi e del complesso palinsesto dell’Area 5.

Le mappe di dispersione ‘puntiformi’ e heatmaps hanno restituito delle peculiari aree di concentrazione e distribuzione della ceramica, estrapolate sulla base delle diverse queries applicate alle variabili quantitative, qualitative e crono-tipologiche registrate in sede analitica.

I risultati della ricerca hanno offerto un utile contributo, in primo luogo, alla definizione degli eventi alluvionali caratterizzanti la storia fluviale del canale di San Rossore.

La lettura geo-archeologica della sequenza stratigrafica dell’Area 5, che, come si è accennato, rappresenta l’ultima unità sedimentaria riconosciuta dai geologi (Unità 4)14, e l’analisi filologica dei

contesti ceramici ha consentito la definizione di una nuova proposta di periodizzazione.

La letteratura sul Cantiere delle Navi ha necessariamente privilegiato, finora, la ricostruzione dei macro-eventi e dei fenomeni complessivi, che hanno interessato l’approdo fluviale15. La presente

ricerca ha inteso sperimentare il percorso inverso, cioè, note le ‘forze’ che hanno condizionato i depositi archeologici, si è cercato, nei limiti del possibile, di ripulire dal “rumore”16 di fondo i contesti, tentando

di riferire gli oggetti di disturbo a dei possibili tipi di provenienza originale.

Le analisi quantitative e crono-tipologiche dei repertori ceramici, contraddistinti da un ampio range cronologico e da una significativa varietà formale e tipologica, hanno caratterizzato e definito la periodizzazione del settore nord-occidentale del Cantiere, in relazione ai relitti delle navi D e I, riconoscendo significative concentrazioni ceramiche. Sono stati individuati depositi ceramici pertinenti a contesti in giacitura secondaria, formatisi nel corso della tarda repubblica (150 a.C.), seconda metà dell’età augustea (0-15 d.C.), età tardo traianea-adrianea (100-130 d.C.), metà III sec. d.C., metà del IV sec. d.C. e primo ventennio del V sec. d.C.

Seguendo questo percorso di ricerca sono emersi diversi elementi di riflessione sulle modalità di deposizione delle Navi D e I nelle stratigrafie di San Rossore.

Rispetto al problema dell’articolazione dei repertori ceramici, derivati dai ripetuti eventi alluvionali, come si è detto, si è tentato di affrontare il problema della provenienza e delle ‘giaciture’ primarie, definendo dei possibili tipi di contesti originari. Il bacino stratigrafico dell’Area 5 rappresenta, in tal senso, un significativo laboratorio di sperimentazione, dal momento che l’insieme dei materiali ceramici offre un’ampia gamma di casistiche di ‘ingresso’ nelle stratificazioni, con oggetti caduti accidentalmente in acqua, altri gettati in maniera intenzionale, quelli appartenenti alla dotazione di bordo o al carico delle navi, quelli convogliati dalle alluvioni, etc. Nei limiti del possibile è stata tentata una ricostruzione delle associazioni di vasellame rispetto alle concentrazioni ‘cronologiche’ individuate, definendo dei raggruppamenti di materiali coerenti dal punto vista funzionale e tipologico.

I risultati del lavoro sul contesto ceramico dell’Area 5, inoltre, sono stati proiettati nel più ampio quadro conoscitivo di San Rossore, incrociando i dati con altri settori di scavo, per verificare eventuali compresenze rispetto a carichi navali, individuati nel corso dei precedenti lavori17.

Allo stesso modo, l’analisi dei materiali ha offerto un campione molto interessante dei manufatti che circolavano nello scalo fluviale e nel contesto sub-regionale di riferimento. Questi elementi sono stati discussi nella prospettiva delle evidenze dell’alto Tirreno, seguendo le fenomenologie documentate in altri contesti rappresentativi, in cui si riflettono molti di quei processi di scala più ampia,

12 TERRENATO-RICCI 1998. 13 CECI 2013. 14 BENVENUTI ET ALII 2006. 15 REMOTTI 2012. 16 GALLANT 1986. 17 Da ultimo REMOTTI 2012.

(10)

noti nel Mediterraneo occidentale nel periodo compreso tra l’età tardo-repubblicana e quella tardo antica.

(11)

1. Archeologia delle alluvioni

L’archeologia delle alluvioni rappresenta un filone della ricerca, che ha manifestato, in anni recenti, un crescente sviluppo. Sebbene sia evidente l’interesse archeologico per i contesti alluvionali, manca ad oggi una consolidata tradizione degli studi relativa all’Alluvial Archaelogy.

Del resto, dal momento che le piane alluvionali conservano, così come altri contesti ambientali, un’eccellente memoria archeologica, risultano ambiti di studio di diversi settori disciplinari, quali la geoarcheologia, l’archeologia dei paesaggi, l’archeologia delle acque, la recente paleo-idrologia. La compresenza in diversi ambiti della ricerca archeologica ha provocato una scarsa definizione degli orientamenti, delle metodologie, delle pratiche proprie dell’Alluvial Archaeology.

In questa sede, si è inteso tratteggiare, in primo luogo, una storia degli studi di questo filone della ricerca, che ha contribuito a definirne i progressivi sviluppi da un punto di vista metodologico, a partire dal lavoro di Vita Finzi ai convegni più recenti (1997-2003), che hanno iniziato a delineare, già dal titolo, l’Alluvial Archaeology quale orientamento autonomo della ricerca archeologica.

