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IL CONTRADDITTORIO E LA PROVA IRRIPETIBILE TRA COSTITUZIONE E C.E.D.U.

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1

INDICE

INTRODUZIONE ………..6

CAPITOLO PRIMO

IL CONTRADDITTORIO NEL PROCESSO PENALE

ITALIANO

1. PREMESSA ……….10

2. PROCESSO E VERITA’: LA PRECARIETA’ DEL

MODELLO ACCUSATORIO NEI PRIMI 10 ANNI DI

VIGENZA DEL C.P.P. ……….11

3. LA LEGGE COSTITUZIONALE 23 NOVEMBRE 1999, N. 2

………16

3.1. IL GIUSTO PROCESSO ……….17

3.2. LA DECLINAZIONE DEL CONTRADDITTORIO NELL’ART.

111 COST……….20

3.2.1. IL CONTRADDITTORIO SULLA PROVA. IL

CONTRADDITTORIO COME PRINCIPIO E COME REGOLA ………..20 3.2.2. IL CONTRADDITTORIO PER LA PROVA………23 3.2.3. IL CONTRADDITTORIO COME GARANZIA OGGETTIVA ………..25 3.2.4. IL CONTRADDITTORIO COME GARANZIA SOGGETTIVA ………..27 3.2.5. IL CONTRADDITTORIO IMPLICITO, IMPOSSIBILE,

(2)

2

INQUINATO ………..31 3.2.6. IL CONTRADDITTORIO NELLA SECONDA PARTE DEL QUARTO COMMA DELL’ART. 111 COST

. ………

35

CAPITOLO SECONDO

I PROFILI SISTEMATICI DELL’IRRIPETIBILITA’

1. PREMESSA ………..39

2. IRRIPETIBILITA’ ORIGINARIA E SOPRAVVENUTA ………… 43

3. IRRIPETIBILITA’ SOGGETTIVA E OGGETTIVA………48

3.1. FACOLTA’ DI ASTENSIONE COME CAUSA DI

IMPOSSIBILITA’ GIURIDICA ………..51

3.2. MORTE E INFERMITA’ COME CAUSE DI

IMPOSSIBILITA’ OGGETTIVA ………53

3.2.1. IL CASO DELL’AMNESIA ……….57

3.2.2. IL CASO DEL TESTIMONE FRAGILE ………60

3.3. L’IRREPERIBILITA’ TRA IMPOSSIBILITA’

OGGETTIVA E LIBERA SCELTA

3.3.1. LA NOZIONE DI TESTIMONE IRREPERIBILE ……….63

3.3.2. LA VOLONTARIETA’ DELL’ASSENZA ……….68 3.3.3. LA SORTE PROCESSUALE DELLE DICHIARAZIONI DEL TESTE VOLONTARIAMENTE IRREPERIBILE ………. 70

4. IRRIPETIBILITA’ PREVEDIBILE E NON PREVEDIBILE

4.1. NOZIONE E FUNZIONE DELL’ IMPREVEDIBILITA’ ……77

4.2. L’ACCERTAMENTO DELL’IMPREVEDIBILITA’: LA

(3)

3

PROGNOSI POSTUMA ………80

4.3. IL COORDINAMENTO DIFETTOSO CON L’INCIDENTE

PROBATORIO ………..86

CAPITOLO TERZO

ANALISI DELLA DISCIPLINA CODICISTICA

SULL’IRRIPETIBILITA’

1. PREMESSA ………..90

2. L’ART. 512 C.P.P.

2.1. CONDIZIONI PER LA LETTURA: GLI ATTI LEGGIBILI E LA

RELATIVA DOCUMENTAZIONE ……….91

2.2. L’IMPULSO DI PARTE E L’ONERE DELLA PROVA ……..95

2.3. LA LETTURA ………100

3. L’ART. 512BIS C.P.P.

3.1. FORMULAZIONE ORIGINARIA E MODIFICHE DELLA

LEGGE CAROTTI ……….103

3.2. PRESUPPOSTI PER LA LETTURA

3.2.1. GLI ATTI LEGGIBILI ………..106 3.2.2. L’ASSOLUTA IMPOSSIBILITA’ DELL’ESAME

DIBATTIMENTALE ………109 3.2.3. L’ASSENZA DEL REQUISITO DELL’IMPREVEDIBILITA’…111 3.2.4. IL CRITERIO <<… DEGLI ALTRI ELEMENTI DI PROVA>> ………113

4. LE ALTRE FIGURE DI IRRIPETIBILITA’ SOPRAVVENUTA

(4)

4

4.1. L’ART. 513, COMMA 2 C.P.P. ……….117

4.1.1. IL CONFRONTO CON L’ART 512 ……….122

4.2. L’ART. 238, COMMA 3 C.P.P. ……….127

4.2.1. IL CONFRONTO CON L’ART. 512 ………131

4.3. L’ART. 403, COMMA 1BIS C.P.P. ……….135

4.4. IL CASO DEL MUTAMENTO DEL GIUDICE

DIBATTIMENTALE ………....138

CAPITOLO QUARTO

IL CONTRADDITTORIO E LA PROVA IRRIPETIBILE

NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI

DELL’UOMO

1. PREMESSA ………140

2. L’ART. 6, COMMA 3, LETT. D) C.E.D.U. ………141

2.1. IL CONTRADDITTORIO ALMENO DIFFERITO SULLA

FONTE DI PROVA ………..147

2.2. LA PROVA UNICA O DETERMINANTE ……….152

3. L’IMPATTO DELLA C.E.D.U. SULLA DISCIPLINA INTERNA

DELLA PROVA IRRIPETIBILE

3.1. L’UTILIZZABILITA’ DEGLI ATTI DI INDAGINE NELLA

DECISIONE DA PARTE DEL GIUDICE

ITALIANO: IL CONTRASTO CON LA CORTE E.D.U.

………...158

3.2. I TENTATIVI DI “REDENZIONE” DEL GIUDICE

(5)

5

NAZIONALE

………164

4. LA RIVISITAZIONE DEL “DIRITTO AL CONFRONTO”

ORIGINATA DAL CASO AL-KHAWAJA E

TAHERY C. REGNO UNITO E LE SUCCESSIVE IMPLICAZIONI

OPERATIVE

………172

4.1. L’AL-KHAWAJA TEST ………..174

4.2. LA NOZIONE DI EQUITA’ COMPLESSIVA DEL

PROCEDIMENTO TRA TRADIZIONE E

INNOVAZIONE ………179

4.3. GLI ULTERIORI SVILUPPI “DEL NUOVO

ORIENTAMENTO” E L’IMPATTO

SULL’ORDINAMENTO INTERNO ………..185

CONCLUSIONI ……….190

(6)

6

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di scandagliare il rapporto tra contraddittorio e prova irripetibile, alla luce della Costituzione e della legislazione ordinaria di attuazione, così come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione che di essa dà la Corte e.d.u. Lo scenario che fa da sfondo all’oggetto della trattazione è un processo penale in bilico tra vecchi e nuovi modelli, tra diritti ampiamente consolidati e di recente emersione. Il binomio è costituito da due estremi opposti che, opportunamente dosati (non s’intende sotto il profilo statistico), generano un equilibrio tendenzialmente stabile dal punto di vista dell’ordinamento interno, più precario, invece, se proiettato nello spazio giuridico internazionale, viste le numerose condanne subite dall’Italia sul punto. I due elementi sono opposti perché l’uno designa il metodo per eccellenza di formazione delle conoscenze giudiziali: in dibattimento, davanti al giudice, alla presenza di parti portatrici di interessi contrapposti, tutte condizioni che giocano a favore della creazione di un contributo probatorio affidabile, dunque idoneo ad avvicinare la ricostruzione dei fatti all’accertamento della verità. L’altro individua, invece, il presupposto in presenza del quale si può legittimamente derogare a tale regola generale: nel caso in cui sia impossibile riprodurre le condizioni in cui si estrinseca il contraddittorio, vi si può rinunciare, consentendo eccezionalmente che conoscenze provenienti dalle fasi anteriori al giudizio, di matrice unilaterale, possano transitare direttamente in giudizio e concorrere così alla decisione sulla responsabilità dell’imputato. Se l’esistenza della deroga mette, per certi versi, in dubbio la centralità e l’importanza della regola, dall’altro lato lo sforzo del legislatore e

