• Non ci sono risultati.

Il processo di revisione costituzionale nella XVII legislatura.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il processo di revisione costituzionale nella XVII legislatura."

Copied!
182
0
0

Testo completo

(1)

IL PROCESSO DI REVISIONE COSTITUZIONALE

NELLA XVII LEGISLATURA

(2)

Indice

Introduzione

p. 2

Capitolo I

p. 5

Capitolo II

p. 38

Capitolo III

p. 152

Conclusione

p. 160

Bibliografia

p. 174

Sitografia

p.178

(3)

Introduzione

La revisione della Costituzione è uno di quei temi che ormai animano in maniera costante l'attualità del dibattito politico e scientifico.

Non può ricondursi unicamente alla legislatura in corso l'esclusività di questo tema, stante l'ormai consuetudine consolidata del legislatore, a partire dall'VIII legislatura (1979-1983), di mettere all'ordine del giorno questa tematica, la quale fra diversi alti e bassi si è riproposta costantemente nelle legislature successive, nonostante gli importanti accadimenti politici avvenuti all'inizio degli anni '90.

La prima fase della nostra esperienza repubblicana (1948-1969) ha visto il ricorso alle procedure dettate dall'articolo 138 della nostra carta, tuttavia senza mai passare dal referendum, ottenendo delle riforme sempre approvate con la maggioranza dei 2/3 delle Camere : questo si è verificato in base alla mancata attuazione dell'istituto referendario. L'esecuzione di questo è avvenuta con la

legge 352 del 1970, così prima dell'approvazione di questa legge rimaneva unicamente la possibilità

di approvare leggi di revisione attraverso la maggioranza che evitasse di ricorrere a questa evenienza: i 2/3, per l'appunto.

Nella fase successiva (1970-1990), il minimo comun denominatore delle revisioni costituzionali fu quello della loro natura puntuale e specifica su singoli istituti.

Sul finire degli anni '70 le forze politiche incominciarono a discutere della necessità di apporre riforme alle istituzioni repubblicane, con riferimento sia alla legge elettorale sia ad alcune parti della Costituzione; su quest'ultimo tema viene indicata come necessaria l'approvazione di una Grande

riforma (di questo tema tratteremo nel I capitolo).

L'ipotesi di fare ricorso a modifiche costituzionali non più puntuali ma organiche, sollevò il problema di quali dovessero essere gli strumenti da utilizzare a questo proposito. Ci si domandò se potessero essere sufficienti le procedure delineate nell'art.138 cost. o se fossero necessarie delle nuove procedure.

Su questi presuposti, all'inizio degli anni '90 si costituirono dei comitati a difesa dei principi e valori della Costituzione, si trattava dei c.d Comitati Dossetti : questi si posero il problema delle limitazioni che venivano incontrate dal Parlamento nella revisione e se non fosse pertanto necessaria, per una riforma organica della Costituzione, l'elezione di una sorta di Assemblea

costituente, tramite un sistema elettorale di tipo proporzionale.

La conclusione condivisa maggioritariamente stava nel fatto che un cambiamento significativo della Carta e la necessità di un Assemblea costituente, derivasse non dal numero degli articoli che il legislatore costituzionale si accingeva a modificare, bensì dal contenuto degli stessi : la modifica anche di una sola delle disposizioni avrebbe potuto significare non un mero cambiamento ma il cambio di Costituzione; questo era il motivo per cui si rinveniva la necessità del ricorso a tale procedura.

Così avviene il ricorso, sia nel 1993 e nel 1997, all'esperienza delle due commissioni bicamerali, De

Mita-Iotti, d'Alema, di cui tratteremo nel corso del primo capitolo.

Il ricorso tuttavia al tema della revisione subisce significative evoluzioni proprio a partire dall'ultimo decennio del XX secolo: è infatti a partire dalla XIII legislatura (1996-2001) che si è assistito a revisioni approvate a maggioranza, non su specifici punti della carta, bensì su tematiche che investivano numerosi parti del dettame costituzionale: da qui infatti risale il ricorso al referendum, poiché il legislatore costituzionale non raccoglieva nella seconda deliberazione la maggioranza dei 2/3 necessaria per evitarlo.

Così è stato nel 2001 con la riscrittura del Titolo V ad opera del centrosinistra contro il centrodestra e nel 2006 a parti invertite.

Il tentativo di riforma costituzionale del 2016 costituisce il terzo caso, in cui si è fatto ricorso al referendum costituzionale, previsto nella procedura stabilita dalla nostra Costituzione, celebratosi la

(4)

domenica del 4 dicembre 2016.

Gli italiani sono stati chiamati a pronunciarsi, Sì o no. Fra questi due quesiti c'è una spoporzione,tra il grado di complessità delle tematiche con cui i cittadini sono stati chiamati a esprimersi nel referendum costituzionale e il carattere secco, talvolta perentorio, della risposta che hanno dovuto dare; troppo spesso politicizzato da tutte le parti politiche: tanto che il referendum è assurto quasi al rango di referendum fiduciativo nei confronti del soggetto promotore. Su questo punto, una critica deve essere rivolta nei confronti della personalizzazione1 che è stata condotta sullo stesso, avvenuta

per altro per effetto delle dichiarazioni dell'allora capo del Governo. Scelta senza dubbio errata, dimostrata dall'atteggiamento dello stesso che ha provveduto nei mesi successivi, a ridosso della consultazione referendaria, a correggere: passando così in una seconda fase a una spersonalizzazione2, dovuta in parte a esigenze di compattare l'area minoritaria del proprio partito,

sicuramente senz'altro tardiva che difficilmente induceva a entrare nel merito del contenuto della riforma agli occhi di gran parte dell'elettorato. L'eccessiva personalizzazione condotta sul referendum, assurgeva pertanto quasi ad un appuntamento nel quale gli elettori avrebbero potuto manifestare l'apprezzamento nei confronti dell'esecutivo che aveva condotto la riforma.

Su una materia già di per sè così complessa, questa condotta ha contribuito in maniera assai pesante a compiere delle valutazioni ponderate circa il merito stesso della riforma.

Di fronte pertanto ad un tasso così alto di politicizzazione, ho deciso di controbilanciare tutto ciò, conducendo un'indagine il più possibile di merito sul contenuto del ddl costituzionale sottoposto al referendum il 4 dicembre scorso.

Il lavorare su un terreno così in continuo divenire, mi ha portato per necessarie e doverose esigenze a cercare di descrivere in maniera assai puntuale ma sommaria gli accadimenti avvenuti dopo il 4 dicembre stesso: con riferimento particolare alla materia elettorale, l'analisi si è chiusa ad una determinata fase parlamentare, dove le possibili evoluzioni possono essere le più molteplici e varie. Pertanto, stante che l'oggetto del mio lavoro si incentra essenzialmente sul processo di revisione costituzionale, mi sono per lo più incentrato sulle variazioni del quadro politico a seguito del respingimento della riforma costituzionale e sull'eterogeneo assetto elettorale a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale sull'Italicum.

Il metodo di lavoro che ho seguito parte quindi, nel primo capitolo, dalle origini del processo di revisione costituzionale a partire dalle elezioni del 24-25 febbraio 2013. Prima di arrivare alla legislatura corrente, viene tracciato un quadro il più sintetico possibile sulle precedenti inziative di riforme dell'assetto costituzionale, a partire dai primissimi tentativi delle legislature repubblicane fino ad arrivare alla legislatura precedente quella in corso, la XVI per l'appunto. Giunti alle recenti elezioni del 2013, ho effettuato una panoramica sulla situazione parlamentare creatasi e sull'intricato stallo istituzionale che ha contrassegnato l'avvio della legislatura : dapprima con l'incapacità dei partiti politici di accordarsi sulla formazione di un Governo nelle consultazioni effettuate da Napolitano, ormai prossimo alla scadenza del suo mandato presidenziale; in seguito con l'ulteriore situazione di crisi iterna al Partito Democratico per l'elezione del Presidente della Repubblica, risoltasi con la sua rielezione e la conseguente risoluzione dell'impasse post elezioni, grazie alla nascita del Governo Letta. Ho proceduto di seguito a illustrare l'avvio del processo di rifome istituzionali, iniziate con questo esecutivo (dando risalto alle metodologia utilizzata dal legislatore), proseguite poi con il successivo Governo Renzi, il quale ha utilizzato la via data dall'art.138.