In secondo luogo, è stato necessario definire le tecniche e le metodologie proprie della giovane archeologia delle alluvioni, prendendo in considerazione sia i lavori strettamente dedicati a questa tematica sia ambiti degli studi archeologici, che affrontano l’analisi di depositi alluvionali a margine di altri settori della ricerca.

A partire da questa analisi, è apparso ancor più evidente l’assenza di un dibattito strettamente archeologico per quanto riguarda lo studio dei contesti alluvionali, tanto che si può parlare di un’Alluvial Geoarchaeology piuttosto che di un’Alluvial Archaeology. In tal senso, si è proceduto all’elaborazione di un modello teorico per l’archeologia delle alluvioni, partendo da una disamina dei diversi casi di studio, proposti nella letteratura specifica dell’Alluvial Archeology. Da questa rassegna dei lavori di ricerca è emerso che l’analisi dei contesti alluvionali è sviluppata in special modo in America, Europa centrale e settentrionale ed in alcuni paesi mediterranei (come in Spagna). È, dunque, evidente una scarsa incidenza di questa tematica negli ambiti della ricerca archeologica italiana, dove compare in maniera quasi sempre marginale, inserita in lavori di interesse maggiormente geologico, o in studi preistorici.

In sintesi, la ricostruzione degli approcci analitici nell’ambito dell’archeologia alluvionale ha consentito di evidenziare come questo sia un orientamento metodologico ancora da sviluppare come filone autonomo della ricerca archeologica.

Del resto, è evidente dalle tematiche dei lavori, ad oggi realizzati, come possano essere numerose e variegate le prospettive di ricerca; alcune delle quali risultano, tuttora, ad uno stato ancora embrionale (è questo è il caso della valorizzazione dei siti alluvionali) o non ancora pienamente sviluppato (come per le ricostruzioni paleo-ambientali dei contesti alluvionali).

Inoltre, appare evidente un’assenza di dialogo tra i diversi approcci metodologici sperimentati nelle diverse discipline archeologiche per quanto riguarda la lettura dei contesti alluvionali; questa mancata interazione ha compromesso la nascita di un filone autonomo, in grado di combinare i diversi approcci.

È evidente, altresì, uno scarso interesse nei confronti dei record archeologici derivanti da sequenze stratigrafiche alluvionali, ancor più nel caso di manufatti ceramici; in generale, si considerano di scarso valore per la ricostruzione delle dinamiche morfogenetiche.

La discussione, qui presentata, intende evidenziare e delineare le tematiche e gli approcci sviluppati nell’ambito dell’Alluvial Archaeology con il fine di rendere definiti i metodi, le procedure

(12)

analitiche e le prospettive di indagine di questo filone della ricerca, ancora marginale per quanto riguarda gli studi archeologici.

1.1. Archeologia delle alluvioni: approcci metodologici

L’archeologia delle alluvioni è un filone della disciplina archeologica ambientale e trova la sua piena espressione nello studio di contesti peculiari, caratterizzati da particolari condizioni di rinvenimento, in cui i fattori naturali ed antropici interagiscono su un record archeologico, contraddistinto da estrema mobilità spaziale e da ampio range cronologico18.

Negli ultimi vent’anni si è registrata una forte crescita di interesse nei confronti dell’archeologia degli ambienti bagnati o wetland19, perché, come altri contesti naturali di ambiente

umido, quelli alluvionali conservano un’eccellente memoria archeologica20. L’informazione

conservata, che può offrire ottime possibilità ricostruttive delle passate condizioni di vita, dipende da una varietà di fattori fisici o da un impatto antropico21.

In letteratura, è pressoché impossibile distinguere un approccio archeologico da uno geoarcheologico per quanto riguarda lo studio dei contesti alluvionali, poiché si tratta di un’analisi di un contesto naturale in cui risulta imprescindibile l’interazione tra geologi (nello specifico geomorfologi) ed archeologi.

Le analisi geoarcheologiche, in questo ambito, trovano espressione in due tipologie di lavori presenti in letteratura: report di scavo a scala locale o regionale e analisi paleoambientali.

I report di scavo sono concentrati sull’identificazione delle caratteristiche del sistema alluvionale, che sembra avere un potere esplicativo sulla posizione del sito archeologico22.

Le analisi paleoambientali provano a spiegare la storia, la funzione e la tipologia del sito, attraverso i cambiamenti naturali23. Quest’ultima tendenza della ricerca consente l’elaborazione di

modelli predittivi significativi statisticamente per quanto riguarda la localizzazione di siti archeologici24, ma, al contempo, mostra gravi criticità, come l’incapacità di definire cambiamenti

non dipendenti da variabili ambientali25. Questa tipologia di studi, talvolta, risulta essere

caratterizzata da un determinismo ambientale, che lascia poco spazio a fattori sociali26, derivanti

dalla correlazione tra evidenze ambientali e materiali27. In alcuni casi, tuttavia, i cambiamenti sociali

avvenuti durante un periodo di stabilità climatico-ambientale sono stati considerati come causa di una variazione nelle scelte insediative28.

I depositi alluvionali hanno ricevuto grande attenzione negli studi sul paesaggio archeologico con l’obiettivo di misurare l’impatto antropico sull’ambiente nell’antichità29. In questa

tipologia di studi risulta preponderante l’analisi diacronica del paesaggio, in rapporto allo sviluppo dei fattori di dissesto idrogeologico.

Nella letteratura archeologica, inoltre, la tematica dei dissesti idrogeologici rientra nel dibattito dell’archeologia dell’acqua, dove, nell’ambito dell’analisi del water management, si esaminano i sistemi ingegneristici di gestione dei flussi alluvionali nei territori caratterizzati da grandi rischi idrogeologici30. In questa tipologia di studi, che enfatizzano il ruolo antropico, si

18MACKLIN-NEEDHAM 1992,p.9. 19MACKLIN-NEEDHAM 1992;BROWN 1997.