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7

dell’interprete di attenersi ai rigidi presupposti previsti dalla Costituzione e dalla legge può essere utile per fugare queste perplessità. È assai difficile da spiegare, infatti, come possa un atto di indagine, realizzato in vista delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, trasformarsi, in ragione della sua irripetibilità in dibattimento, in prova utilizzabile ai fini della decisione sulla responsabilità dell’imputato. È evidente che si tratta di un caso in cui perdere un contributo probatorio è ritenuto più grave di garantirne la formazione dialettica. Tuttavia nella consapevolezza di quanto sia azzardata questa proporzione, l’interprete ha tentato di limitarne la latitudine entro confini ben precisi. Nella sistematica della categoria dell’irripetibilità, quella capace, per il nostro ordinamento, di determinare la deroga al contraddittorio dovrebbe essere rigorosamente oggettiva, assoluta e imprevedibile, secondo quanto discende dall’interpretazione congiunta dell’art. 111, commi 4 e 5 Cost. e dell’art. 512, comma 1 c.p.p. Tuttavia, il dato testuale tanto della norma costituzionale quanto di quella codicistica, per certi versi, devia verso interpretazioni eterogenee. La seconda omette il riferimento al carattere oggettivo dell’impossibilità di ripetizione dell’atto di indagine di cui si chiede la lettura durante l’istruttoria dibattimentale, e ad approfittare di questa omissione è proprio la prima disposizione che vieta di basare la colpevolezza dell’imputato su dichiarazioni rilasciate da chi si sia sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio della difesa. Interpretati congiuntamente questi due elementi portano l’interprete ad imbattersi in un caso in cui è possibile recuperare in dibattimento atti di indagine che non siano oggettivamente irripetibili in giudizio, nel caso in cui manchi la prova positiva della volontaria sottrazione ad esso della fonte testimoniale. Tentativi di strumentalizzare la categoria dell’irripetibilità al fine di

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8

trasformare le indagini in una gigantesca istruzione sommaria si sono serviti anche di altre disposizioni le cui formulazioni oscillanti nel tempo sono state complici nel fraintendimento generale. Alcuni di questi si sono spinti ad affermare che integravano una causa di impossibilità di ripetizione in giudizio delle precedenti dichiarazioni il prossimo congiunto che si fosse avvalso della facoltà di astensione dalla testimonianza o il coimputato in procedimento connesso che avesse usufruito del diritto al silenzio (art. 513 c.p.p.). Oppure nell’ipotesi del dichiarante residente all’estero (art. 512bis c.p.p.) l’assenza del requisito dell’imprevedibilità e la citazione di condizioni ulteriori e di dubbia origine e finalità (l’impossibilità dell’esame dibattimentale piuttosto che dell’esame nel contraddittorio tra le parti, il criterio degli altri elementi di prova) hanno condotto ad individuare nella norma in questione uno strumento per recuperare più agilmente materiale precedentemente formato, sotto lo stendardo di un’irripetibilità che resta un contenitore dai contorni variabili. Nella stessa direzione si collocano senz’altro i tentativi di ricondurre nella categoria dell’irripetibilità anche ipotesi di mera difficoltà di assunzione della prova nel contraddittorio tra le parti, dovute a impedimenti fisici del singolo dichiarante o organizzativi degli uffici giudiziari, che siano, invece, assolutamente superabili. Esempi di questo genere sono offerti dal soggetto che sia stato colpito da un’ amnesia di carattere patologico che gli impedisca di rendere in maniera utile la sua dichiarazione nel processo, o, ipotesi ancora più grave nella prospettiva di una dilatazione eccessiva dell’ambito di operatività della norma in materia di letture, il soggetto che il buon senso suggerisce di dispensare dal deporre per la sua fragilità psicologica. Il presente lavoro segue il percorso accidentato che dottrina e

(9)

9

giurisprudenza hanno tracciato per costringere, al contrario, la prova irripetibile in confini molto più ristretti.

L’altra faccia della medaglia dell’irripetibilità riguarda, invece, un profilo apparentemente secondario nell’ordinamento interno, perciò fonte di scontri con la giurisdizione di Strasburgo: l’utilizzabilità come prova unica o determinante degli atti recuperati tramite il sistema delle letture. In verità vi sono contrasti finanche sul riconoscimento di un reale contrasto con la giurisprudenza europea. Essendo, infatti, il dato letterale tanto della normativa nazionale quanto di quella sovranazionale piuttosto scarno sul punto, è stato oggetto di svariate interpretazioni. Da un lato, sotto quest’ultimo profilo ci si è spinti a negare che una regola del genere sia promossa dai giudici europei, i quali più che legiferare norme astratte, devono risolvere casi concreti; dall’altro lato attraverso contorte esegesi che scomodano ora l’interpretazione costituzionalmente compatibile, ora quella convenzionalmente conforme, ora i principi generali dell’ordinamento processuale penale, si è sostenuto che la disciplina italiana sulla prova irripetibile possa contare su una regola di valutazione dello stesso tenore di quella espressa dalla Corte edu. Ancora una volta spetta al diritto vivente l’ingrato compito di fare luce sulla questione. A questo proposito le più recenti pronunce dei giudici europei (dal 2011 ad oggi), in cui è stata apparentemente ridimensionata la regola della “prova unica o determinante”, hanno segnato un’ulteriore tappa nel cammino di ricostruzione della disciplina della prova irripetibile. Anche rispetto a questa le opinioni si sono divise tra quanti hanno salutato con confidenza un orientamento della Corte ritenuto intrinsecamente coerente con i propri precedenti e quanti invece hanno gridato allo scandalo per la scarsa tutela dei diritti umani che sarebbe conseguita dal citato overrulling.

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10

CAPITOLO PRIMO

IL CONTRADDITTORIO NEL PROCESSO PENALE ITALIANO

1. PREMESSA

La legge 16 Febbraio 1987, n. 81, nel delegare il Governo a scrivere il nuovo codice di procedura penale, ha imposto di attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio (art. 2, comma 1) con ciò volendo segnare un significativo distacco rispetto al precedente regime, di carattere inquisitorio. È accusatorio un sistema nel quale l’accusato non è mero soggetto passivo del processo, atavico nemico che la pubblica accusa deve sconfiggere armandosi di tutti gli strumenti dati in dotazione dal suo potere, ma ad esso partecipa attivamente. Si difende, concorrendo con il pubblico ministero in una posizione di tendenziale parità all’accertamento dei fatti. Questo si ripercuote sui ritmi della procedura e sui ruoli dei soggetti che ne sono protagonisti e spettatori: da un lato gli esiti delle indagini degli organi inquirenti, a causa della loro parzialità, sono relegati nella fase delle indagini preliminari, non comunicante, di regola, con quella del giudizio in cui invece si dovranno formare, nella coralità delle parti, le prove utilizzabili dal giudice per la decisione finale; dall’altro lato le parti processuali detengono la disponibilità della prova lasciando sullo sfondo il giudice del dibattimento, distinto e incompatibile con quello della fase antecedente, cui compete un ruolo residuale nell’accertamento del fatto. Campo privilegiato di ricerca sulla tenuta del modello processuale dell’89 nell’ambiente ostile in cui è stato impiantato è la disciplina del contraddittorio, termine che non compare testualmente nella legge delega, ma che fin da subito pare

(11)

11

essere immanente ai principi su cui il nuovo processo dovrebbe essere fondato.

2. PROCESSO E VERITA’: LA PRECARIETA’ DEL MODELLO

ACCUSATORIO NEI PRIMI 10 ANNI DI VIGENZA DEL C.P.P.

