• Non ci sono risultati.

La responsabilità processuale ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La responsabilità processuale ai sensi dell'art. 96 c.p.c."

Copied!
157
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

La responsabilità processuale ai sensi

dell’art. 96 c.p.c.

Relatore

Candidata

Chiar.mo Prof. Claudio Cecchella

Ottavia Pecchia

(2)
(3)

III

INDICE SOMMARIO

pag.

INTRODUZIONE VI

CAPITOLO I

L’istituto della responsabilità processuale aggravata

1.1. Premessa 1

1.2. L’art. 96, 1° comma c.p.c. 4

1.2.1. I presupposti 5

1.3. L’art. 96, 2° comma c.p.c. 13

1.3.1. I presupposti 14 1.4. I rapporti tra il 1° comma e il 2° comma 21

1.5. La natura della responsabilità processuale 23

1.6. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 2043 c.c. 25

1.7. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 88 c.p.c. 28

1.8. La domanda 30

1.9. La competenza 32

1.10. La liquidazione del danno 38

CAPITOLO II

L’art. 96, 3° comma c.p.c.

2.1. La legge 18 giugno 2009, n. 69 41

2.2. Il contenuto del 3° comma 43

2.3. La natura del 3° comma 46

2.3.1. Il rapporto tra l’art. 96, 3° comma e l’art. 96, 1° comma c.p.c. 48

(4)

IV

2.5. La domanda 57

2.6. La liquidazione della somma 60

CAPITOLO III

L’art. 96 c.p.c. e i danni punitivi

3.1. Premessa 64

3.2. L’evoluzione dell’istituto dei punitive damages 66

3.3. L’istituto dei punitive damages negli ordinamenti di civil law 70

3.4. I danni punitivi in Italia 73

3.4.1. La delibazione delle sentenze straniere comminatorie di danni

punitivi 76

CAPITOLO IV

La responsabilità ex art. 96 c.p.c. e l’abuso del processo

4.1. Premessa 86

4.2. L’abuso del diritto 87

4.3. L’abuso del processo 91

4.3.1. L’applicazione dell’art. 96, 3° comma c.p.c. 98 4.4. La responsabilità dell’avvocato patrocinante 101

4.5. La responsabilità processuale e l’art. 111 Cost. 103

CAPITOLO V

Analisi giurisprudenziale

5.1. Premessa 106

5.2. Il regolamento preventivo di giurisdizione dilatorio o

palesemente inammissibile 107 5.3. L’opposizione avverso decreto ingiuntivo a fini dilatori 108

(5)

V

5.5. La proposizione della domanda in violazione del giudicato 110

5.6. La violazione delle regole in materia di giurisdizione e

competenza 112

5.7. Le condotte temerarie nel procedimento cautelare 113

5.8. Le condotte temerarie nel processo di esecuzione 114

5.9. Le condotte temerarie nel procedimento possessorio 115

5.10. La responsabilità processuale nel fallimento 116

5.11. Le condotte temerarie nel diritto di famiglia 122

5.12. L’applicazione dell’art. 96 c.p.c. nella risoluzione non

giurisdizionale delle controversie 126 5.13. L’applicazione dell’art. 96 c.p.c. nella giurisprudenza della

Corte dei Conti 129

5.14. L’applicazione dell’art. 96 c.p.c. nel giudizio tributario 131

CONCLUSIONI 134

(6)

VI

INTRODUZIONE

L’istituto della responsabilità processuale ai sensi dell’art. 96 c.p.c. comporta la condanna, disposta dal giudice, della parte che abbia agito o resistito in giudizio adottando comportamenti abusivi, dilatori, defatigatori, emulativi. Questa forma di responsabilità, che nasce da un uso distorto del processo, si presenta oggi all’attenzione di dottrina e giurisprudenza in virtù dell’intervento di riforma con legge 18 giugno 2009 n. 69, oltre che in ragione del suo tradizionale scopo deflattivo e risarcitorio/sanzionatorio. Già nel processo romano, come affiora dalla lettura del passo delle Istituzioni di Giustiniano, intitolato De poena temere litigatium, emergeva la volontà di perseguire un intento deflattivo consistente nel limitare il numero dei processi, accanto a uno sanzionatorio volto a colpire il contendente disonesto. Giustiniano sottolineava altresì come il litigante venisse condannato a pagare all’avversario il danno e le spese di lite. Pertanto, accanto a delle originarie misure che avevano carattere di pene, sorgeva la volontà di condannare al pagamento delle spese solo la parte disonesta e temeraria, in quanto la regola generale rispondeva al principio per il quale attore e convenuto sopportassero ciascuno i costi sostenuti nel processo; da qui il carattere sanzionatorio della previsione. Se in epoca giustinianea finiva per essere applicata una rigida disciplina sanzionatoria nei confronti della parte temeraria, il codice di procedura civile del 1865 faceva discendere dalla lite temeraria una obbligazione risarcitoria, statuendo all’art. 370:

«la parte soccombente è condannata nelle spese del giudizio, e trattandosi di lite temeraria, può inoltre essere condannata al risarcimento dei danni».

(7)

VII

La scelta del codice previgente fu, dunque, quella di privilegiare il risarcimento dei danni rispetto alla punizione della parte, facendo riferimento alla temerarietà della lite, così richiamando la temeritas romana, locuzione che, seppur ancora oggi adoperata, non è richiamata dal codice di rito in vigore. All’interno del codice del 1942, l’art. 96 pone alla base della condanna al risarcimento dei danni o al pagamento di una somma equitativamente determinata l’aver posto in essere un comportamento processuale illecito, nella consapevolezza dell'infondatezza della propria pretesa o difesa.