20BROWN 1997, p.2;MACKLIN-NEEDHAM 1992, pp.197-208. 21BROWN 1997,p.2. 22BROWN 1997, pp.189-190. 23BROWN 1997,pp.189-190. 24BROWN 1997,p.190. 25BROWN 1997,p.190. 26BROWN 1997,p.190. 27BROWN 1997,p. 3. 28BROWN 1997,p.190.

29ATTEMA-DELVIGNE 2000;BROWN 1997,p.3. 30BARKER 1996,p.169.

(13)

analizza lo sviluppo di paesaggi agricoli31 e la realizzazione delle opere ingegneristiche (mulini,

dighe, tunnel, muri, argini, etc.) come elemento propulsivo dei processi erosivi e deposizionali32. Gli

eventi alluvionali, a loro volta, possono condizionare le scelte insediative e le attività antropiche rivolte al controllo dei flussi idrici con differenti tecnologie33.

Infine, la lettura geoarcheologica dei contesti alluvionali rientra nei campi di indagine dell’archeologia fluviale o ‘Archaeology of flow’; in questo approccio metodologico i processi formativi dei depositi alluvionali risultano essere correlati allo sviluppo morfologico dei corsi d’acqua interni34.

Legata all’analisi geoarcheologica delle alluvioni è la paleoidrologia, definita come «la scienza che studia le acque della Terra, la loro composizione, distribuzione, movimento sui paesaggi antichi, dall’avvento della prima pioggia alla formazione del record idrologico»35 o più brevemente

«lo studio dei processi fluviali del passato e le loro implicazioni idrologiche»36. In questo genere di

approccio è possibile ricostruire la portata dei depositi fluviali, la morfologia e la dimensione dei paleocanali37. L’elaborazione di modelli paleoidrologici si basa su dati derivanti dal regime di

piovosità o di tipo paleoecologico38. Le informazioni che ne scaturiscono possono fornire una misura

del rischio o delle risorse negative in termini di alluvioni e siccità39.

Nell’ambito degli studi geoarcheologici dei contesti alluvionali risulta molto sviluppata anche la paleoecologia40. Si tratta di un approccio disciplinare, che fornisce spunti per la

ricostruzione del paesaggio delle piane alluvionali, analizzando il cambiamento cronologico dei processi ecologici così come di quelli geomorfologici41. La paleoecologia può fornire un’eccellente

fonte di informazione per lo sviluppo diacronico della vegetazione tipica delle piane alluvionali, utilizzando i dati derivanti dalle analisi dendrocronologiche42. Uno dei fattori di rischio degli studi

paleoecologici delle piane alluvionali è la presenza di inferenze spaziali, che possono condizionare la ricostruzione complessiva della paleofauna e possono essere ridotte in seguito ad analisi dei fattori ecologici e a letture tafonomiche di produttività, dispersione e conservazione43. Le piante

macrofossili, ad esempio, potrebbero sia avere un’origine locale, sia provenire da siti collocati in contesti a monte44. Inoltre, in un deposito particolarmente sensibile alle bioturbazioni, i macrofossili

non lignei potrebbero essersi decomposti, mentre quelli integri potrebbero tradire un’origine diversa da quella locale (è il caso dei macrofossili lignei che potrebbero essere trasportati da aree considerevolmente distanti)45. In presenza di elementi eterogenei nella ricostruzione della

paleovegetazione e della paleofauna, le diverse specie animali e vegetali possono essere separate ricorrendo al concetto di taxocenesis e alle analisi multivariate46. Negli studi paleoecologici è

31MACKLIN-NEEDHAM 1992,p.272. 32MACKLIN-NEEDHAM 1992,p.272. 33MACKLIN-NEEDHAM 1992,pp.206-207. 34EDGEWORTH 2011. 35BROWN 1997,pp.82-84;SCHUMM 1977. 36BROWN 1997, p.84;CHEETHAM 1976. 37BROWN 1997,p.84. 38BROWN 1997, pp. 304-307. 39BROWN 1997,p.307. 40BROWN 2003,p.15. 41BROWN 2003,pp. 15-16.

42BROWN 2003,p.16;per un caso esemplificativo delle analisi paleoidrologiche si vedaVIOLANTE ET ALII 2009.Le analisi idrologiche,

ad esempio, sono state di estrema importanza nella ricostruzione degli eventi alluvionali della costiera amalfitana, caratterizzata da displuvi ripidi e rocciosi, scarsa portata fluviale, rilevanti processi erosionali. In questo contesto, le catastrofiche alluvioni risultano essere state generate da forti precipitazioni associate a consistenti depositi sedimentari (generati de rilevanti processi erosionali del suolo).

43BROWN 2003,p.18. 44BROWN 2003,p.18. 45BROWN 2003,p.18. 46BROWN 2003,p.19.

(14)

possibile ridurre questo tipo di biodiversità, riconoscendo le tipologie di collegamenti esistenti in passato tra canali, paleocanali e terre umide47.

1.2. Archeologia e alluvioni antiche: storia della ricerca

Uno degli interventi pioneristici nell’ambito dell’Alluvial Archaeology è stato quello di John Frere, il quale riuscì a riconoscere che gli strumenti litici preistorici rinvenuti nei pressi di King’s Cross erano stati sigillati da un deposito alluvionale48. Gli studiosi successivi, nell’ambito dello stesso

contesto alluvionale, si sono concentrati sull’analisi dei resti faunistici rinvenuti all’interno degli strati alluvionali e se gli strumenti litici (in selce) erano contemporanei ai resti faunistici49.