Il processo penale tende a ripristinare il diritto, il cui ordinato fluire sia stato interrotto dal fatto di reato, attraverso l’accertamento della verità1. Gli estremi “processo” e “verità”, così banalmente collegati da questa affermazione, costituiscono, in realtà, i termini di una questione complessa. È facile cadere nell’equivoco di considerare l’accertamento del fatto trascorso, ergo della verità materiale, alla stregua della ricerca di un oggetto nascosto, suscettibile di essere scoperto come un tesoro che affiori dall’opera di scavo2. Ad impedire una conclusione del genere sopraggiunge la considerazione che, quando ci si approccia ai fatti oggetto di giudizio, ci si trova di fronte a condotte umane individuali e irripetibili, inidonee a poter riemergere attraverso l’esperimento processuale3. Questo non significa negare al processo una funzione cognitiva, ma vuol dire prendere atto fin da subito dei limiti fisiologici dell’accertamento giudiziale, limiti che considerati in un caso, e trascurati in un altro, conducono ad esegesi opposte degli strumenti di giustizia penale. Il giudice non può <<scoprire>> come sono andate le cose, può solo <<ricostruire>>4 la

1

Bellini, Realtà materiale e realtà giuridica nel processo secondo il pensiero di

Francesco Carrara , L’Indice penale, 2006, p. 491

2

Ferrua, La prova nel processo penale, Giappichelli, 2015, p. 14 3 Ubertis, Sistema di procedura penale, UTET, 2004, p. 47 4

Il radicale “costruzione” indica che l’esito della ricerca è un’elaborazione concettuale , il prefisso “ri” collega questa elaborazione ad un passato che fu reale,

(12)

12

vicenda sulla base delle tracce, le prove, rimaste nel presente, attenendosi, nell’adempimento del suo compito, alle prescrizioni dettate dalla legge.

Se il sonno della ragione genera mostri, le coscienze dormienti dei redattori prima, e degli interpreti poi, del codice di rito del 1930, nonché dei magistrati la cui lucidità mentale, pur nella vigenza del nuovo codice, era compromessa dalla formazione culturale su quello abrogato, ignorando le premesse concettuali appena svolte, hanno generato l’idea pericolosa5 che il giudice possa arrivare ad accertare la verità, a patto che il suo convincimento non sia imbrigliato in un reticolo di regole che escludono prove perché unilateralmente assunte dall’organo inquirente o illegittimamente acquisite, ma possa liberamente dispiegarsi6.

Si riteneva che un processo tendenzialmente accusatorio, in quanto costruito sulla separazione tra fase istruttoria e dibattimentale, contrassegnata dal sistema del doppio fascicolo, sulla centralità del

vincolando il discorso ad una pretesa di verità. Ferrua, La prova nel processo penale, Giappichelli, 2015, p. 14

5 Pericolosa perché, nelle esasperazioni estreme di questo ragionamento, si arriva a ritenere lecito e legittimo qualsiasi mezzo adoperato dal giudice, finanche una qualche forma di coazione fisica nei confronti del depositario di quella verità che deve essere raggiunta ad ogni costo. “Dal riconoscimento di una completa autonomia al mondo dei fatti derivava la giustificazione, l’istituzionalizzazione e la generalizzazione della tortura” tratto da Ubertis, Sistema di procedura penale, UTET, 2004, p. 47

6

Il giudice così, posto dinanzi all’intero plafond probatorio è in grado, mediante un esercizio critico adulto e allenato, di raggiungere la verità, l’unica, sviluppando all’interno della sua mente le logiche di contrasto tra idee diverse. “La prova rappresentativa orale, assunta nella fase istruttoria, anche quando non diventava addirittura la prova che soppiantava quella assunta direttamente dal giudice, si poneva tuttavia sempre come un elemento di valutazione in quanto il giudice non poteva non essere soggettivamente influenzato dall’accertamento istruttorio” così G. Lozzi, Riflessioni sul nuovo processo penale, 1992, p. 106

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13

giudizio, e sulla conseguente valorizzazione del contraddittorio7, quale quello progettato dal codice del 1988 si accontentasse di una verità formale, frutto di finzione8. Non significa forse allontanarsi dalla verità impedire ad agenti e ufficiali di polizia giudiziaria di rendere testimonianza sulle dichiarazioni assunte prima dell’inizio del dibattimento da persone che non possono ripeterle davanti al giudice perché morte o scomparse? O perdere le conoscenze del testimone che rimanga silente in giudizio o che renda una dichiarazione difforme da quella precedentemente data solo perché la difesa non abbia presenziato a quest’ultima? L’idea che quei contributi non siano utilizzabili perché scarsamente attendibili, non sfiora neanche lontanamente i protagonisti di questa polemica: il racconto del testimone, per continuare sulla scia di questi esempi, è il risultato di successive e ripetute selezioni di percezioni e di ricordi9 e le domande cui egli viene sottoposto dalle parti e dal giudice introducono nel contenuto della testimonianza ulteriori criteri di selezione trasformando la deposizione testimoniale in un prodotto collettivo10; laddove si lasciasse escutere il dichiarante esclusivamente dalla pubblica accusa è difficile pensare che le aspettative di quest’ultima, rese più persuasive dai poteri autoritativi che detiene, non esercitino

7 “Nella legge delega del 1987 era assente la parola contraddittorio. Esso tuttavia in un sistema a vocazione accusatoria doveva darsi per acquisito: tutela della difesa, parità delle armi, terzietà del giudice, diritto alla prova, non potevano non essere immanenti al nuovo sistema che si introduceva in contrapposizione a quello precedente che si voleva significativamente superare.” Tratto da Spangher, Oralità,

contraddittorio, aspettative di verità, in Negri, Orlandi (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio, Giappichelli, 2017, p. 31

8

Ferrua, La prova nel processo penale, 2015, p.14 9 Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2001, p. 652 10

(14)

14

alcuna influenza sulle dichiarazioni raccolte11. Sottoporre la fonte di prova alle falsificazioni della parte che ha un interesse contrario, ossia compiere il contraddittorio, è il miglior modo per, se non è possibile acclarare la sua sincerità, smascherare, laddove ci sia, una menzogna. Il nuovo codice, tuttavia, non poteva essere realmente compreso e applicato12 senza che fosse messo costantemente in dubbio. E quando i dubbi provengono da autorevoli esponenti della magistratura acquisiscono la forma di sospetti di illegittimità costituzionale, e quando sono posti ad un giudice, la Consulta, che condivide con i suoi interlocutori la stessa riluttanza per i nuovi principi, trovano un infelice destino di accoglimento. Così, tutte quelle norme funzionali ad escludere dall’orizzonte decisorio, e ancora prima cognitivo, del giudice elementi di prova formati in assenza dell’imputato vengono forzate e snaturate, trasformate in exempla di una regola inespressa: <<il principio di non dispersione della prova>>. L’indagine preliminare diventa una sorta di gigantesca istruzione sommaria13: dichiarazioni della polizia giudiziaria in qualità di fonte indiretta14 affiancano quelle rese dalla fonte diretta in dibattimento, con l’ovvia conseguenza di diminuire l’efficacia del controesame sulle stesse vista la posizione particolarmente scomoda in cui si troverebbe l’imputato che dovesse negare credito alla testimonianza di un pubblico ufficiale; dichiarazioni rese al p.m. dal coimputato in procedimento connesso o

11

Ferrua, Il giusto processo, Zanichelli, 2009, p. 93 12

Ne è un eloquente dimostrazione il fatto che il codice prima di entrare in vigore, nel 24 ottobre del 1989, subì una moratoria di un anno.

