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Analisi di suscettività da alluvione in bacini endoreici : un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

ANALISI DI SUSCETTIVITÀ DA ALLUVIONE

IN BACINI ENDOREICI: UN CASO DI STUDIO

SULLA PIANIFICAZIONE DI PROTEZIONE

CIVILE IN PUGLIA

Relatore: Prof. Giovanni Menduni

Correlatore: prof. Carlo De Michele

Tesi di laurea di Sara Brizzi Matricola 884187 Anno accademico 2018/2019

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

Sommario ... 5

Abstract ... 7

1. Introduzione ... 9

1.1. Obiettivi e organizzazione del lavoro di tesi ... 9

2. Introduzione alla mappatura di pericolosità da alluvione ... 11

2.1. Quadro normativo in Europa ... 11

2.2. Quadro normativo in Italia ... 12

2.2.1. Contenuti del piano di Assetto Idrogeologico (PAI) ... 17

2.2.2. Contenuti del piano di Gestione del Rischio Alluvione (PGRA) ... 18

3. Due metodi a confronto: pericolosità e suscettività ... 19

3.1. Il complesso fenomeno delle alluvioni ... 19

3.2. Pericolosità e Suscettività ... 21

3.2.1. Pericolosità da alluvione e relative mappe di pericolosità ... 21

3.2.2. Problematiche delle Mappe di Pericolosità da Alluvione e limiti dell’analisi di pericolosità... 22

3.2.3. Suscettività da alluvione con riferimento alla letteratura ... 24

3.2.4. Criticità nella realizzazione di una mappa di suscettività da alluvione ... 30

3.2.5. Pericolosità vs Suscettività ... 31

3.3. Suscettività da alluvione: metodi e procedure ... 32

4. Caso di studio ... 35

4.1. Il Caso della Puglia ... 35

4.2. Bacini endoreici e loro idrologia ... 38

4.3. Classificazione delle forme carsiche chiamate “Vore” ... 44

4.4. Connessione tra Rete idrografica e forme carsiche: carsismo di contatto ... 47

4.5. Rischio idrogeologico associato ai bacini endoreici e agli inghiottitoi carsici del Salento . 50 4.6. Il caso studio di Scorrano ... 56

4.6.1. La Vora del Guercio ... 62

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Analisi di suscettività da alluvione in bacini endoreici:

un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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4.6.3. Estrazione del reticolo della macroarea endoreica del Salento ... 75

5. applicazione del metodo di suscettività da alluvione alla macroarea endoreica del Salento ... 81

5.1. Area di studio ... 81

5.2. Fonte dei dati ... 83

5.3. Scelta dei fattori predisponenti ... 85

5.3.1. Pendenza ... 86

5.3.2. Curve-Number CN ... 87

5.3.3. Distanza dal reticolo idrografico ... 91

5.3.4. Quota Relativa rispetto al reticolo idrografico ... 96

5.4. Calibrazione del modello ... 101

5.4.1. Modello implementato: Weight of Evidence (WOE) ... 101

5.4.2. Risultati ... 103

5.4.3. Produzione della mappa di suscettività da alluvione ... 109

5.4.4. Validazione della mappa di suscettività ... 114

5.5. Discussione dei risultati ... 115

6. Conclusioni ... 119

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

SOMMARIO

Il lavoro di tesi rientra nell’ambito tematico del progetto PON Governance e capacità istituzionali 2014-2020. In particolare, si tratta dell’attività di supporto alla pianificazione di emergenza su scenari di rischio da alluvione che il Progetto interpreta in termini di analisi di suscettività. Si tratta di un approccio relativamente innovativo che sta fornendo risultati di sicuro interesse, anche nell’ambito delle attività di cui si tratta.

Il caso della Puglia ha evidenziato alcune criticità connesse alla presenza di bacini endoreici che, soprattutto nella penisola salentina, caratterizzano il territorio della regione. Tali bacini presentano una singolarità di notevole interesse nell’analisi idrologica in quanto, durante le precipitazioni ordinarie, presentano recapiti di tipo carsico in grado di smaltire le piogge localmente, attraverso il reticolo ordinariamente presente. Nel caso di eventi di intensità tale da saturare la capacità dell’inghiottitoio, la precipitazione rigurgita nella campagna, ridisegnando nei fatti lo schema del drenaggio che si orienta verso diversi recapiti, solitamente di tipo ancora endoreico. In queste occasioni si osservano eventi alluvionali in grado di colpire, anche in maniera severa, l’ambiente edificato, determinando così una sensibile sorgente di rischio.

L’obiettivo della tesi è l’inquadramento di tali fenomeni in un contesto di analisi di suscettività da alluvione del territorio che, già adesso, costituisce uno degli asset a disposizione dei Comuni per la individuazione degli scenari di rischio. Il lavoro ha richiesto una analisi specifica dei fattori predisponenti di ordine geomorfologico ed idrologico nella loro dinamica in corso di evento. A tal fine, oltre alla discussione della letteratura, sono stati effettuati estesi sopralluoghi sui siti di interesse ed è stata svolta una specifica raccolta dei dati sugli eventi storici relativi ai bacini endoreici. I materiali raccolti hanno consentito la formulazione di un approccio originale al problema e la redazione di una proposta per specifici stralci della cartografia di suscettività.

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

ABSTRACT

The thesis work falls within the thematic area of the PON Governance and institutional capacities 2014-2020 project. In particular, this activity supports emergency planning on flood risk scenarios that the Project settles in terms of susceptibility analysis. This is a relatively innovative approach that is providing results of certain interest, even in the context of the activities in question.

The case of Puglia has highlighted some criticalities connected to the presence of endorheic basins which, especially in the Salento peninsula, characterize the territory of the region. These basins have a singularity of considerable interest in the hydrological analysis since, during ordinary rainfall, they address into karstic sinkholes able to collect the rain locally, through the network normally present. In the case of intense events, able to saturate the sinkhole capacity, the water overflows in the lowland, effectively redrawing the drainage network which is oriented towards different deliveries, usually still endorheic. In this situation flood events can affect, even severely, the building area, thus determining a sensitive source of risk.

The aim of the thesis is the framing of these phenomena in a context of analysis of flood susceptibility of the territory that, already now, constitutes one of the asset available to the Municipalities for the identification of risk scenarios. The work required a specific analysis of the geomorphological and hydrological predisposing factors in their dynamics during the event. To this end, in addition to the discussion of the literature, were carried out extensive inspections on the sites of interest and was carried out a specific collection of data on historical events relating to endorheic basins. The collected materials have allowed the formulation of an original approach to the problem and the drafting of a proposal for specific excerpts from the susceptibility mapping.

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

1.

INTRODUZIONE

Il territorio italiano è da sempre, a causa della sua conformazione fisica, morfologica, geografica e climatica, soggetto a frequenti calamità naturali che negli anni hanno imposto un tributo ingente in termine di danni e vite umane. In questo panorama, il dissesto idrogeologico riveste un ruolo primario: nel 2018, il 10,4% dei cittadini italiani viveva in un’area a rischio alluvione e poco più del 2% in area a rischio frana (ISPRA, 2018) e nel solo primo semestre del 2019 le vittime del dissesto idrogeologico sono state 4, e 16 i feriti (IRPI, 2019).

Per fronteggiare questi scenari, la tradizione ha imposto strategie di difesa basate su opere strutturali. Tali opere, quali ad esempio casse di espansione ed arginature, vengono dimensionate su piene di progetto assegnate e sono solitamente progettate per “attivarsi nel momento del bisogno”. Questo approccio, denominato in ambito anglosassone Flood control approach (Merz, Kreibich, Schwarze, & Thieken, 2010) è stato tuttavia negli ultimi anni oggetto di discussione, a causa degli inevitabili margini di incertezza legati al rischio residuo connesso alle opere, alle esigenze manutentive nonché alle difficoltà operative di nuove realizzazioni in termini per esempio di accettabilità sociale. Per questo motivo, le soluzioni strutturali sono sempre più spesso affiancate da quelle non strutturali, secondo i dettami dell’approccio basato sul flood risk management (Merz, Kreibich, Schwarze, & Thieken, 2010).