Ricerche simili sono state sviluppate a partire dagli anni Quaranta del XX secolo in Nord America, dove gli studi hanno sviluppato analisi geomorfologiche delle sequenze stratigrafiche per ricostruire le alluvioni storiche o quelle dell’Olocene, spesso in connessione con scavi in siti archeologici perifluviali50.

Dagli anni Sessanta del secolo scorso sono state avviate ricerche in paesaggi alluvionali in ambito mediterraneo51. Punto di partenza per questa nuova stagione degli studi è stato il lavoro di

C. Vita Finzi, che ha realizzato una mappatura delle superfici con evidenze alluvionali nell’ambito del bacino del Mediterraneo, raccogliendo manufatti archeologici e campioni di carbone dalle sezioni esposte, utilizzati come elementi datanti52. La pubblicazione del suo lavoro si concretizzò nel 1969

nel volume ‘Mediterranean Valleys’53.

In Italia, negli stessi anni, si segnala il contributo di Veggiani, che si è occupato dell’analisi stratigrafica dei terreni alluvionali più recenti, che coprivano, a loro volta, i sedimenti pleistocenici e olocenici padani54. A tal fine sono state utilizzate le sezioni stratigrafiche occasionali, generate

dalle cave di argilla per laterizi, dai fiumi appenninici nei sedimenti alluvionali, dallo scavo di pozzi per acqua potabile55. Veggiani, oltre che rilevamenti di dettaglio in occasione di scavi archeologici

e ricerche pedologiche, ha preso in considerazione i risultati di lavori di sterro avvenuti nell’ambito di costruzione di canali e di fondazioni di edifici di una certa mole56. Sono state ritenute di valido

aiuto le analisi delle terrazze fluviali nelle zone prospicienti la pianura, nonché l’osservazione delle anse fluviali e della loro evoluzione e l’analisi delle foto aeree57. La zona rilevata in dettaglio si trova

ad occidente del centro abitato di Massalombarda tra il Canale dei Molini e lo scolo Zoniolo58.

L’esame dei vari tipi di terreno, la distinzione di livelli, i resti organici e le tracce di manufatti in essi rinvenuti hanno consentito la ricostruzione degli eventi alluvionali succedutisi negli ultimi 3000 anni in questa parte della Romagna59.

In seguito, dal 1971, si è registrata una felice stagione di scavi archeologici nelle piane alluvionali del Tamigi (Balckfriars, St. Aldates, Farmoor), in cui è stato sperimentato un approccio attento al paleoambiente ed alle evidenze archeologiche (per lo più fattorie romane e del tardo periodo preistorico)60.

47BROWN 2003,p.21. 48FRERE 1800.

49MACKLIN-NEEDHAM 1992,p.229.

50Per una sintesi delle ricerche dell’Alluvial Archaeology in Nord America si vedaMACKLIN-NEEDHAM 1992,p.9,18. 51Da ultimo MACKLIN-NEEDHAM 1992,p. 9.

52BARKER 1995,p. 9;BINTLIFF 1975;VITA FINZI 1964.

53BROWN 1997,pp.237-239;VAN ANDEL ET ALII 1990;BINTLIFF 1975;VITA FINZI 1969. 54VEGGIANI 1963. 55VEGGIANI 1963. 56VEGGIANI 1963. 57VEGGIANI 1963. 58VEGGIANI 1963. 59VEGGIANI 1963. 60MACKLIN-NEEDHAM 1992,pp.209-210.

(15)

Solo a partire dal 1980 lo sviluppo di una serie di studi geomorfologici in piccole regioni del Mediterraneo ha contribuito al miglioramento conoscitivo della storia alluvionale61.

Buona parte delle ricerche archeologiche dei contesti alluvionali è risultata strettamente legata all’analisi dell’erosione dei suoli, soprattutto a partire dal disastro americano del “dust bowl” del 1930, che ha attirato l’attenzione sugli effetti devastanti dell’eccessivo sfruttamento del terreno62. Nell’ambito di questo dibattito, è emerso che la sproporzionata produttività agricola, la

deforestazione legata al consumo di legno (come materiale costruttivo e come combustibile) o al pascolo sono state considerate le cause principali dell’accelerata erosione dei suoli63. In tal senso,

a partire dal 1979, è stato avviato l’Argolid Exploration Project of Stanford University, che ha contribuito all’elaborazione di un modello, in cui l’erosione e l’alluvionamento nel periodo preistorico e storico sono attribuiti a fattori antropici nell’uso del suolo64.

Nei due decenni successivi si è registrato un sensibile sviluppo della ricerca nell’ambito dell’Alluvial Archaelogy. Nel gennaio del 1991 si è tenuto il convegno ‘Archaeology under alluvium: archaeology and the river enivironment in Britain’, presso il British Museum65. Gli atti della

conferenza rappresentano un punto di riferimento dell’Alluvial Archaeology, costituendo la prima occasione di incontro tra archeologi e geologi in Gran Bretagna per quanto riguarda la discussione delle interazioni uomo e ambiente nei bacini fluviali britannici. Archaeology under alluvium è stato un punto di partenza per altri dibattiti, che si sono poi focalizzati sui sistemi fluviali e sul cambiamento ambientale nel corso dell’Olocene66. Molti dei programmi di ricerca interdisciplinari

sulle dinamiche fluviali dell’Olocene e su quelle storico-insediative sono stati intrapresi nell’ambito delle valli fluviali britanniche negli ultimi decenni, a partire proprio dagli spunti forniti dalla conferenza del 199167.

