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I TENTATIVI DI “REDENZIONE” DEL GIUDICE NAZIONALE

IL CONTRADDITTORIO E LA PROVA IRRIPETIBILE NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

3. L’IMPATTO DELLA C.E.D.U SULLA DISCIPLINA INTERNA DELLA PROVA IRRIPETIBILE DELLA PROVA IRRIPETIBILE

3.2. I TENTATIVI DI “REDENZIONE” DEL GIUDICE NAZIONALE

Alla luce di quanto è stato osservato fino ad ora, più che per il rango sub-costituzionale al quale le sentenze “gemelle” della Corte Costituzionale avevano sopraelevato le norme convenzionali, la necessità di comporre il contrasto con la Convenzione europea, così come interpretata dalla Corte edu, era resa emergente dal profilarsi del rischio concreto di reiterate condanne europee a carico del nostro Paese. A questo proposito, come anticipato, i tentativi di redenzione posti in essere a vari livelli dagli addetti ai lavori, dalle aule dei

tribunali alle stanze delle biblioteche, sono stati molteplici. Uno di questi è andato nella direzione di cercare all’interno della

stessa Costituzione gli elementi da cui poter desumere la conformità

293 Sentenze Corte Cost. 16 novembre n. 311 del 2009 e 9 novembre n. 303 del 2011 294

Sentenze Corte Cost. 30 novembre n. 317 del 2009 e 23 gennaio n. 15 del 2012 295 Sent. Corte Cost. 14 gennaio n. 49 del 2015

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della disciplina sulla prova irripetibile agli orientamenti di Strasburgo in merito ad essa. La Costituzione, infatti, nel momento in cui consacra il contraddittorio come unico metodo di formazione credibile dei risultati conoscitivi nel processo penale, ammettendo ciononostante possibili deroghe, di certo, si dice, autorizzerebbe il legislatore a disciplinarle in modo da assegnar loro una credibilità inferiore rispetto alle prove formate dialetticamente296. La disciplina costituzionale e quella convenzionale non avrebbero, in sostanza, problemi di sovrapposizione perché l’una, la prima, concerne la formazione e l’acquisizione della prova, l’altra, la seconda, stabilisce soltanto un criterio di valutazione della prova dichiarativa regolarmente acquisita. Questo significa che le disposizioni codicistiche che regolano l’afflusso in dibattimento di atti delle indagini sono norme di acquisizione e non di valutazione della prova: dicono che al verificarsi delle condizioni ivi descritte quelli atti sono acquisiti al fascicolo, ma non specificano quale efficacia persuasiva in concreto possano esercitare, né tanto meno autorizzano il giudice a condannare solo sulla loro base297. Vi è di più: dal complesso del sistema probatorio nazionale è desumibile una sorta di principio generale, il canone della “prudente valutazione”, enucleabile in primis dall’art. 533, comma 1 c.p.p., il quale impone che la colpevolezza sia provata <<aldilà di ogni ragionevole dubbio>>, dubbio che impone, logicamente, di usare massima cautela nel valutare dichiarazioni raccolte senza contraddittorio. Inoltre, consolidati principi

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Per un convinto auspicio in tal senso si era espresso Marzaduri, Tutti i rischi

legati all’attuazione dei principi, Guida al diritto, 1999, p. 40

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Ferrua, La dialettica regola-eccezioni nell’impianto dell’art. 111 Cost., cit., p. 34; si tratta, tra l’altro, di una delle argomentazioni con le quali la Cassazione in un’importante pronuncia (C. s. u. 25-11-2010, De Francesco, Guida al diritto, 2011, p. 71) ha imposto cautela nel valutare le dichiarazioni unilaterali acquisite tramite lettura, ai sensi, nel caso di specie, dell’art. 512bis c.p.p.

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giurisprudenziali impongono al giudice una cauta e approfondita indagine sulla credibilità delle dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa o danneggiata dal reato, imponendo di valutarle in relazione ad altri elementi emergenti dalle risultanze processuali; ed analogo criterio valutativo si rinviene espressamente nell’art 192 comma 3 c.p.p. a proposito delle dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da imputato in procedimento connesso298. L’insieme di queste osservazioni consentirebbe di considerare la disciplina del nostro processo, di per sé, senza necessità di alcuna modifica, perfettamente in linea con l’insegnamento della Corte europea.