In quest’ottica, una corretta pianificazione territoriale e procedure di protezione civile efficaci ricoprono un ruolo fondamentale per la riduzione del rischio e la tutela dei cittadini. Tali misure possono però essere messe in pratica solo avendo a disposizione gli strumenti corretti, tra i quali emerge senza dubbio la perimetrazione delle aree a rischio. Questa tesi propone una metodologia utile a migliorare tali mappature.

1.1.

Obiettivi e organizzazione del lavoro di tesi

Il lavoro di tesi si colloca nell’ambito tematico del progetto PON Governance e capacità istituzionali 2014-2020, in un contesto di riduzione del rischio idrogeologico e idraulico attraverso misure non strutturali. La tesi

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un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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si inquadra nell’area della produzione di scenari di rischio da alluvione ai fini della pianificazione di protezione civile.

Il filone metodologico seguito è quello della analisi di suscettività sulla base della individuazione di parametri predisponenti e il conseguente addestramento di un modello attraverso le osservazioni di eventi storici. Nel caso specifico di questo lavoro, l’obiettivo è stato è quello di discutere le peculiarità dettate da un territorio carsico come il Salento col fine di produrre una adeguata mappa di suscettività della macroarea endoreica adattata dalle esigenze specifiche di tale realtà. Nella produzione di una prima mappa di suscettività della Puglia, per altro adottata con delibera regionale nell’ambito delle linee guida per la redazione dei piani, è emerso infatti come quest’area presentasse delle difformità rispetto al resto del territorio, evidenziando l’esigenza di una revisione dei fattori predisponenti che rispondesse meglio alle specificità del territorio carsico. Occorre sottolineare come quello dei bacini endoreici sia di per sé un argomento sul quale è particolarmente opportuno dedicare una specifica attività di studio. Si tratta difatti di bacini quasi sempre non strumentati e, come vedremo, caratterizzati da un assetto dinamico della rete di drenaggio. Vi sono inoltre forti incertezze rispetto alla idraulica del recapito, che avviene entro voragini (“vore” nel linguaggio del territorio) fino alla loro saturazione.

Al fine di inquadrare al meglio l’oggetto dello studio, nella prima parte del presente elaborato viene presentata una analisi bibliografica della metodologia di suscettività da alluvione anche attraverso un confronto critico con l’approccio tradizionale basato sulla pericolosità.

Segue una parte di inquadramento del caso di studio, in cui si sono esaminate le dinamiche idrologiche che governano i bacini endoreici e le forme carsiche, che rappresentano spesso recapito finale degli stessi. Terminata questa fase di inquadramento teorico e territoriale, viene presentata la sezione più innovativa di tutto il lavoro, nella quale viene adattata la metodologia della suscettività allo specifico caso della macroarea endoreica. Per poter finalizzare l’analisi è stato necessario svolgere alcune elaborazioni che permettessero di rappresentare il reticolo di drenaggio della macroarea endoreica in modo idoneo alle elaborazioni previste dalla metodologia. Questa specifica attività, non banale dato il carattere effimero del reticolo idrografico Salentino, ha portato alla realizzazione di due alternative mappe di suscettività che sono state confrontate per identificare le procedure migliori da integrare nel modello complessivo per futuri sviluppi.

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

2.

INTRODUZIONE ALLA

MAPPATURA DI PERICOLOSITÀ

DA ALLUVIONE

2.1.

Quadro normativo in Europa

Nel contesto europeo in materia di disciplina e regolamentazione delle acque si ricordano due importanti direttive:

• La Direttiva quadro 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio.

La norma definisce un quadro complessivo per l’azione comunitaria in materia di acque, la cosiddetta ‘Direttiva Acque’. Essa sostituisce e unifica tutte le precedenti normative con l’obiettivo di assicurare la protezione dell’ambiente idrico. Viene intesa come un primo vero e proprio “diritto europeo dell’acqua” ed è importante perché per la prima volta in una normativa comunitaria le esigenze ambientali si integrano costruttivamente con le esigenze economiche e sociali. Inoltre, viene introdotto il concetto di ciclo integrato dell’acqua: si ritiene infatti necessario superare i confini amministrativi di Province, Regioni e Stati e gestire la risorsa attraverso una pianificazione a livello di bacino idrografico. Gli stati membri sono quindi tenuti a elaborare piani di gestione dei bacini idrografici in base ai bacini idrografici naturali, nonché programmi specifici contenenti misure volte a perseguire gli obbiettivi. (Comunità Europea, 2000).

• La Direttiva 2007/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio.

Si tratta di una norma molto importante relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, la cosiddetta “Direttiva Alluvioni”. Essa integra la precedente in maniera più mirata sul tema delle alluvioni, istituendo “un quadro per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche connesse con le

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un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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alluvioni all’interno della Comunità”1. Tale direttiva impone agli stati membri di effettuare una valutazione preliminare dei rischi volta ad individuare per ogni distretto idrografico le zone potenzialmente a rischio di alluvione e laddove si è in presenza di un distretto idrografico internazionale che la zona sia coordinata dagli stati membri interessati2.

Compete allo stato membro elaborare mappe di pericolosità e di rischio da alluvione e redigere i Piani di Gestione di Rischio Alluvione che riguardano tutti gli aspetti della gestione del rischio alluvioni, e in particolare la prevenzione, la protezione e la preparazione, comprese le previsioni di alluvioni e i sistemi di allertamento3.

Questo percorso di redazione dei piani, diviso in vari stadi di implementazione, è scandito da obblighi e scadenze ben precise che vengono indicate all’interno della direttiva e che valgono per tutti gli stati membri. È importante specificare come all’interno della direttiva ci siano delle indicazioni precise riguardanti le caratteristiche delle mappe a pericolosità idraulica; queste devono contenere la perimetrazione delle zone potenzialmente interessate da alluvioni secondo tre scenari che identificano tre differenti livelli di pericolosità espressi in probabilità di accadimento: P1 scarsa probabilità di accadimento o scenari di eventi estremi, P2 media probabilità e P3 alta probabilità di accadimento di un evento alluvionale in relazione a un tempo di ritorno rispettivamente decrescente 4. In questa maniera una mappa di pericolosità idraulica viene letta con la stessa chiave da tutti gli stati membri, cosa che invece non accade per le mappe di rischio da alluvione lasciando in questo senso molta più libertà nel realizzarle ed equivocità nell’ interpretarle. (Comunità Europea, 2007).

2.2. Quadro normativo in Italia

Il nostro Paese è caratterizzato una cospicua produzione normativa in tema di rischio idrogeologico, iniziata a partire dal Regio Decreto del 18775. Questo fatto è dovuto purtroppo alla singolare esposizione dell’Italia al rischio naturale, sismico, vulcanico, da tsunami e, tutt’altro che ultimo, da quello geologico e idrogeologico. Proprio nei confronti di tale classe di rischio, osserviamo una forte propensione ad eventi alluvionali e di frana tano severi quanto diffusi sul territorio. La produzione normativa si è di fatto più o meno sistematicamente

1 Articolo 1 della Direttiva 2007/60/CE 2 Articolo 5 della Direttiva 2007/60/CE 3 Articolo 7 della Direttiva 2007/60/CE 4 Articolo 6 delle Direttiva 2007/60/CE

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

collocata a valle delle catastrofi più severe: l’evento del Po del 1951, l’alluvione di Firenze del 1966, la tragedia di Sarno del 1998 solo per citarne alcuni.

In un e-book relativamente recente (Menduni, 2013) troviamo una disamina critica di tale iter.

Il dibattito sull’assetto idrogeologico si è avvitato, come appena cennato, a partire dalla metà del secolo scorso, a seguito di due eventi alluvionali catastrofici. Il primo avvenne il 14 novembre del 1951, quando vi fu la spaventosa alluvione del Polesine che interessò quasi tutta la provincia di Rovigo e parte di quella di Venezia, ci furono 84 vittime e oltre 180.000 persone persero la propria casa, dando luogo a una diaspora di proporzioni epocali (Menduni, 2013). Le prime analisi tecniche furono svolte da Giulio de Marchi ed emerse subito che tale disastro, seppur avendo interessato principalmente la parte valliva più estrema della valle del Po era stato causato da una serie di interventi come allargamento degli argini o aumento delle luci dei ponti, lungo tutto il tratto del corso del fiume traslando di fatto il problema più a valle (Menduni, 2013).