Dal volume curato da J. Needham e M. G. Macklin emergono sette tematiche di ricerca, quali: i diversi orientamenti di studio per quanto riguarda i depositi alluvionali in contesti rurali e urbani; il ruolo dell’attività umana e del cambiamento climatico per quanto riguarda i processi erosivi e deposizionali; le nuove tecniche di datazione delle sequenze alluvionali dell’Olocene; la metamorfosi dei canali fluviali e delle piane alluvionali nel corso dell’Olocene; l’uso di tecniche fisico-chimiche per la determinazione della provenienza dei sedimenti alluvionali; l’analisi delle paleoalluvioni e degli effetti sui sistemi fluviali e sui record archeologici; la valutazione della conservazione archeologica e del potenziale delle valli fluviali68.

Di poco successivo è il volume ‘Mediterranean Quaternary River Environments’ a cura di J. Lewin, M.G. Macklin e J.C. Woodward, che descrive lo sviluppo dei contesti fluviali nel corso del Quaternario, evidenziando il contributo degli studi regionali69. Questo lavoro evidenzia alcune

problematiche aperte: la necessità di elaborazione di sequenze alluvionali datate, una conoscenza completa e complessiva dei contesti sedimentari alluvionali (ad esempio, emerge una carenza di studi sui paesaggi alpini mediterranei, sulle piane alluvionali di zone umide e contesti di estuario), l’elaborazione di cronologie alluvionali per contesti particolari, la conoscenza delle dinamiche temporali-spaziali ed il ritmo dell’attività tettonica70. Infine, le ricerche, qui confluite, sottolineano

la necessità di letture multidisciplinari, che vedano la collaborazione tra esperti di tettonica, geologi, archeologi e specialisti dei contesti naturali per una migliore comprensione dei depositi archeologici derivanti da eventi alluvionali71.

61ATTEMA-DELVIGNE 2000. 62VAN ANDEL ET ALII 1990. 63VAN ANDEL ET ALII 1990. 64VAN ANDEL ET ALII 1990. 65MACKLIN-NEEDHAM 1992. 66MACKLIN ET ALII 2003,pp.3-14. 67MACKLIN ET ALII 2003,p.3. 68MACKLIN ET ALII 2003,p.3. 69LEWIN ET ALII 1995,p. 283. 70LEWIN ET ALII 1995,p.283. 71LEWIN ET ALII 1995,p.284.

(16)

Nel 1997 T. Brown pubblica il manuale ‘Alluvial geoarchaeology’, focalizzandosi in particolar modo sull’analisi geomorfologica e archeologica delle piane alluvionali72. Nella prima parte del

volume si discutono le tecniche usate per indagare i contesti di questo tipo (sedimentologia, ecologia, archeobotanica, zooarcheologia, fotografie aeree, datazione paleomagnetica, carotaggi e ricognizione) 73. Al tempo stesso si mettono in risalto le indagini dei paesaggi alluvionali, scoperti in

maniera casuale in seguito all’estrazione di ghiaia e alla costruzione di edifici74. La seconda parte è

una sintesi delle ricerche nell’ambito delle piane alluvionali, discutendo la loro reazione all’impatto antropico e ai cambiamenti naturali e il loro relativo adattamento75. Gli eventi climatici sono

considerati i principali responsabili per il trasporto e la redistribuzione dei sedimenti, ma vengono presi in considerazione anche gli effetti dell’uso antropico della terra76. In sintesi, il volume di T.

Brown vuole fornire un’introduzione agli aspetti fisici e biologici dei contesti alluvionali e a quelli archeologici della storia alluvionale77. Fortemente critica è la recensione del manuale di T. Brown

da parte di J.-P. Vallat, che evidenzia una serie di criticità: un forte anglocentrismo associato al mancato riferimento a tematiche di ricerca recenti al di fuori del territorio della Gran Bretagna, l’assenza di accenni all’apporto delle nuove scienze in materia di Alluvial Archaeology, uno scarso collegamento tra i fenomeni alluvionali riconosciuti globalmente78.

Nel dicembre 2000 è stato organizzato un convegno, tenutosi presso l’università di Leeds, dal titolo ‘The Alluvial Archaeology of North-West Europe and the Mediterranean’79. Le principali

tematiche, già sviluppate 10 anni prima nell’ambito della conferenza ‘Archaeology under alluvium’, sono state riviste nel più recente dibattito. Ognuno di questi argomenti è stato ridiscusso e sviluppato per affrontare alcune delle lacune critiche per quanto riguarda la conoscenza dei contesti alluvionali, in particolare utilizzando nuovi strumenti di ricerca (come la modellazione computerizzata, LIDAR, GIS). In base allo sviluppo delle ricerche di Alluvial Archaeology, è stato possibile collegare le diverse sequenze alluvionali non solo britanniche, ma anche di altri contesti costieri alluvionali.

Una serie di ricerche multidisciplinari è confluita in un incontro scientifico dal titolo ‘Alluvial fans’ tenutosi a Sorbas (Sud-Est della Spagna) nel giugno 2001, sintetizzata nel contributo di Harvey80. Nell’ambito di questo convegno sono stati presentati tre principali temi: processi sui

ventagli, dinamiche e morfologia dei ventagli alluvionali del Quaternario, interpretazione delle sequenze sedimentarie dei ventagli alluvionali81.

