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UNITO E LE SUCCESSIVE IMPLICAZIONI OPERATIVE

4.1. L’AL-KHAWAJA TEST

Prima di verificare in che modo la riflessione del dibattito politico inglese ha fatto breccia nella decisione del caso Al-Khawaja e nelle successive sentenze, tanto da coniare uno nuovo strumento ermeneutico denominato “Al-Khawaja test”, è utile ricostruire le due

vicende concrete sottoposte all’attenzione della Corte alsaziana. La sentenza riunisce due ricorsi distinti, fondati su censure analoghe:

quello del dottor Al-Khawaja contro la Gran Bretagna, e quello di Ali

Tahery contro l’Irlanda del Nord. Il signor Al-Khawaja era un medico accusato di aver posto in essere

abusi sessuali, durante delle sedute di ipnosi, ai danni di due donne. Mentre una delle due dopo aver denunciato il fatto, aveva poi regolarmente testimoniato nell’ udienza dibattimentale, permettendo all’imputato di esperire il controinterrogatorio nei suoi confronti, l’altra, dopo aver rilasciato agli organi inquirenti le proprie dichiarazioni, si era suicidata prima dell’inizio del processo. In dibattimento venivano sentiti, così, due amici, in qualità di testimoni de relato, che avevano raccolto le confidenze della vittima subito dopo l’accaduto e venivano letti i verbali delle sommarie informazioni raccolte dalla polizia. Venivano poi esaminate altre due donne, anch’esse pazienti dell’imputato, le quali narravano che nel corso delle visite mediche avevano ricevuto proposte di natura sessuale. Il giudizio nazionale si conclude con una condanna ai danni del ricorrente per entrambi i capi di imputazione, nonostante riguardo la violenza concernente la seconda donna la responsabilità era stata ritenuta sussistente prevalentemente sulla base di una prova sottratta al vaglio difensivo: motivo di ricorso alla Corte europea e di accoglimento dello stesso nella prima decisione del 2009. La seconda vicenda riguardava, invece, il signor Tahery il quale era stato accusato

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di aver accoltellato alle spalle un uomo durante una rissa in cui erano coinvolti più soggetti. La ricostruzione dei fatti, peraltro, era stata particolarmente complicata perché nessuno dei presenti era riuscito ad identificare l’assalitore, compresa la vittima, ad eccezione di un testimone che aveva rilasciato alla polizia una dichiarazione in cui individuava in Tahery l’aggressore. Tuttavia, resosi irreperibile per timore di ripercussioni su di sé e sulla sua famiglia, l’unico testimone a carico non era stato sentito in dibattimento, davanti all’imputato, ma venivano letti i verbali contenenti le sue accuse, i quali venivano, così, posti come unico o principale fondamento della condanna: motivo, anche in questo caso, di ricorso a Strasburgo e di accoglimento dello stesso nella prima decisione.

Prima di decidere il caso concreto, la Grande Camera del 15 dicembre 2011 rievoca i principi generali in tema di “diritto al confronto” in una ricognizione che, a metà strada tra tradizione e innovazione, compone i tre step del test che ogni processo deve superare per potersi ritenere giusto. Lo scrutinio preteso in questa occasione dalla giurisprudenza europea impone, come prima cosa, di verificare la serietà del motivo che rende impossibile contro-esaminare l’accusatore in dibattimento. Se fino a quel momento i giudici di Strasburgo avevano sempre valutato la vicenda loro sottoposta a partire dall’idea che non fosse possibile ottenere la presenza della fonte di prova, a prescindere da un’indagine sulle cause che l’avevano determinata311, ora, invece, l’esistenza di gravi ragioni a giustificazione dell’assenza del testimone merita un accurato accertamento, costituendo la premessa ineludibile

311 Così Zacchè, Lettura di atti assunti senza contraddittorio, cit., p. 437; Tamietti, il

diritto ad esaminare i testimoni a carico, cit., p. 2992; in senso contrario Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti: gli sviluppi del nuovo corso, cit., p. 2840,

che, invece, rammenta come la Corte riprende, sull’argomento, spunti già emersi in precedenti pronunce: l’assenza del requisito può condurre ad una violazione del dettato convenzionale anche in vicende processuali nelle quali le stesse dichiarazioni non assumono una valenza determinante ai fini della condanna

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per tollerare un impiego, anche determinante, delle dichiarazioni sottratte al contraddittorio. Sulle autorità nazionali grava, dunque, l’obbligo di adottare tutte le misure idonee ad assicurare la presenza del testimone al processo, accertando le ragioni di una sue eventuale assenza: morte, infermità, irreperibilità, timore per l’incolumità

personale. Dopo aver accertato la serietà del motivo che ha reso impossibile

l’esame del testimone da parte della difesa, i giudici devono verificare la decisività dell’elemento conoscitivo da questi apportato al processo ai fini della condanna dell’imputato: se la deposizione del teste assente è supportata da altre prove, l’apprezzamento del suo carattere determinante dipenderà dalla irrisoria forza probante delle altre prove, secondo un rapporto di proporzionalità inversa. A questo livello si attesta il recepimento delle censure avanzate dal Governo britannico e la presunta novità introdotta con la sentenza che si sta analizzando. Dall’utilizzazione di dichiarazioni rese da soggetti non contro-esaminati dalla difesa, anche quando costituiscono la prova esclusiva o determinante a carico dell’imputato, si dice, non discende automaticamente una violazione dell’art. 6 CEDU. C’è un ultimo passaggio che, laddove la verifica circa la sussistenza del requisito richiesto abbia esito positivo, consente di ritenere salva l’equità del processo: l’esistenza di solide garanzie procedurali. Esse servono a compensare la carenza di contraddittorio e devono essere molto forti per riuscire a prevalere nel giudizio di bilanciamento, visto che il carattere decisivo della prova dialetticamente deficitaria costituisce un fattore molto rilevante da considerare in questo scrutinio. Dunque, nonostante la perentorietà con cui in passato si è affermata la regola della sole or decisive rule potesse far credere nella sua inderogabilità, una sua applicazione