Il secondo evento catastrofico avvenne il 4 novembre del 1966 con l’alluvione a Firenze che fu caratterizzato dall’impegno di migliaia di volontari provenienti da mezzo mondo, per aiutare soprattutto a salvare i beni culturali danneggiati.

“In Italia vengono chiamati “angeli del fango” coloro che accorrono spontaneamente in un luogo colpito da una grave alluvione per aiutare le popolazioni. L’espressione nacque con il disastro fiorentino del ’66 quando migliaia di giovani volontari accorsero in città per aiutare le popolazioni colpite e salvare dal fango opere d’arte, libri e antichi manoscritti un patrimonio dell’umanità a rischio di estinzione” (Rosso, 2017) .

I due eventi furono profondamente diversi tanto per la causa prima, per la dinamica e per le conseguenze, sia a breve che a lungo termine. La regione del Polesine, nei venti anni successivi all’evento, si è di fatto spopolata, si perse una comunità intera, lo si può chiaramente avvertire da un passo tratto dal libro “Polesine ’51.voci e suoni del fiume” (Casadio, 2002):

“il centro storico di Badia Polesine, alle due di questo pomeriggio del mese di luglio, pare essere il set di un film abbandonato. In giro non si vede anima viva, con l’aria che evapora dal selciato della piazza, mandando bagliori tremolanti a morire sulle case. Il calpestio dei nostri passi alla ricerca di qualcuno rompe il silenzio impregnato sulle case dalle finestre chiuse, come le serrande dei negozi e la porta principale della chiesa, San Giovanni Battista.”

L’alluvione del ‘66 al contrario, nonostante il dolore immenso per le 40 vittime, per la devastazione di migliaia di abitazioni e attività produttive e i danni incalcolabili subiti dal patrimonio storico, si tradusse in forte impulso verso il più tempestivo ripristino di condizioni ordinarie secondo un’ottica fortemente resiliente.

A seguito della catastrofe di Firenze si costituì la Commissione interministeriale de Marchi che stabilì che la politica della difesa del suolo era possibile solo con l’attuazione dell’attività di pianificazione e di

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un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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programmazione svolta a scala dell’intero bacino idrografico trascendendo i tradizionali limiti amministrativi quali comuni, province e regioni (Menduni, 2013). La commissione si poneva come obiettivo la sistemazione idraulica e idrogeologica del territorio e la difesa del suolo, intendendola soprattutto integrazione di interventi strutturali e non strutturali. La cifra del lavoro coordinato da De Marchi sta tuttavia nel concetto di pianificazione, sfociato poi nel “Piano di bacino” nel senso della futura L 183/1989.

In parallelo, durante lo svolgimento della Conferenza Nazionale delle Acque svolta alla fine degli anni 60, vengono posti in primo piano l’obiettivo di regolare l’uso delle acque e l’obbligo di valutare la disponibilità delle risorse idriche, giungendo alla proposta di un Piano Generale delle Acque.

Conferenza e Commissione propongono negli stessi anni due strumenti innovativi di pianificazione territoriale, diversi ma su argomenti strettamente connessi tra loro e passano all’atto legislativo con l’emanazione della legge n. 183/1989. Essa prevede in materia di norme il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, attraverso l’individuazione del bacino idrografico, come unità di riferimento e l’istituzione dell’Autorità di Bacino che, in qualità di ente competente sul bacino idrografico, ha il compito importante di redigere il Piano di Bacino.

Il quadro normativo si amplia nuovamente dopo che il 5 maggio 1998 ci fu quello che viene ricordato come lo “shock” di Sarno. A seguito delle piogge verificatesi nelle giornate precedenti si innescarono una serie di colate rapide di fango che interessarono una vasta area della Campania colpendo in maniera particolare il comune di Sarno e altri comuni limitrofi, i morti contati furono 160.

“Fu un disastro, una ecatombe, una catastrofe davvero inenarrabile” (Menduni, 2013).

Furono promulgati in successione il D.L.180/1998 noto anche come “Decreto Sarno” che si convertì in legge con la L.267 del 3 agosto 1998 e il DPCM del 29 settembre 1998. Con il D.L. 180/1998, che recava misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico delle zone della Campania colpite dalla catastrofe, si cercava di raggiungere in tempi molto rapidi quel livello di salvaguardia nazionale che in dieci anni conseguenti all’emanazione della L.183 non si era riusciti a raggiungerlo. Venne quindi richiesto alle Autorità di Bacino di rilievo nazionale e interregionali e alle regioni per i restanti bacini l’adozione qualora non lo avessero ancora fatto dei Piani stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Il DPCM del 1998, atto di indirizzo e coordinamento, doveva spiegare come costruire la pianificazione, in modo che fosse il più possibile omogenea e confrontabile a scala nazionale, anche se di fatto lasciava alle Autorità di Bacino di fronte a una metodologia piuttosto confusa.

In ogni caso la più importante attuazione richiesta dal decreto fu l’adozione dei PAI che nei cinque anni seguenti vennero predisposti in quasi tutto il paese individuando le aree a rischio di alluvione e di frana secondo quattro scenari di rischio R1= moderato, R2= media, R3= elevata, R4= molto elevata.

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

Nella notte tra il 9 e il 10 settembre del 2000 ci fu il dramma di Soverato, una massa d’acqua e fango straripata dal torrente Beltrame travolgeva il camping “Le Giare” tra Soverato e Montepaone. Al momento del disastro, nel campeggio, c’erano una cinquantina di ospiti, tra i quali un gruppo di disabili con i loro accompagnatori. Fu l’ennesima strage (Menduni, 2013). Ci furono 12 morti e un disperso (IRPI CNR). Tale episodio portò all’attuazione di un nuovo intervento normativo, con la legge 365 del 2000 recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato ed in materia di protezione civile, nonché a favore delle zone della regione Calabria danneggiate dalle calamità idrogeologiche di settembre e ottobre del 2000 (ISPRA, Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori , 2015).

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Nel 2006 il D. Lgs.152/2006, venne formalizzato il cosiddetto Testo Unico dell’Ambiente (TUA), in cui per la prima volta viene data la definizione di “assetto idrogeologico” ovvero agire andando a considerare in parallelo la probabilità dell’esondazione e l’esposizione dei beni al possibile danno (Menduni, 2013). Tale decreto recepisce la Direttiva 2000/60/CE in termini di riorganizzazione degli ambiti territoriali di riferimento. Questo fu attuato attraverso la suddivisione del territorio nazionale in distretti idrografici e l’istituzione delle autorità di bacino distrettuali6 a cui compete l’adozione dei piani stralcio di distretto di Assetto Idrogeologico, contenenti la segnalazione delle aree a rischio idrogeologico attraverso la perimetrazione delle aree dove è necessario adottare delle misure di salvaguardia. L’intero territorio nazionale è stato inizialmente ripartito in 8 distretti idrografici7(Figura 1) a) distretto idrografico Alpi Orientali, b) Padano, c) Appennino Settentrionale, d) distretto pilota del Serchio, e) Appennino Centrale, f) Appenino Meridionale, g) Sardegna, h) Sicilia. Attualmente il nuovo assetto territoriale previsto dalla L. 221/2015 ed entrato in vigore dal 2 febbraio 2016 prevede la ripartizione in 7 distretti idrografici con la soppressione del Distretto Idrografico del Serchio e la sua assimilazione al Distretto Idrografico dell’Appennino Settentrionale (ISPRA, 2019).

Con l’emanazione del D.lgs. del 2010 n. 49 che recepisce la Direttiva Europea 2007/60/CE compete alle Autorità di Bacino Distrettuali l’adozione dei Piani Stralcio per l’Assetto idrogeologico (PAI) e in particolare la redazione del Piano di Gestione del Rischio Alluvioni (PGRA) predisposto con l’aiuto delle regioni in coordinamento tra loro con il Dipartimento Nazionale delle Protezione Civile.

I PAI rimangono uno strumento di pianificazione del territorio affinché non sia incrementato il rischio, mentre con la Direttiva 2007/60/CE viene introdotto il Piano di gestione del Rischio di Alluvioni (PGRA), a livello comunitario, che riguarda nello specifico gli aspetti della gestione del rischio alluvione, in particolare la prevenzione e la previsione di alluvioni nonché i sistemi di allertamento, con riferimenti alle attività di Protezione Civile.