13 L. Pepino, Legalità nella democrazia maggioritaria, in Questione giustizia, 1993, p. 282

14 La sent. 31-1-1992, n. 24, dichiara illegittimo il divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria di cui all’art 195, comma 4 c.p.p., nella formulazione allora vigente, per contrasto con l’art. 3 Cost., perché ad essa non poteva essere in alcuno modo riconosciuto un minor grado di attendibilità rispetto al teste comune

(15)

15

collegato vengono acquisite al dibattimento se questi si avvale del suo diritto al silenzio15 e quelle rese agli organi inquirenti da testimoni “smemorati” o “incoerenti” vengono acquisite stabilmente al fascicolo del dibattimento16 con il rischio inevitabile che sia sempre la versione segreta dei fatti perché ad essi più prossima nel tempo ad orientare in maniera decisiva il convincimento del giudice. Del resto il legislatore, affetto da qualche forma di ignavia e anche un po’ di cattiva coscienza17, ratifica passivamente i dicta della Corte, con la l. 7 Agosto 1992, n. 356: in questa occasione inserisce gli atti di polizia giudiziaria tra gli atti suscettibili di lettura ex art. 512 c.p.p., conia una forma di irripetibilità presunta con l’art 512bis c.p.p., e attraverso un comma 2bis nell’art 500 c.p.p. consente l’utilizzazione come prova delle contestazioni ove vi fossero riscontri che ne confermassero l’attendibilità. Qualche anno più tardi, con l. 7 Agosto 1997 n. 267, il legislatore, avendo evidentemente acquisito più audacia, è poi intervenuto sull’art. 513, secondo comma, per riesumare i valori originari del processo accusatorio, ma l’esito non è stato tra i più convincenti. In primo luogo perché si è trattato, come ha

15

La sent. 18/5/1992, n. 254 dichiara illegittimo l’art 513, comma 2 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice dispone la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell’art 210, qualora queste si avvalgono della facoltà di non rispondere. Del resto è una impostazione quasi necessaria dopo la pronuncia di cui alla nota precedente: una volta ammesso il recupero probatorio delle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria sarebbe stato incongruo che analogo recupero non fosse consentito anche per le dichiarazioni raccolte dal p.m.

16

La sent. 18/5/1992, n. 255 dichiara illegittimo l’art 500 commi 3 e 4 c.p.p. nella parte in cui vieta l’utilizzazione delle contestazioni come prova dei fatti in esse affermati

17

Sono gli anni delle stragi mafiose, dell’inchiesta di Mani pulite che coinvolgerà politici di tutta Italia, affollando di inquisiti il Parlamento: spicca in questo quadro la debolezza del potere legislativo, sulle cui iniziative grava un permanente sospetto di autotutela, spesso non ingiustificato. Ferrua, Il giusto processo, Zanichelli, 2009, p. 10

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16

efficacemente descritto autorevole dottrina, di un “garantismo selettivo”18 che ha lasciato in balia dell’ondata inquisitoria le altre disposizioni normative coinvolte, in secondo luogo perché è strato stroncato dall’ennesima, subitanea declaratoria di illegittimità costituzionale, la sent. 14/10/1998, n. 361, che ne ha vanificato la portata. Le Camere penali proclamano una settimana di astensione dalle udienze in segno di protesta verso la sentenza della Corte che ha sprofondato la difesa “in un abisso” : la si accusa di aver emesso una sentenza dal forte contenuto politico, di aver usurpato la funzione legislativa, debordando dalla propria competenza19. La Commissione giustizia della Camera presso la quale si era avviato un procedimento formale di esame della sentenza costituzionale, approva un documento nel quale si esprimono forti perplessità sull’uso del principio di ragionevolezza da parte della Consulta e si sottolinea l’opportunità di una costituzionalizzazione delle garanzie sul giusto processo. Sarebbe stato senz’altro preferibile provvedere ad una riforma processuale con una legge ordinaria, ma questa non sarebbe stata sufficiente a difendere la Carta Costituzionale dalle incursioni dell’organo che la dovrebbe custodire.

3. LA LEGGE COSTITUZIONALE 23 NOVEMBRE 1999, N. 2

La norma ha ottenuto un consenso che accomunava la maggioranza e l’opposizione. Nel corso di un anno il disegno di legge costituzionale è

18

L’espressione è di Ferrua, Il giusto processo, p. 17 19

Non è un caso, infatti, che quando, a distanza di due giorni dal deposito della sentenza, i parlamentari hanno iniziato a presentare progetti di riforma della Carta fondamentale, dei dodici ipotizzati uno (poi accantonato nel corso della legislatura) intendeva modificare l’art. 136, primo comma Cost. specificando che le “sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale sono decisioni di mero accertamento dell’illegittimità”

(17)

17

stato approvato in via definitiva dal Parlamento con una maggioranza così ampia da rendere impossibile il referendum abrogativo. Il significato politico è chiarissimo: la Corte costituzionale dovrà attenersi ai nuovi princìpi formulati dal Parlamento, anche se, a detta di alcuni, il testo dell’art. 111, accessoriato nella sua nuova versione di ben cinque commi, specifica, amplia ed integra le garanzie oggettive e soggettive in tema di processo già contenute esplicitamente o implicitamente nella prima e nella seconda parte della stessa Costituzione.20

3.1 IL GIUSTO PROCESSO

Il processo penale deve essere, oltre che rivolto all’accertamento della verità reale, un processo giusto ed equo; giustizia ed equità si manifestano anche nello spazio che alle parti del processo è lasciato in ordine alla ricerca, all’introduzione e all’assunzione delle prove21. Si può provare anche a rovesciare i termini della definizione, deviandone leggermente il tiro: nessuna decisione può essere giusta nell’ambito di un processo ingiusto22, anche se ha condotto alla condanna del reale colpevole. È considerato, invece, tollerabile che, nel sacrosanto rispetto delle regole procedurali, un colpevole sia assolto (cosa piuttosto probabile visto l’onere di provare la responsabilità aldilà di ogni ragionevole dubbio, ai sensi dell’art 533, comma 1 c.p.p.) o un innocente condannato (eventualità molto più remota, ma comunque possibile nel caso in cui, per dirne uno, siano scomparse o giuridicamente inammissibili le prove idonee a confutare

20

Scaglione, Dichiarazioni procedimentali e giusto processo, Giappichelli, 2005, p. 16

21 Vassalli, il diritto alla prova nel processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1968, p. 7

22

Ferrua, Giustizia del processo e giustizia della decisione, Dir. pen. Proc., 2015, p. 1203

(18)

18

quelle prodotte dall’accusa) ossia che ad un processo giusto corrisponda una decisione ingiusta. È un principio di civiltà giuridica la cui importanza è fondamentale comprendere: non potendo avere sempre la giustizia è pur meglio salvaguardare costantemente il diritto perché questo non esclude quella, mentre l’insistenza nella ricerca della prima distrugge inevitabilmente il secondo23. L’ingiustizia di una procedura è molto più dannosa che l’ingiustizia di una decisione, perché la prima ha carattere durevole, si reitera con impatto sistematico, l’altra è soltanto un evento singolo, un fatto occasionale24. Non è un caso, dunque, che la legge di riforma costituzionale si trascini nel titolo l’ingombrante responsabilità di una formula intrisa di una così forte carica concettuale: “Inserimento dei

principi del giusto processo nell’art 111 della Costituzione”. La perifrasi

oltre a rappresentare lo “slogan” della riforma, ne introduce anche il contenuto, essendo collocata all’esordio dell’articolato: <<[L]a giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge>>. Il primo riferimento immediato è senz’altro alla Convenzione europea dei diritto dell’uomo25 nel cui art. 6 , comma 1 è fatta menzione di questo speciale principio con le espressioni di <<fair

trial>> e <<procès équitable>>. Ciò che tuttavia ha dato da discutere è

se quell’espressione svolga una funzione meramente riassuntiva delle garanzie enucleabili dal seguito dell’art 111 e dalle direttive presenti nella Carta fondamentale in materia di giurisdizione (artt. 13, 14, 15, 24, 25, 27 Cost.) oppure se rivesta un valore autonomo. Milita a favore della prima ipotesi la circostanza che la Corte costituzionale aveva più volte richiamato “il giusto processo” nella propria

23

F. Bellini, Realtà materiale e realtà giuridica nel processo secondo il pensiero di

Francesco Carrara, L’indice Penale, 2006, p. 493

24

P. Ferrua, Il giusto processo, Zanichelli, 2009, p. 29

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19

giurisprudenza, riferendolo tanto ai caratteri della giurisdizione sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, quanto ai diritti di azione e di difesa in giudizio26, nonché la considerazione che, qualora si riconoscesse alla formula in esame la capacità di imporre scelte ermeneutiche che non trovano fondamento in nessun’altra disposizione costituzionale, si riconsegnerebbe al giudice costituzionale il potere di entrare nel merito della legislazione27 in eventuali giudizi di legittimità costituzionale promossi sotto il suo stendardo, proprio quello che si voleva evitare con la presente riforma; a favore della seconda ipotesi un’osservazione molto semplice, la scelta del legislatore, resa manifesta dalla lettera della norma, di riservare al concetto una previsione ad hoc28 e l’utile impiego della stessa per assicurare il rispetto di diritti che non hanno sino ad oggi ricevuto espressa traduzione in Costituzione29. Se è vero che può dirsi giusto un processo che sia governato da regole che sarebbero scelte da individui all’oscuro della loro futura posizione nello stesso (se attore, convenuto, imputato, giudice, accusatore o vittima del reato)30, è pur vero che l’elencazione che se ne fa nel corpus della norma appare sufficientemente dettagliata (fin troppo per una disposizione costituzionale) e soddisfacente, anche se non esaustiva.