La trattazione ha come obiettivo quello di esaminare un tema di estrema attualità nella nostra esperienza giuridica. Le ragioni che hanno consentito, negli ultimi anni, di far uscire dalla marginalità l’istituto sono legate, innanzitutto, al venire meno di un’ottica patrimonialistica del danno risarcibile ex art. 96 c.p.c. e di un gravoso onere che incombeva sul danneggiato di fornire la prova del danno subito. Pur in presenza di domande volte a ottenere la condanna della parte ex art. 96 c.p.c., gli elementi sopra indicati avevano portato a una limitata applicazione della norma in esame e di conseguenza, negli anni, era sorta la convinzione tra gli operatori pratici di non potersi veder riconosciuta la richiesta. Parte del merito si deve, perciò, alla dottrina esistenzialistica che ha evidenziato come il danno da lite temeraria possa investire tanto la sfera patrimoniale, quanto la sfera non patrimoniale; a questo riguardo basti pensare a forme di lesione e alterazione dello sviluppo e dell’immagine della persona, in grado di tradursi in un pregiudizio a carico del soggetto. Anche la volontà di perseguire scopi deflattivi del contenzioso ha dato una spinta verso il mutamento di orientamento. Tale intento risponde alla necessità di

(8)

VIII

evitare l’instaurazione di giudizi meramente dilatori o infondati e, in generale, di prevenire forme di abuso del processo.

Il primo capitolo dell’elaborato mirerà a fornire una visione delle forme di responsabilità che già il legislatore del 1942 aveva inteso adottare, esaminando il contenuto e la natura delle disposizioni di cui al 1° e al 2° dell’art. 96 c.p.c.

Il secondo capitolo ruoterà intorno alla modifica apportata nel 2009, la quale ha comportato l’aggiunta di un 3° comma e la nascita di questioni in parte ancora aperte, specie in ordine al carattere autonomo ovvero unitario della fattispecie rispetto alle previsioni di cui ai commi precedenti e, pertanto, alla analoga natura di rimedio risarcitorio ovvero alla diversa connotazione in termini di condanna punitiva.

Il terzo capitolo offrirà un quadro dell’istituto anglosassone dei punitive damages, andandone a valutare l’evoluzione e l’attuale operatività, oltre che una possibile apertura dell’ordinamento italiano verso il riconoscimento del fenomeno, anche alla luce di recenti interventi della Corte di Cassazione.

Il quarto capitolo sarà dedicato allo stretto legame che va realizzandosi tra le forme di responsabilità processuale e quelle di abuso del processo stesso, potendosi individuare nell’art. 96 c.p.c. uno strumento diretto a scoraggiare contegni abusivi e tutelare la funzionalità del sistema giustizia.

Infine, il quinto capitolo si comporrà di un’analisi casistica dei danni e delle condotte temerarie che la giurisprudenza di merito e di legittimità ha affrontato.

(9)

1

CAPITOLO I

L’istituto della responsabilità processuale

aggravata

Sommario: 1.1. Premessa – 1.2. L’art. 96, 1° comma c.p.c. – 1.2.1. I

presupposti – 1.3. L’art. 96, 2° comma c.p.c. – 1.3.1. I presupposti – 1.4. I rapporti tra il 1° comma e il 2° comma – 1.5. La natura della responsabilità processuale – 1.6. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 2043 c.c. – 1.7. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 88 c.p.c. – 1.8. La domanda – 1.9. La competenza – 1.10. La liquidazione del danno

1.1. Premessa

L’art. 96 c.p.c., rubricato «Responsabilità aggravata», è collocato all’interno del Libro Primo - Disposizioni generali, Titolo III - Delle parti e dei difensori, Capo IV - Della responsabilità delle parti del codice di rito. L’attuale disposizione, così come modificata dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, per la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»1, recita:

«se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la

1 L’art. 45, comma 12, l. 18 giugno 2009, n. 69 ha aggiunto all'art. 96 c.p.c. il seguente

comma: «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».

(10)

2

condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.

Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.»

La sistemazione codicistica della norma, connotata tanto da tratti sostanzialistici quanto da tratti processualistici, è stata oggetto di discussione. L’istituto avrebbe, infatti, potuto collocarsi all’interno del codice civile nel contesto della responsabilità civile, in quanto comporta la condanna del soccombente al pagamento di una somma di denaro2. Tuttavia, il legislatore ha scelto di inserire la norma all’interno del codice di rito, presupponendo essa dei contegni abusivi delle parti di carattere esclusivamente processuale. La scelta di attribuire all’art. 96 c.p.c. la rubrica «responsabilità aggravata» è stata anch’essa dibattuta. Il legislatore non ha adottato la locuzione, d’uso in dottrina e giurisprudenza, “lite temeraria”, la quale consentirebbe subito di legare la temerarietà alla lite, al fine di comprendere il necessario contenuto del comportamento tenuto della parte3; al riguardo risulterebbe più

2 Andrioli V., Diritto processuale civile, I, Jovene, Napoli, 1959, p. 415. 3 Mazzola M.A., Responsabilità processuale, Milano, 2013, p. 7.

(11)

3

felice l’espressione “responsabilità processuale aggravata”4. Alcuni

autori non hanno mancato di sottolineare come l’imprecisione concernente la scelta del nomen deriverebbe dal fatto che la condanna al risarcimento dei danni di cui all’art. 96 c.p.c. non sembri costituire, nel nostro ordinamento, un quid pluris rispetto alla mera condanna al rimborso delle spese, presupponendo quest’ultime l’oggettiva soccombenza giudiziaria e essendo slegate da ogni prospettiva risarcitoria5.

Con l’art. 96 c.p.c., il legislatore ha inteso sanzionare la parte qualora il diritto di agire o resistere in giudizio assuma caratteri abusivi, ponendo, dunque, alla base del medesimo un illecito processuale. Le conseguenze di tale illecito sono state ampliate a partire dal 2009, riconoscendo al giudice il potere di condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, 3° comma c.p.c. Anticipando ciò che più approfonditamente si vedrà nel corso della trattazione, la previsione ha valorizzato l’istituto, ponendo l’attenzione sulla finalità deflattiva dello stesso e facendo sorgere alcune riflessioni sulla natura autonoma ovvero unitaria della fattispecie rispetto a quelle di cui ai commi precedenti.

La previsione individua, quali elementi essenziali della responsabilità aggravata, la soccombenza della parte che ha realizzato l’illecito, l’elemento soggettivo consistente nella mala fede o colpa grave ovvero nella assenza della normale prudenza, la domanda del danno e il nesso causale tra il comportamento processuale e il danno.