È da riconoscere all’Italia di aver, di fatto anticipato, di quasi un decennio, la direttiva sulle alluvioni del 2007 trovandosi successivamente alla sua emanazione a gestire due strumenti “complementari”, diversi quali sono il PAI e il PGRA, guadagnandosi il primo posto in Europa per quanto riguarda la perimetrazione delle aree a pericolosità e rischio idrogeologico. Un “tesoretto” del quale non si riuscì tuttavia a fare tesoro (Menduni, 2013).

6 Art.63 del D.lgs. 152/2006 7 Art.64 del D.lgs. 152/2006

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

2.2.1. Contenuti del piano di Assetto Idrogeologico (PAI)

Il Piano di Assetto Idrogeologico introdotto dal DL 180/1998, è a tutti gli effetti uno stralcio del Piano di bacino e dunque uno strumento di governo del bacino idrografico, ai sensi nell’Art.17 della Legge n.183/ 1989. Il PAI parte dal quadro conoscitivo generale delle caratteristiche morfologiche, geologiche ed idrologiche con riferimento anche alle utilizzazioni degli strumenti urbanistici ed ai vincoli già esistenti relativi ai bacini. Viene effettuata un’analisi storica degli eventi critici (frane ed alluvioni) che consente di produrre un elemento conoscitivo primario per aree oggettivamente soggette a dissesto idrogeologico e per le quali è già possibile una prima valutazione del rischio. Una bozza (peraltro assai scarna) di procedura per la e perimetrazione delle aree a rischio si trova nel con il successivo atto d’indirizzo e coordinamento (DPCM 29/9/1998) attraverso l’attribuzione di quattro classi di rischio graduate in riferimento ai maggiori danni possibili rispetto alle vite umane ed alle infrastrutture.

Il DPCM del 29/9/1998 definisce l’individuazione di tre fasi:

1) identificazione delle aree soggette a rischio idrogeologico attraverso acquisizione delle informazioni disponibili sullo stato del dissesto.

2) perimetrazione, valutazione dei livelli di rischio e definizione delle conseguenti misure di salvaguardia; 3) programmazione della mitigazione del rischio.

Per l’individuazione delle aree a rischio idraulico le Autorità di Bacino e le regioni potranno affiancare allo studio geomorfologico con l’utilizzo di cartografie IGM e Carta Tecnica Regionale e di foto aeree etc... l’ausilio delle informazioni archiviate dal Gruppo Nazionale di Difesa delle Catastrofi Idrogeologiche del consiglio nazionale delle ricerche (GNDCI-CNR) in riferimento alle Aree Vulnerate Italiane (AVI) . Vengono infine individuati i possibili punti critici lungo i corsi fluviali che possono causare ostacoli al normale deflusso come la presenza di ponti, restringimenti, etc..

Particolare importanza la ricopre la seconda fase che permette la perimetrazione delle aree a rischio idraulico sulle quali saranno previste misure di salvaguardia. Viene condotta disponendo di adeguati studi idraulici e idrogeologici con l’obiettivo di rappresentare sulla cartografia aree caratterizzate da tre diverse probabilità di accadimento dell’evento con le sue relative rilevanze di piena. Si parte da uno studio idrologico per determinare le portate attese per diversi tempi di ritorno, in conformità con il progetto Valutazione Piene (VaPi) e successivamente le stesse vengono utilizzate in un modello idraulico della rete idrografica potenzialmente soggetta a criticità. La simulazione viene solitamente eseguita in moto permanente, ma in particolari casi privi di complessità può essere usata una modellistica di moto uniforme, mentre in casi più complessi nasce l’esigenza di utilizzare modelli idraulici di moto vario. Il calcolo idraulico dovrà essere affiancato, dove è possibile, da uno studio topografico delle sezioni critiche del tronco fluviale dove la riduzione di smaltimento dell’alveo è dovuta soprattutto all’intervento antropico. In assenza di adeguati studi idraulici e idrogeologici

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l’individuazione delle aree potrà essere condotta tramite metodi speditivi conducendo per esempio statistiche su serie storiche o su fattori geomorfologici e ambientali del territorio in esame. Infine, la perimetrazione delle aree a rischio, si ottiene con la sovrapposizione dell’esposto ottenuto con la cartografia di copertura ed uso del suolo del progetto Corine Land Cover con le aree a pericolosità idraulica.

La terza fase, infine è incentrata sull’analisi della tipologia di interventi mirati alla mitigazione o rimozione dello stato di rischio.

Ciascuna Autorità di Bacino poi utilizzerà diverse metodologie di perimetrazione della pericolosità idraulica.

2.2.2. Contenuti del piano di Gestione del Rischio Alluvione (PGRA)

Il D.L.gs. 49/2010 che recepisce la Direttiva 2007/60/CE, stabilisce che compete alle Autorità di Bacino Distrettuali il compito di redare il Piano di Gestione del Rischio Alluvione, mentre alle Regioni in coordinamento tra loro e con il Dipartimento nazionale della Protezione Civile di preoccuparsi del sistema di allertamento per il rischio idraulico dovuto ai fenomeni di piena.

Il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni è lo strumento operativo per valutare e gestire il rischio di alluvioni, attraverso l’individuazione di misure idonee, con l’obiettivo di ridurre le conseguenze negative delle alluvioni sulla salute umana, sul territorio, sui beni, sull'ambiente, sul patrimonio culturale e sulle attività economiche e sociali.

In particolare, la Direttiva Alluvioni prevede l’attuazione di tre fasi fondamentali:

Una valutazione preliminare del rischio di alluvioni. L’elaborazione di mappe della pericolosità e del rischio

La redazione di piani di gestione del rischio alluvione imponendo una standardizzazione dei percorsi e delle modalità di definizione del quadro della pericolosità e del rischio.

È importante per l’adempimento della prima fase la collaborazione attiva da parte del Dipartimento della Protezione Civile delle Regioni e delle autorità di bacino nell’individuazione di eventi con la loro rispettiva localizzazione geografica al fine di raccogliere un catasto di eventi da utilizzare per un’analisi preliminare del rischio.

La redazione del piano prevede inoltre una prima fase di aggiornamento degli studi di pericolosità idraulica e di rischio idraulico sui corsi d’acqua e ambiti territoriali già analizzati nei PAI vigenti e l’integrazione degli stessi con studi specifici dei corsi d’acqua che presentano una certa criticità idraulica e che non sono stati analizzati in precedenza.

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

3.

DUE METODI A CONFRONTO:

PERICOLOSITÀ E SUSCETTIVITÀ

In questo capitolo si affrontano le analisi di pericolosità e di suscettività da alluvione, due differenti metodologie utilizzate nel disegno degli scenari di rischiocon lo scopo di realizzare una mappatura delle aree potenzialmente allagabili ai fini della pianificazione comunale di protezione civile. Nei paragrafi seguenti verranno delineati lo stato dell’arte sulle due metodologie ed un’analisi critica delle differenze tra i due approcci, e tra le opportunità di utilizzo dell’uno o dell’altro. Prima di entrare nel merito delle due metodologie, occorre però introdurre un quadro generale sul tema delle alluvioni.

3.1.

Il complesso fenomeno delle alluvioni

Il fenomeno delle alluvioni costituisce purtroppo una delle più frequenti cause delle catastrofi naturali provocando nel mondo la stima di un ordine di grandezza di 20.000 perdite di vite umane all’anno e il coinvolgimento di 75 milioni di persone (K.Smith, 1996).

La ragione risiede nella distribuzione geografica delle pianure alluvionali e delle coste basse, nonché nella loro evidente propensione ad essere la sede di elezione per i diversi insediamenti (Ologunorisa, 2005).

Il termine “alluvione” deriva dal latino alluvio-onis, derivato di alluěre. Indica generalmente la presenza massiva e temporanea di acqua in luoghi generalmente asciutti seppur si ritrovi anche su altre accezioni, come in geologia laddove è utilizzato per indicare l’accumulo di detriti fluviali.

La Direttiva Alluvioni conferma semanticamente la definizione corrente in termini di “l’allagamento temporaneo di aree che abitualmente non sono coperte d’acqua. Ciò include le inondazioni causate da fiumi, torrenti di montagna, corsi d’acqua temporanei mediterranei e le inondazioni marine delle zone costiere e può escludere gli allagamenti causati dagli impianti fognari.” (Comunità Europea, 2007)

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Analisi di suscettività da alluvione in bacini endoreici:

un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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In letteratura esistono differenti approcci per classificare il fenomeno , per esempio (Kron, 2005) individua tre tipi principali di alluvioni: alluvioni fluviali, alluvioni costiere e alluvioni improvvise, più una serie di casi speciali.