1 In occasione dell'approvazione in quinta lettura della riforma, il 20 gennaio 2016, da parte del Senato, il Presidente del Consiglio in Aula legava il suo destino politico all'approvazione della riforma. Infatti, nel corso delle dichiarazioni in Aula, disse : "Il punto chiave di questa discussione non è la personalizzazione esasperata né di trasformare un referendum in un plebiscito Il potere che noi esercitiamo, e da cui non ci nascondiamo, ha un senso se viene messo in campo per cambiare l'Italia. Per questo prendo l'impegno: in caso di sconfitta ne trarremo le conseguenze. Ma per questo stesso motivo sarà ancora più bello vedere il giorno dopo la vittoria del referendum le stesse facce gaudenti che osservo adesso in questa Aula".

Cfr. http://www.repubblica.it/politica/2016/01/20/news/riforme_senato_terza_lettura-131643656/

(5)

Ho dato spazio quindi all'illustrazione dell'iter legis del disegno di legge costituzionale presentato dal Governo.

Il secondo capitolo invece costituisce l'oggetto principale del mio lavoro e verte sull'analisi del contenuto del disegno di legge costituzionale sottoposto al referendum costituzionale il 4 dicembre scorso.

Dopo l'ampia disamina effettuata sul contenuto della legge, nel terzo e ultimo capitolo viene effettuato un esame sugli effetti del referendum costituzionale sul quadro di riforme disegnato dal legislatore, ivi comprese le disposizioni concernenti l'elezione per la Camera dei deputati.

Segue infine poi una conclusione all'interno della quale analizzo cosa aspettarci nel futuro per quanto attiene eventuali e futuri tentativi di revisione costituzionale, di seguito se sia opportuno procedere a una revisione dell'art.138, immaginando soluzioni alternative e in ultima istanza all'eventualità di procedere a riforme dei regolamenti parlamentari.

(6)

Capitolo I

Le origini del processo di revisione dalle elezioni del 2013 fino al ddl A.S 1429 A 1.0 Uno sguardo sulle iniziative di riforma costituzionali precedenti: 1.1 I tentativi di revisione costituzionale e le

riforme costituzionali sino alla XVI legislatura, p.5; 1.2 Le proposte di revisione costituzionale e le leggi costituzionali nella XVI legislatura, p.10.2.0 Il Governo di transizione fra la XVI e la XVII legislatura: Il Governo Monti, p.12.

3.0 Le elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013: 3.1 L'offerta dei partiti e il loro coordinamento, p.16. 3.2 Il risultato

delle elezioni, p.20. 3.3 Lo stallo istituzionale e l'elezione del Presidente della Repubblica, p.25. 3.4 Il Governo Letta e l'avvio del processo di riforme costituzionali, p.30. 3.5 La presentazione del disegno di legge A.S 1429 e il suo iter di approvazione, p.33.

1.0 Uno sguardo sulle iniziative di riforme costituzionali precedenti

1.1 I tentativi di revisione costituzionale e le riforme costituzionali sino alla XVI legislatura

Il dibattito sulle riforme costituzionali ha attraversato la gran parte di tutte le legislature repubblicane, sino all'attuale legislatura, la XVII per l'appunto. Numerosi e diversificati sono stati i tentativi messi in campo dalle forze politiche per revisionare la carta costituzionale, nei limiti da essa previsti3.

Le leggi costituzionali e di revisione costituzionale occorse dal 1948 ad oggi (2015) sono state 35. Fatta eccezione per quelle di approvazione degli statuti speciali, le leggi di vera e propria revisione si sono verificate in poche occasioni (1958, 1963, 1967, 1989, 1991, 1992) e hanno avuto come oggetto disposizioni puntuali o singoli istituti, dal momento che si trattava di modeste correzioni. In ambito dei tentativi fatti di leggi di revisione a carattere più ampio, seguendo un filo cronologico possiamo effettuare una divisione scansionata in 4 periodi, alla luce dell'ultimo tentativo apertosi nella legislatura corrente:

1. 1979 -1991 2. 1991-1996 3. 1997-2006 4. 2013- 2016

Ripercorrere qui tutte le singole tappe in ordine cronologico sarebbe inopportuno e quanto mai dispersivo. Tuttavia è utile analizzare il quadro di revisione costituzionale, oggetto della legislatura in corso, inserendolo nel quadro dei precedenti tentativi, citando quelli più salienti e decisivi. Fin dall'inizio della neo-nata Italia Repubblicana si avvertivano dei tentativi di cambiamento: già il

3 Il dettame costituzionale prevede due tipi di limiti: espliciti e impliciti.

I primi riguardano la forma repubblicana che non può essere oggetto di revisione costituzionale (art.139); il nucleo dei diritti fondamentali dell'uomo, poiché definiti inviolabili (art.2 cost.); la sovranità popolare (art.1); la garanzia della tutela dei diritti civili, politici e sociali (art.2); l'ispirazione sociale della Repubblica della rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale; l'unità e l'indivisibilità della Repubblica (art.5).

I secondi vertono sui principi supremi della Carta che, seppure non sono espressamente menzionati tra quelli che non possono essere sottoposti al procedimento di revisione costituzionale, rientrano nell'essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana (in proposito a questo punto, si pronunciò così la Corte con la sentenza 1146 del 1988).

(7)

Presidente del Senato De Nicola, nel 1948 istituì un Comitato di Studio sulla modifica della

composizione del Senato, costituito dai tutti i rappresentanti dei gruppi parlamentari.

Seguirono subito dopo le prime iniziative dei Presidenti della Repubblica, sotto forma di sollecitazioni: il capo dello Stato, Antonio Segni, nel 1963 suggeriva di togliere la possibilità per l'eventuale rielezione del Presidente della Repubblica e l'abolizione del semestre bianco; analogo appello di portata più ampia veniva rivolto da Giovanni Leone nel 19754. Queste costituiscono le

primissime iniziative che vengono intraprese e che seguiranno negli anni successivi.

Tuttavia l'inizio dell'intento riformatore si manifesta inizialmente all'esterno delle istituzioni, con un articolo di Craxi, pubblicato sull'Avanti il 28 settembre 1979 intitolato "La Grande Riforma", avente come oggetto la revisione della Costituzione: le modifiche principali vertevano sull'esercizio del potere legislativo, la stabilità ed efficacia dell'esecutivo5.

Nemmeno due mesi dopo, il 16 novembre 1979 il Ministro della funzione pubblica del Governo Cossiga I, Massimo Severo Giannini, trasmise alle camere Il rapporto sui principali problemi

dell'amministrazione dello Stato6, il quale a causa della crisi di governo dell'anno successivo venne

definitivamente abbandonato.

Dopo il rapporto di Giannini che fece da apripista al tema delle riforme istituzionali in Italia, un successivo sviluppo è stato dato da quello che viene chiamato il c.d Decalogo Spadolini7(agosto

1982), ovvero un elenco di riforme istituzionali proposte dall'allora presidente del Consiglio durante il suo secondo governo.

Anche in questo contesto il decalogo Spadolini fece da input : il 10 settembre 1982 vennero formati i Comitati di studio per l'esame delle questioni istituzionali costituiti nell'ambito delle Commissioni

Affari costituzionali della Camera e del Senato8,presieduti dall'On. Roland Ritz, senatore della

4 Rispetto a quanto detto da Segni, Leone auspicava una riduzione del mandato del Capo dello Stato: da 7 a 5 anni. 5 Solo 9 giorni prima, il 19 settembre la neo-eletta Presidente della Camera, Nilde Iotti, pronunciò a Piombino questo discorso : "Basta con questo assurdo bicameralismo perfetto unico nel mondo e causa di ritardi. Basta con mille

parlamentari, quanti ne ha la Cina,ma loro sono un miliardo e trecento milioni. Più penetranti poteri di controllo del Parlamento. Federalismo istituzionalizzato, trasformando il Senato in Camera delle regioni e dei poteri locali: perché il Senato non potrebbe essere come il Bundesrat tedesco?". Cfr.http://www.fondazionenildeiotti.it/iniziative_1.php? eventi_id=45.

6 In questo rapporto c'è il seme di una serie di filoni riformistici che verranno poi ripresi in futuro. L'importanza di questo documento sta nell'innovazione dei contenuti, i quali si fondavano su questi pilastri :

1. ristrutturazione dell'intero assetto delle pubbliche amministrazioni; 2. inserimento di metodologie di valutazione e di controllo;

3. decentramento di funzioni verso le Regioni;

7 Giovanni Spadolini, chiamato da Pertini nel 1981 alla guida del Governo,sentì la necessità di marcare con forza l'autonomia dell'istituzione Governo e in particolare della presidenza del Consiglio dei Ministri. Nell'agosto del '82, giorno in cui presentava alle Camere il suo secondo governo, affrontò il tema dell'aggiornamento del quadro istituzionale, disse : "Per chi come noi muove da un'idea della centralità del Parlamento nel sistema costituzionale, non

c'è dubbio alcuno che le istituzioni parlamentari sono istituzioni di Governo e che viceversa il Governo sia un'istituzione parlamentare. A un Governo istituzionalmente forte corrisponde un Parlamento forte, a un Governo debole corrisponde un Parlamento debole".