4 Mazzola M.A., Responsabilità processuale, cit., p. 7.

5 Di Marzio M., Vita nuova per il danno da lite temeraria (in attesa che l’ennesima

(12)

4

1.2. L’art. 96, 1° comma c.p.c.

In apertura l’art. 96 c.p.c. contiene una disposizione a carattere generale, secondo la quale il giudice, su istanza di parte, condanna colui che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede ovvero colpa grave non solo alle spese, ma altresì al risarcimento dei danni. La previsione trova applicazione, oltre che nel processo di cognizione, nei processi cautelari ed esecutivi6, ferma restando la disciplina di cui al 2° comma7.

In particolare, pur utilizzando la norma il termine “sentenza”, l’opinione comune ammette che la condanna per responsabilità aggravata possa essere disposta anche nei procedimenti cautelari che si concludono con una pronuncia sulle spese, dato che l'espressione contenuta nel 1° comma ben può essere intesa come “provvedimento che definisce il giudizio”8. Non esiste, tuttavia, un’univocità di opinioni quanto alla possibilità di condannare la parte, ai sensi del suddetto comma, nel caso di rigetto della domanda cautelare. Infatti, una tesi minoritaria, a cui si allinea una parte della giurisprudenza di merito, ritiene che il rigetto della domanda non integrerebbe un’ipotesi di soccombenza parziale9, ma presupporrebbe la stessa, in quanto si limiterebbe a incidere sul criterio di quantificazione e liquidazione delle spese10. La tesi maggioritaria consente, invece, l’applicazione dell’art. 96, 1° comma c.p.c. in tale sede, in quanto in ogni fase che termini con una decisione conclusiva e con la condanna alle spese sarebbe possibile

6 Sul punto si rimanda alla trattazione contenuta nel paragrafo 1.9.

7 Cfr. Cass., 6 marzo 1989, n. 1219, in Foro it. Mass., 1989, 56; Cass., 15 settembre

2000, n. 12177, in Foro it. Mass., 2000, 57; Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134.

8 Cfr. Trib. Verona, 13 agosto 2011, in Corr. mer.,2012, 4, 362. 9

L’elemento della soccombenza è presupposto per l’applicazione del 1° comma.

(13)

5

rinvenire il requisito della soccombenza11. La condanna da responsabilità processuale può essere, inoltre, pronunciata nel procedimento esecutivo, quando non sia applicabile la previsione di cui al 2° comma. La dottrina da tempo ritiene che l’ingiustizia deriverebbe dall’attività illecita delle parti, posta in essere nella fase di esecuzione del titolo e non già da una formazione viziata del titolo stesso12. Infine,

in alcune ipotesi la giurisprudenza ha applicato la previsione di cui all’art. 96, 1° comma c.p.c. nei processi di volontaria giurisdizione13.

1.2.1. I presupposti

I presupposti legali di applicazione dell’art. 96, 1° comma c.p.c. sono la soccombenza del responsabile, l’elemento soggettivo della mala fede o colpa grave, la domanda del danno, il nesso tra il comportamento e il danno.

L’elemento oggettivo indicato dal menzionato comma consiste nella soccombenza della parte che abbia posto in essere l’attività illecita. L’individuazione del presupposto della soccombenza, alla base della refusione delle spese processuali, poggia sul principio di causalità, di conseguenza soccombente è la parte che abbia agito o resistito in giudizio con argomenti non conformi a diritto. Il principio in esame non sempre trova piena applicazione, potendo sorgere ipotesi di soccombenza parziale. È proprio da quest’ultimo punto che prende vita

11 Cfr. Trib. Roma, 9 febbraio 1995, in Foro it., 1995, I, 1959; Cass., 18 giugno 2003,

n. 9707, in Giust. civ. Mass., 2003.

12 Zani G., Responsabilità e processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 1932, p. 166. 13 Cfr. Cass., 9 giugno 1969, n. 2022, in Giur. it., 1970, I, 727; Cass., 6 maggio 1974,

(14)

6

un dibattito in dottrina e giurisprudenza, il quale concerne la possibilità di essere assoggettati a responsabilità processuale aggravata in presenza di una soccombenza soltanto parziale. Al riguardo, la Corte di Cassazione si è più volte espressa sostenendo che la soccombenza debba essere totale, non potendo quindi applicarsi l’art. 96 c.p.c. in presenza del presupposto della soccombenza parziale, pur seguita da un particolare stato soggettivo14. A questa tesi se ne affianca una diversa,

che non accoglie appieno tale tipo di soluzione, facendo leva, in particolare, su due ordini di motivi: da un lato, dal punto di vista logico e semantico, l’art. 96, 1° comma c.p.c. non fa riferimento al margine di soccombenza della parte, conseguentemente non esclude l’ipotesi della soccombenza parziale, dall’altro lato, non è da tralasciare che taluno possa risultare soccombente soltanto di fronte ad alcune domande, in relazione alle quali, tuttavia, abbia posto in essere condotte che integrano gli estremi della lite temeraria15. In questo senso, parte della dottrina ritiene applicabile la previsione di cui all’art. 96, 1° comma c.p.c. anche nelle ipotesi di soccombenza reciproca16, ponendosi in

contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha più volte sottolineato come «la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala

14 Cfr. Cass., 14 dicembre 1992, n. 13181, in Foro it. Mass., 1992; Cass., 1 dicembre

1995, n. 12422,in Foro it. Mass., 1995; Cass., 15 settembre 2000, n. 12177, in Foro it. Mass., 2000; Cass., 14 dicembre 2012, n. 13181, in Giust. civ. Mass., 2012.

15 Mazzola M.A., Responsabilità processuale, cit., p. 53.

16Pajardi P., Brevi appunti sulla responsabilità aggravata per spese e danni del

processo della parte parzialmente vittoriosa, in Giur. it., 1967, I, p. 461; Vecchione

V., Spese giudiziali (Diritto Processuale Civile) in Nss. D. I., XVII, Torino, 1971, p. 1140; Comoglio L.P., Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, p. 319; Ghirga M.F., Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012, p. 81.