Taluni, pur utilizzando simili argomentazioni, non si spingono sino alla conclusione di negare il contrasto con la Corte e.d.u., ma si orientano nella ricerca di un’interpretazione convenzionalmente conforme della disciplina interna sulla prova irripetibile. Un siffatto percorso interpretativo era stato intrapreso dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici che, con varietà di modulazioni, avevano prospettato una pluralità di ricostruzioni tutte finalizzate ad imporre l’applicazione della disciplina dei riscontri in presenza di dichiarazioni rese da persona assente in dibattimento per motivi oggettivi299. Tuttavia, vi erano state alcune occasioni nelle quali la Cassazione aveva affermato

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Queste altre argomentazioni si sommano a quelle utilizzate nella sentenza citata nella nota precedente; nello stesso senso Ferrua, La dialettica regola-eccezioni

nell’impianto dell’art. 111 Cost., cit., p. 36

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Tra le più risalenti, Cass., sez. II, 18 ottobre 2007, n. 43331, in Dir. pen. proc., 2008, p. 878, con nota di P. Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua

a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio. Successivamente,

Cass., sez. I, 23 settembre 2009, n. 44158, in CED Cass. n. 245556; Cass., sez. V, 26 marzo 2010, n. 21877, in CED Cass. n. 247446; Cass., sez. I, 6 maggio 2010, n. 20254, in CED Cass. n. 247618; Cass., sez. III, 15 giugno 2010, n. 27582, in CED Cass. n. 248052; Cass. 4 aprile 2012, Vrapi, Arch. n. proc. pen., 2013, p. 477; Cass. 20 giugno 2012, Angelozzi, Cass. pen., 2013, p. 4079

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che la strada dell’interpretazione adeguatrice non era percorribile in quanto la disciplina tracciata dal codice costituiva diretta attuazione dell’art. 111, comma 5 Cost. a sua volta contrastante con la normativa convenzionale e su questa prevalente sul piano della gerarchia delle fonti secondo quanto desumibile dalle sentenze gemelle del 2007300. Ciò aveva condotto il giudice di legittimità a riunirsi in Sezioni Unite301 per comporre il conflitto che, interno all’organo di vertice della giurisdizione nazionale, rifletteva il contrasto esterno, in punto di prova irripetibile, tra la disciplina nazionale e quella pattizia, così come interpretate dalla relativa giurisprudenza. L’argomentazione che, in quell’occasione, è risultata nuova, è proprio quella dichiaratamente orientata nel senso di attribuire alle norme costituzionali, tra i tanti possibili, un significato conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolar modo premeva operare in tal senso sulla disposizione che vietava di provare la colpevolezza sulla base di dichiarazioni rese da chi si fosse sempre volontariamente sottratto al contraddittorio (artt. 111, comma 4, secondo periodo Cost. e 526, comma 1 bis, c.p.p.), dalla quale si deduceva, a contrario, che, in caso di sottrazione involontaria allo stesso, le dichiarazioni unilaterali avrebbero potuto essere pienamente utilizzate anche ai fini di una sentenza di condanna. Tale disciplina, si osservava, era, in primo luogo, cronologicamente successiva a quella convenzionale e dichiaratamente finalizzata a darne attuazione nel nostro ordinamento. Pertanto, risultava assai improbabile che il legislatore avesse posto una disposizione incompatibile proprio con la normativa dalla quale era stato ispirato nel tracciare la riforma costituzionale del 1999. In secondo luogo, la

300 Cass., sez.VI, 25 febbraio 2011, n. 9665, in CED Cass. n. 249594; Cass., sez. V, 16 marzo 2010, n. 16269, in CED Cass. n. 247258