Nel merito dell'aggiornamento del quadro istituzionale e della Costituzione, affermava: " Non è calata dal cielo e non è stata il frutto dell' elaborazione di un gruppo di esperti dietro ad una scrivania, ma ha rappresentato la conquista di tutto il popolo italiano nella lotta per la libertà".

Risulta altrettanto significativo il suo passaggio sulla metodologia da seguire: "Ogni aggiornamento di quelle norme presuppone il coinvolgimento di tutti i partiti che la elaborarono, senza escludere l'apporto di nuove forze affacciatesi sulla scena politica italiana e senza pretendere un impossibile unanimismo che, del resto su vari punti importanti, non si realizzò neanche alla Costituente".

Spadolini proponeva pertanto il rafforzamento dell'esecutivo, senza però accompagnarlo ad una modifica del sistema elettorale.Si tratta della prima volta che il tema delle riforme isituzionali entrò a far parte della vita di un governo. 8 Per quanto concerne le modifiche da apportare alla Costituzione, nei Comitati di studi erano emerse posizioni

(8)

Sudtiroler Volkspartei e dal senatore democristiano Francesco Paolo Bonifacio. Ogni comitato, costituito nell'ambito delle rispettive commissioni di Camera e Senato, contava al suo interno un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare.

I comitati avevano l'obiettivo di sottoporre, entro il 31 dicembre dello stesso anno, ai presidenti di Camera o Senato un documento, recante un inventario ragionato, costituito da:

1. le proposte già in esame alle Camere in ambito istituzionale

2. eventuali punti degni di nota sulla stessa materia espressi in sede parlamentare

3. suggerimenti in relazione a modifiche regolamentari necessarie in relazione a progetti di revisione istituzionale.

I presidenti della due Camere si riservavano di confrontare le questioni emerse dai comitati e di determinare le procedure sulla base dei documenti ricevuti.

Sarà a partire dall'anno successivo, l'istituzione della prima commissione parlamentare bicamerale per le riforme, la Commissione Bozzi9(1983-1985), formata da 20 deputati e 20 senatori. Essa

concluse i suoi lavori nel 1985 con una relazion votata a maggioranza, grazie alla quale si proponeva di modificare diversi articoli della Costituzione, senza mutarne i connotati fondamentali. L'esito di tale prima inizativa si concluse tuttavia con un mancato accordo dei pariti.

Nel corso del 18 e 19 maggio del 1988 si assistette, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, ad un nuovo dibattito sulle riforme a vennero dedicate 5 sedute. I lavori furono chiusi dai presidente delle due Camere, con l'impegno che i due rami del Parlamento avrebbero dovuto divergenti circa la ridefizione del ruolo del Governo e del Parlamento; si registravano tuttavia delle convergenze su modifiche da attuare mediante leggi ordinarie o riforme regolamentari. Esse erano riassumibili in:

1. rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio;

2. valorizzazione della collegialità del Consiglio dei Ministri come sede di elaborazione dell'indirizzo politico;

3. semplificazione del procedimento legislativo (adozione della corsia preferenziale e modifiche dei regolamenti parlamentari per lo snellimento dei lavori;

Cfr.http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/dossier/prec02.htm

9 Circa la Commissione Bozzi, un elemento è significativo e degno di essere menzionato:

rispetto ai tentativi che vennero effettuati successivamente, nessuno al momento riteneva che la Prima parte della Costituzione fosse intoccabile, infatti fu solo in quell'occasione che si mise in cantiere l'intenzione di effettuare delle modifiche anche alla prima parte, aggiungendo ad essa tre articoli:

1. il diritto all'informazione (cercare, ricevere e trasmettere informazioni)

2. il diritto dell'accesso ( rimaneva vietata la raccolta e l'uso di informazioni che potevano implicare lesioni dei diritti fondamentali e discriminazioni)

3. la tutela dei disabili (cercando di promuovere verso costoro il recupero e garantendo ad essi la partecipazione e l'uguaglianza in ogni settore della vita sociale).

Un'altro elemento importante riguardava la mancanza di modifiche del Titolo V.

Sul fronte istituzionale, il bicameralismo rimaneva. Tuttavia si tentava di effettuare una differenziazione di funzioni fra la Camera e il Senato: alla Camera sarebbe andata la prevalenza legislativa, il Senato avrebbe invece mantenuto un compito di controllo, sotto richiesta di un gruppo di senatori si sarebbe potuto esaminare la legge approvata dalla Camera. La procedura bicamerale perfetta si sarebbe applicata alle leggi costituzionali e elettorali, le leggi sul funzionamento degli organi costituzionali, leggi di bilancio, la tutela delle minoranze linguistiche, le leggi determinanti i principi fondamentali degli statuti regionali, le leggi cornice, di conversione in legge dei decreti legge e autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. Cfr.http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/dossier/prec03.htm.

(9)

assumere rispetto ai dibattiti emersi nel corso delle sedute, indicati come urgenti al livello attuativo10.

Anche qui il tentativo in questione, non andava oltre l'elencazione di quelle che venivano ritenute delle criticità da risolvere.

Seguì poi un passaggio importante, dato dal messaggio dell'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga inviato alle Camere il 26 giugno del 1991: esso indicava non solo differenti modifiche da apportare, ma indicava altresì la possibilità di effettuare queste modifiche mediante una procedura derogatoria a quella indicata dall'art.138 della costituzione.

Riassumendo, erano sostanzialmente 3 le modalità per approvare le riforme: 1. la via indicata dal dettame costituzionale (rappresentata dall'art.138 cost.); 2. l'attribuzione alla Camere di un potere costituente;

3. l'elezione di un'Assemblea costituente deputata a redigere le modifiche costituzionali; Il messaggio non ebbe alcun seguito a causa della fine anticipata della legislatura.

Tuttavia il tentativo impresso dall'allora Presidente della Repubblica costituì un primo precedente che venne ripreso dal suo successore, Oscar Luigi Scalfaro,il quale nel suo dicorso a Camere riunite per il suo giuramento rivolse "un rispettoso ma fermo invito al Parlamento [...]perchè proceda alla

nomina di una Commissione Bicamerale con il compito di una globale e organica riforma della Costituzione11".

Rispetto al messaggio di Cossiga questo non cadde nel vuoto:

di lì a poco il Parlamento procedette alla nomina di una Seconda Commissione Bicamerale parlamentare per le riforme, approvando la legge costituzionale n.1 del 6 agosto 1993 "Funzioni

della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali e disciplina del procedimento di revisione costituzionale", i cui presidenti furono prima Ciriaco De Mita e poi (a seguito delle sue

dimissioni) Nilde Iotti.

Anche questo procedimento non giunse a conclusione per lo scioglimento anticipato delle Camere. Nel corso della XII legislatura (1994-1996) si seguì un percorso differente rispetto a quelli attuati in precedenza che vedevano un ruolo di primo piano affidato alle commissioni bicamerali. Il Governo Berlusconi I procedette alla nomina di un comitato di studio, presieduto dal Ministro per le riforme Francesco Speroni,il c.d Comitato Speroni, il quale elaborò due differenti proposte di modifica costituzionale afferenti la forma di governo:

1. una proposta proponeva il modello semi-presidenzialista alla francese;

2. l'altra invece concerneva un sistema parlamentare ad elezione diretta del Primo Ministro; La fine anticipata del primo governo Berlusconi fece decadere anche questa proposta, nonostante il tentativo effettuato da parte del Presidente della Repubblica di affidare a Antonio Maccanico

10 Le priorità che venivano indicate dai due presidenti concernevano: 1) riforma del Parlamento;

2) revisione della autonomie locali;

3) riforma dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

4) riforma dei regolamenti parlamentari,atti a garantire tempi certi per l'approvazione delle leggi;

5) problema della decretazione d'urgenza;

6) problema della delegificazione;

7)problema del controllo della spesa pubblica;

(10)

l'incarico di formare un governo che avesse come obiettivo la modifica della Costituzione, includendo la previsione di un'elezione diretta del Capo dello Stato.

Durante la XIII legislatura (1996-2001) si decise nuovamente di ripetere l'esperienza di una terza Commissione bicamerale (presieduta da Massimo D'Alema) dentro un procedimento derogatorio all'art.138 cost, con l'approvazione della legge costituzionale n.1/1997 Istituzione di una

Commissione parlamentare per le riforme costituzionali.