Una ulteriore classificazione delle alluvioni può essere intesa distinguendo le alluvioni strettamente legate alla “catena idrologica” da quelle più propriamente “multi hazard” attivate da eventi diversi quali maree, terremoti, tsunami, attività vulcaniche e frane. Nonostante siano le “alluvioni idrologiche” quelle maggiormente analizzate, le inondazioni dovute ad altri fenomeni continuano a produrre danni molto significativi in tutto il mondo. Le inondazioni molto spesso infatti non devono essere considerate come dei fenomeni determinati esclusivamente dalla precipitazione, ma come risultato di diversi processi interagenti tra loro in maniera spesso tutt’altro che lineare (Jacobs, 2016 ). Un esempio tra tanti è l’eruzione che ha interessato lo Stromboli tra il 28 e il 30 dicembre 2002. A seguito di tre colate laviche avvenute lungo la Sciara del Fuoco, il versante nordoccidentale dell’edifico vulcanico (Figura 2), si sono generate due frane che hanno provocato il distacco dal pendio dei corpi lavici precedentemente formatosi (Calvari, 2005)La frana, immergendosi in mare, ha generato due onde di tsunami che si sono abbattute prima sui paesi di Stromboli e Ginostra per procedere poi fino a Milazzo, sulla costa settentrionale della Sicilia, ad una distanza di 60 km a sud di Stromboli.

Figura 2 Colata lavica lungo la Sciara del Fuoco dello Stromboli il 30 dicembre 2002.

Infine, un altro evento non appartenente alla catena idrologica che segnò la storia fu il disastro della diga del Vajont che causò 20000 vittime, spazzando via un intero paese, un interessante analisi del caso viene presentata da (Mantovani, 2003).

Molte alluvioni rimangono tuttavia legate alla catena idrologica connessa principalmente alla trasformazione degli afflussi in deflussi e poi di questi ultimi in effetti al suolo. Queste poi si possono suddividere a loro volta tra eventi alluvionali “isofrequenti” e quelli “non isofrequenti”. Un evento è “isofrequente” se la frequenza

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

della precipitazione per la durata critica di interesse, si preserva nel processo di trasformazione idrologica e idraulica, caratterizzando l’intero fenomeno complessivo fino agli effetti al suolo. In sostanza un evento è isofrequente se precipitazione con un periodo di ritorno di 200 anni viene a produrre effetti al suolo egualmente duecentennali. Non sempre tale ipotesi è verificata. Bastino, a tale proposito, alcuni esempi quali quelli dovuti alle diverse condizioni di umidità del suolo, alla stagione colturale e al malfunzionamento di opere e infrastrutture idrauliche. Altresì si possono suddividere le alluvioni tra inondazioni dirette o da ristagno per mancato o ridotto recapito, essendo potenzialmente diverse le quantità di moto in gioco e dunque le capacità di generare danno.

3.2. Pericolosità e Suscettività

La Pericolosità viene definita come la probabilità che si verifichi un fenomeno potenzialmente dannoso in un determinato periodo di tempo, in una determinata area (Downing, et al., 2001). Questo fatto si riscontra nella citatissima formula del rischio (W.Kron, 2002) (Crozier & Glade, 2005).

La suscettività esprime la componente spaziale del pericolo e si riferisce alla tendenza di un’area a subire gli effetti di un determinato processo temibile (Domínguez-Cuesta, 2013). Una definizione più chiara e applicativa è quella che viene data da (Brabb, 1985), che definisce la suscettività come la probabilità che un evento si verifichi in una determinata zona in funzione della correlazione di fattori che influenzano l’evento con la distribuzione degli eventi storici.

Il rischio infine viene definito come il prodotto di tre fattori quali la pericolosità, l’esposto e la vulnerabilità, ed è inteso come la conseguenza, in termini di danno, dovuta all’evento calamitoso verificatosi. Non vi è alcun rischio se non ci sono persone o beni esposti che possono essere colpiti da un’alluvione, anche se il pericolo è piuttosto elevato (Kron, 2005).

3.2.1. Pericolosità da alluvione e relative mappe di pericolosità

La pericolosità da alluvione è intesa come la probabilità che un evento alluvionale accada con una certa probabilità in una determinata area in un determinato intervallo di tempo. In accordo con la Direttiva Alluvioni le mappe di pericolosità da alluvione devono contenere la perimetrazione delle aree geografiche a pericolosità da alluvione suddivisa secondo tre scenari di evento (Trigila A., 2018) :

- Alluvioni molto frequenti, con alta probabilità di accadimento e periodo di ritorno compreso tra 20 e 50 anni.

- Alluvioni poco frequenti, con periodo di ritorno compreso tra 100 e 200 anni.

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Analisi di suscettività da alluvione in bacini endoreici:

un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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Per ciascuno dei tre scenari è necessario definire i seguenti elementi:

1) Estensione dell’inondazione 2) Altezza idrica

3) Portata e velocità del deflusso

Definendo così tre livelli di pericolosità ( Figura 3) corrispondenti ai tre livelli di probabilità o di scenari di eventi sopra definiti:

1) P3 Pericolosità Elevata per aree con alta probabilità di accadimento (30 ≤ 𝑇 ≤ 50) 2) P2 Pericolosità Media per aree con media probabilità di accadimento (100 ≤ 𝑇 ≤ 200) 3) P1 Pericolosità bassa per aree con bassa probabilità di accadimento (200 ≤ 𝑇 ≤ 500)

Figura 3 mappe ufficiali della pericolosità da alluvione in Italia rispettivamente da sinistra pericolosità idraulica elevata (P3) pericolosità idraulica media (P2) e pericolosità idraulica (P1).

La redazione delle mappe di pericolosità non è di facile e immediata determinazione e richiede una valutazione tecnica e scientifica approfondita. Le mappe di pericolosità infatti possono essere prodotte su tre gradi di dettaglio in base all’accuratezza delle informazioni disponibili. In general si ricorre a modelli idrologici idraulico di varia complessità.

3.2.2. Problematiche delle Mappe di Pericolosità da Alluvione e limiti dell’analisi di pericolosità

La redazione delle mappe di pericolosità da alluvione presenta generalmente complessità che portano a coperture del territorio spesso viziate da disomogeneità metodologica e, più spesso, da mancanza di completezza. Quest’ultima è, in qualche modo, inerente al metodo.

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L’alluvione in un punto del territorio e ad un certo istante è tipicamente un processo stocastico caratterizzato da una propria distribuzione di probabilità. Possiamo intenderlo come un processo binario (bagnato/asciutto) o, in una visione più compessa ed aderente alla Direttiva europea, in termini di altezza sul piano campagna e velocità (mediata sulla verticale), quest’ultima intesa in modulo direzione e verso. In linea di principio si dovrebbe modellare il processo sulla base di serie storiche di osservazioni. Tali informazioni sono tuttavia estremamente povere per le evidenti difficoltà dei rilievi, specialmente in una prospettiva storica appena accettabile.

Innanzi a tale difficoltà oggettivamente insormontabile si ricorre usualmente ad una operazione a dir poco ardita, la cui specificità pare tuttavia sfuggire agli operatori: si trasferisce alla precipitazione (della quale si dispone di serie storiche adeguate e numerosi sensori) la caratterizzazione del processo stocastico di inondazione. In sostanza, fissato un orizzonte temporale, si assume che l’inondazione di probabilità p in un punto del territorio (x,y), sia quella provocata da una precipitazione intensa sul bacino e la durata critica di interesse (su questo aspetto torneremo tra breve) la cui probabilità è appunto p.

Con questo approccio è necessario dunque passare attraverso una trasformazione afflussi deflussi, un modello di propagazione lungo l’asta e un ulteiore modello di inondazione a campagna. Altresì si può anche pensare di simulare tutta l’idraulica in un unico contesto bidimensionale, ovvero usare schemi più o meno semplificati.