(15)

7

fede o colpa grave, con la conseguenza che non può farsi luogo all'applicazione di detta norma quando non sussista il requisito della totale soccombenza per essersi verificata soccombenza reciproca»17.

Recentemente, il Tribunale di Trani - Sezione distaccata di Andria18 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, 1° comma c.p.c. per contrasto con gli artt. 3, 1° e 2° comma, 24, 1° comma e 111, 2° comma Cost., «nella parte in cui non preveda che la parte soccombente o entrambe le parti, che abbiano agito e resistito in giudizio con mala fede o colpa grave possano essere condannate, d’ufficio, al risarcimento dei danni nei confronti dello Stato ed, in particolare del Ministero della Giustizia, per manifesta temerarietà della lite». Il giudice a quo ha osservato come il riconoscimento della responsabilità aggravata nei confronti di entrambe le parti andrebbe a determinare «una inammissibile e manifestamente irragionevole elisione reciproca della responsabilità, non avendo alcuna concreta utilità sanzionatoria la pronuncia di due condanne contestuali ex art. 96, primo comma, c.p.c. di una parte nei confronti dell’altra e viceversa». In specie, il giudice remittente ha segnalato il contrasto con: l’art. 3, 1° e 2° comma c.p.c., denunciando la «disparità di trattamento fra lo Stato, inteso come persona giuridica, con particolare riguardo alla sua articolazione funzionale del Ministero della Giustizia, e le ordinarie parti private del processo civile»; l’art. 24, 1° comma Cost., rendendo necessario «un radicale ripensamento del concetto di accesso alla giustizia […] nel contesto di un sistema giudiziario a cui vengono destinate risorse umane e materiali sempre più scarse»; l’art. 111, 2°

17

Cfr. Cass., 2 marzo 2001, n. 3035, in Giust. civ. Mass., 2001, 381; Cass., 15 novembre 2002, n. 16057, in Arch. civ., 2003, 823.

(16)

8

comma Cost., essendo evidente lo «squilibrio nella struttura del processo civile, in quanto per le finalità di gestione di controversie di natura emulativa, può determinarsi - come in concreto si determina - un irragionevole allungamento dei tempi processuali per l’insieme complessivo delle controversie iscritte a ruolo civile». Sul punto, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, con ordinanza 21-31 maggio 2012, n. 138, rilevando come la soluzione proposta dal giudice a quo sia «una della tante possibili in tema di conformazione della disciplina sulla responsabilità aggravata per lite temeraria, palesandosi, inoltre, del tutto eccentrica rispetto al sistema processuale civile in essere, così da assurgere piuttosto a proposta di politica legislativa in materia processuale anche al fine di ovviare ad esigenze deflattive del relativo contenzioso».

L’elemento soggettivo è costituito dalla mala fede ovvero colpa grave. La prima è ravvisabile nella coscienza della infondatezza del ricorso al giudice o della contestazione dell’altrui pretesa e non necessariamente nella volontà di abuso del diritto di azione o di difesa, al fine di perseguire intenti estranei al processo19, mentre la seconda viene definita come la manifesta mancanza di quella diligenza minima che avrebbe consentito alla parte di avvertire la infondatezza della propria pretesa20. La dottrina ha sottolineato come la particolare

intensità del presupposto soggettivo costituisca elemento centrale di qualificazione di tale responsabilità. Quest’ultima nasce soltanto nel

19Cfr. Cass., 3 luglio 1983, n. 3799, in Foro it., 1984, I, 221; Cass., 8 gennaio 1992,

n. 126, in Foro it. Mass., 1992; Cass., 16 febbraio 1998, n. 1619, in Giust. civ., Mass., 1998, 347; Trib. Cagliari, 10 febbraio 2016, n. 419, in Foro it. Mass., 2016.

20 Cfr. Cass., 30 settembre 1989, n. 3948, in Giust. civ., 1989, I, 2535; Cass., 6 giugno

2003, n. 9060, inGiust. civ. Mass., 2003; Trib. Cagliari, 10 febbraio 2016, n. 419, in Foro it. Mass., 2016.

(17)

9

momento in cui l’esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, quale quello riconosciuto dall’art. 24 Cost., si connoti di profili illeciti. L’esercizio del diritto di difesa può essere leso dall’agire o dal resistere in giudizio con mala fede o colpa grave e può esso stesso costituire l’occasione di un illecito solo qualora fuoriesca dai limiti propri della sua funzione21. Dunque, un confine che l’art. 96 c.p.c. traccia, e al di là

del quale si prospetta la responsabilità processuale aggravata.

Opinione condivisa è quella secondo la quale la rappresentazione nel processo di tesi giuridiche errate non sia di per sé sufficiente a integrare i requisiti della responsabilità processuale aggravata, mancando la coscienza della infondatezza delle tesi stesse. Non accogliendo questa argomentazione, ci troveremmo di fronte a una non corretta sovrapposizione tra lite temeraria e soccombenza. Analoga soluzione viene adottata in presenza di contrasti giurisprudenziali, i quali non possono costituire la prova della lite temeraria.

L'accertamento della temerarietà della lite a carico della parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, costituendo una questione di fatto, è riservato al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, qualora correttamente motivato22.

L’individuazione del terzo elemento costitutivo della fattispecie in esame ruota intorno alla prova del danno. Secondo un primo orientamento, affinché si possa procedere alla liquidazione del danno, è necessario che la parte formuli una esplicita domanda con la quale dimostrare l’an e il quantum debeatur del pregiudizio subito, o almeno

21 Finocchiaro G., La funzione punitiva del danno esistenziale da lite temeraria, in

Giur. it., 2006, p. 2127.