La bicamerale D'Alema elaborò una sua prima proposta il 30 giugno del 1997 e una seconda il 4 novembre dello stesso anno. Queste due proposte cositutirono rispettivamente un'integrale riscrittura della parte II della Costituzione. Nonostante ciò, subirono la stessa sorte delle precedenti, vennero accantonate a seguito del ritiro del sostegno di Forza Italia, annunciato dal suo leader Silvio Berlusconi.

Nel 2001 la maggioranza di governo di centro-sinistra approvò con una maggioranza ristrettissima (tre voti di maggioranza alla Camera) la legge costituzionale n.3/2001 la quale modificava l'intero Titolo V della parte II della Costituzione, riprendendo le indicazioni emerse durante la bicamerale: la legge venne sottoposta al referendum previsto ai sensi dell' art.138 e venne approvata dal corpo elettorale (ancorchè al referendum abbia partecipato solo il 34,1% degli aventi diritto).

Se si esula il disegno di legge costituzionale soggetto a referendum confermativo nell'attuale legislatura, la legge cost.3/2001 costituisce la riforma più consistente della Costituzione mai realizzata dal 1948 ad oggi.

Approvata la sovracitata legge costituzionale, l'attività riformatoria del legislatore continuò: nel 2002 il Governo Berlusconi II, su iniziativa del Ministro delle riforme istituzionali Umberto Bossi, nominò un Comitato di Studi in materia istituzionale. Tale comitato, espressione dei partiti di centro-destra, elaborò delle proposte, riformulate successivamente da quattro esperti, in un incontro estivo tenutosi in una baita in montagna: la proposta in questione venne chiamata la c.d Bozza di

Lorenzago. Fu trasferita in un disegno di legge e approvata in Parlamento su iniziativa governativa

nel settembre del 2003 e dopo due anni di discussione venne approvata da entrambe le Camere (con il voto favorevole della sola maggioranza di governo).

Si trattava allora dell'unico progetto di revisione costituzionale complessivo della parte II della Costituzione approvato dal Parlamento12. Non essendo raggiunti i 2/3 dei voti in sede di seconda

deliberazione come previsto dal già ricordato art.138, la proposta venne sottoposta a referendum 12 La riforma in questione apponeva significativi cambiamenti alla Carta costituzionale, gli elementi centrali vertevano su:

1. devoluzione alla Regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie (organizzazione scolastica,polizia amministrativa regionale e locale);

2. ritorno di alcuni ambiti alla competenza Statale (sicurezza del lavoro,norme generali sulla tutela della salute, reti strategiche di trasporto);

3. fine del bicameralismo perfetto,con suddivisione del potere legislativo fra Camera e Senato federale della Repubblica, alla Camera sarebbero spettate le leggi di ambito nazionale e al nuovo Senato quelle di ambito regionale esclusivo e concorrente;

4. riduzione del numero dei parlamentari : Camera era costituita da 518 deputati, di 18 eletti all'estero; il Senato passava da 315 senatori a 252. Tale riduzione sarebbe tuttavia divenuta applicativa a partire dalla XVI legislatura;

5. possibilità per il Primo Ministro di poter revocare i propri ministri;

6. possibilità per il Presidente del Consiglio di poter sciogliere la Camera dei Deputati;

7. abolizione dei senatori a vita e introduzione dei Deputati a vita il cui numero massimo era fissato in 3; 8. abbassamento dell'elettorato passivo per la Camera da 25 a 21 anni e per il Senato da 40 a 25;

(11)

confermativo nel 2006 e fu sonoramente bocciata dal corpo elettorale: il 61,7% dei votanti si epresse negativamente contro la riforma su un'affluenza del 53,7%. A molti parse questo il segno di ogni tramonto di riforma ampia della Costituzione.

Invece già nella XV legislatura (2006-2008) nuovamente a maggioranza di centro-sinistra, il compito di elaborare proposte di modifica alla Costituzione venne assunto dalla I commissione permamente della Camera, presieduta da Luciano Violante, la c.d bozza Violante13.

Essa interveniva pressoché su tutte le parti della Costituzione, fatta eccezione del Titolo V della parte II. La proposta venne approvata dalla Commissione affari costituzionali nel 2007 e trasmessa all'aula, dove tuttavia non venne mai discussa.

1.2 Le proposte di revisione costituzionale e le leggi costituzionali nella XVI legislatura

Il dibattito riguardante le riforme costituzionali riprendeva già all'inizio della XVI legislatura (2008-2013).

In sede parlamentare, le Commissione Affari costituzionali di Camera e Senato avviarono il 7 giugno del 2010 un'indagine conoscitiva rivolta al processo di revisione costituzionale in materia di

ordinamento della Repubblica, suddivisa in 3 distinte audizioni, avente come oggetto i seguenti

temi:

1. superamento del bicameralismo perfetto, in relazione ad un'evoluzione del sistema in senso federale;

2. revisione della forma di governo e interventi sul sistema elettorale; 3. ordinamento giurisdizionale e relative norme sulla giurisdizione;

Sempre nel corso della legislatura venne presentato il 29 Aprile 2008 un disegno di legge d'iniziativa del senatore Oskar Peterlini,appartenente al gruppo Unione di Centro e Autonomie (UDC-SVP-Aut), si trattava dell'A.S 24 "Modifiche agli Articoli 55,57 e abrogazione dell'articolo

58 della costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e elettorato attivo e passivo".

Tale disegno di legge venne approvato il 25 luglio del 2012 dal Senato in prima lettura con 153 voti favorevoli, 138 contrari e 7 astenuti, modificando in sede di approvazione il titolo del disegno di legge "Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti le Camere del Parlamento e la forma

di governo14" nonchè il contenuto del ddl.

Dopo l'approvazione del Senato, il disegno di legge venne trasmesso alla Camera dei Deputati sotto il nome di A.C 5386. Presso la Commissione Affari Costituzionali iniziò il dibattito in sede referente che non venne portato a conclusione.

Gli elementi principali della riforma erano:

1. l'istituzione del Senato Federale della Repubblica, composto da 250 senatori eletti a suffragio universale e diretto su base regionale;

13 Sulla riduzione del numero dei parlamentari, la Bozza Violante è stata quella più incisiva di tutte: 698 parlamentari in totale. La Camera avrebbe avuto 512 deputati, mentre il Senato, di rappresentanza territoriale, sarebbe stato da composto da 186 senatori.

14 La legge presentata inizialmente al Senato nel 2008 aveva un contenuto più circoscritto rispetto alla seconda formulazione del titolo che ha comportato un'estensione della materia e dei relativi articoli, infatti la prima bozza del ddl era formata da 4 articoli. La seconda formulazione come approvata dal Senato vedeva invece lievitare sensibilmente il numero di articol in 21.

(12)

2. la riduzione del numero dei deputati in 508, di cui 8 eletti nella circoscrizione estero; 3. la modifica dell'elettorato passivo per la Camera, da 25 a 21 e per il Senato, da 40 a 35; 4. l'abolizione dell'indennità per i senatori;

5. il superamento del bicameralismo paritario, introducendo un meccanismo con una doppia deliberazione soltanto in casi limitati (la funzione legislativa veniva esercitata collettivamente dalle due Camere soltanto per le leggi in materia costituzionale e

elettorale, le leggi concernenti le prerogative e le funzioni degli organi costituzionali,per

quelle di delega legislativa ,di conversione in legge di decreti legge,di approvazione di

bilanci e consuntivi;

6. il rafforzamento della stabilità del Governo mediante l'isituto della sfiducia costruttiva; 7. l'istituzione di una Commissione paritetica per le questioni regionali;

8. l'elezione a suffragio universale e diretta del Presidente della Repubblica da parte di tutti i cittadini maggiorenni;

9. l'abbassamento del mandato del Presidente della Repubblica da 7 a 5 anni; 10. la rielezione per un solo mandato del Presidente della Repubblica;

11. l'abbassamento dell'età per essere eletti Presidenti della Repubblica, da 50 a 40 anni;

12. la facoltà da parte di 1/4 dei membri delle Camere di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Parlamento15;

Fatta eccezione per i tentativi di revisione costituzionale operati nella XVI legislatura , di cui quello descritto precedentemente rappresenta certamente il tentativo più eloquente, ve ne sono stati altri volti a incidere su disposizioni più mirate della Carta costituzionale o atti a modificare altre leggi costituzionali.