Questa procedura viene usualmente svolta sui corsi d’acqua principali, ove sono disponibili peraltro rilievi delle sezioni trasversali. Il reticolo minore, cui peraltro è dovuta una rilevante quota parte degli eventi calamitosi, quantomeno in Italia, resta così scoperto, privando il pianificatore di informazioni rilevanti. Questa è la ragione per la quale parecchie zone dei bacini dotati di PGRA risultano non studiate, generando anche, talvolta, significative ambiguità nell’ambito della pianificazione di protezione civile al momento del disegno di scenari di rischio.

All’incompletezza della mappatura si aggiunge una disomogeneità nella metodologia di mappatura stessa dato che non sussistono procedure unificate per procedere ai calcoli per cui, anche seguendo criteri sostanzialmente di buon senso, è verosimile che si utilizzino procedure diverse per aree con caratteristiche litologiche, morfologiche, climatiche o di copertura, altrettanto diverse.

Questo approccio, che ha trovato e trova larga applicazione nella pratica, implica dunque alcune ipotesi molto forti che vale la pena di ricordare:

- Che le precipitazioni intense siano l’unica causa di alluvione;

- Che tutta l’intera cascata di processi sia basata sull’ipotesi di isofrequenza ovvero che tutto il processo idrologico, dalla precipitazione alla formazione della portata, fino agli effetti al suolo, si manifesti con la stessa frequenza, ipotesi che oltre a non essere del tutto realistica, (Bocchiola & Rosso, 2009), determina

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un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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i limiti della maggior parte delle mappe di pericolosità da alluvione in cui vengono modellati solo i processi isofrequenti.

Una osservazione a latere, particolarmente pertinente in questo contesto è che tali procedure tradizionali di mappatura delle aree a pericolosità da alluvione sono generalmente riferite ai bacini esoreici, vale a dire ai bacini con una superficie libera che sbocca in mare aperto o in un corso d’acqua di ordine maggiore. L'osservazione di eventi storici di inondazione suggerisce che tali metodi non sempre sono adeguati per le zone carsiche caratterizzate da bacini endoreici (Iacobellis & Castorani, 2014). Questi bacini sono caratterizzati da uno spartiacque chiuso all’interno del quale l’acqua attraverso un inghiottitoio carsico percola raggiungendo la falda acquifera. L’alluvione di progetto con un periodo di ritorno fissato e in particolare la precipitazione critica dell’evento nel caso dei bacini endoreici dovrebbero essere ricercate tenendo conto del comportamento del suolo permeabile e delle dinamiche delle acque sotterranee (Iacobellis & Castorani, 2014) da ciò risiede la mancata applicabilità del metodo idrologico-idraulico tradizionale che dovrebbe essere riadattato per poter modellare un caso tanto peculiare.

Infine rimangono tutta una serie di casistiche particolari che non vengono considerate all’interno del PAI, PGRA come il rischio retro-arginale, problemi da insufficienza dei sistemi di drenaggio urbano, sottopassi stradali, malfunzionamento dei sistemi di bonifica, mareggiate, tsunami, fenomeni valanghivi..,etc.

Per questa serie di problematiche, ricercatori e studiosi hanno iniziato a interrogare i metodi tradizionali ed a considerare un diverso approccio alla mappatura delle flood prone areas. Infatti se la pericolosità viene ottenuta con modelli idrologici-idraulici fisicamente basati, metodi che possono essere considerati concept driven in cui si studia il fenomeno e successivamente si formulano delle leggi. La suscettività, che verrà introdotta nel paragrafo successivo, è basata invece su un concetto emprical data driven, in cui dall’osservazione dei dati storici e del carattere geomorfologico, intrinseco del territorio, si estrae la legge del fenomeno (Solomatine, 2004).

3.2.3. Suscettività da alluvione con riferimento alla letteratura

Riprendendo la definizione di suscettività, essa quantifica la predisposizione di un territorio ad essere soggetto ad una calamità naturale in funzione della correlazione di fattori predisponenti, che influenzano l’evento, con la distribuzione degli eventi storici (Brabb, 1985).

La suscettività riferita alle alluvioni può essere intesa come la stima, che può essere qualitativa o quantitativa della distribuzione spaziale delle alluvioni che si sono verificate sul territorio o che potrebbero verificarsi all’interno di una determinata area. (Fella, et al., 2008) Il concetto che sta alla base di questo tipo di approccio è che un’area possa essere maggiormente propensa ad essere allagata, rispetto ad un’altra, a causa della morfologia e topografia del territorio definite per esempio dalla pendenza locale, dalla distanza dal letto del

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fiume o dalla quota relativa che un’area ha rispetto ad un corso d’acqua. In Figura 4 si può osservare cosa può significare abitare nelle vicinanze di un corso d’acqua.

Figura 4 Durante l’alluvione dell’Emilia del 15 settembre 2015 nel piacentino alcune frazioni del comune di Farini rimasero isolate Viene quindi data molta importanza alle variabili morfologiche e spaziali mentre viene tralasciata la variabile temporale che non rientra esplicitamente nell’analisi di suscettività (Fella, et al., 2008).

Attraverso un modello i fattori predisponenti, che vengono scelti sulla base di uno studio approfondito del territorio vengono, correlati con i dati storici delle alluvioni necessari per calibrare e validare il modello. Si possono distinguere principalmente due tipi diversi di approccio per poter produrre un’analisi di suscettività da alluvione uno “pure geomorphologic” e uno “data driven .

Il primo considera come regola generale che un’area risulta essere soggetta ad un’alluvione principalmente a causa del carattere geomorfologico locale intrinseco del territorio, per cui viene eseguita solo in parte anche la calibrazione con i dati osservati.

In questo contesto, conoscere la topografia della superficie è un fattore determinante. La disponibilità di nuove tecnologie di misura, ad alta risoluzione delle quote del terreno, come GPS, SAR interferometry, radar, laser altimetry ha permesso l’aumento della disponibilità di modelli digitali di elevazione del terreno DEMs

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Infatti dalla fine degli anni novanta grazie alla rapida accessibilità ai dati telerilevati via satellite e al miglioramento dei metodi commerciali è incrementato l’interesse ad utilizzare procedure automatizzate basate sui sistemi informativi geografici (GIS) i quali peraltro risultano uno strumento particolarmente adatto per indagare degli eventi multidimensionali come le alluvioni (Tehrany M. B., 2015).

Un esempio in cui viene utilizzato l’approccio “pure geomorphologic” lo si può trovare in (Manfreda D. L., 2011) dove viene presentata una metodologia per la delimitazione delle aree esposte alle inondazioni utilizzando solo informazioni sulla topografia del bacino. Si basa sull’idea che un’area è potenzialmente allagabile se presenta un indice topografico (TI) al di sopra di una certa soglia 𝜏. L'utilizzo di tale indice aveva già dimostrato di essere un buon indicatore per la delimitazione delle aree esposte all'inondazione (Manfreda S. S., 2008) e nel successivo studio, in cui viene trattato il caso di studio dell’Arno in Toscana viene introdotto un indice topografico modificato (TIm) che ne incrementa il risultato. È importante sottolineare che la calibrazione è stata condotta sulla base delle mappe delle aree inondate dell’autorità di bacino del Fiume Arno ottenute con la simulazione idraulica e quindi non sulla base diretta dei dati osservati. Una revisione di questo metodo si trova in (Salvatore Manfreda, 2014) dove vengono confrontati tre applicazioni differenti basati sull’approccio “pure geomorphologic”.

Il secondo approccio che negli ultimi anni è stato oggetto di approfonditi studi, per il caso delle alluvioni è quello “data driven” secondo il quale la modellazione dell’evento alluvionale viene costruita estrapolando informazioni utili dai dati osservati attraverso differenti metodologie.

Tali metodologie comportano l'analisi e la trasformazione dei fattori di input che sono i dati storici delle aree allagate e le caratteristiche idro-geomorfologiche del territorio in un unico modello di output che si traduce nella generazione di una mappa di suscettività da alluvione. Tale procedimento viene realizzato tramite diverse tecniche di ponderazione, di calcolo, di interpolazione, tecniche basate sulla conoscenza, tecniche qualitative e tecniche di data mining (Meyer, Scheuer, & Haase, 2009).