26

Marzaduri, La riforma dell’art 111 Cost. tra spinte contingenti e ricerca di un

modello costituzionale del processo penale, in Legislazione Penale, 2000, p. 763

27 Ferrua, Il giusto processo, p. 35

28 G. Conso, Introduzione, Compendio di procedura penale, 2015, CEDAM, p. XXVIII 29

E. Marzaduri, La riforma dell’art 111, L.P., 2000, p. 765 30 J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 2008, p. 125

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20

3.2 LA DECLINAZIONE DEL CONTRADDITTORIO NELL’ART. 111

Tra le garanzie in cui si estrinseca il giusto processo ne spicca una: il contraddittorio. La parola <<contraddittorio>> compare tre volte nel testo della norma (secondo, quarto e quinto comma) e là dove non è espressa è ricavabile in maniera implicita dal suo contenuto (terzo comma): se da un lato questo è un indice della sua assoluta centralità nella riforma, dall’altro la “schizofrenica” declinazione che se ne fa rivela la complessità del tema.

3.2.1 IL CONTRADDITTORIO SULLA PROVA. IL CONTRADDITTORIO COME PRINCIPIO E COME REGOLA

Il contraddittorio tra le parti di cui al secondo comma dell’art. 111, relativo, a differenza dei paragrafi successivi, a tutti i tipi di processo (civile, penale e amministrativo), ne cristallizza l’accezione più ampia e generale: l’intervento dialettico, argomentativo e critico, in condizioni di parità tra le parti, riconducibile al noto brocardo audiatur et altera pars, per cui il giudice prima di emettere una decisione, deve ascoltare le opinioni delle parti. Variamente apostrofato in dottrina, ora come contraddittorio <<sulla prova>>, ora come contraddittorio <<debole>> o <<minore>>, esprime un principio elementare di giustizia, quello di mettere l’interessato nelle condizioni di farsi sentire, di poter esporre le ragioni proprie e controbattere quelle avversarie31, che, essendo riconosciuto anche nell’esperienza processuale propria del regime inquisitorio, non apporta nessuna novità effettiva nel quadro costituzionale32. Peraltro, nella

31

G. Ubertis, Sistema di procedura penale, UTET, 2004, p. 130

32 Dall’inviolabilità del diritto di difesa di cui all’art 24, secondo comma Cost. la giurisprudenza costituzionale faceva discendere la tutela del diritto al confronto con l’accusatore, anche se la prassi giudiziaria mortificava pesantemente queste garanzie trasformando il dibattimento in un luogo in cui si acquisivano prove

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formulazione della frase è posto in relazione, come accennato, alla parità delle armi tra le parti. Non pare priva di significato la circostanza che la garanzia dell’uguaglianza delle armi sia stata riferita al momento in cui si sviluppa il contraddittorio davanti al giudice, per cui l’esigenza minimale di parità si potrà soddisfare riconoscendo a ciascuna parte la possibilità di presentare le proprie ragioni in una situazione di equilibrio all’organo giurisdizionale33. Se è vero che di per sé la parità tra le parti non realizza necessariamente il contraddittorio (potrebbe essere negata a tutti i titolari dei rispettivi interessi la possibilità di interloquire davanti al giudice), tuttavia garantisce che la partecipazione delle parti al processo sia regolata in maniera che nessuna di loro si trovi a poter essere presente davanti al giudice in assenza dell’altra34.

Sintatticamente anche la ragionevole durata, che compare nella seconda parte del secondo comma, è riferita al processo svolto nel contraddittorio (non solamente quello <<sulla prova>>). La scelta del legislatore costituzionale di confezionare la ragionevole durata del processo come una garanzia oggettiva di corretto funzionamento della giustizia35 fa sì che, in certi casi, questa debba essere bilanciata

registrate in protocolli istruttori: il codice rocco autorizzava l’utilizzazione a fini di decisione di quanto era stato raccolto dal p.m. o dalla p.g. nel corso dell’attività investigativa, ma prevedeva anche che le persone ascoltate nelle fasi precedenti venissero poi citate davanti al giudice del dibattimento; questo tuttavia non impediva che i testimoni esaurissero il loro apporto in meri riferimenti di quanto era stato già oggetto delle loro deposizioni, dimostrando la sostanziale indifferenza per il significato che potevano assumere gli interventi della difesa nel corso di una deposizione.

33

E. Marzaduri, la riforma dell’art 111, L.P., 2000, p. 769 34

G. Ubertis, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, Cass. Pen., 2003, p. 2100

35

C’è chi ha criticato apertamente questa lettura in quanto “stravolge la gerarchia dei valori costituzionali e trasforma lo speedy trial, sorto in funzione di garanzia dell’individuo contro gli abusi derivanti dal protrarsi ingiustificato del processo, in

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con i diritti difensivi i quali non possono espandersi così tanto da vanificarla. Tralasciando il fatto che lo stesso allungamento dei tempi processuali deteriora il contraddittorio36, l’esigenza di praticarlo deve essere contemperata con la necessità di chiudere il processo in un tempo ragionevole. A questo proposito bisogna introdurre un’ulteriore distinzione, di natura non prettamente teorica, tra contraddittorio come principio e come regola. È principio nella misura in cui delega al legislatore ordinario il compito di apprestare tecniche e strumenti idonei a formare la prova nel contraddittorio (definire tempi e modi dell’esame incrociato, distribuire i poteri tra parti e giudice, ecc.), è regola nel momento in cui esclude dal quadro decisorio le prove non formate nel contraddittorio37. Ora, poiché le regole sono proposizioni a fattispecie chiusa, destinate ad essere o no attuate senza possibilità intermedie, la regola di esclusione probatoria non potrà essere bilanciata con le esigenza di ragionevole durata. È in quanto principio, invece, che il contraddittorio dovrà essere sottoposto dal legislatore a quest’operazione: essendo inesauribile il catalogo di istituti funzionali all’esercizio del diritto di difesa, bisogna individuarne il nucleo essenziale il quale non potrà mai essere toccato, dopodichè il surplus di garanzie e controlli difensivi ingiustificatamente pregiudizievoli per la tempestiva definizione del processo dovrà essere liquidato38.

un congegno al servizio della difesa sociale idoneo a prevalere sui diritti dell’imputato” E. Amodio, Ragionevole durata del processo, abuse of process e

nuove esigenze di tutela dell’imputato, Dir. pen. Proc., 2003, p. 797

36 Se i dibattimenti si celebrano in tempi assai lontani dai fatti si svilisce totalmente il significato dell’acquisizione dibattimentale della prova

37 P. Ferrua, Il giusto processo, p. 94 38

Ferrua, Il processo penale dopo la riforma dell’art. 111 Cost., Questione Giustizia, 2000, p. 52

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23

3.2.2 IL CONTRADDITTORIO PER LA PROVA

Decisamente innovativo per il nostro assetto costituzionale, ma anche nel panorama europeo (come si vedrà nel cap. IV) è, invece, il quarto comma, prima parte, dell’art. 111 dove si codifica, in posizione centrale anche nell’estetica della disposizione, il contraddittorio nella formazione della prova. Espressione lapidaria, potente, ricca di significato e di conseguenze: non è tanto il significato del concetto a cambiare, bensì le modalità del suo impiego. Il confronto dialettico tra parti contrapposte deve investire il momento genetico, la nascita della prova che sarà utilizzata dal giudice per emettere il verdetto, non essendo più sufficiente un intervento differito su elementi raccolti nel segreto dell’indagine. Si può considerare questa disposizione il tributo più efficace elargito al processo accusatorio, un modo rapido e perentorio per affermare quei principi che l’entrata in vigore del codice di procedura penale non aveva saputo concretizzare. Si prende coscienza del fatto che il contraddittorio è il miglior antidoto contro il disordine, la superficialità, e l’approssimazione delle procedure di acquisizione del sapere giudiziale39. L’isonomia delle parti e la suddivisione della conoscenza costituiscono il fondamento del contraddittorio: gli interessi contrapposti tra le parti, ciascuna depositaria della sua conoscenza, danno luogo ad un conflitto tra forze, divergenti rappresentazioni della medesima vicenda che produce una risultante che dovrà essere oggetto della valutazione del giudice40.