Un convegno recente del 2007, dal titolo ‘Hidden Landscapes of Mediterranean Europe: cultural and methodological biases in pre-protohistoric landscapes studies’, è stato incentrato sulle ricostruzioni paleoambientali dei ‘paesaggi nascosti’ del Mediterraneo, tra questi sono stati analizzati anche i contesti alluvionali82. Questo convegno ha tentato di riunire studi condotti con

diversi approcci disciplinari e a differenti scale spaziali83.

La visione che il passato sia la chiave di lettura del futuro è il cuore dei maggiori programmi di ricerca più recenti sul cambiamento locale ambientale, quali CLIMAP (Past Climate Mapping Program), PAGES (Past Global Changes Project), GLOCOPH (Commission on Global Continental PaleoHydrology) e altri programmi fondati da consigli di ricerca e corpi scientifici di ricerca nazionali e internazionali84.

72FRENCH 1998. 73MACKLIN-NEEDHAM 1992. 74FRENCH 1998. 75FRENCH 1998. 76FRENCH 1998. 77FRENCH 1998. 78VALLAT 1999. 79MACKLIN ET ALII 2003. 80HARVEY ET ALII 2005. 81HARVEY ET ALII 2005. 82PIZZIOLO 2011. 83PIZZIOLO 2011. 84BROWN 1997,p.314.

(17)

1.3. Le alluvioni

In letteratura, si intende con il termine alluvione il ritiro (erosione) o estensione (accumulo) di terre fluviali85, indicando sia la portata idrica sia quella detritica di un corso d’acqua.

La lingua latina distingue abluvio, termine utilizzato per indicare la rimozione delle terre ad opera dell’erosione fluviale, e adluvio o alluvio, che indica l’accumulo di sedimenti86. La

giurisprudenza romana, a sua volta, distingue l’inundatio (l’acqua si ritira e non cambia la forma delle terre) dalla mutatio alvei (che provoca la creazione di un nuovo alveo, di isole, trasformando la morfologia fluviale)87.

Alcuni fattori possono influenzare la formazione di un evento alluvionale quali: la porosità del suolo88, la tessitura e struttura del suolo e sottosuolo89, il livello dell’acqua di falda90, il grado di

umidità già presente nel suolo91, la copertura vegetale92, l’intensità e la durata di una

precipitazione93, la misura e pendenza del bacino94, l’inclinazione del versante95. Esistono anche

delle cause ‘eccezionali’ che contribuiscono alla formazione di un evento alluvionale, quali: rotture di dighe96, forti piogge accompagnate da cicloni97, onde anomale o tsunami, il calore solare ed il

volume totale dell’acqua globale98.

Per quanto riguarda la dinamica alluvionale, un’inondazione prende avvio quando il suolo è saturo e la pioggia si trasforma in deflusso superficiale99. Successivamente quest’ultimo può

incontrare nel suo percorso fiumi o torrenti, aumentandone il loro flusso100. A sua volta,

l’incremento della portata fluviale, così prodotto, può provocare una ‘rottura’ degli argini del corso d’acqua, producendo un’alluvione101. Contestualmente, le acque, non assorbite dalla falda, si

muovono sulla superficie, prendendo la velocità di versante, provocando processi erosivi del suolo e raccogliendo con sé le particelle smosse del terreno102. A questo punto, il materiale più pesante

85BLANCHEMANCHE 2003. 86CHOUQUER 2008,p.172. 87CHOUQUER 2008,p.172.

88ALDRETE 2007,p.52,62.La situazione è ulteriormente complicata dai contesti urbani, laddove il terreno è coperto da strutture

non porose e selciti e dove bisogna tenere in considerazione le reti di drenaggio e di scolo delle acque;BROWN 1997,p.38.Ad

esempio, il percolamento facilitato in suoli con struttura aperta e sabbiosa ed è ostacolato in suoli argillosi.

89ALLEN 2017,p.64;CINQUE-ROBUSTELLI 2009.Nel caso dei versanti costieri dei Monti Lattari I processi erosivi alluvionali si sono

attivati in suoli coperti da materiale piroclastico, risalente all’eruzione Somma-Vesuvio del 79 d.C.; GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p.

73;CAIAZZA 2002,p.72;BROWN 1997,p.38,97.La tessitura dei suoli alluvionali è influenzata anche da processi pedologici, quali:

il caldo estivo (che spacca i terreni argillosi), il flusso idrico post alluvionale, le precipitazioni (che provocano pressioni interstiziali), la profondità dell’acqua di falda;DELANO SMITH 1996.

90ALLEN 2017,p. 64;ALDRETE 2007,p.52;CAIAZZA 2002,p.87;DELANO SMITH 1996.Le inondazioni possono verificarsi quando il

flusso della falda è sostanziale e l’acqua si muove lateralmente fino a raggiungere il corso fluviale.

91ALLEN 2017,p.64;ALDRETE 2007,p.52;GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p.73;DELANO SMITH 1996.Ad esempio, suoli umidi si saturano

rapidamente e l’acqua in eccesso si accumula in superficie o fluisce verso il basso.

92ALLEN 2017,p.64; GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p.73;CAIAZZA 2002,p.72.I versanti carbonatici ricoperti da vegetazione e suolo

non sono interessati da deflussi superficiali di acqua; Il comportamento di tali versanti cambia quando la copertura vegetale viene devastata dai incendi; in questo caso danno origine a deflusso superficiale che può raggiungere valori di punta di entità variabile da qualche decina a circa 50-70 m2/sec. per ettaro; Il deflusso superficiale si innesca anche quando i versanti ripidi

sono ricoperti da sedimento sciolto o sono antropizzati mediante colture arboree (noccioleto, castagneto);DELANO SMITH 1996

sottolinea come la copertura vegetale può interrompere o promuovere il deflusso superficiale.