(18)

10

la deducibilità degli stessi dagli atti di causa. Ancorché sia possibile procedere alla liquidazione del danno d’ufficio, la parte non viene scaricata dall’onere di provare il danno stesso23; così, in mancanza degli

elementi di fatto necessari alla liquidazione, non può essere accolta la domanda della parte istante24. Un diverso orientamento, che va acquistando terreno, consente di collegare l’onere del danneggiato non tanto alla prova, quanto all’allegazione degli elementi necessari all’identificazione del pregiudizio. La giurisprudenza, negli ultimi anni, al fine di promuovere una più estesa applicazione della disciplina, non esige una prova rigorosa del danno, ma consente di desumere argomenti di prova da nozioni di comune esperienza25. La parte può, pertanto, fare riferimento al pregiudizio che abbia sofferto nel fronteggiare un’iniziativa temeraria. In ogni modo, il danno è costituito da una lesione concretamente e strettamente determinata dal processo, non semplicemente da un probabile ed eventuale pregiudizio del diritto oggetto del processo stesso. In particolare, quanto all’identificazione dei danni, viene constatato come «ai costi che il processo può comportare in termini di tempo dedicato all'apprestamento della difesa e che non si traducono in una spesa, si aggiungono le conseguenze pregiudizievoli che possono derivare, sul piano patrimoniale, dalla condizione di incertezza dei rapporti giuridici coinvolti dal processo o

23 Cfr. Cass., 9 settembre 2004, n. 18169, in Foro it. Mass., 2004. 24 Cfr. Cass., 13 aprile 2006, n. 8754, in Banca dati De Jure.

25 Cfr. Cass., 1 luglio 1992, n. 8085, in Giur. it., 1993, I, 323; Cass., 19 febbraio 2002,

n. 2420, in Foro it., 2002, I, 2083; Cass., 5 maggio 2003, n. 6796, in Giust. civ. Mass., 2003; Trib. Modena, 2 febbraio 2007, in Resp. civ. prev., 2007, 1922; Trib. Modena 24 aprile 2009, in Resp. civ. prev., 2009, 969; Cass., 12 ottobre 2011, n. 20995, in Persona e Danno.

(19)

11

dall'incidenza che un tipo di causa può avere sull'apprezzamento della rispettabilità morale, professionale, commerciale della parte»26.

La giurisprudenza ha occasionalmente riconosciuto il danno da lite temeraria in re ipsa. In verità, in un primo momento, i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità di dedurre un danno in re ipsa da un comportamento temerario, ribadendo l’opportunità di dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un pregiudizio e conseguentemente la impossibilità di eludere l’onere della prova. In seguito, alcune pronunce hanno osservato come spesso una lite temeraria possa comportare di per sé un pregiudizio in grado di esprimersi tanto in termini di danni patrimoniali, quanto non patrimoniali. Al riguardo, basti pensare alle spese sostenute in giudizio, al tempo impiegato nel fronteggiare un comportamento temerario, al disagio legato alla compromissione del normale fare della persona, al turbamento emotivo connesso all’esito del procedimento. Secondo tale indirizzo, al di fuori di alcune ipotesi paradossali, come quelle di soggetti che non possiedano alcun reddito o che si delizino dallo svolgimento di un processo, è difficile pensare che la lite temeraria non sia in grado di arrecare almeno un danno alla parte. Su questa scia, anche la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che sia possibile dedurre la quantificazione del danno ex art. 96 c.p.c. da nozioni di comune esperienza e fare riferimento al pregiudizio che la parte abbia sopportato di per sé, per essere stata costretta a fronteggiare l’iniziativa del litigante temerario27. Ad ogni modo, rimane in piedi la più rigida impostazione, secondo cui sarebbe necessario provare o allegare che dal comportamento della parte sia derivato un pregiudizio diverso e

26 Cfr. Cass., 16 gennaio 1989, n. 163, in Giust. civ., 1989, I, 857. 27 Cfr. Cass., 13 giugno 1995, n. 448, in Foro it. Mass., 1995.

(20)

12

ulteriore rispetto al danno consistente nel pagamento delle spese del processo, evitando di far ricadere l’onere della ricerca di tale prova sul giudice.

Infine, nell’individuare la struttura portante dell’art. 96, 1° comma c.p.c., non è possibile prescindere dal riconoscimento di un nesso causale tra il comportamento processuale tenuto dalla parte temeraria e il danno subito dell’altra parte. Mentre il processo penale è ispirato alla regola della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, il processo civile è improntato alla regola della preponderanza della evidenza o “del più probabile che non”28. La prima fase di valutazione del nesso eziologico

attiene al giudizio di causalità c.d. materiale ed è volta ad accertare l’esistenza di un legame tra la condotta temeraria e il danno processuale verificatosi. I criteri di accertamento sono elaborati sulla scorta dei principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 c.p. e, in particolare, ispirati alla teoria condizionalistica, secondo la quale la condotta è causa dell'evento quando risulti essere una condicio sine qua non della lesione, dando con ciò rilevanza a quei soli eventi che non sembrino, mediante una valutazione ex ante, inverosimili. Il secondo stadio del nesso eziologico attiene alla causalità c.d. giuridica, tale giudizio prende in considerazione il collegamento tra il fatto dannoso e le sue conseguenze, ed è diretto a delimitare l'area del danno risarcibile.

28 Cfr. Cass., 11 gennaio 2008, n. 576, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 31; Cass., 11

(21)

13

1.3. L’art. 96, 2° comma c.p.c.

L’art. 96, 2° comma c.p.c. individua una fattispecie più specifica di responsabilità processuale aggravata, secondo la quale il giudice condanna, su istanza di parte, l’attore o il creditore procedente che abbia agito in assenza della normale prudenza, qualora accerti la mancata esistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, trascritta domanda giudiziale, iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata. Questa forma di responsabilità aggravata fa, dunque, riferimento alla ipotesi in cui la parte, agendo in assenza della normale prudenza, si avvalga di specifici strumenti processuali tipizzati dal legislatore, andando così a determinare una fattispecie che la dottrina prevalente qualifica come più severa e specifica rispetto a quella di cui al 1° comma. Tale soluzione poggia sulla considerazione secondo la quale l’art. 96, 2° comma c.p.c. trovi applicazione soltanto in relazione a taluni processi e per taluni atti e, in aggiunta, sanzioni colui che abbia agito senza la normale prudenza, non essendo, di conseguenza, richiesta la mala fede ovvero la colpa grave. La previsione, inoltre, impone la condanna al risarcimento dei danni nei confronti dei soli soggetti passivi, quali attore e creditore procedente, e non anche del soggetto attivo resistente a favore del quale è pronunciata la declaratoria di responsabilità. Il legislatore tende a bilanciare esigenze di rapidità e di certezza, in quanto, da un lato, consente di compiere atti in relazione ai quali non sia definitivamente accertata l’esistenza del diritto e, dall’altro lato, condanna l’attore ovvero il creditore procedente che non abbia adottato la prudenza richiesta e necessaria per poter accertare l’esistenza del diritto stesso.