39 V. Maiello, Il contraddittorio nella costituzione: una riforma tra politica, diritto

penale e processo, in Critica dir. , 1999, p. 214

40 “Il contraddittorio non è un dialogo disinteressato per la ricerca del vero, ma è l’opposizione dialettica, lo scontro ritualizzato di interessi particolari attraverso cui si punta a produrre l’attrito dal quale come ferro battuto sprizzano quelle scintille di luce che illuminano la mente e la coscienza dei giudicanti.” S. Lonati, Il diritto

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Se anche poi qualcuno volesse dubitare di una ricostruzione di tal sorta del principio del contraddittorio nel processo penale italiano ci sarebbe un dato incontrovertibile a smentire ogni perplessità41: il contraddittorio <<sulla prova>> farebbe diventare contenutisticamente vuoto l’art 111, comma 5, con riguardo all’ipotesi di formazione della prova carente di contraddittorio per accertata impossibilità di natura oggettiva, risultando inconcepibile un caso in cui non fosse possibile alle parti esprimere una valutazione su un elemento di prova e violerebbe il canone ermeneutico secondo cui, nel dubbio, va preferita l’interpretazione che non renda una

norma assolutamente inapplicabile. Giova precisare, in ogni caso, che vi sono due limiti da ritenere

impliciti nel precetto costituzionale: il primo è che esso riguarda solamente il tema principale del processo che è quello della colpevolezza e non anche temi incidentali per i quali è utilizzabile ogni atto valido, anche se formato unilateralmente; il secondo limite è che la regola del contraddittorio vale solo per le prove di cui si possa astrattamente ipotizzare la formazione in contraddittorio, quelle dichiarative, e non per i documenti e gli oggetti pertinenti al reato42 rispetto ai quali tonerà ad applicarsi la nozione debole di contradittorio di cui al secondo comma dell’art. 111.

3.2.3 IL CONTRADDITTORIO COME GARANZIA OGGETTIVA

dell’accusato a interrogare o fare interrogare le fonti di prova a carico, Giappichelli,

2008, p. 329

41 L’intuizione è di Ubertis, in Sistema di procedura penale, p. 151 42

Eccezioni al contraddittorio e giusto processo, a cura di Giuseppe di Chiara, Giappichelli, 2009, p. 5

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25

Mentre le sfumature del contraddittorio appena illustrate possono, in qualche modo, convivere nello spazio normativo dell’art. 111 Cost., vi sono due accezioni del principio tra di loro incompatibili e che purtuttavia trovano ambedue un riferimento nella disposizione costituzionale: essa, infatti, a volte coglie l’aspetto oggettivo del contraddittorio, altre volte l’aspetto soggettivo, in un ordine che non pare essere quello logico, probabilmente per la fretta con cui il legislatore ha esaminato il disegno di legge costituzionale. A sostegno della natura oggettiva della “regola d’oro” del processo c’è, in primo luogo, un dato significativo: la sua citazione esplicita nel testo costituzionale parrebbe implicare un necessario mutamento dell’impostazione seguita in materia dalla Corte costituzionale, secondo cui, come affermato agli albori della sua giurisprudenza, il principio del contraddittorio sarebbe assicurato dal diritto di difesa contemplato dall’art. 24, comma 2 Cost.43. Ma la riconduzione del suo significato all’interno del diritto di difesa costituisce la premessa per impostare l’infelice opposizione tra detto principio e la ricerca della Verità44. Durante la svolta inquisitoria si confrontavano due modi diversi di concepire il processo: i cultori del processo inquisitorio in nome della verità comprimevano le garanzie, i sedicenti paladini dell’accusatorio, invece, in nome delle garanzie, rinunciavano alla verità45. E l’origine della collisione stava in un errore che accomunava entrambi: la negazione del valore epistemico, gnoseologico del contraddittorio. Configurare il principio in un’ottica esclusivamente soggettiva, avrebbe significato perdere l’occasione di prendere definitivamente le distanze dall’esperienza precedente. Del resto,

43 Ubertis, Sistema di procedura penale, p.131 44

E. Marzaduri, La riforma dell’art. 111, L.P., 2000, p. 788

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oltre al contesto storico-politico della riforma che, come appena visto, sicuramente depone a favore di una ricostruzione simile, un altro indice rivelatore potrebbe essere la collocazione della disposizione nella sezione II del Titolo IV della Costituzione, dedicata alle norme sulla giurisdizione: a differenza della Convenzione europea e delle altre fonti internazionali che contemplano le garanzie del giusto processo come diritti soggettivi (come si vedrà più approfonditamente nel cap. IV) l’art. 111 le enuncia come garanzie oggettive della giurisdizione. Anzi ci si potrebbe spingere a dire che il contraddittorio, in quanto <<metodo neutrale>>46 rappresenta la traduzione in termini oggettivi dell’imparzialità giurisdizionale47. La formulazione oggettiva non esclude, ma assorbe e va oltre quella soggettiva, in quanto ciò che oggettivamente è connotato del processo diventa di per sé anche diritto dell’imputato, mentre non vale, almeno di regola, l’inverso48. Si tratta, infatti, di un modo di procedere che si realizza attraverso il riconoscimento di diritti di intervento alle parti e sono questi diritti a possedere, semmai, un profilo soggettivo e non il contraddittorio in quanto tale49. Un altro indizio a favore della tesi esposta, decisamente in ombra nel testo costituzionale, ma evidenziato dai suoi commentatori è offerto dalla deroga <<per provata condotta illecita>>. Essa, dando rilevanza a situazioni in cui la prova che deve essere formata in dibattimento è stata contaminata da un intervento esterno (per es. il teste sottoposto a violenza, minaccia, promessa o offerta di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso), dimostra che le

46 Ubertis, Verso un giusto processo penale, Giappichelli, 1997, p. 154 47 Ferrua, Il giusto processo, cit., p. 93

48

Ferrua, Il giusto processo, cit., p. 25

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27

precedenti dichiarazioni diventano utilizzabili, in casi di questo tipo, perché il contraddittorio sarebbe destinato a fallire. Ora, poiché la normativa di attuazione non chiede che la condotta volta a neutralizzare la libera determinazione della fonte di prova debba provenire necessariamente dall’imputato o dalla sua banda, ribadisce la natura oggettiva del principio cui la deroga si riferisce. In questo caso, infatti, nella condotta illecita posta in essere dall’imputato o da lui avallata, sarebbe ravvisabile una rinuncia per fatti concludenti al diritto di difendersi provando, e se si ritenessero non utilizzabili le precedenti dichiarazioni rese dal teste in caso di minaccia estranea all’imputato si renderebbe disponibile il processo perché la pressione andrebbe sempre a buon fine50, visto che sarebbe quello, presumibilmente, lo scopo della condotta illecita, neutralizzare l’apporto conoscitivo della fonte di prova minata.

