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L’ART 238, COMMA 3 C.P.P.

ANALISI DELLA DISCIPLINA CODICISTICA DELL’IRRIPETIBILITA’

4. LE ALTRE FIGURE DI IRRIPETIBILITA’ SOPRAVVENUTA 1 L’ART 513, COMMA 2 C.P.P.

4.2. L’ART 238, COMMA 3 C.P.P.

L’art. 238 commi 1-3 c.p.p. indica quali caratteristiche deve rivestire un atto per essere idoneo alla circolazione in altri procedimenti penali: la formazione dibattimentale o in incidente probatorio (primo comma), l’origine in un giudizio civile irrevocabilmente definito (secondo comma), ovvero, comunque, l’irripetibilità (terzo comma). Nella presente sequenza, l’impossibile rinnovo svolge una funzione residuale, evidenziata dalla sintassi della norma, dal momento che copre i casi in cui l’atto non è nato come prova nel procedimento a

quo, ma se ne guadagna il rango in virtù dell’insuscettibilità di

ripetizione. Da un lato, la norma consente l’utilizzabilità nel processo

ad quem di atti di indagine provenienti da un altro procedimento

penale224, in ciò distinguendosi dalle disposizioni in materia di irripetibilità analizzate fino ad ora (artt. 512, 512bis, 513 c.p.p.) che si occupano, invece, della migrazione di atti tra fasi della medesima sequenza processuale. Dall’altro lato, il comma terzo delinea un’ipotesi di circolazione probatoria, la quale è già di per sé derogatoria rispetto alla regola che pretende la prova formata nel

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Sono di questo parere, tra gli altri: Rafaraci, Dichiarazioni erga alios, cit., p. 311; Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta, cit., p. 410 e ss.; Di Paolo, Regime della lettura

dell’interrogatorio di garanzia di persona condannata poi deceduta, in Giust. Pen.,

2006, p. 336; in senso contrario ritiene che siano leggibili anche le dichiarazioni raccolte attraverso atti d’iniziativa della polizia giudiziaria Bargis, Le dichiarazioni di

persone imputate in procedimento connesso, cit., p. 121 e ss.

224 Si tratta di cognizioni non solo raccolte fuori dal dibattimento, ma nate in uno spazio processuale in cui le parti sono rimaste estranee; non solo formate in funzione della scelta tra azione ed inazione, ma anche allo scopo di verificare una diversa ipotesi storica, rappresentata dalla diversa imputazione oggetto del processo a quo, Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta, cit., p. 425

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contraddittorio tra le parti del processo in cui deve essere utilizzata, di carattere altresì eccezionale, per via della provenienza da una fase antecedente al processo, dunque non garantita. Infatti, ai sensi del primo comma della disposizione in esame, è ammessa l’acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento. Si tratta, dunque, di contributi probatori che sono stati formati con il metodo dialettico, mezzo ritenuto più idoneo all’ accertamento processuale, pertanto consacrato come regola indiscussa dalla riforma costituzionale sul giusto processo. Alla luce di questo, la prima ipotesi, al contrario della seconda, non dovrebbe destare alcuna preoccupazione, in quanto applicazione puntuale dell’art. 111, comma 4 Cost. In realtà si può rapidamente osservare come una corretta ricostruzione del principio del contraddittorio richieda qualche precisazione anche con riferimento al recupero di prove formate nel contraddittorio in altro processo penale. La legge n. 63 del 2001 era intervenuta a modificare225 l’art. 238, interpolandolo con un comma 2bis, nel quale si prevede che condizione per l’utilizzazione degli atti allogeni è l’avvenuta partecipazione del difensore dell’imputato, contro cui essi vengono spesi, alla loro formazione nel processo a quo. L’elaborazione dialettica della prova, infatti, quando ad essa non partecipano i soggetti interessati all’esito della decisione è del tutto irrilevante: anzi, dichiarazioni acquisite nel contraddittorio

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Negli anni della svolta inquisitoria, la nostalgia per la prassi e gli schemi tipici del

modus procedendi inquisitorio, aveva fatto sì che la norma non richiedesse ulteriori

requisiti per la circolazione probatoria tra diversi procedimenti penali. Questo sulla base di un duplice ordine di presunzioni: da un lato, si riteneva che i collaboratori di giustizia, costretti a ribadire in più sedi il medesimo racconto, sarebbero stati irragionevolmente esposti ad usura; dall’altro si credeva che sarebbe stato inutile provare nuovamente ciò che era già stato dimostrato in un altro processo. Sono teorie ispirate dalla Commissione parlamentare Antimafia, La formazione della

prova nei processi di criminalità organizzata (Relazione dell’on. Violante), Cass. pen.,