Solo in un caso si è assistito all'approvazione definitiva e all'entrata in vigore di una legge di revisione costituzionale: la legge costituzionale n.1 del 20 Aprile 2012, grazie alla quale si è introdotto in Costituzione il principio del c.d pareggio di bilancio, ovvero l'equilibrio fra le entrate e le spese del bilancio in ottemperanza al rispetto dei vincoli derivante dall'ordinamento dell'Unione Europea.

Poiché la legge di revisione costituzionale in questione ha raggiunto in seconda deliberazione la maggioranza dei 2/3 dei componenti, sia alla Camera che al Senato, non si è proceduto al referendum confermativo previsto dalla Costituzione.

La legge cost.1/2012 ha apportato modifiche agli artt.81,97,117,119.

Prima della legge, l'articolo 81, relativamente all'esercizio finaziario 2013 era costituito da 4 commi:

"Le Camere approvano ogni anno bilanci e il rendinconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi superiori a 4 mesi. Con la legge di approvazione di bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e spese. Ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".

A decorrere dall'esercizio finanziario 2014, l'art.81 risulta così modificato: 15 Cfr.http://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0061820.pdf

(13)

"Lo Stato assicura l'equilibrio di bilancio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo

conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti a verificarsi di eventi eccezionali.

Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri deve provvedere ai mezzi per farvi fronte.

Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a 4 mesi.

Il contenuto della legge di bilancio,le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità complessiva del debito pubblico delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale".

Per quanto concerne le modifiche apportate all'articolo 97 sono di minore entità e consistono nell'aggiunta di 1 comma ai 3 precedenti commi presenti nell'articolo:

"Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione Europea, assicurano

l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico".

Dello stesso tenore sono le modifiche apportate agli artt.117 e 119.

Nel primo dei due casi, ovvero l'art.117, la legge costituzionale ha aggiunto (al 2°comma dell'art.117) nelle materie rientranti della lettera e) l'armonizzazione dei bilanci pubblici, inserendo quest'ultima nel novero degli ambiti sui quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva, togliendola dall'elenco delle materie a competenza concorrente.

Nell'ultimo caso invece la novella ha riguardato da un lato, il 1° comma dell'art.119, nell'inciso in cui si afferma che i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni dispongono di autonomia finanziaria a livello di entrate e di spese, è stato aggiunto ulteriormente "nel rispetto dell'equilibrio

dei relativi bilanci e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea"; è stata poi effettuata una modifica al 6°comma in

cui si è precisato che il ricorso all'indebitamento, consentito per il finanziamento di spese di investimento, è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio.

Anche in questo caso, le modifiche apportate a questi due articoli diventavano applicative a partire dall'esercizio finanziario 2014.

Se si esula da questa legge costituzionale, gli altri tentativi di volti a apportare modifiche della Costituzione non sono andati a buon fine nel corso della legislatura.

2.0 Il governo di transizione fra la XVI e XVII legislatura: Il Governo Monti

Dopo le elezioni del 2008 che videro trionfare il centrodestra (174 seggi al Senato e 343 seggi alla Camera dei Deputati16), il Governo Berlusconi IV entrò in crisi dopo 2 anni, 6 mesi e 4 giorni, con

le dimissioni avvenute il 12 novembre del 2011. Tale evento si rese necessario a seguito di frizioni interne alla maggioranza di governo, verificatesi d'apprima il 12 ottobre del 2011 con la bocciatura dell'articolo 1 del rendiconto dello Stato; nella votazione il quorum richiesto era di 291, i favorevoli 16 Numeri leggermente inferiori se paragonati aquelli del Governo Berlusconi II e III (2001-2006) dove alla Camera disponeva di 353 voti e al Senato di 176 voti. Ma imparagonabili rispetto alla prima esperienza governativa delgoverno Berlusconi I del 1994 : durante il voto di fiducia alle Camere, otterrà la fiducia del Senato della Repubblica con 159 sì , 153 no e 4 astenuti. Tuttavia in base al Regolamento del Senato, i senatori che si astengono in sede di votazione vengono computati come presenti, pertanto il loro voto è equipollente al voto contrario. Quindi il margine era solo di 2 voti, 159 a 157, stante l'astensione di 4 senatori. In quell'occasione risultò determinante ai fini dell'ottenimento della fiducia il voto favorevole espresso da 3 senatori a vita : Giovanni Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone.

(14)

furono 290 così come i contrari, pertanto l'articolo venne respinto.

Lo stesso rendiconto bocciato veniva successivamente approvato dalla Camera, l'8 novembre, con soli 308 voti favorevoli; i gruppi di opposizioni (320 deputati) non partecipavano alla votazione, consentendo l'approvazione con l'uscita dall'Aula e con l'intento di mettere in evidenza il fatto che il governo non disponeva più della maggioranza assoluta, stimata a 316 voti. Nella stessa giornata il presidente del Consiglio saliva al Colle e manifestava la sua volontà di dimettersi subito dopo l'approvazione della legge di stabilità che avveniva in via definitiva il 12 novembre del 2011. Qualche giorno prima, il 9 novembre, il Presidente della Repubblica nominò senatore a vita Mario Monti al quale, solo 4 giorni dopo la nomina di senatore a vita, venne affidato l'incarico di formare un governo che entrò in carica il 16 novembre e il 18 ottenne la fiducia dei due rami del Parlamento. Il governo Monti è passato alle cronache come governo tecnico, ciò specificatamente per la compagine governativa che vedeva come Ministri personalità al fuori dei partiti, analogamente a quanto avvenne con il governo Dini del 1995.

L'esecutivo entrava in carica con 550 voti alla Camera dei Deputati e 280 voti al Senato, maggioranza mai registrata in un voto di fiducia ad un Governo.

La situazione in cui il governo si trovava ad operare era quella di un paese sull'orlo della bancarotta: ciò che preoccupava l'attenzione governativa e dei media verteva sul differenziale fra il rendimento dei titoli di Stato italiano e tedeschi, il c.d Spread che arrivava a toccare quota 573 punti il 9 novembre del 2011. Col passare dei mesi esso si restringeva mano a mano che il credito del governo aumentava, nel gennaio e febbraio del 2012 era sceso infatti al di sotto dei 300 punti.

Il Governo fin dall'inizio si presentava come di transizione: alle elezioni del 2013 non si sarebbe presentato e i tecnici avrebbero così restituito il paese alla guida dei politici.

In ordine a questo sintetico quadro della situazione politica, due domande sorgevano spontanee: era un governo di emergenza, sostenuto dagli stessi partiti che il giorno prima stavano alla maggioranza o all'opposizione, dunque oltre all'ambito economico, finanziario e lavorativo, in quali altri settori avrebbe potuto impegnarsi? ove mai i tecnici per qualche motivo avessero deciso di impegnarsi nella politica attiva, che cosa glielo avrebbe potuto impedire?

Due differenti interrogativi le cui risposte differivano essenzialmente per le risposte fornite dai due maggiori partiti, Pdl e PD. Il primo voleva che il governo si limitasse ai problemi dell'economia, senza poi assumere altri impegni; il secondo invece non poneva questo vincolo e lasciava la discrezionalità della scelta a Monti e ai tecnici.

Le risposte, dovute alla differenti vedute politiche, rimanevano assolutamente vaghe e incomplete, dipingendo un quadro della politica alquanto incerto, dove regnava un forte senso di smarrimento di una società e dei suoi partiti.

Prevaleva in tutti la sensazione che con l'insediamento dei tecnici tutto era cambiato e nulla sarebbe stato come prima. Si insinuava nei partiti una forte preoccupazione determinata da una lettura dei sentimenti dell'elettorato italiano: un popolo stanco, frustrato e deluso dai partiti italiani che rimasto orfano dagli stessi poteva vedere nei tecnici una soluzione durevole per il bene del paese.

Questo stato d'animo era senz altro vero per il primo periodo del governo Monti: in un sondaggio del dicembre del 2011 il 61% degli italiani manifestava la sua fiducia nell'operato governativo. Ben presto tuttavia l'ampio consenso di cui beneficiava il governo si riduceva con il proseguire dell'azione dell'esecutivo.

A fungere da spartiacque al livello di consenso fu il dibattito che portò all'approvazione della legge 92 del 2012 "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di

crescita",divenuta ufficialmente legge il 28 giugno del 2012.

Al centro delle trattative la Confindustria, i leader delle maggiori sigle sindali, il governo, la ministra del lavoro Fornero assistita occiasionalmente dal ministro Passera. Per differenti settimane il dibattito fu al centro dell'attenzione mediatica, con le dichiarazioni del governo che , nel caso le trattative non avessero avuto esito positivo, sarebbe andato avanti comunque, abbandonando la consuetudine di vedere i sindacati come interlocutore istituzionale.