93ALLEN 2017,p.64;DELANO SMITH 1996. 94ALLEN 2017,p.64;BROWN 1997,p.38. 95ALLEN 2017,p.64;CAIAZZA 2002,p.72 96ALDRETE 2007, p.51.

97ALDRETE 2007,p.51.

98ALDRETE 2007,pp.51-52.Nei casi in cui il suolo è inaridito dal sole e impedisce l’assorbimento di acqua, aumenta il deflusso

superficiale.

99ALLEN 2017,p.64;ALDRETE 2007,pp. 51-52;GOLDBERG-MACPHAIL 2006, pp.73-75. 100ALLEN 2017,p. 64;ALDRETE 2007,p.52;DELANO SMITH 1996.

101ALLEN 2017,p.64;ALDRETE 2007,p. 51-52;DELANO SMITH 1996. 102GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p.75;DELANO SMITH 1996;FRENCH 1992.

(18)

(massi, ciottoli, ghiaia) si deposita, in primo luogo, al centro del canale, mentre i detriti più fini si concentrano, dove la corrente è stata rallentata dalla frizione o ostacolata da un’ostruzione, come alberi caduti e piloni di ponti103. L’alluvione può riversare materiale sedimentario anche sui campi

circostanti, mentre il resto può essere depositato nelle valli inferiori del sistema fluviale, quando la velocità della corrente è rallentata dall’azione del mare o sotto l’effetto della salinità104.

Sulla base dei dati storici e di quelli geoambientali derivanti dalle osservazioni stratigrafiche, sedimentologiche, morfologiche, Domenico Caiazza ha ricostruito degli eventi idrogeologici catastrofici che hanno interessato il versante sudoccidentale del Matese e Venafro105. In base alle

caratteristiche geoambientali e all’estensione areale dei bacini idrografici i dissesti sono stati classificati in: colate di fango e detriti, colate detritiche, alluvioni di acqua e detriti106.

L’alluvione può essere rappresentata graficamente dal diagramma noto come idrografo, con la portata tracciata su uno degli assi ed il tempo sull’altro107. Gli idrografi sono spesso divisi in

tre periodi: la parte ascendente (quando il livello di portata è in aumento), il vertice (quando raggiunge il picco), il ramo discendente (quando ritorna ai livelli normali)108. L’idrografo è

determinato da un gran numero di variabili relative a specifiche caratteristiche del bacino di drenaggio e del regime di precipitazione; ogni alluvione produrrà un unico idrografo, che può essere caratterizzato da picchi prolungati o multipli109. In generale, durante un’alluvione la portata di un

corso fluviale alimentata da deflusso superficiale aumenta rapidamente, raggiunge un picco e poi gradualmente decresce110.

Assimilabile ad un deposito alluvionale è il colluvio, che è, invece, una miscellanea eterogenea, non stratificata e sciolta, di materiale di diverso tipo111 e corrisponde al deposito

inferiore di versante112. A sua volta, il materiale colluviale può finire nel sistema fluviale e può essere

trasportato e depositato come accumulo alluvionale113. Lo studio di questo genere di depositi è

particolarmente utile per comprendere le tipologie di processi operanti su un versante (attività periglaciali, effetti della forza di gravità, pratiche antropiche di coltivazione e terrazzamento)114.

1.4. Le caratteristiche delle alluvioni

La durata di un’alluvione è una funzione di variabili multiple, quali il volume e la velocità dell’acqua, la porosità ed il grado di saturazione del suolo, l’estensione delle precipitazioni, la pendenza del terreno, l’area del displuvio, etc.115 La durata di un’alluvione è un fattore decisivo per

stimare il danno prodotto, poiché, ad esempio, il tempo in cui le strutture sono state immerse nell’acqua produce diversi effetti su di esse116.

Un altro fattore da valutare è la frequenza di un’alluvione, che può essere determinata da cambiamenti climatici117, dalla copertura vegetale del bacino118, da fattori antropici119, dalla

103DELANO SMITH 1996. 104DELANO SMITH 1996. 105CAIAZZA 2002,p. 71. 106CAIAZZA 2002,p.71. 107ALDRETE 2007,p.52. 108ALDRETE 2007,p. 52. 109ALDRETE 2007,p. 53. 110ALDRETE 2007,p. 52. 111FRENCH 1992.

112GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p. 75.Nelle regioni mediterranee il colluvio consiste in suoli erosi e sedimenti eterogenei e sciolti,

caratterizzati dalla presenza di clasti angolari.

113FRENCH 1992.

114GOLDBERG-MACPHAIL 2006,p.75. 115ALDRETE 2007,p. 62.

116ALDRETE 2007,p. 62.

117ALDRETE 2007,p.73;DELANO SMITH 1996. 118MACKLIN ET ALII 2003,p.10;DELANO SMITH 1996.

119ALDRETE 2007,p.77,cita PLINIO,NAT.HIST.31.30osserva che ai torrenti più devastanti si unisce la deforestazione dei versanti

(19)

geologia della regione (in termini di permeabilità dei depositi), dalle caratteristiche di stratificazione, dall’altitudine (che influenza le temperature e la durata dell’inverno e dell’autunno), dalla tipologia di versanti (ad esempio, l’acqua che scorre più velocemente sulle pendici ripide), dall’attività tettonica120. Lo studio della frequenza delle paleoalluvioni si basa: sulle analisi dendrocronologiche

degli alberi sradicati o distrutti da eventi alluvionali, sulle datazioni al radiocarbonio dei sedimenti erosi o sepolti dall’alluvione e dei depositi organici121. Dalla classificazione dei fattori di rischio

maggiori e costanti, come le variabili fisiche o antropiche, si può costruire una scala temporale di periodi di erosione maggiore o minore risaltando i momenti di rischio122. Sulla base di questa

caratteristica, si stimano sia periodi sia regioni ad alto rischio; in quest’ultimo caso si attribuisce un valore ad ogni attributo del potenziale erosivo123.