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svoltosi tra soggetti diversi presentano una controindicazione in più rispetto a quelle raccolte unilateralmente dal pubblico ministero. Infatti, l’elaborazione dialettica di una prova che avvenga ad opera di certi soggetti, ovviamente portatori di interessi e punti di vista propri, può produrre risultati affidabili che siano funzionali ad essi, ma non funzionali ed, anzi, potenzialmente contrari a quelli di altri soggetti226, in specie, quelli protagonisti del processo in cui i verbali di tali prove si vogliano acquisire. Tuttavia, non basta a superare le perplessità anzidette la presenza del difensore come condizione per l’uso delle prove di altro processo. Per almeno due ragioni. In primo luogo, appare improbabile che i difensori abbiano partecipato a tutela della stessa persona all’altro procedimento penale da cui si acquisiscono le prove e, in secondo luogo, anche se questa remota possibilità si sia realizzata non si può dire vi sia stato un effettivo esercizio del contraddittorio dal momento che il contraddittorio del processo da cui si acquisiscono gli atti e quello del processo in cui vengono acquisiti riguardano diverse imputazioni e si basano su diversi atti processuali227. A prescindere da queste osservazioni inerenti alla circolazione di prove tra procedimenti penali, ciò che ai fini di questa trattazione interessa maggiormente, riguarda la possibilità di acquisizione di atti di indagine, posti in essere in un diverso procedimento, sul presupposto della loro irripetibilità, ipotesi disciplinata dal terzo comma dell’art. 238 c.p.p. L’ambito sul quale la disposizione insiste è obiettivamente di maggior estensione rispetto a quello occupato dall’irripetibilità sopravvenuta. La possibilità di recupero degli atti

226 Dominioni, Un nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione della prova, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p. 767-768

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Lozzi, I principi dell’oralità e del contraddittorio nel processo penale, Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p. 687

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processuali allogeni scatta, infatti, in ragione della loro irripetibilità sia congenita, che accidentale, sicché la norma consente, nella sua prima parte, la circolazione degli atti non ripetibili di cui l’art. 431 lett. b) e c) prevede l’inserimento nel fascicolo del dibattimento, alle stesse condizioni (viste nel secondo capitolo) che giustificano la forza probatoria di tali atti nel procedimento a quo. Questo è confermato dal fatto che, nella seconda parte del terzo comma, il legislatore si è occupato di disciplinare specificamente l’ipotesi in cui gli atti di indagini siano divenuti irripetibili per circostanze sopravvenute, cercando, tra l’altro, di tracciare il profilo della norma sull’impronta stampata nei caratteri dell’art. 512 c.p.p. Gli atti irripetibili, inoltre, vengono acquisiti a prescindere dal fatto che, originariamente non rinnovabili o divenuti tali già nelle more del procedimento a quo, siano stati in quest’ultimo sottoposti a lettura. Da ciò derivano due conseguenze228: da un lato, il fatto che nel dibattimento del rito a quo sia stato recuperato l’atto, e dunque dimostrati i presupposti per la lettura-acquisizione, non esime dal dimostrare di nuovo, nel procedimento ad quem, la sussistenza degli stessi; dall’altro lato, l’atto di indagine è acquisibile nel procedimento ad quem anche se non ancora sottoposto a lettura nel giudizio del procedimento a quo, e rimarrebbe tale anche se, ad esempio, l’atto non fosse, in quella sede, più letto per mancanza di interesse della parti. Con l’unica precisazione che nel caso in cui l’atto non sia stato letto nel procedimento penale da cui proviene perché invalido, oppure perché difettano i presupposti che ne legittimano l’acquisizione, queste circostanze diventano rilevanti ai fini di escludere la lettura anche nell’altro procedimento. Non è possibile, infatti, (come si vedrà nel prossimo paragrafo) prospettare, per ciò che concerne l’ingresso del

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verbale alieno nel diverso processo, condizioni più favorevoli di quelle riservate agli atti formatisi all’interno del procedimento originario229.