(15)

Le consultazioni avevano come tematiche: la differente tipologia dei contratti di lavoro, il lavoro femminile, la disoccupazione giovanile, l'apprendistato, la cassa integrazione.

L'elemento principale della riforma fu l'isituzione di un'assicurazione sociale per l'impiego (ASPI) in base alla quale veniva previsto il 75% della retribuzione (non andando oltre i 1.150 euro) per tutti i lavoratori rimasti disoccupati, a condizione che avessero 2 anni di anzianità assicurativa. L'ASPI durava per 1 anno e diveniva operativa a partire dal 2017.

Si introduceva per l'ingresso nel mondo del lavoro l'apprendistato retribuito e veniva previsto l'aumento della retribuzione per i contratti a termine, per i lavoratori a progetto e infine un'indenttià

di attesa, per i lavoratori anziani a quattro anni dal pensionamento.

La decisione che lasciò maggiormente il segno nel dibattito, rendendolo ancora più lacerante, fu la discussione attorno il tema dell'articolo 18. Questo prevedeva il licenziamento per motivi economici, per motivi disciplinari e per discriminazioni di carattere politico,razziale o altro.

Se sulle discriminazioni a carattere politico e razziale, si confermava l'intervento del giudice per valutare la reintegrazione del lavoratore o un'indennità risarcitoria per il torto subito, sul licenziamento per motivi economici, il testo del governo prevedeva un'indennità al lavoratore, da 15 a 27 mensilità. Tuttavia escludeva un eventuale reintegro del lavoratore nel posto di lavoro, a meno che il lavoratore non dimostrasse durante il processo che la motivazione economica non sussisteva e che le ragioni del licenziamento erano altrove.

L'articolo 18 così formulato provocava le protese della CGIL, secondo la quale dava un'occasione al datore di lavoro di licenziare liberamente il lavoratore; perplessità venivano dal PD che proponeva di modificare l'articolo in questione. Il Pdl dal canto suo, sostenendo la linea del governo, chiedeva di deliberare in materia, adottando un decreto legge, poichè la sua approvazione più rapida avrebbe reso più difficile modificare il testo.

Immediatamente dopo l'approvazione della legge, l'indice di gradimento verso il governo variava sensibilmente: al 44% nei sondaggi del momento.

Il sentimento dell'elettorato non tardava a manifestarsi nelle consulazioni elettorali imminenti. Le elezioni amministrative del maggio del 2012, vedevano un'affermazione inattesa del Movimento 5 stelle che conquistava la città di Parma (60,23% contro 39,77% del centro-sinistra) ormai disastrata da una amministrazione uscente che aveva mosso la popolazione locale a votare maggioritariamente per i penstellati.

Con i ballottaggi conclusisi il 21 maggio del 2012, si chiudeva la tornata elettorale che aveva chiamato al voto i cittadini di 26 comuni capoluogo: 15 comuni venivano riportati dal centro-sinistra, 6 al centro-destra, 1 al movimento 5 stelle, 1 alla lega e 1 a una lista civica.

Nei mesi a venire, la disaffezione verso i tradizionali partiti storici saliva, crescevano sempre di più nei sondaggi i 5 stelle, tant'è che a giugno del 2012 erano dati secondi rispetto al PD.

Il governo tecnico era nato in una situazione di emergenza totale, dove la speranza risideva nel fatto che tale situazione imponesse un'assunzione di responsabilità politica dei partiti; col passare dei mesi emergeva il problema di una visione antitetica di fondo fra i due partiti di maggior peso, così questo insieme di fattori fece aumentare progressivamente il senso di stanchezza dell'elettorato. Andando oltre l'area economica, ci fu un ambito dove il governo Monti non fu capace di operare : la modifica del sistema elettorale vigente, il c.d Porcellum, la legge 270/2005 "Modifiche alle

norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica17".

17 Nella Costituzione il sistema elettorale non viene previsto, esso pertanto assurge al rango di legge ordinaria,

sottoposto alla volontà del Parlamento. Riguardo ai differenti sistemi elettorali, si possono individuare 3 fasi nella storia dell'età repubblicana a partire 1948:

1. Il primo sistema operante dal 1948 al 1992 prevedeva alla Camera dei Deputati un proporzionale a liste concorrenti e con l'espressione delle preferenze, al Senato vigeva invece un sistema basato sui collegi uninominali che era tuttavia proporzionale puro negli effetti ( ciò ovviamente se si esula la c.d legge truffa del 1953 la quale prevedeva un premio di maggioranza alla coalizione che avesse ottenuto il 50% +1 dei voti). Questo sistema ha contribuito a determinare una forte instabilità, infatti fra il 1953 e il 1992 sono 42 i governi

(16)

Il 12 gennaio 2012 la Corte Costituzionale dichiarò inamissibili le due richieste di referendum abrogativo concernenti per l'appunto la tanto contestata legge elettorale di cui è stato fatto cenno sopra (una di queste richieste riguardava l'aborgazione della legge, l'altra l'abrogazione per parti). La decisione della Corte avveniva dopo oltre un giorno e mezzo di camera di consiglio. La direzione in cui si era mossa era motivata dal fatto che non vi erano aspetti rilevanti nei due quesiti di illegittimità costituzionale tali da determinare l'abrogazione della legge; pertanto essi venivano dichiarati inammissbili. Nonostante ciò la Corte invitava il Parlamento a modificare la legge. Proprio il Quirinale, a stretto giro della decisione, plaudeva ad un intervento modificativo, con le seguenti dichiarazioni: "Un diverso meccanismo elettorale è necessario per determinare un ritorno

di fiducia. L'attuale sistema ha interrotto un rapporto che esisteva fra elettore ed eletto. Non voglio idoleggiare sistemi elettorali del passato, ma solo dire che prima c'era un collegamento più diretto18".

Dichiarazioni quanto mai disattese dalle forze politiche, tant'è che lo stesso Capo dello Stato rientrava nuovamente a gamba tesa nel dibattito sulla modifica della legge elettorale il 30 luglio del 2012, con una nota diramata dal Quirinale: "Nei giorni scorsi anzichè chiarirsi e avvicinarsi, le

posizioni dei partiti da tempo impegnati in consultazioni riservate, sono apparse diventare più sfuggenti e polemiche. Debbo dunque rinnovare il mio forte appello a un responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare. Ciò corrisponderebbe con tutta evidenza al rafforzamento della credibilità del Paese sul piano internazionale in una fase di persistenti gravi difficoltà19".

Da un mese si era costituito un Comitato ristretto della commissione affari costituzionali, presieduto dal presidente della commissione Carlo Vizzini che vedeva come relatori, il senatore Enzo Bianco (PD) e Lucio Malan (Pdl), ambedue incaricati di avanzare proposte di riforma alla legge elettorale; il comitato avrebbe dovuto lavorare alacremente anche nel mese di agosto, per giungere all'adozione di un testo base, così da arrivare in aula al Senato a settembre per la prima lettura e entro ottobre per l'approvazione definitiva alla Camera.

Nonostante le migliori intenzioni,il dibattito in Commissione Affari Costituzionali del Senato che si sono succeduti. Mettendo in luce il vero attore che fungeva da mediatore per risolvere le crisi , ovvero il Presidente della Repubblica;

2. La seconda fase è data dal 1993, a seguito dell'esito positivo del referendum sul sistema elettorale, il quale introduce il maggioritario alla Camera e al Senato; si trattava di un sistema misto a prevalenza maggioritaria: 25% dei seggi con il proporzionale; 75% dei seggi con il maggioritario,in forma analoga avveniva al Senato; 3. La terza fase avviene nel 2005 con l'approvazione della sovracitata legge 270/2005, nota col nome di

Porcellum in base alla definizione data dal suo stesso autore che l'aveva definita "una porcata". Questo sistema prevedeva alla Camera dei deputati un sistema proporzionale a liste bloccate, con soglie di sbarramento e

premio di maggioranza nazionale per la coalizione o lista vincente senza sbarramento; così chi otteneva la

maggioranza dei voti ma non raggiungeva 340 seggi, era assegnatario di un premio di una quota ulteriore di seggi che faceva raggiungere quota 340 (vi erano già stati precedenti sistemi elettorali che contemplavano un premio di maggioranza alla coalizione vincente, ne sono esempi la legge Acerbo del 1923,la legge Truffa del

1953,le quali tuttavia indicavano delle soglie di sbarramento per ottenere il suddetto premio: con la legge

Acerbo scattava per il partito che avesse raggiunto il 25%, la secondo, come visto sopra, il 50% +1). Al Senato era ugualmente previsto un sistema proporzionale, con liste bloccate, ma con premi di maggioranza regionali. La legge prevedeva che la lista o coalizione ottenente la maggioranza dei voti inferiore al 55% nella Regione, fosse assegnataria di una quota ulteriore di seggi,in modo da raggiungere il 55%. I seggi differivano in base alla Regione, fatta eccezione per : i 6 seggi all'estero, il seggio assegnato alla Valle d'Aosta, i 2 seggi del Molise e i 7 seggi del Trentino Alto-Adige. Così ad esempio in Toscana erano in palio 18 seggi, la coalizione o lista che vinceva otteneva 10 seggi su 18. I seggi nelle 14 regioni venivano calcolati in base all'ultimo

censimento effettuato. Il totale dei Senatori eletti in Parlamento era di 315, di cui 309 eletti in Italia e 6 eletti all'estero, pertanto al Senato per disporre della maggioranza assoluta, senza contare i senatori a vita, il partito o la coalizione vincente doveva disporre di 158 senatori.