Vengono utilizzati diversi modelli in letteratura, in base al caso di studio che vanno dai modelli più semplici statistico-probabilistici alle tecniche più avanzate di soft computing e data mining (Tehrany M. B., 2015). Tra i diversi modelli che si riscontrano in letteratura, quelli più utilizzati per la modellazione di eventi naturali catastrofici (alluvioni, frane etc.. .) sono : Frequency Ratio, Logistic Regression, Analytic Hierarchy Process , Artificial Neural Network, Fuzzy Logic, Adaptive Neuro-Fuzzy Inference System, Rule Based Decision Tree e metodi bayesiani come Weight Of Evidence. (Tehrany, Pradhan, & Jebur, 2014) (Tehrany M. B., 2015). Verranno discussi di seguito con una revisione della bibliografia.

Una delle tecniche statistiche bivariate più frequentemente utilizzate per produrre una mappa di suscettività da alluvione è la frequency ratio (FR), essa risulta facilmente comprensibile e capace di analizzare zone a rischio da alluvione producendo mappe di suscettività accettabili (Liao X, 2009).

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Questa metodologia quantifica la relazione tra l’occorrenza e la non occorrenza di un evento alluvionale e un certo numero di fattori scatenanti. Viene calcolata come il doppio rapporto tra il numero di eventi alluvionali che ricade all’interno di ciascun tipo o classe di fattore sul totale degli eventi alluvionali e la porzione di area all’interno di ciascun tipo o classe di fattore predisponente sull’intera area di studio (Sailesh Samanta, 2018). Nello studio di (Moung-Jin Lee, 2012) è stato utilizzato il metodo della frequency ratio analizzando 15 fattori predisponenti per produrre una mappa di suscettività da alluvione della città portuale di Busan in Sud-Corea frequentemente colpita e danneggiata da eventi alluvionali.

Un metodo di analisi statistico multivariato molto utilizzato è la logistic regression (LR) che permette di formulare una relazione di regressione multivariata tra una variabile dipendente e diverse variabili indipendenti (Pradhan & Lee, 2010). Questa tecnica viene utilizzata per calcolare la probabilità di accadimento di un evento disastroso in un’area servendosi di una formulazione specifica generata sulla base di una serie di fattori indipendenti (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014). Tale metodo risulta appropriato per l’individuazione delle “flood prone areas” perché capace di prevedere se la presenza o l’assenza di una determinata caratteristica può influenzare un evento alluvionale, nonché di analizzare l’evento alluvionale sulla base di un insieme di “predittori” variabili (Pradhan B. , 2010). In quest’ultimo studio vengono selezionati nove fattori predisponenti come: pendenza, curvatura, distanza dalla reta di drenaggio, classificazione e uso del suolo, precipitazioni, flow accumulation ed elevazione. Successivamente viene applicata la tecnica statistica della logistic regression per valutare i nove fattori e determinare una mappa di suscettività da alluvione al bacino del fiume Kelantan, soggetto alle frequenti alluvioni dei monsoni in Malesia.

Analisi di probabilità bivariata e regressione logistica multivariata poi possono essere combinati insieme con lo scopo di colmare i punti deboli di ciascun metodo e produrre così un modello di suscettività da alluvione che presenta una maggior precisione (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014). Infatti se la regression logistic considera la relazione tra una variabile dipendente e le diverse variabile indipendenti trascurando l’impatto delle differenti classi di ciascun fattore sull’occorrenza di un alluvione, l’analisi di probabilità bivariata come può essere la frequency ratio analizza ciascun variabile indipendente rivalutandola in base all’impatto che le diverse classi hanno sul verificarsi di un’alluvione senza però considera la relazione di tutti i fattori indipendenti tra loro (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014) (Tehrany, Pradhan, & Jebur, 2014).

I metodi statistici sopra menzionati vengono anche definiti quantitativi, poiché si basano su espressioni numeriche che legano una variabile dipendente (l’occorrenza dell’alluvione) alle variabili indipendenti (fattori predisponenti). Questi metodi quantitativi si distinguono da quelli qualitativi come può essere l’analytic hierarchy process (AHP). In questi ultimi la modellazione e il risultato dipendono fortemente dalla conoscenza dell’esperto che può rappresentare “un’arma a doppio taglio” poiché la necessità dell’esperienza nel valutare, classificare e assegnare pesi può essere la principale fonte di errore (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014). Tale

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tecnica rimane comunque appropriata per analizzare problemi complessi in cui un gran numero di parametri e criteri vengono coinvolti (Nerantzis Kazakis, 2015).

Nello studio condotto da (Subramanian, 2012) viene affermato che una metodologia di questo tipo è appropriata per un’analisi di tipo regionale come è il caso di uno studio in Grecia in cui viene introdotto un indice spaziale multicriterio per individuare le aree a pericolosità da alluvione nella specifica regione di Rhodope-Evros in Grecia del nord (Nerantzis Kazakis, 2015). Tale indice viene ottenuto analizzando le informazioni di sette fattori predisponenti: accumulo di flusso, precipitazioni, geologia, uso del suolo, pendenza, altitudine e distanza dalla rete drenaggio, il cui peso relativo viene ottenuta in base alla severità e alla frequenza delle alluvioni. Il peso che viene assegnato a ciascun fattore viene calcolato attraverso il modello AHP che prevede un confronto a coppie tra i fattori utilizzando una matrice 7x7 in cui i valori della diagonale sono uguale a uno.

Un metodo che già in precedenza veniva frequentemente utilizzato per la modellazione idrologica e la stima delle piene prendendo come unico dato di input le precipitazioni e ottenendo come dato di output il deflusso superficiale senza considerare altri fattori causali è l’artificial neural network (ANN) (Kia, et al., 2012).

Le reti neurali artificiali sono dei modelli matematici della percezione umana che possono essere addestrati per svolgere un particolare compito sulla base dei dati empirici disponibili e possono diventare un potente strumento per la modellazione quando le relazioni tra dati non sono del tutto note (Lek S, 1996). Tale tecnica rappresenta uno dei metodi di apprendimento automatico (machine learning), maggiormente utilizzato nella risoluzione di problemi basati sull’approccio data driven (Tehrany, Pradhan, & Jebur, 2014). Infatti poiché l’obiettivo delle reti neurali è quello di catturare l’andamento non-lineare dei dati, aggiungendo degli strati di parametri (hidden layers) al modello (Castañón, 2018), il loro utilizzo permette di risolvere il limite dei metodi statistici come la FR e LR che si basano su delle assunzioni lineari, mentre le alluvioni sono note per essere un fenomeno complesso e fortemente non-lineare (Tehrany M. B., 2015). Una revisione dettagliata riguardo alle metodologie e le differenze tra i metodi statistici e le reti neurali si trova in (Maier & Dandy, 2000).

Un esempio in cui viene implementata tale metodologia, utilizzando vari fattori causali di un evento alluvionale per modellare e simulare le aree a rischio di alluvione nella parte meridionale della Malesia peninsulare si riscontra in (Kia, et al., 2012) dove viene prodotta una mappa di suscettività da alluvione utilizzando sette fattori predisponenti: altitudine, pendenza topografica, accumulo di flusso, geologia, tipo di suolo, uso del suolo e dati di precipitazioni.

Tuttavia questa metodologia, considerata come una black box, presenta delle procedure piuttosto complesse, richiede l’utilizzo di potenti strumenti di calcolo e il suo procedimento non è del tutto intuitivo (Maier & Dandy, 2000).

Una metodologia come quella della fuzzy logic (FL) presenta una struttura più semplificata e “trasparente” rispetto al modello ANN e viene utilizzata in varie applicazioni idrologiche (Tilmant, 2002). Fuzzy logic che

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letteralmente significa logica sfumata è una logica polivalente, legata alla teoria degli insiemi sfocati, sviluppata da Lofti A. Zadeh nei primi anni’ 60. In una logica di questo tipo un insieme di oggetti è caratterizzato da una funzione di appartenenza (caratteristica), che assegna ad ogni oggetto un grado di appartenenza compreso tra zero e uno (Zadeh, 1965). Viene intesa come un’estensione della logica booleana, in cui le variabili possono essere solo vere (1) o false (0). In letteratura l’utilizzo di tale metodologia è frequente per l’analisi di suscettività da frana (Pradhan B. , 2011), mentre per analisi di suscettività da alluvione si trova spesso combinata al metodo ANN per produrre una metodologia ibrida chiamata Adaptive Neuro-Fuzzy Inference System (ANFIS) basata sull’approccio data driven e dotata dell’abilità di autoapprendimento, senza richiedere necessariamente degli input nel sistema. Per esempio la tecnica ANFIS viene combinata con l’utilizzo di due algoritmi genetici (Haoyuan & Mahdi Panahi, 2018) per produrre una mappa di suscettività da alluvione per la contea Hengfeng in Cina. Vengono analizzati tredici parametri tra quelli idrologici, morfologici e litologici e viene applicata una tecnica di analisi decisionale multi-criterio (SWARA) che permette di assegnare un peso a ciascuna classe di ciascun parametro e successivamente vengono combinate due tecniche di data mining con il modello ANFIS per produrre due mappe di suscettività da alluvione confrontabili.