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assoluta sarebbe contraria al modo in cui è compiuto tradizionalmente il vaglio in merito all’asserita violazione della garanzia del diritto al confronto312. Il giudice europeo, infatti, abitualmente non analizza la vicenda concreta alla luce del solo comma 3, lett. d, dell’art. 6 CEDU, bensì del combinato disposto di esso con il comma 1 del medesimo articolo, attraverso un apprezzamento dell’equità complessiva del procedimento313. Si tratta di un concetto dai contorni obiettivamente sfumati che consisterebbe nel considerare le specificità, afferenti ai sistemi processuali dei diversi Paesi membri, che garantiscono, in qualche modo, la giustezza dell’esito del processo, nonostante non siano stati tutelati a pieno i diritti della difesa, proprio come il Governo inglese aveva suggerito314. In questo vaglio può rientrare praticamente di tutto, come è emerso dalla giurisprudenza successiva. Possono essere prese in considerazio- ne garanzie tanto valutative, quanto procedurali315: nel primo senso rileva il numero e l’autonomia delle altre prove disponibili, l’uso dei riscontri o della prova viziata in qualità di riscontro, l’apprezzamento valutativo espresso dal giudice in motivazione; nel secondo senso l’impiego di particolari tecniche di documentazione delle dichiarazioni predibattimentali, le modalità con cui si è proceduto all’interrogatorio

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Casiraghi, Testimoni assenti: la Grande Camera ridefinisce la regola della prova

unica o determinante, Cass. pen., 2012, p. 3125; Conti, Le dichiarazioni del testimone irreperibile, cit., p. 8

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Ex pluribus C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 21 luglio 2011, Breukhoven c. Repubblica Ceca; C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 24 luglio 2008, Vladimir Romanov c. Russia; C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 13 aprile 2006, Zentar c. Francia

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L’analisi consterebbe di due passaggi successivi: il primo volto a saggiare la capacità della disciplina interna di assicurare che, nei casi di assenza del testimone, la fairness processuale sia salvaguardata; il secondo, consistente nel valutare se quelle garanzie siano state applicate correttamente, Biral, L’overall examination, cit., p. 13

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La distinzione è di Mirandola, Uso probatorio delle dichiarazioni, Cass. pen., 2017, p. 368

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durante le indagini ed ogni altro profilo che si ritenga di valorizzare nel caso concreto. Queste garanzie procedurali rappresenterebbero, insomma, per il giudice europeo, una sorta di fatto idoneo a garantire che l’esercizio del contraddittorio non avrebbe prodotto un risultato significativamente diverso. Ovvio notare, a questo punto, che l’ampiezza dell’overrulling effettuato dalla Corte dipende anche da quanta discrezionalità essa scelga di adoperare nel valutare se nel caso concreto il processo sia stato equo.

Applicando il test così delineato alle due vicende concrete si ottenevano, peraltro, due esiti differenti. Nel caso Al-Khawaja, si concludeva per il rispetto del diritto di difesa del ricorrente, nel caso Tahery per la sua violazione. Nel primo caso la serietà del motivo dell’impossibilità di escussione della teste era dovuta al suo imprevedibile decesso (primo step), così come si poteva chiaramente evincere che dal plafond probatorio la sua dichiarazione emergeva come quella determinante (secondo step). Infine, le prove acquisite erano bilanciate, secondo la Grande Camera, da adeguate garanzie procedurali (terzo step): le dichiarazioni erano state documentate con tutti i crismi dalla polizia; la credibilità della dichiarante era supportata da due concordi testimonianze de relato; esistevano forti somiglianze sulle modalità degli abusi nel racconto della prima vittima e nella testimonianza della seconda persona offesa; non vi era alcuna prova che tra le due donne vi fosse stata una collusione; negli episodi di violenza sessuale, in cui sono presenti solamente vittima e agente, è difficile avere prove maggiormente persuasive, specialmente quando ciascuno dei testimoni è chiamato a deporre al processo e la sua credibilità vagliata dalla cross-examination (è la parola di uno contro quella dell’altro). Nel secondo caso, se l’assenza del teste era giustificata dal fondato timore per la sua incolumità fisica e la sua

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deposizione si poteva considerare decisiva nel panorama processuale, non altrettanto positivo era stato il riscontro dell’ultimo passaggio richiesto dal test. Infatti, si riteneva che l’impiego delle dichiarazioni unilaterali non fosse stato controbilanciato da sufficienti garanzie: la testimonianza dibattimentale della vittima confermava il racconto della persona assente solo in alcuni dettagli e nessuno degli altri soggetti presenti al momento dell’episodio aveva affermato che il ricorrente fosse l’autore dell’aggressione. Se ne deduceva, perciò, l’insussistenza di elementi sufficienti a confermare l’attendibilità dell’apporto fornito dal testimone assente.

4.2. LA NOZIONE DI EQUITA’ COMPLESSIVA DEL PROCEDIMENTO TRA