Ad esempio, nel sito di Linàs de Marcuello (Spagna) l’analisi dei depositi di uno dei ventagli alluvionali ha consentito di evidenziare la frequenza degli eventi alluvionali, presumibilmente con intervalli di 70-200 anni124. L’elaborazione dei dati idrosedimentari sull’alto Rodano ha permesso

l’individuazione di tre periodi di ‘crisi’ alluvionale tra il I sec. a.C. al III sec. d.C. separati da brevi periodi di tregua125.

Durante il periodo meglio documentato dell’antica Roma, dal 250 a.C. al 250 d.C., si è osservata un’alluvione ogni 18 anni o da 5 a 20 per secolo126 e, in generale, sono state annotate

circa 118 inondazioni tra V secolo a.C. e il secolo scorso127. Gli eventi alluvionali dei secoli VI-VIII d.C.

sono in tutto 8, piuttosto scarsi in confronto a quelli degli altri periodi128, probabilmente a causa

dell’impossibilità di disporre di informazioni complete sulle catastrofi naturali basate esclusivamente sulla lettura delle fonti scritte per l’epoca citata129.

Lo studio dei dissesti idrogeologici avvenuti nella costiera amalfitana ha consentito il riconoscimento di 106 alluvioni nel corso degli ultimi 5 secoli130, con una concentrazione nella

stagione autunnale131.

Un’altra caratteristica degli eventi alluvionali, è la magnitudine, che è, di solito, espressa in termini di altezza dell’acqua e di volume della portata del corso fluviale132.

Alcuni studi, come quello relativo alle inondazioni della costiera amalfitana hanno permesso di valutare la magnitudine e la frequenza delle alluvioni, basandosi sull’estensione dell’area interessata, sul tipo di effetti prodotti in contesti urbani e naturali, sugli intervalli temporali di ricorrenza, sull’analisi delle fonti storiche133. La magnitudine è stata espressa in classi di ‘gravità’

(Severity Class), utilizzate, in una seconda fase di analisi, per la valutazione del rischio e la ricorrenza temporale degli eventi catastrofici nell’area di studio134. Le Severity Class riconosciute sono: piccole

alluvioni (caratterizzate da aree ristrette, minor danno agli edifici e seri danni alla popolazione, intervallo di ricorrenza maggiore di 20 anni), alluvioni di grado intermedio (caratterizzate da grandi aree interessate, danni totali o parziali agli edifici, distruzione delle infrastrutture per una distanza di circa un centinaio di metri, un intervallo di ricorrenza minore di 100 anni), catastrofiche e grandi

120DELANO SMITH 1996. 121BROWN 1997,p.84. 122DELANO SMITH 1996. 123DELANO SMITH 1996. 124NICHOLS 2017. 125BERARD ET ALII 2010. 126ALDRETE 2007,p. 80. 127GALADINI ET ALII 2012. 128GALADINI ET ALII 2012.

129GALADINI ET ALII 2012;ALDRETE 2007,pp. 80-81. 130VIOLANTE ET ALII 2009.

131VIOLANTE ET ALII 2009.

132ALDRETE 2007,pp. 81-82.L’Autore ammette che 1 pollice di pioggia cadendo da 1000 piedi su una superficie di un miglio

assume un’energia potenziale equivalente a 60000 tonnellate di TNT.

133VIOLANTE ET ALII 2009. 134VIOLANTE ET ALII 2009.

Figura

Figura 1. Foto satellitare del Cantiere delle Navi Antiche di Pisa San Rossore.
Figura 2. Sequenza e fasi dal VI sec. a.C. al II sec. d.C. (da R EMOTTI  2012, pp. 16-17, figg
Figura 4. L'area della palificata di fondazione vista dall'alto: in rosso sono evidenziate le testate dei pali (da C AMILLI -S ETARI
Figura 5. La nave B in corso di scavo (da C AMILLI -S ETARI  2005, p. 57).
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Come abbiamo visto, infatti, in questi anni Celentano viene rappresentato – spesso all’interno degli stessi testi mediali – in modi apparentemente incompatibili: come un bravo

I risultati del seguente studio indicano che a 5 mesi dopo il parto il punteggio della scala EPDS era significativamente più alto nel gruppo che allattava con latte formulato

In such a reaction violent interactions take place and all aspects of a heavy ion collisions are important: initialization, mean field propagation, collision probabilities and

In addition, W distributions of simulated events have been smeared by different amounts and used as fake data to be fitted against standard Monte Carlo samples with no extra

A large‐scale linkage within the magmatic segment is shown by the western and central BMS fault zones linked by NNW to NE orientated large faults (Figures 6 and 10g), supporting

Nel corso della procedura radiologica si procede a posizionamento di uno stent nell’arteria epatica con esclusione del colletto dello pseu- doaneurisma (Fig.. Si ottiene la

This work aims at evaluating the impact of the DDS inaccuracies on the dose distribution of patients treated at CNAO, through a retrospective analysis of the data collected during

campo di concentramento di Mauthausen avvenuta nel 1940 24. In quell’anno, infatti, intere famiglie che avevano cercato di oltrepassare la frontiera francese vennero