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IL CONTRADDITTORIO NELLA SECONDA PARTE DEL QUARTO COMMA DELL’ART

documenti che non sono di regola utilizzabili come prove documentali perché i comportamenti processuali documentati non appartengono al mondo dei fatti da conoscere e dunque da provare. Tuttavia l’irripetibilità può, in via straordinaria trascinare i verbali dal contesto del processo al mondo dei fatti. Nappi, La prova

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La sottrazione libera e reiterata al contraddittorio con l’imputato o con il suo difensore determina l’inutilizzabilità a fini del giudizio di colpevolezza delle dichiarazioni rese nel segreto dell’indagine. Aldilà della formulazione del divieto che è posto come criterio di valutazione, anziché come regola di esclusione62, nel suo contenuto ribadisce sostanzialmente quanto in maniera molto più chiara emerge dalla prima parte dello stesso comma, ossia il divieto di utilizzare come prova dichiarazioni raccolte fuori dal contraddittorio. Ancora una volta stupiscono i particolari, insoliti rispetto alla genericità che ci si aspetterebbe da una disposizione costituzionale: essi tradiscono la reazione fortemente emotiva, dunque poco ragionata, del legislatore riformistico alla sentenza costituzionale n. 361 del 1998. Facendo riferimento alla sottrazione per libera scelta (ogni comportamento intenzionale, né coatto, o eterodiretto, come l’avvalersi della facoltà di non rispondere o la preordinata costruzione di una causa di impossibilità oggettiva, come l’irreperibilità artatamente prodotta) si voleva impedire che un’interpretazione estensiva del concetto di irripetibilità fornisse lo spunto per acquisire, in caso di rifiuto di deporre da parte del teste, le precedenti dichiarazioni raccolte dagli organi inquirenti. Non è un caso che il precetto sin dall’inizio del lavori parlamentari si era presentato come l’eponimo dell’intera riforma, definita nella vulgata dei mass-media “super 513”. Non solo non era necessario confezionare una fattispecie autonoma, dal momento che il divieto era implicito già nella regola generale che pretende la prova sia formata in contraddittorio, ma l’eccesso di zelo si è tramutato in una tutela carente, rendendo la previsione oltre che ridondante anche deleteria. Per ben tre ragioni. In primo luogo i detrattori della regola

62 La regola di esclusione costringe il giudice ad ignorare un dato che, come tale non può dirsi acquisito al processo, tamquam non esset; il criterio di valutazione, al contrario, presuppone l’obbligo del giudice di conoscere e valutare il dato, ma orienta il convincimento in una certa direzione. Eccezioni al contraddittorio, p. 10

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d’oro del processo accusatorio, in sede di dibattito parlamentare sulla legge attuativa del giusto processo, non persero occasione nell’evidenziare che dalla regola di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi si è sottratto per libera scelta al controesame, si potrebbe dedurre, a contrario, l’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni di chi ad esso si è sottoposto (nel caso di specie si ipotizzava che le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni del testimone, che, essendo presente in dibattimento evidentemente, non si sottrae al controesame, potessero essere utilizzate come prova dei fatti in esse affermati). È evidente che a questa lettura del precetto costituzionale, fortunatamente abbandonata nella versione finale della legge, osta la considerazione che le ipotesi che non integrano la fattispecie speciale di cui alla seconda parte del quarto comma, cadono nell’ambito di operatività della regola generale di cui alla prima parte.

In secondo luogo l’ironia della sorte vuole che i riformatori, mediante questa norma, hanno indebolito la regola del contraddittorio proprio nel caso che intendevano sanzionare più severamente, la sottrazione per libera scelta al controesame difensivo. Infatti il delicato problema di coordinamento con la deroga per impossibilità di natura oggettiva genera un corto circuito nella disciplina costituzionale del contraddittorio. Se il legislatore attuativo, come visto prima, ha provveduto ad impedire un’interpretazione riduttiva del contraddittorio nel caso delle contestazioni, non così nel caso delle letture di atti irripetibili che non sono state oggetto di intervento da parte della legge sul giusto processo. L’art. 512 c.p.p., infatti, che regola la lettura di verbali di atti delle indagini in caso di impossibilità di ripetizione in dibattimento, non richiede che quest’ultima sia oggettiva. Dunque, acquisite al giudizio le dichiarazioni (quelle rese agli organi inquirenti, è importante sottolinearlo), di cui il pubblico

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ministero abbia documentato l’irripetibilità in sede dibattimentale, tocca al difensore, interessato a far valere il criterio di valutazione, provare che l’impedimento dipende da una libera scelta del soggetto volta ad eludere il controesame; quando la prova fallisca la dichiarazione è pienamente utilizzabile. Insomma, nel dubbio si presume che il dichiarante non abbia inteso sottrarsi per libera scelta e dunque che l’impossibilità sia di natura oggettiva. Se il legislatore non avesse convertito la regola di esclusione in un criterio di valutazione la fattispecie sarebbe caduta nell’ambito di applicazione della regola generale, pertanto l’onere di provare che la fonte dichiarativa abbia saltato il contraddittorio per una causa non imputabile alla sua volontà sarebbe gravato sull’accusa e il dubbio, sempre in agguato nelle actiones liberae in causa, sarebbe tornato a vantaggio della difesa.

L’esito della ricostruzione, già di per sé difficilmente tollerabile, diventa paradossale se si guarda, poi, all’ipotesi della lettura degli atti compiuti dalla difesa in sede di investigazione difensiva. Alla fattispecie è palesemente inapplicabile la seconda parte del quarto comma dell’art. 111 per due ragioni: perché il teste non si è affatto sottratto all’interrogatorio da parte della difesa, alla quale anzi ha rilasciato le sue dichiarazioni; perché ciò che la difesa richiede è la loro valutazione a favore e non certo per la prova della colpevolezza. Dunque se la difesa vuole utilizzare dichiarazioni predibattimentali divenute irripetibili deve dimostrare non solo l’impossibilità materiale della loro assunzione in dibattimento, ma anche che questa non dipende da un’actio libera in causa, con la conseguenza che in caso di dubbio le dichiarazioni restano inutilizzabili in base alla prima parte del quarto comma dell’art 111, in quanto raccolte fuori dal contraddittorio.

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È, evidentemente, irrilevante il fatto che la ratio legis della disposizione in esame fosse quella di concedere una protezione supplementare all’imputato contro le distorsioni potenzialmente attuabili da giudici nostalgici dei vecchi tempi, dal momento che le disposizioni non vanno interpretate secondo la volontà del legislatore. Stando a questa interpretazione63, dunque, si può dire che il vulnus al principio del contraddittorio è contenuto nello stesso testo che ne consacra solennemente la centralità. Tuttavia questa non è l’unica esegesi possibile della norma: altra parte della dottrina ha cercato di ricondurre a sistema la previsione. Il dibattito in merito sarà approfondito nel prossimo capitolo, nella sezione relativa all’irreperibilità.

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