3.2.4 IL CONTRADDITTORIO COME GARANZIA SOGGETIVA

All’atto della presentazione del progetto di riforma all’aula del Senato il senatore Marcello Pera ammoniva i presenti con parole che non lasciavano certo adito a dubbi <<il contraddittorio è più che un diritto della difesa: questo serve l’accusato, quello serve in primo luogo il processo, perché serve la verità e dunque la giustizia!>>. Questo, tuttavia non è stato evidentemente sufficiente ad impedire che si prendesse in considerazione anche la dimensione soggettiva del contraddittorio, comodamente servita dalla formulazione in più punti caotica della norma costituzionale51. In primo luogo il comma 3, nella

50 Tonini, Il contraddittorio: diritto individuale e metodo di accertamento, Dir. pen proc. 10/2000, p. 1393

51 Secondo Illuminati, I principi generali del sistema processuale penale italiano, in Pol. Dir., 1999, p. 392,” la distinzione prospettata non presenta alcuna rilevanza sul piano esegetico e può essere utile solamente su un piano meramente descrittivo dato che si tratta di due dimensioni, soggettiva e oggettiva, di un identico principio,

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parte centrale, riconosce all’imputato <<il diritto di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico>>. Si tratta del riconoscimento a livello costituzionale del diritto dell’imputato a confrontarsi con il proprio accusatore, diritto che deve trovare attuazione davanti al giudice. Affermato per la prima volta nell’Inghilterra del 1603 e consacrato nella Costituzione americana del 1791, è un diritto che ha lontane radici nella storia di altri Paesi52, tanto da trovare una menzione espressa nell’art. 6 paragrafo 3 lett. d) della CEDU. In secondo luogo, ambigua e apparentemente idonea a confermare la tesi della garanzia soggettiva è la deroga per consenso dell’imputato, prevista al comma 5, la quale mette il singolo individuo nelle condizioni di poter scegliere se avvalersi o meno del contraddittorio, trasformandolo in un diritto rinunciabile. Se qualcuno ha ritenuto di dover ridimensionare questa conclusione troppo radicale, rammentando che siamo pur sempre di fronte a ad un’eccezione, inidonea, in quanto tale, a mettere in dubbio la natura della regola53, un’interpretazione del genere, comunque, non appare coerente con i principi costituzionali perché verrebbe ad incidere sui diritti delle altre parti processuali e, segnatamente, su quelli del pubblico ministero, che è la parte controinteressata all’assunzione della prova, il cui consenso non sembrerebbe richiesto dalla lettera

aspetto questo comune a tutte le regole costituzionali poste a tutela della correttezza del metodo”. Contra, Amodio, Processo penale, diritto europeo e

common law, Giuffrè, 2003, p. 103, “lo stesso concetto di garanzia oggettiva è

intrinsecamente viziato e incompatibile con i valori ai quali si ispira il giusto processo, il cui respiro giusnaturalista è evidente in tutte le Carte internazionali dei diritti” secondo il quale bisogna dare alla Costituzione un’interpretazione più aderente alla Cedu, nella quale il contraddittorio figura come diritto al confronto con l’accusatore come si vedrà nel cap IV, al quale si rinvia

52

Tonini, Il diritto a confrontarsi con l’accusatore, Dir. pen. proc., 1998, p. 1506 53 Ferrua, Il giusto processo, cit., p. 142

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della norma54. In realtà l’accento posto sul consenso del solo imputato non sembra escludere la possibilità per il legislatore ordinario di esigere reciprocamente la necessità del consenso anche per il p.m.: e difatti così è stato, gli artt. 431, comma 2 (in sede di formazione del fascicolo del dibattimento) e 493, comma 3 (in sede di richieste di prova) dispongono che l’uso di atti unilaterali può essere ammesso soltanto se tutte le parti vi consentono. Non solo, ad impedire che un accordo tra le parti possa frodare l’accertamento dei fatti è posta come garanzia finale la previsione di cui all’art. 507 comma 1bis, in virtù della quale il giudice può disporre anche d’ufficio l’escussione dibattimentale della prova introdotta mediante accordo. In conclusione, dunque, si può osservare come è stato merito del legislatore ordinario se una previsione, potenzialmente scardinante, come la deroga per consenso dell’imputato, sia stata ricondotta a sistema. Più arduo, invece, comporre il dilemma concernente un’altra disposizione che tradisce la natura soggettiva del contraddittorio: quella contenuta nella seconda parte del quarto comma dell’art. 111 Cost. seconda la quale <<la colpevolezza dell’imputato non può mai essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore>>. La collocazione del divieto in questione nello stesso comma in cui viene affermato il principio del contraddittorio nella formazione della prova ha destato non poche perplessità. Poiché il divieto di riconoscere valore probatorio alle accuse non confermate nel contraddittorio delle parti viene

54 Accogliere un’esegesi volta a tutelare esclusivamente la posizione del soggetto richiamato dalla lettera normativa significherebbe anche ledere il principio di parità delle armi tra le parti sancito dall’art 111, comma 2, Cost. , oltre che ovviamente negare il valore euristico del contraddittorio secondo Ubertis, Sistema di procedura

penale, p. 154; ma v. in tal senso anche Marzaduri, La riforma dell’art. 111, L.P., cit.,

p. 800; Lonati, Il diritto dell’accusato, cit., p. 317 e ss. ; Tonini, Contraddittorio:

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30

ricollegata alla sola declaratoria di colpevolezza dell’accusato, si è ritenuto di poter concludere per la natura relativa della suddetta inutilizzabilità: sarebbero inutilizzabili le sole dichiarazioni accusatorie, non anche quelle pro reo. A sostegno dell’inutilizzabilità relativa due argomenti55: il primo è che se le dichiarazioni liberatorie fossero ritenute non utilizzabili a favore dell’imputato, questi due volte farebbe le spese della mancata attuazione del contraddittorio, perché non potrebbe ottenere precisazioni dall’accusatore, e perché le dichiarazioni a lui favorevoli non sarebbero utilizzabili; il secondo è che sulla difesa non grava un onere probatorio pieno, dunque dichiarazioni favorevoli, pur se rese al di fuori del contraddittorio sarebbero comunque idonee ad insinuare quel ragionevole dubbio sufficiente per scagionare l’imputato. Se la mancata attuazione del diritto a confrontarsi non contrasta con l’utilizzabilità delle dichiarazioni a favore, anche se non verificate nel contraddittorio, i valori tutelati nella fattispecie sono esclusivamente quelli della difesa: per verificare la correttezza di questo ragionamento bisogna, però, verificare se sia disponibile l’interesse protetto, cioè se l’inutilizzabilità si risolve nella lesione di un diritto che vede nella persona l’unico destinatario della tutela, oppure se è in gioco un interesse indisponibile: sarebbe infatti assurdo non utilizzare una prova a favore sul presupposto che sia stato leso il suo diritto di difesa. Nel caso di specie l’accezione del contraddittorio come garanzia oggettiva, in quanto metodo probatorio indisponibile finalizzato all’attuazione della giustizia, dovrebbe ostare alla tesi dell’inutilizzabilità relativa. Alla luce di questo c’è chi56 ha proposto un’interpretazione inedita

55 Tonini, Il contraddittorio: diritto individuale o metodo di accertamento, Dir. pen. proc, cit., p. 1391

56

Grifantini, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle fasi anteriori, in

La prova nel dibattimento penale, Ferrua, Grifantini, Illuminati, Orlandi, Giappichelli,

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31

della norma secondo la quale il termine <<colpevolezza>> sta ad indicare non un epilogo decisorio, cioè un determinato risultato valutativo, ma direttamente il giudizio sulla colpevolezza, inteso come responsabilità dell’imputato, ovvero il thema probandum, con il risultato di impedire l’uso a favore delle dichiarazioni rese da chi si è sottratto al contraddittorio. Inoltre è incoerente con l’idea di considerare inutilizzabile ogni elemento non sottoposto alla dialettica dibattimentale, l’assenza, nella disposizione in esame, dell’ipotesi simmetrica del soggetto che, per libera scelta, si sottrae all’esame dell’accusatore, dopo aver reso dichiarazioni al difensore. In realtà i problemi posti dalle questioni appena illustrate potrebbero trovare una soluzione sol che si consideri la natura speciale della norma come si vedrà tra un attimo nel proseguo della trattazione (paragrafo 2.2.6).