(22)

14

1.3.1. I presupposti

L’accertamento della responsabilità processuale di cui all’art. 96, 2° comma c.p.c. postula l’esistenza di un requisito oggettivo, quale l’inesistenza del diritto sulla cui base è stato concesso il provvedimento, di un requisito soggettivo rappresentato dal difetto della normale prudenza, di strumenti processuali individuati dallo stesso legislatore cui la parte si è avvalsa.

Dal punto di vista oggettivo, la norma richiede l’accertamento dell’inesistenza del diritto, e del significato di tale concetto si discute in dottrina e giurisprudenza. La tesi maggioritaria, soffermandosi sulla lettera della norma, osserva come la responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96, 2° comma c.p.c. possa configurarsi solo nell’ipotesi di inesistenza del diritto sostanziale di cui si chiede la tutela, e non anche nel caso di insussistenza delle condizioni processuali alla base della tutela stessa. Oltre al dato sintattico, la soluzione in esame richiama la finalità della disposizione consistente nel condannare i comportamenti che non siano seguiti da giustificazioni a livello di normativa sostanziale. Sotto questo indirizzo, ha preso piede la lettura, offerta da parte della dottrina29 e da un precedente di legittimità30, secondo la quale la nozione di “inesistenza del diritto” sarebbe comprensiva anche della sproporzione tra il quantum accertato e il quantum richiesto. Tuttavia, tale orientamento non è stato accolto dalla giurisprudenza successiva. La tesi minoritaria, al contrario, sostiene che il legislatore abbia genericamente adoperato l’espressione “inesistenza

29 Arieta G., La decisione della causa e la condanna alle spese, in Incontro di studio

Consiglio Superiore della Magistratura - Formazione decentrata, Roma, 3 dicembre 2007.

(23)

15

del diritto”, consentendo di invocare l’art. 96, 2° comma c.p.c. anche qualora non sussistano i presupposti processuali per la concessione della cautela, pur esistendo il diritto sostanziale sottostante.

Dal punto di vista soggettivo, la previsione fa riferimento all’assenza di “normale prudenza”, richiamando, pertanto, la sola colpa lieve31. La dottrina intende quest’ultima come il difetto dell’ordinaria diligenza, in considerazione di parametri relazionati alle caratteristiche della parte, menzionando il concetto della “diligenza del buon padre di famiglia”32. Rispetto alla disposizione a carattere generale di cui al 1° comma, l’elemento soggettivo in esame è circoscritto a fattispecie diverse e particolari. Ciononostante non sono mancate applicazioni non fedeli della previsione ad opera delle corti, alle quali sono seguiti interventi dei giudici di legittimità volti a sottolineare la differenza tra le suddette fattispecie. In particolare, la Corte di Cassazione ha ribadito come la responsabilità possa essere affermata sulla base di una più attenuata valutazione dell’elemento soggettivo, individuato nell’avere agito senza la normale prudenza, solo nella particolare ipotesi prevista dall’art. 96, 2° comma c.p.c. Inoltre, l’assenza della normale prudenza non comporta una restrizione dell’ambito applicativo della norma ai soli

31 In tal senso, Cass.,17 gennaio 1996, n. 342, in Foro it. Mass., 1996:

«quando il debitore lamenta di aver subito danno dalla prosecuzione dell’azione esecutiva, deducendo l’inesistenza del diritto fatto valere dal creditore, il giudice del merito deve accertare che il titolo esecutivo sia venuto meno a seguito dell’accoglimento dell’opposizione proposta dal debitore e che il creditore abbia agito nel corso dell’intero processo esecutivo senza rispettare la regola della normale prudenza, la quale si identifica anche con la colpa lieve».

V. anche Cass., 2 marzo 1995, n. 2398, in Giust. civ. Mass., 1995, 497:

«rispetto all’ipotesi di responsabilità aggravata del litigante temerario di cui al 1º comma dell’art. 96 c.p.c. la responsabilità per danni derivanti da procedimento esecutivo o cautelare, di cui al 2º comma dell’art. 96, così come la responsabilità di cui all’art. 82 r.d. n. 1127/1939, sono disciplinate in base ad una più attenuata valutazione dell’elemento soggettivo, individuato nell’avere il procedente agito senza la normale prudenza e quindi con colpa anche lieve».

32Franzoni M., Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, Torino, 2011, p.

(24)

16

comportamenti qualificati da quell’elemento soggettivo, ma sussiste in ipotesi di dolo e di ogni tipo di colpa33, rimarcando, di conseguenza, un rapporto di genus a species tra le due previsioni34.

In ultimo, è opportuno che la parte si sia avvalsa di specifici strumenti processuali, quali l’attuazione di una misura cautelare, la trascrizione di domanda giudiziale, l’iscrizione di ipoteca giudiziale, la proposizione di un processo esecutivo. Tale elencazione è tassativa, rispondendo a una finalità di selezione perseguita dal legislatore, cosicché non è ammessa una interpretazione estensiva o analogica della disposizione a fattispecie, seppur similari, non espressamente previste. Le ipotesi in esame sono eterogenee, nondimeno presentano tratti comuni che incidono su rapporti giuridici intercorsi tra la parte e i terzi, nei presidi processuali della trascrizione di domanda giudiziale e di iscrizione di ipoteca giudiziale, ovvero sulla sfera materiale della parte stessa, negli strumenti rafforzativi dell’attuazione di una misura cautelare e della proposizione di un processo esecutivo. Secondo la dottrina prevalente35 e la giurisprudenza di legittimità36, esaurendo la

33

Cfr. Cass., 28 novembre 1987, n. 8872, in Giust. civ., 1988, I, 2954.