4.2.1. IL CONFRONTO CON L’ART. 512 C.P.P.

L’immediato referente dell’art. 238, comma 3, seconda parte è l’art. 512 c.p.p. Ne deriva che per prima cosa, malgrado non si faccia menzione della natura degli atti acquisibili da altri procedimenti per irripetibilità sopravvenuta, l’area degli atti suscettibili di circolazione interprocessuale coincide con il gruppo di quelli cui si consente il passaggio dalle indagini al dibattimento, risultante dal dettagliato elenco di cui all’art. 512 c.p.p. In secondo luogo, alla luce dell’interpretazione rigida e restrittiva che si è ormai consolidata a proposito dell’irripetibilità sopravvenuta, esala afflati illegalistici una decisione, ormai risalente, seppure postuma rispetto alla riforma sul giusto processo, proveniente dalla Corte di Cassazione: le dichiarazioni rese dall’imputato in diverso procedimento penale sarebbero acquisite, secondo la stessa, al fascicolo d’ufficio e, qualora l’esame non abbia luogo per essersi lo stesso avvalso della facoltà di non rispondere, i verbali contenenti tali dichiarazioni potrebbero essere oggetto di lettura e utilizzate per la decisione, a norma degli artt. 238 comma 3 e 511bis c.p.p.(che si limiterebbe a posticipare detta lettura all’esame dell’imputato, solo se questo abbia luogo)230. In terzo luogo, l’assenza, nella previsione originaria, del requisito dell’imprevedibilità, quale presupposto cui subordinare l’acquisizione dal diverso procedimento degli atti divenuti irripetibili, ha reso

229 Bernasconi, Ideologie e prassi in tema di circolazione di verbali “alieni”, in Di Chiara (a cura di), Le eccezioni al contraddittorio e giusto processo, Giappichelli, 2009, p. 338

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opportuna la modifica cui è stata soggetta la norma per mano del legislatore del 2001. <<Se l’impossibilità di ripetizione è sopravvenuta,

l’acquisizione diventa possibile solo quando l’irripetibilità sia collegata a fatti e circostanze imprevedibili>>: si tratta di una puntualizzazione

necessitata, in linea con il disposto del comma 5 dell’art. 111 Cost. ed omogenea alla disciplina di cui all’art. 512 che ha l’obiettivo di circoscrivere, rispetto al testo previgente, l’acquisizione di atti irripetibili per fatti sopravvenuti231. In tal modo viene rispristinata la simmetria tra art. 238 e 512, e non potrà più verificarsi la situazione per cui un atto che non fosse acquisibile nel processo in cui era stato formato, perché divenuto irripetibile per fatti non imprevedibili al momento della sua assunzione, poteva, invece, essere acquisito in altro processo ai sensi del previgente art. 238 c.p.p. L’esito paradossale, dal momento che per il processo ad quem si faceva riferimento ad una categoria di atti irripetibili più ampia di quella utilizzabile nel processo originario232, è stato fortunatamente superato con l’intervento del legislatore riformistico, pur se non senza difficoltà e dubbi interpretativi. Prima che egli si pronunciasse, chiarendo definitivamente sul punto, a livello interpretativo, era piuttosto accreditata l’opinione di chi riteneva che l’imprevedibilità dell’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine “alieni” fosse in re

ipsa , sostanzialmente presunta, per una serie di ragioni. Per un verso,

se è già abbastanza difficile che il soggetto non coinvolto in un procedimento possa sapere, della sua esistenza, a maggior ragione è estremamente improbabile che egli possa avere contezza degli elementi che vi sono assunti, o addirittura prevederne il

231 Cantone, La <<circolazione probatoria tra procedimenti>>. Le modifiche

introdotte dalla l. n. 63/01, Cass. pen., 2002, p. 2568 ; dello stesso parere

Bernasconi, Ideologie e prassi in tema di circolazione di verbali “alieni”, cit., p. 334 232 Aprile, Silvestri, Strumenti per la formazione della prova, cit., p. 270