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norma doveva essere riguardata come una regola di specificazione del principio generale del contraddittorio, e non come eccezione allo stesso, in modo tale che ben poteva ritenersi che il costituente si fosse preoccupato di disciplinare solamente un’ipotesi, volontaria sottrazione all’esame, in cui le dichiarazioni non rese in contraddittorio non possono essere utilizzate, senza escludere che in ipotesi diverse, oggettiva impossibilità di ripetizione, analogo criterio

di valutazione probatoria non potesse valere302. Eppure, c’è chi diffida dalla soluzione proposta dalla Cassazione di far

operare direttamente i criteri interpretativi elaborati a Strasburgo come strumenti esegetici dell’art. 512 c.p.p. Se, infatti, la prassi della Corte europea ha ampiamente dimostrato come la valutazione circa la decisività del materiale probatorio sia del tutto discrezionale, è palese che quei criteri anche a livello interno non garantirebbero alcuna certezza in ordine agli esiti delle decisioni. Coloro che si sono spinti in questa direzione hanno criticato anche la ritenuta possibilità di enucleare dalla stessa Costituzione la regola di inutilizzabilità delle prove dialetticamente carenti. Secondo tale orientamento l’assenza di una regola generale di giudizio in materia di atti irripetibili non appare casuale, visto che per altre fattispecie la legge ordinaria, invece, contempla clausole che orientino il giudicante (è il caso dell’art. 192 c.p.p. e dello stesso art. 526 comma 1bis c.p.p.). Questo vorrebbe dire

302

In senso critico rispetto all’iter logico seguito dai giudici di legittimità nella sentenza in discorso Conti, Le dichiarazioni del testimone irreperibile: l’eterno

ritorno dei riscontri tra Roma e Strasburgo, cit., p. 5, afferma che si sarebbe potuti

giungere alla stessa conclusione facendo applicazione di quanto affermato dalle c.d. “seconde sentenze gemelle” del 2009 (26 novembre 2009, n. 311, in Riv. dir. internaz., 2010, p. 163 e 4 dicembre 2009, n. 317, Guida dir., 2010, n. 2, p. 73). Con tali pronunce si era osservato che le norme convenzionali hanno la funzione di ampliare l’area di protezione che la Costituzione riconosce ai diritti fondamentali. Pertanto, il confronto tra tutela costituzionale e tutela convenzionale dei diritti fondamentali può e deve sfociare in un ampliamento delle garanzie <<anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti>>

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che laddove il legislatore abbia voluto ridurre il rilievo probatorio di alcuni elementi si è espresso in modo esplicito in tal senso, laddove, invece, non l’abbia previsto si deve ritenere che abbia inteso ammettere un uso pieno delle prove acquisite. Ne discende che l’art. 512 c.p.p. si candida alla declaratoria di illegittimità costituzionale per l’assenza di una previsione che ne contenga le potenzialità probatorie303.

C’è poi chi, sulla scorta di argomentazioni simili a quelle appena esposte, si spinge a proporre, de iure condendo, l’estensione alla fattispecie degli atti irripetibili della regola di cui all’art. 526, comma1bis c.p.p. L’avverbio temporale <<sempre>> presente nella disposizione sembrerebbe richiamarsi, infatti, ad una concezione del diritto dell’accusato ad esaminare il proprio accusatore corrisponden- te a quella recepita dalla giurisprudenza europea, posto che, anche per essa è determinante che la difesa non abbia mai avuto occasione di interrogare il dichiarante304. Oppure meglio ancora sarebbe introdurre una regola valutativa specifica per gli atti recuperati ex art. 512 c.p.p. per sopravvenuta irripetibilità305. Una clausola ad hoc risolverebbe molte delle scivolose questioni interpretative che sorgono da una valutazione di questo tipo: l’atto unilaterale deve

303

Cesari, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico, cit., p. 258; secondo Ubertis,

Sistema di procedura penale, cit., p. 174, con la declaratoria di incostituzionalità <<si

otterrebbe un immediato allineamento del nostro sistema alla giurisprudenza in materia della Corte europea dei diritti dell’uomo>>