34

In tal senso, Cass., 13 aprile 1989, n. 1788, in Giur. it., 1989, I, 1:

«l’art. 96, primo comma, c.p.c. sancisce in generale la responsabilità per danni da lite temeraria a carico della parte soccombente cha ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Tale forma di responsabilità postula, cioè, una condotta processuale caratterizzata dal dolo, vale a dire dalla consapevolezza nella parte del proprio torto, ovvero dalla colpa grave, consistente in una trascuratezza di grado elevato, ravvisabile quando la parte non abbia avvertito l'ingiustizia della sua domanda od eccezione che sarebbe stato agevole rilevare anche impiegando un minimo di diligenza; la responsabilità processuale aggravata può essere, invece, affermata anche a titolo di colpa lieve, vale a dire per il difetto della normale prudenza o diligenza, solo nella più particolare ipotesi, che nella specie non ricorre, prevista dal secondo comma dello stesso art. 96, della parte che abbia intrapreso una procedura esecutiva o cautelare senza esistesse il relativo diritto».

35 Grasso E., Della responsabilità delle parti, in Comm. Allorio, I, Torino, 1973;

Mandrioli C., Corso di diritto processuale, I, Torino, 2011, p. 313.

36

Cfr. Cass., 21 febbraio 1985, n. 1545, in Foro it. Rep., 1985, 48; Cass., 28 novembre 1987, n. 8872, in Giust. civ., 1988, I, 2954; Cass., 15 settembre 2000, n. 12177, in Foro it. Mass., 2000; Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134.

(25)

17

portata dell’art. 96 c.p.c. ogni forma di responsabilità processuale aggravata e contemplando il 2° comma ipotesi specifiche, ogni altra fattispecie non tipizzata dal legislatore, ancorché riferita a processi cautelari o esecutivi, rientra all’ambito di applicazione del 1° comma, in quanto norma a carattere generale. La dottrina minoritaria37, a contrario, esclude la possibilità di fare applicazione della previsione di cui al 1° comma, data la natura speciale della fattispecie.

Volgendo lo sguardo al primo settore, relativo all’applicazione di misure cautelari, sulla scia della posizione maggioritaria suddetta, la responsabilità processuale trova la sua regolamentazione nella disciplina dell’art. 96, 2º comma, c.p.c., qualora sia accertata l’inesistenza del diritto a cautela del quale il provvedimento era stato concesso. Infatti, «perché sussista la responsabilità aggravata dell’attore, che ha eseguito un provvedimento cautelare, non è necessario che sussista la sua mala fede o colpa grave, ma è sufficiente che egli abbia agito “senza la normale prudenza”»38 ex art. 96, 2°

comma c.p.c. Allorché, al termine del giudizio di convalida, la misura venga revocata per difetto di un presupposto diverso dall’esistenza del diritto, come il periculum in mora, è invece ravvisabile la responsabilità processuale aggravata di cui al 1° comma, disciplina che postula l’accertamento della mala fede o della colpa in capo al creditore istante39. Sul punto, si è espressa in senso contrario la Corte di

Cassazione con una pronuncia del 199540, secondo la quale, accertata

37 Andrioli V., Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, p. 270;

Montesano L., Sulla speciale responsabilità per imprudente esecuzione in materia

di istruzione preventiva, in Giur. it., 1966, p. 1037.

38 Cfr. Cass., 13 maggio 2002, n. 6808, in Foro it., 2002, I, 2694.

39 Cfr. Cass., 6 marzo 1989, n. 1219, in Foro it. Mass., 1989, 56; Cass., 15 settembre

2000, n. 12177, in Foro it. Mass., 2000.

(26)

18

l’inesistenza del credito sulla cui base è stato eseguito il sequestro conservativo, la responsabilità del creditore procedente trova disciplina nell’art. 96, 2° comma c.p.c. «indipendentemente dal motivo del provvedimento di rigetto della istanza di convalida e anche quando, quindi, il rigetto sia dipeso dalla incompetenza del giudice che ha autorizzato il sequestro, come nel caso di provvedimento emesso dal presidente del tribunale, anziché dal giudice istruttore dinnanzi al quale pendeva la causa di merito».

Ulteriore strumento processuale tipizzato dal legislatore è riscontrabile in materia di esecuzione forzata. In particolare, per configurare il risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96, 2° comma c.p.c., è necessario individuare l’obbligo della parte che abbia fatto ricorso al procedimento esecutivo di prevedere, sulla base della normale prudenza e nel caso specifico, l’esito del gravame. Per fondare, dunque, la responsabilità della parte procedente occorre che la stessa abbia agito in assenza della normale prudenza, che ricorre qualora non si sia astenuta dal porre in essere iniziative nell’ambito del processo esecutivo, pur risultando prevedibile l’accoglimento dell’impugnazione con l'annullamento o la riforma della sentenza41. In materia esecutiva, l’inesistenza del diritto a fondamento dell’applicabilità dell’art. 96, 2° comma c.p.c. va intesa non soltanto dal punto di vista oggettivo, quale mancanza assoluta del diritto per cui è stata iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, ma anche da quello soggettivo, come assenza del diritto nei confronti dell’esecutato42. In

41

Cfr. Cass., 11 gennaio 1974, n. 95; Cass., 16 settembre 1983, n. 5611, in Giust. civ., 1984, I, 816; Cass., 28 novembre 1987, n. 8872, in Giust. civ., 1988, I, 2954; Cass., 2 marzo 1995, n. 2398, in Giust. civ. Mass., 1995, 497; Cass., 17 ottobre 2003, n. 15551, in Giust. civ. Mass., 2003, 10.