18 Cfr.http://www.repubblica.it/politica/2012/01/12/news/consulta_respinto_referendum-27979781/ 19 Cfr.http://www.repubblica.it/politica/2012/07/30/news/legge_elettorale-40004722/

(17)

procedette senza soluzione, finché l'11 ottobre la Commissione approvò come testo base quello proposto a prima firma del senatore Malan, con 16 voti favore (Pdl, Udc, Fli ,Mpa, Lega, Cn) e contro il Pd,Idv e il presidente della Commissione Vizzini; decadeva pertanto la proposta presenata dal Pd, a firma del senatore Enzo Bianco.

Il testo approvato ripristinava le preferenze e disponeva altresì un premio del 12,5% alla lista o coalizione vincente (76 seggi alla Camera, 36 al Senato). Il sistema elettorale previsto era un proporzionale assegnato su base nazionale sia alla Camera che al Senato, il quale prevedeva delle soglie di sbarramento al 5% sia a Montecitorio che Palazzo Madama; tali soglie di sbarramento scendevano al 4% per i partiti che si coalizzavano e saliva al 7% per le liste che ottenevano il risultato in un numero di circoscrizioni pari a 1/5 della popolazione nazionale.

Di lì a poco, il 7 novembre veniva approvato in Commissione l'emendamento D'Alia (Udc) in base al quale il 55% dei seggi, alla Camera e al Senato, sarebbe andato al partito o coalizione vincente, a condizione di raggiungere una soglia di sbarramento fissata al 42,5%; pertanto il premio di maggioranza del 12,5% scattava al raggiungimento di questa soglia.

Tuttavia nonostante l'iter avviato in Commissione, il testo non sarebbe mai arrivato in Aula:

il 6 dicembre 2012, durante un voto di fiducia sul Decreto Legge Sviluppo, il Pdl si asteneva, alla Camera e al Senato, garantendo tuttavia in aula il numero legale. Solo due giorni dopo, il presidente del Consiglio manifestave le sue intenzioni di dimettersi dopo l'approvazione della legge di stabilità, avvenuta il 21 dicembre. Con il naufragare anticipato della legislatura falliva definitivamente anche il tentativo intrapreso nella XVI legislatura di cambiare la legge elettorale.

Per la terza volta, dopo le elezioni del 2006, 2008, il paese tornava a votare con il tanto contestato

Porcellum. Il 20 dicembre 2012 Mario Monti, premier uscente, manifestava la sua volontà di presentarsi alle successive elezioni politiche, creando di lì a pochi giorno il suo partito: Scelta

Civica. Con la manifestazione della volontà del Premier venivano di fatto disattese le diverse

garanzie date dal Premier di non candidarsi, una volta esauritasi l'esperienza del proprio governo.

3.0 Le elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013

3.1 L'offerta dei partiti e il loro coordinamento

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento della XVII legislatura hanno dimostrato come l'interazione fra partiti e regole di voto non finisce di sorprendere. Il Porcellum utilizzato per la terza volta nel febbraio del 2013, veniva interpretato in maniera differente da leader politici e partiti rispetto alle due precedenti elezioni.

Al suo primo battesimo, la legge 270/2005 vedeva contendersi il premio due frammentate coalizioni multipartitiche: l'Unione a sinistra e la Casa delle Libertà a destra (Cdl), al di fuori di questi due blocchi che costituivano un modello bipolare, rimanevano fuori 13 liste, oguna delle quali con lo 0,45% dei voti20.

Nel 2008 nascevano due nuovi partiti per fusione: a sinistra il 14 ottobre 2007 dalla fusione di DS e Margherita nasceva il Partito Democratico; a destra invece l'unione di Forza e Italia e Alleanza nazionale faceva nascere il Popolo della Libertà (Pdl).

Sempre nella tornata elettorale del 2008, questi due nuovi partiti attuarono una strategia di esclusione anziché di inclusione: formarono delle coalizioni a formato ridotto rispetto alle elezioni del 2006 che nel complesso ottenero l'84,4% dei voti validi e il 93,8% dei seggi.

L'estensione spaziale delle due coalizioni era certamente più ridotta se paragonata alle precedenti elezioni, questo per la presenza di concorrenti che si collocavano o all'estrema sinistra o estrema destra.

(18)

A termini di paragone, nel 2006 c'erano due blocchi perfetti che si contendevano i voti e i seggi (fatta esclusione per la piccola percentuale di liste, citate precedentemente) la coalizione di Prodi e quella di Berlusconi.

La prima raggruppava ben 13 partiti: Partito di Rifondazione Comunista (Prc), Partito dei Comunisti Italiani (Pdci),i Verdi, l'Italia dei Valori (Idv),l'Ulivo, la Rosa nel Pugno,la Südtiroler Volkspartei (SVP), l'Udeur, Pensionati,i Socialisti, i Consumatori, la Liga Fronte Veneto e l'Alleanza lombarda autonoma.

La seconda ben 12 : Udc, Dc-Npsi (Democrazia Cristiana e Socialisti italiani), Mpa-Lega Nord, Forza Italia (FI), Alleanza Nazionale (AN), Alternativa Sociale, Fiamma Tricolore, No Euro, Pensionati Uniti, Pli, lista Ambiente, SOS Italia.

Tali blocchi contrapposti erano molto estesi, tuttavia questi coprivano quasi la totalità dell'elettorato: infatti la coalizione Prodi ad esempio copriva l'estrema sinistra, la sinistra e parte del centro grazie alla presenza di paritit centristi nella coalizione come l'Udeur di Clemente Mastella; stessa cosa avveniva a destra, la coalizione copriva l'estrema destra, la destra e l'elettorato centrista di destra. Nel 2008 le coalizioni sono state geograficamente più ridotte, questo per la presenza di concorrenti che non sono riusciti a inglobare al loro interno. Pertanto il panorama elettorale vide due principali coalizioni: la coalizione di Veltroni (formata dall'alleanza di PD, IDV) e la coalizione di Berlusconi (costituita da Pdl, Lega Nord, Mpa).

A fianco di questi blocchi, si collocavano rispettivamente :

all'estrema sinistra, la Sinistra Arcobaleno (raggruppamento dei partiti di estrema sinistra formatosi dopo la caduta del governo Prodi II, vedeva al suo interno l'unione del Partito Comunista, il partito dei Comunisti Italiani e la federazione dei Verdi e Sinistra Democratica); al centro l'Unione di Centro (UDC); a destra La Destra-Fiamma Tricolore.

Le liste collocate agli estremi dei due Poli (estrema destra e sinistra) non riuscirono a intercettare consenso, grazie alla strategia del voto utile, messa in campo da PD e Pdl:

la prima raccoglierà il 3,08% alla Camera e ne rimarrà fuori visto lo sbarramento al 4% (al Senato invece si attesterà al 3,21% non riuscendo a superare in alcuna regione lo sbarramento dell'8%); stessa sorte per la seconda che scenderà ancora più sotto, ottenendo il 2,43% alla Camera (risultato ancora più basso al Senato, 2,10%).

Al centro l'UDC, facente capo alla coalizione di centro-destra nelle precedenti elezioni, si presentò come terzo polo, riuscendo tuttavia a entrare in Parlamento, ottenendo alla Camera il 5,69% (36 seggi) e 3 seggi al Senato.

Da questo quadro si può notare come nel 2008 il coordinamento dei partiti, confluenti o meno in coalizioni, diede un quadro certamente meno bipolare rispetto alla tornata elettorale del 2006. Nelle elezioni del 2013, si ebbe un'ulteriore passo in avanti per quanto concerne l'eterogeneità dell'offerta politica. Infatti alle ormai storiche coalizioni di destra e di sinistra (Italia Bene Comune,capeggiata da Pierluigi Bersani e il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi), le quali cambiavano composizione ed estensione, si aggiungevano ben 3 attori:

1. la Coalizione Monti - Scelta civica al Centro;

2. Rivoluzione Civile, all'estrema sinistra;

3. il Movimento 5 Stelle, movimento anti-sistema al di fuori di destra e sinistra;

L'offerta fu dunque soggetta a frammentazione.