3.2.5 IL CONTRADDITTORIO IMPLICITO, IMPOSSIBILE, INQUINATO Le deroghe di cui al comma 5 dell’art. 111 Cost. <<per consenso dell’imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva e per provata condotta illecita>>, tra l’altro già previste nell’impianto originario del codice, evidenziano la scelta del legislatore riformistico di non lasciare lacune in ordine alla disciplina costituzionale del contraddittorio. Infatti, anche se devono essere intese alla stregua di criteri teleologici finalizzati ad orientare la legislazione attuativa, sono pur sempre eccezioni57 e, pertanto, devono essere interpretate in maniera restrittiva, essendo insuscettibili di applicazione analogica: la

57

è bene precisare che si tratta di eccezioni in senso giuridico, non statistico. Non si può escludere, dunque, che di fatto la loro operatività risulti più ampia della regola. Per fare un esempio il patteggiamento e l’abbreviato sono i riti di più frequente applicazione. Ma il dilagare nella prassi di attività probatorie prive di contraddittorio, per quanto mortifichino l’effettività dei valori del giusto processo così solennemente proclamati, è un discorso che trascende quello di stretta legittimità costituzionale. Così Ferrua, La dialettica regola-eccezioni nell’impianto

dell’art. 111 Cost, in Eccezioni al contraddittorio e giusto processo, a cura di Di

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preoccupazione era evidentemente che, laddove queste non fossero state previste, il legislatore, o peggio, la Corte costituzionale, si sarebbero potuti arrogare il diritto di bilanciare il principio con altre esigenze ritenute meritevoli di tutela, fino a farlo soccombere come era accaduto fino a qualche mese prima della riforma. Residua, invece, la possibilità per il legislatore di prevedere una disciplina più garantista, con l’aggiunta di ulteriori condizioni per il recupero di atti predibattimentali, come si è visto sopra nel caso del consenso dell’imputato. Tra l’altro, parte della dottrina, come il titolo del paragrafo vuol fare intuire, ritiene che due delle tre ipotesi previste, lungi dal derogare al contraddittorio, ne assecondano, invece, la ratio. Per quanto riguarda l’accordo processuale intervenuto tra i protagonisti del processo è indice del fatto che qualora la parte potenzialmente controinteressata all’assunzione dibattimentale della fonte di prova, riconosca che l’esito dell’esperimento gnoseologico condotto unilateralmente dall’altra corrisponde a ciò che sarebbe ottenibile con la propria partecipazione all’attività di reperimento del dato conoscitivo58, il contraddittorio sarebbe una formalità sovrabbondante. Per quanto riguarda, invece, la condotta illecita posta in essere sul dichiarante, essa, nel manipolare fino a coartare la libertà di autodeterminazione del soggetto, ne annichilisce il valore probatorio, rendendo il contraddittorio dannoso, in questo caso, perché inidoneo a raggiungere il suo fine, che è quello

58

Ubertis, Sistema di procedura penale, cit., p. 154;” il consenso attesta che portatori di interessi contrapposti ritengono che la collaborazione dialettica in ordine alla medesima prova non sarebbe stata in grado di produrre risultati apprezzabili diversi” così Giostra, Quale contraddittorio dopo la sentenza 361/1998

della Corte costituzionale?, in Questione giustizia, 1999, p. 199; v. anche Marzaduri, La riforma dell’art 111 cost., p. 801; Macchia, I profili dispositivi delle parti: profili di legittimità costituzionale, in Arch. n. proc. pen., 2003, p. 190

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dell’accertamento, nei limiti del possibile, della verità59. Delle fattispecie vicarie della prova formata in contraddittorio, l’unica a rimanere irrimediabilmente dissonante è quella per impossibilità di natura oggettiva. Per quanto ci si possa sforzare di interpretarla con tutte le cautele del caso (come si vedrà nel prossimo capitolo), richiedendo dunque che l’impossibilità di formare la prova in dibattimento sia assoluta60, cioè non fattibile materialmente e indipendente da una causa imputabile alla volontà del soggetto (queste le due facce dell’oggettività), non si può giustificare che un evento accidentalmente sopravvenuto, epistemologicamente neutro, riesca a convalidare retrospettivamente l’atto di indagine fino a trasformarlo in prova61.

59 Qualcuno ha ventilato la possibilità di fondare la legittimità costituzionale dell’uso di atti preformati, in caso di condotta illecita, sulla massima di esperienza secondo la quale il fatto che un soggetto sia stato raggiunto da minacce o violenze affinché non deponga in giudizio confermerebbe l’attendibilità delle dichiarazioni precedentemente rilasciate, anzi ne rafforzerebbe la forza dimostrativa, sul presupposto che è stata esercitata una pressione finalizzata specificamente ad evitare che la fonte ribadisca nel contraddittorio dibattimentale ciò che ha precedentemente dichiarato. Così Lonati, il diritto dell’accusato, p. 326; Silvestri,

Prova penale e giusto processo, in Strumenti per la formazione della prova, Aprile,

Silvestri, Giuffrè, 2009, p. 26. In senso parzialmente difforme Ubertis dice che lo scopo del comportamento antigiuridico è in linea di massima conosciuto solo da chi lo mette in opera, dunque il giudice non ne può aprioristicamente presumere la direzione, nel senso che esso costituisca la prova della veridicità delle dichiarazioni precedenti perché è presumibilmente volto ad impedirne la conferma: ne consegue che “la condotta illecita esterna è rilevante perché la sua stessa esistenza insinua il dubbio dell’adulterazione sul comportamento successivo della fonte di prova che ne sia stata vittima”, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, Cass. Pen., 2003, p. 2106

60 Nel testo costituzionale manca l’aggettivo <<assoluta>> che avrebbe potuto affiancare la nozione di impossibilità meglio di qualunque altro, soprattutto alla luce di una giurisprudenza che in più occasioni si era espressa nel senso che l’impossibilità di ripetizione ai sensi dell’art. 512 c.p.p. non avrebbe dovuto essere assoluta. È di questo parere Marzaduri, La riforma dell’art 111, p. 801; Buzzelli,

Letture dibattimentali, Giuffrè, 2000, p. 103

61 C’è pure chi dissente da questa ricostruzione evidenziando che la prova irripetibile, alla stessa stregua della prova documentale, lungi dal costituire un compromissorio cedimento, costituisce un limite logico implicito nel concetto stesso di contraddittorio. Questo perché i verbali degli atti del procedimento sono dei

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L’unica spiegazione che può essere data a questo fenomeno è la sincera ammissione di aver configurato un caso, l’unico, in cui la rinuncia al contraddittorio è meno importante della perdita di un contributo probatorio. Si recupera, in extremis, più o meno inconsapevolmente, visto che si parla di <<male minore>>, la vecchia logica inquisitoria. A complicare il quadro due dati: primo, l’omissione nell’art 512 c.p.p. di qualsiasi riferimento al carattere oggettivo dell’impossibilità (di ripetere atti assunti nelle fasi precedenti) che anche laddove possa essere recuperato mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata verrebbe comunque vanificato dal secondo dato, ossia la presenza del criterio di valutazione di cui al quarto comma, seconda parte, che, come si vedrà nel prossimo paragrafo, nel caso della lettura degli atti assunti dal p.m., si pone come regola speciale anche rispetto alle eccezioni.

La disciplina costituzionale del contraddittorio lascia impregiudicata la questione circa il destino che gli atti di indagine, una volta recuperati sulla base delle deroghe, hanno poi nella decisione finale, cioè, banalmente, se possano direzionare il convincimento del giudice alla stessa stregua delle prove raccolte in dibattimento o se abbiano, un’efficacia ridotta. Questo è stato il punto di maggiore criticità con la convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed è un tema che occuperà l’ultimo capitolo del presente studio.

3.2.6 IL CONTRADDITTORIO NELLA SECONDA PARTE DEL QUARTO COMMA DELL’ART 111

documenti che non sono di regola utilizzabili come prove documentali perché i comportamenti processuali documentati non appartengono al mondo dei fatti da conoscere e dunque da provare. Tuttavia l’irripetibilità può, in via straordinaria trascinare i verbali dal contesto del processo al mondo dei fatti. Nappi, La prova

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