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deterioramento o la distruzione, sulla base di eventuali caratteristiche che li contraddistinguano. Per altro verso, se anche si ipotizzasse che, per un caso del tutto fortunato, la parte interessata all’acquisizione ex art. 238, sappia dell’altro procedimento penale e sia a conoscenza della non rinviabilità dell’atto che intende recuperare, farebbe comunque difetto la componente oggettiva sottesa al requisito dell’imprevedibilità: la possibilità concreta di ovviare al rischio della dispersione della prova mediante richiesta di incidente probatorio. Una parte estranea al processo, infatti, non può chiedere l’assunzione

anticipata della prova, né può sollecitare altri a farlo233. In realtà, la verifica circa la prevedibilità delle circostanze

sopravvenute di impossibilità di ripetizione dell’atto è fattibile, ed è, per giunta, attuabile sulla base del normale iter logico che sottostà ad un ordinario ragionamento in punto di imprevedibilità. Si deve verificare se, nel momento e nella sede in cui l’atto è approdato, la parte fosse in grado di pronosticare l’irripetibilità e di attivare, di conseguenza, il contraddittorio anticipato sulla fonte: se i documenti processuali allogeni sono pervenuti nella sua disponibilità quando il procedimento nel quale è parte, è giunto ad uno stadio incompatibile con l’incidente probatorio, non potrà procedere all’assunzione della prova. Allo stesso esito si arriva se l’irripetibilità si verifica nelle more del procedimento a quo, prima ancora che l’interferenza con un altro processo si sia manifestata. Ne consegue che la prova aliena è acquisibile per irripetibilità sopravvenuta ogni qualvolta la parte che ne chieda il recupero non sia stata nelle condizioni, per causa a lei non imputabile, di porre rimedio al rischio di dispersione della stessa, elemento, questo, imprevedibile, del quale dovrà essere accertata di volta in volta la sussistenza e che, pertanto, non potrà mai essere

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Le perplessità sollevate in dottrina sono ricostruite criticamente da Cesari,

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presunto. Altro punto sul quale la norma presenta un potenziale difetto di

coordinamento con l’art. 512 concerne la questione relativa alle modalità di documentazione degli atti recuperabili. L’art. 238, comma 3, parla genericamente di <<documentazione di atti>>, da intendersi in senso stretto come copia di un documento processuale che, su qualunque supporto, attesti direttamente il compimento ed i risultati di un’attività probatoria. il problema è capire se tali documenti debbano assumere la forma di verbali o se è sufficiente ad integrare la norma anche la forma meno garantita dell’annotazione. Depone a favore di quest’ultima tesi sicuramente la scelta lessicale, così come l’osservazione che, laddove il legislatore abbia voluto riservare ai soli verbali la dignità di atti recuperabili, l’abbia espressamente disposto (art. 431 c.p.p.). Tuttavia le argomentazioni a favore dell’esegesi opposta sono insuperabili234. In primo luogo, nella rubrica dell’art. 238 c.p.p. si parla di <<verbali>> di prove di altri procedimenti con una puntualità inequivoca, ed anche a voler precisare che la rubrica dell’articolo non è normativamente vincolante, ci sarebbe comunque l’art. 511bis che, nel sancire che gli atti di cui all’art. 238 sono soggetti a lettura, precisa che ad essere letti sono soltanto i <<verbali>>. In secondo luogo, la natura eccezionale della norma esige un’interpretazione restrittiva, che evidentemente sarebbe ignorata nel caso in cui si optasse per la tesi esposta prima, e che sarebbe, inoltre, auspicabile anche perché la disposizione è stata modellata sulla base dell’art. 512, la cui esegesi preme verso questa direzione. Infine, un principio elementare di non contraddizione tra diversi percorsi giudiziari dovrebbe far propendere in maniera decisiva e definitiva per quest’ultima tesi. Se, infatti, alla luce

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dell’interpretazione maggiormente in voga dell’art. 512 c.p.p., gli atti leggibili sono solamente quelli che sono stati confezionati con certe formalità, mentre quelli che non siano stati documentati in forma integrale non sono recuperabili in dibattimento e spendibili per la decisione nel processo dal quale pure provengono, sarebbe assurdo e contraddittorio che, al contrario, quelli stessi atti fossero acquisibili e utilizzabili nel procedimento diverso. Del resto, sullo sfondo resta ferma una sorte di “regola di chiusura” che regge l’intero apparato normativo della circolazione probatoria: l’utilizzo degli atti nel processo ad quem deve sottostare alle stesse condizioni e alle stesse regole applicabili nel processo a quo235. In applicazione di questo

criterio è stato, ad esempio, stabilito, dalla Cassazione, che le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero nell’ambito di un giudizio penale ed ivi dichiarate inutilizzabili, in quanto assunte senza la partecipazione del difensore, non possono essere acquisite nell’ambito di un diverso procedimento236.