304

Lonati, Il diritto dell’accusato a interrogare o fare interrogare, cit. , p. 378. Del resto, si tratterebbe di intervenire con una modifica legislativa sulla norma, dal momento che il dato testuale è incontrovertibile nello stabilire che è vietato formulare un giudizio di colpevolezza solo nel caso in cui si sia in presenza di dichiarazioni rese unilateralmente da parte di chi per libera scelta si è sottratto al contraddittorio. Così Silvestri, Teste irreperibile e valutazione delle dichiarazioni

predibattimentali, cit., p. 291

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essere corroborato da altri elementi di riscontro oppure esso deve fungere da riscontro ad altre prove? è richiesto un quantum al di sopra del quale si deve ritenere confermata l’attendibilità della prova? È necessario che gli elementi di riscontro abbiano natura diversa dall’atto incriminato oppure possono essere anche ad esso

omogenei? A questo proposito, nella bozza di legge-delega per la riscrittura del

codice di procedura penale, formulata dalla Commissione ministeriale presieduta da Giuseppe Riccio del 20 febbraio 2008, era stata prevista la necessità di riscontri per potersi procedere alla lettura dibattimentale delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari: <<le dichiarazioni di cui è stata data lettura per impossibilità oggettiva di ripetizione devono essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità>>. La novità era stata oggetto di critiche da parte della Corte di Cassazione, secondo la quale non appare utile la previsione normativa di regole di valutazione, che sono il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, anche di tipo sovranazio- nale, e che devono essere affidate alla naturale evoluzione della

giurisprudenza, pena irrigidimenti interpretativi non auspicabili306. Infine, qualcuno307 ha anche proposto l’applicazione analogica della

regola di valutazione codificata nell’art. 192, comma 3 c.p.p., relativa

306

Tonini, Il testimone irreperibile: La cassazione si adegua a Strasburgo, cit., p. 889. Secondo Lonati, Il diritto dell’accusato, cit., p. 380, è certo che le regole di valutazione possano essere facilmente aggirate con motivazioni ricostruite a

posteriori, pertanto sarebbe auspicabile maneggiarle con cautela nel caso in cui si

decidesse di introdurne una in questo ambito.

307 Ferrua, La prova nel processo penale, cit., p. 241, secondo il quale la codificazione di criteri di valutazione per le dichiarazioni dei coimputati ha reso più incerto e, potenzialmente, meno garantito il regime di altre prove, quali le testimonianze irripetibili, come spesso accade quando si codifica il superfluo. La presenza d quei criteri , selettivamente riferiti ad una sola tipologia di prova, lascia supporre, erroneamente, che altrove non valgano analoghe regole prudenziali.

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letteralmente alle sole dichiarazioni rese da coimputati. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, i riscontri estrinseci richiesti dall’art. 192, comma 3 c.p.p. per corroborare tali dichiarazioni potevano consistere in elementi di qualsivoglia natura, anche solo di carattere logico che, pur non avendo autonoma forza probante, fossero in grado di conferire loro la credibilità piena di qualsiasi elemento di prova308. In realtà, quest’ultima tesi cade nell’errore di invertire i termini della questione, confondendo due significati, ben distinti, di prova determinante e di riscontro, il quale non necessariamente possiede una forza persuasiva tale da ridurre il peso determinante della dichiarazioni unilaterale. Quest’ultima, infatti, continua ad assumere un valore decisivo qualora l’elemento di conferma non sia in grado di fondare autonomamente il

convincimento del giudice. I casi delle dichiarazioni dei coimputati e di quelle unilateralmente

assunte non sono assimilabili, perché concernenti eventualità, in un certo senso, opposte. Relativamente alle prime i riscontri richiamati nella disposizione servono a suffragare le citate dichiarazioni di modo da renderle utilizzabili per la decisioni; per quanto riguarda le seconde, invece, esse stesse, secondo gli indirizzi della Corte di Strasburgo, fungono da riscontri di dati conoscitivi già di per sé

pienamente utilizzabili dal giudice309. Dunque, il fatto che sia possibile che dall’applicazione dell’art. 192,

comma 3 c.p.p. derivi una condanna dell’imputato fondata in maniera esclusiva o prevalente su prove assunte in assenza di contraddittorio, è un dato dirimente per scartare l’ ultima esegesi proposta.

308 Tra le molte pronunce Cass. 31 marzo 1998, Avila, Arch. nuova proc. pen., 1999, p. 214; Cass. 4 maggio 1998, D’Amora, Riv. pen., 1998, p. 824

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4. LA RIVISITAZIONE DEL “DIRITTO AL CONFRONTO”

ORIGINATA DAL CASO AL-KHAWAJA E TAHERY C. REGNO