Il vantaggio di utilizzare quello che viene chiamato un ensemble method, ovvero due o più modelli combinati insieme è quello di ottenere delle previsioni più accurate rispetto ai modelli di apprendimento (machine learning) utilizzati singolarmente (Chen, Pourghasemi, Kornejady, & Zhang, 2017).

Un esempio in cui viene utilizzato un ensemble method lo si trova in (Tehrany, Pradhan, & Jebur, 2014) dove, prima viene utilizzato il modello Weights-of-Evidence (WoE), per valutare l'impatto delle classi di ciascun fattore predisponente sull’evento alluvionale, attraverso un’analisi statistica bivariata (BSA) e successivamente il modello della Support Vector Machine (SVM) , che prende in input questi fattori riclassificati con i pesi acquisiti e valuta, attraverso un’analisi statistica multivariata (MSA), la relazione tra l’evento alluvionale e tutti i fattori predisponenti. I fattori predisponenti che vengono inseriti nell’analisi sono dieci: pendenza, indice di potenza di flusso, indice topografico, altitudine, curvatura, distanza dal reticolo idrografico, geologia, precipitazioni, uso e tipo di suolo.

L'utilizzo dei metodi data driven, come appena descritti, al fine di mappare le aree a rischio alluvione, permette di inserire nella modellazione di un evento alluvionale la combinazione di più fattori causali o condizionanti l'alluvione e non solo la precipitazione come in genere avviene nel caso in cui si implementi un modello idrologico come quello di afflussi-deflussi (Kia, et al., 2012). Come viene affermato in (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014) fattori come: le caratteristiche idrologiche e metereologiche, il tipo di suolo e la struttura geologica del terreno, la geomorfologia e la vegetazione, sono considerati tra i più influenzanti di un’alluvione (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014).

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Analisi di suscettività da alluvione in bacini endoreici:

un caso di studio sulla pianificazione di protezione civile in Puglia

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3.2.4. Criticità nella realizzazione di una mappa di suscettività da alluvione

L’utilizzo dei metodi data driven ha sicuramente avuto nel passato una larga applicazione per quanto riguarda il caso delle frane col fine di condurre un’analisi di suscettività da frana. Una revisione recente di tali metodi basati sui dati applicati al caso delle frane lo si può trovare in (Reichenbach, et al., 2018).

Per il caso delle alluvioni invece studi di questo tipo sono ancora piuttosto rari, almeno in Italia.

La ragione principale per cui si predilige un’analisi di suscettività per le frane piuttosto che per le alluvioni risiede nel fatto che una frana sia in generale più facilmente rilevabile, poiché quando avviene un evento franoso, esso lascia un’evidente traccia sul territorio e i suoi effetti si possono osservare anche a lungo termine, mentre per quanto riguarda le alluvioni, risultano difficili da perimetrare, poiché la traccia lasciata da una piena non è duratura nel tempo e le perimetrazioni corrette si dovrebbero condurre durante o subito dopo l’evento di piena, rendendo ardua la disponibilità di una mappatura sistematica delle aree allagate.

In uno studio di questo tipo è necessario possedere un ingente database e ciò rappresenta spesso il primo ostacolo nell’avanzamento di una ricerca (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014). Problematica, questa che è stata in gran parte risolta, grazie all’utilizzo di immagini satellitari che riescono a dare un’idea della distribuzione delle catastrofi in tutto il mondo.

In questo contesto giocano un ruolo fondamentale i programmi volti a fornire informazioni e immagini satellitari relativi ai disastri naturali come le alluvioni. Un esempio è Copernicus, un programma di osservazione satellitare della terra, lanciato nel 1998 dalla Commissione Europea e da un pool di agenzie spaziali, tra le cui applicazioni definite prioritarie, ci sono la gestione dei disastri naturali. Il servizio di gestione delle emergenze Copernicus (EMS), entrato in funzione nel febbraio 2015, grazie alla sua copertura mondiale e alla sua vasta gamma di situazione di emergenza derivanti da catastrofi naturali o dall’azione antropica permette di fornire immagini satellitari, anche in tempo reale (4 giorni successivi alla catastrofe). (COPERNICUS, s.d.).

Un’altra difficoltà che si può riscontrare in un’analisi di suscettività da alluvione è rappresentata dalla scelta del numero e della tipologia dei fattori predisponenti. In un’analisi di questo tipo infatti la determinazione dei fattori che possono predisporre un’alluvione rappresenta un passo cruciale (Kia, et al., 2012). Sicuramente, la letteratura può essere d’aiuto nel guidare la scelta dei fattori. Tuttavia è da tenere in considerazione che fattori predisponenti che possono essere importanti per descrivere un’alluvione per una determinata area possono non essere rilevanti per descrivere un allagamento in una diversa area (Pradhan B. , 2010).

Per quanto riguarda invece il numero dei fattori predisponenti che viene scelto per condurre l’analisi è alquanto soggettivo poichè un numero elevato di fattori, se scelti correttamente, potrebbe comportare un’analisi più dettagliata ma in tempi più lunghi, così come, se si è in possesso di poche informazioni potrebbero bastare

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Tesi di laurea di Sara Brizzi

anche solo due fattori, quali la distanza e la quota rispetto a un corso d’acqua, per descrivere adeguatamente l’area più suscettiva ad essere allagata.

In ogni caso non vi è una regola universale per definire il numero e la tipologia dei fattori predisponenti (Tehrany, Lee, & Pradhan, 2014) lasciando un certo “libero arbitrio” nella selezione degli stessi che ne può essere una fonte di incertezza. Infine un’ultima criticità può essere individuata in fase di organizzazione dei fattori predisponenti in classi che dipende fortemente dalla conoscenza “dell’esperto”.

3.2.5. Pericolosità vs Suscettività

Si riassumono le principali differenze tra le due diverse metodologie affrontate.

I metodi tradizionali come il modello idrologico-idraulico, fisicamente basato, “PBM” (Solomatine, 2004) ,con cui viene generalmente prodotta una mappa di pericolosità da alluvione, può possedere una struttura inadeguata a descrivere i più importanti processi fisici costituenti e le loro interazioni. I metodi tradizionali infatti basandosi principalmente su ipotesi lineari non si adattano bene a descrivere un fenomeno complesso e fortemente non-lineare come quello delle alluvioni (Tehrany M. P., 2013).

I metodi innovativi come i metodi data driven “DDM” (Solomatine, 2004) utilizzati per produrre una mappa di suscettività da alluvione possiedono una struttura più semplice nell’apparenza ma che riesce a descrivere maggiormente la complessità e la non-linearità di un evento alluvionale proprio perché il punto di partenza è come esso si manifesta sul territorio.

I PBM si appoggiano su una forte ipotesi di isofrequenza tralasciando tutta una serie di casi in cui essa non si verifica.

Nei DDM vengono considerati tutti gli eventi che hanno prodotto un allagamento e dunque effetti al suolo. Nei PBM in genere viene considerata un unico fattore causale di un evento alluvionale: la precipitazione.

Nei DDM è possibile mettere in relazione una serie di fattori predisponenti che possono determinare e influenzare un’alluvione.

Nei PBM ci possono essere una serie di parametri da dover calibrare la cui stima può risultare incerta a causa del processo di calibrazione e dei dati a disposizione.

Nei DDM i pesi da dover assegnare a ciascun fattore o classe di fattore può essere causa di incertezza in base “all’incapacità dell’esperto”.

Nei PBM il punto di partenza è rappresentato forse dalla causa che nella maggior parte delle volte è la precipitazione

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