Anche se a dire il vero, il punto centrale non è questo. L'offerta è stata più o meno sempre frammentata in tutte e tre le elezioni dove si è votato con la legge Calderoli. Nel 2006, le liste al di fuori delle coalizioni erano circa 13, con lo 0,45% dei voti ciascuna; nel 2008 passavano a 23 liste

(19)

che raccolsero quasi il 7% voti; nel 2013 infine erano 29 ma avevano raccolto una percentuale più bassa ammontante a meno del 3%.

L'aspetto rilevante sta nel cambiamento radicale delle preferenze degli elettori il quale è stato direttamente proporzionale all'offerta multipolare, dando luogo a una geografia parlamentare completamente diversa da quella del 2006 e del 2008.

Le elezioni del 2013 si fondano su di una constatazione: innanzi lo stesso sistema elettorale, contrassegnato da un forte elemento maggioritario (340 seggi alla Camera alla coalizione vincente), impiegato in 3 elezioni consecutive, i partiti hanno elaborato ogni volta soluzione diverse, ovvero tre modi differenti di usare la stessa struttura di incentivi dati dalla legge elettorale che rimaneva la stessa21.

Ai fini della comprensione del coordinamento fra i partiti alle politiche 2006, 2008, 2013, nello schema sottostante può essere osservato quanto detto precedentemente.

Nella prima colonna di sinistra in due rettangoli vi sono le due coalizioni, nella seconda le elezioni del 2008 e infine nell'ultima la consultazione elettorale del 2013.

Elezioni 2006 Elezioni 2008 Elezioni 2013

Fig.1 Il coordinamento strategico dei partiti alle elezioni politiche del 2013 Nota : le liste che sono in corsivo rappresentano quelle che sono entrate in Parlamento.

Cfr. Alessandro Chiaromonte,Lorenzo de Sio,Terremoto Elettorale,p.42.

Quando il coordinamento dei partiti22 è diventato decisivo nelle competizioni elettorali, le campagne

elettorali si sono basate su alcuni punti fermi.

Dal 1994 al 2006 gli ingredienti della competizione partitica vennero determinati da:

21Cfr.Alessandro Chiaromonte,Lorenzo de Sio,Terremoto Elettorale,p.42-43

22 Per coordinamento (strategico) dei partiti ci si riferisce alla riduzione del numero dei candidati dovuto ai processi di adattamento/apprendimento alla struttura di incentivi dettata dalle legge elettorale. Tutto ciò in Italia assume importanza a partire dal 1993. Infatti il proporzionale dava scarsi incentivi al coordinamento dei partiti.

Coalizione Prodi

Prc,Pdci,Verdi,Idv,Ulivo, Rosa nel Pugno,Svp,Udeur,

Pensionati,Socialisti, Consumatori, Liga fronte veneto, Alleanza Lombarda aut.

Coalizione Berlusconi

Udc,Dc-Npsi, Mpa-Lega Nord, Forza Italia,An,

Alternativa Sociale, Fiamma tricolore,No Euro,

Pensionati Uniti,Pli, Ambiente-lista,Sos Italia Sinistra Arcobaleno Coalizione Veltroni Pd,Idv Udc Coalizione Berlus. Pdl,Lega Nord, Mpa La Destra-Fiamma Tricolore Rivoluzione Civile Coalizione Bersani Sel,Pd,Cd,Svp Coalizione Monti Scelta Civica, Udc,Fli Coalizione Berlusconi Pdl,Lega Nord, Fratelli d'Italia, La Destra, Grande Sud-Mpa, Pensionati, Intesa Popolare, Mir, Liberi per Italia

(20)

1. formazione di coalizioni pre-elettorali multipartitiche; 2. progressiva bipolarizzazione durante la campagna elettorale; 3. peso politico dei piccoli partiti;

4. nascita di alleanze di governo, dettate dall'incapacità delle coalizioni di dare risultati buoni;

Già nelle elezioni del 2008 la competizioni subì modifiche importanti, dovute dalla strategia dei partiti maggiori di presentarsi davanti agli elettori con un solo alleato (Per il PD l'Idv, la Lega al Nord per il Pdl e al sud l'MPA).

Le politiche del 2008 lasciano due indicazioni importanti in vista delle elezioni successive del 2013. La prima di queste verte sul fatto che la struttura degli incentivi data dal Porcellum è diversa dalla legge Mattarella: contiene infatti un vincolo maggioritario più forte, dovuto al premio alla Camera ma allo stesso tempo offre maggiori possibilità per i terzi partiti. Questo aspetto trova la sua riprova nell'avanzata dei terzi partiti durante le tre elezioni del Porcellum: sono assenti nel 2006, si materializzano con l'Udc nel 2008 e ottengono successi consistenti con il Movimento 5 stelle e Scelta Civica nelle elezioni del 2013.

Il secondo elemento verte su come gli incentivi della legge si declinano per il Senato: questa camera diventa per la legge Calderoli l'arena perfetta per le strategie negative, essendo orientata più a impedire che altri raggiungano la maggioranza dei seggi (e se ciò avviene, lo scarto è talmente infimo da rendere difficilissimo governare) o l'approdo parlamentare.

Ritornando alle elezioni del 2008, esse sembravano disegnare un quadro bipolare con al centro i due partiti maggiori. Tuttavia sarà lo stesso corso della XVI legislatura a rovesciare il quadro e a preparare il terreno per quello che accadrà nella tornata politica successiva.

La legislatura (2008-2013) che poteva parere assai tranquilla vista la maggioranza raccolta dal Pdl, si rivelò invece più complessa del previsto, per farci un'idea la possiamo dividere in 4 fasi23:

1. la luna di miele di Berlusconi e gli Italiani (2008-2009); 2. l'autocombustione della maggioranza (2010-2011);

3. il passaggio dal Governo Berlusconi IV al governo Monti (novembre 2011); 4. la crisi di Monti e lo scioglimento anticipato delle Camere (dicembre 2012);

La chiave di volta della legislatura sta proprio nel passaggio al governo tecnico: esso apre una fase del tutto nuova, dove l'offerta multipolare del 2013 sarà la conseguenza.

Il governo sostenuto dalla strana maggioranza rompe gli schieramenti preesistenti (Lega e Idv restano infatti all'opposizione) e determina un cambiamento di prospettiva.

L'azione del governo tecnico si dipana lungo i c.d vertici A,B,C ai quali partecipavano i leader dei tre partiti principali: Alfano, Bersani, Monti; un'alleanza singolare fatta solo per una situazione altrettanto strana, ma se dal lato economico l'azione riesce dando i suoi frutti, impopolari ma determinanti, al livello delle riforme istituzionali, come si è osservato precedentemente, l'azione naufragò miseramente.

Non si assistette tuttavia solo all'inconcludenza dei partiti sull'ambito delle riforme, infatti la loro inazione si combinò con degli episodi di malversazione e malcostume politico messi in luce dai

Riferimenti

Documenti correlati

Con riferimento alle misure di semplificazione utili allo sviluppo del biometano si ritiene importante prevede lo snellimento e l’accelerazione delle procedure autorizzative per

In primo luogo riteniamo che nella revisione complessiva della legislazione sul terzo settore debba trovare posto un esplicito riconoscimento delle fondazioni che svolgono in

Giunti a questo punto, è divenuto quanto mai essenziale ed urgente sviscerare, e auspicabilmente sciogliere, il nodo della rappresentanza, acquisendo di fatto il concetto

E’ stato lo stesso presidente della commissione Affari co- stituzionali del Senato, Carlo Vizzini, ad ammettere alla vigilia della riunione del Comitato ristretto di palazzo

Il DPCM previsto dal decreto in esame, invece, deroga a questo schema, perché si rende facoltativo il parere del Consiglio di Stato e soprattutto si esclude l’intervento del

GESTIONE DEGLI ANIMALI INFETTI PARASSITARI E DELLE ZOONOSI (4 CFU) SSD VARI. Fulvio MARSILIO Angela DI CESARE

Oltre al presidente Antonio Tajani (anche per conto di Rainer Wieland) e al direttore dell'Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee Michael

I Fondi sanitari integrativi, sono stati previsti dalla legge per potenziare l’erogazione di trattamenti e prestazioni non compresi nei Livelli essenziali di assistenza (LEA).