(27)

19

relazione all’opposizione all’esecuzione proposta dall’esecutato nei confronti del creditore pignorante per eccesso nell’espropriazione, i giudici di legittimità hanno escluso l’ipotesi risarcitoria sulla base di un’iniziativa intrapresa in assenza del diritto ex art. 96, 2° comma c.p.c. Il creditore è legittimato a espropriare più di quanto sia necessario per soddisfare il suo credito, per non incorrere nel rischio di restare insoddisfatto, a causa del concorso di altri creditori, ne consegue un’impossibilità di configurare l’eccesso di pignoramento come inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata43.

Ai sensi dell’art. 96, 2º comma, c.p.c., costituisce ulteriore fonte di responsabilità risarcitoria la trascrizione di una domanda giudiziale che, pur essendo suscettibile di trascrizione, in concreto non possa essere trascritta, non sussistendo il diritto con essa fatto valere (trascrizione c.d. ingiusta)44. Il presupposto per l'applicazione della citata disposizione di legge, costituito dall'accertamento dell'inesistenza del diritto per il quale è stata trascritta la domanda giudiziale, è accompagnato dall’assenza della normale prudenza quanto al prevedibile esito della controversia e, perciò, dalla mancata osservanza della cautela tipica dell'uomo di media diligenza ad opera dell'istante. Ne deriva che il giudice non possa pronunciarsi sulla richiesta di responsabilità di cui alla norma in esame qualora non abbia previamente deciso le questioni di merito attinenti al grado di fondatezza delle domande trascritte45. Tale azione di risarcimento dei danni,

43 Cfr. Cass., 22 febbraio 2006, n. 3952,in Foro it. Rep., 2006, 44.

44Cfr. Cass., 10 marzo 1971, n. 680, in Giust. civ., 1971, I, 839; Cass., 20 ottobre

1990, n. 10219, in Giust. civ. Mass., 1990, 48; Cass., 8 maggio 1996, n. 4281, in Giust. civ. Mass.,1996, 691; Cass., 23 marzo 2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, 5, 1199; Cass., 15 gennaio 2016, n. 1266, in Foro it. Mass., 2016.

45 Cfr. Cass., 10 ottobre 1996, n. 8857, in Foro it. Mass., 1996; Cass., 7 maggio 1998,

(28)

20

conseguente alla trascrizione di una domanda giudiziale, trova il suo titolo giuridico nell’art. 2043 c.c.46, anziché nell’art. 96, 2° comma c.p.c., nelle ipotesi in cui la domanda risulti non trascrivibile poiché non inclusa in nessuno dei casi previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c. (trascrizione c.d. illegittima)47. In quest’ultimo caso, la mancata applicazione della disciplina in materia di responsabilità processuale aggravata trova il suo fondamento nel fatto che l’avvenuta trascrizione non possa essere ricompresa tra le attività processuali e che sia possibile ravvisare un vero e proprio fatto illecito alla base della eseguita trascrizione stessa 48. Un precedente orientamento muoveva nel senso di far rientrare le ipotesi di trascrizione ingiusta nell’ambito di applicabilità dell’art. 96, 2° comma c.p.c., mentre le ipotesi di trascrizione illegittima nell’ambito dell’art. 96, 1° comma c.p.c., sostenendo che restasse preclusa la possibilità di richiamare, mediante una domanda autonoma, i principi generali della responsabilità ex art. 2043 c.c., in quanto le due discipline si porrebbero in un rapporto di rapporto di genus a species49. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno ormai

abbandonato tale posizione50.

Il legislatore da ultimo richiama, quale presidio processuale, l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In siffatto contesto, la condanna a norma dell’art. 96, 2° comma c.p.c. è ancorata all’elemento oggettivo

46 Tale indicazione rimanda al carattere di specialità dell’art. 96 c.p.c. rispetto all’art.

2043 c.c., cui sarà dedicato il paragrafo 1.5.

47 Cfr. Cass., 20 ottobre 1990, n. 10219, in Giust. civ. Mass., 1990, 48; Cass., 7 maggio

1998, n. 4624, in Foro it. Mass., 1998; Cass., 23 marzo 2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, 5, 1199; Cass., 15 gennaio 2016, n. 1266, in Foro it. Mass., 2016.

48 Grasso E., Della responsabilità delle parti, cit., p. 1036; Andrioli V., Commento al

codice di procedura civile, cit., p. 270.

49Cfr. Cass., 17 ottobre 2003 n. 15551, in Giust. civ. Mass., 2003, 10; Cass., 26

novembre 2008, n. 28226, in Giust. civ. Mass., 2008; Cass., 3 marzo 2010, n. 5069, in Foro it. Mass., 2010.

(29)

21

dell’inesistenza del credito, dovendosi distinguere il diverso caso di una divergenza tra il credito fatto valere in sede di iscrizione ipotecaria e quello giudizialmente accertato. Ne consegue che un’eventuale iscrizione di ipoteca sulla base di un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo può dar luogo a responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96, 2° comma c.p.c. qualora venga accertata l’inesistenza del diritto vantato nel giudizio di opposizione, assieme al presupposto soggettivo del difetto della normale prudenza. Nell’ipotesi in cui il giudice dell’opposizione accerti che la clausola di provvisoria esecuzione non potesse essere concessa per mancanza del periculum in mora e l’ipoteca essere iscritta, è invece ipotizzabile una condanna ex art. 96, 1º comma, c.p.c., in presenza dell’elemento della mala fede o della colpa grave e prescindendo dall’esistenza del credito51.

1.4. I rapporti tra il 1° e il 2° comma

La dottrina prevalente e la giurisprudenza maggioritaria, come già anticipato52, qualificano la previsione ex art. 96, 2° comma c.p.c. in termini di ipotesi particolare e specifica di responsabilità processuale aggravata53.

51Cfr. Cass., 23 maggio 2003, n. 8171, in Foro it. Rep., 2003, 69; Cass., 7 maggio

2007, n. 10299, in Mass. Foro it., 2007, 74; Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134.

52 V. paragrafo 1.3.

53 Pajardi P., Elementi e limiti della responsabilità aggravata nel processo cautelare,

in Giur. it., 1956, p. 363; Gasperini M.P., Domanda cautelare e responsabilità

aggravata ex art. 96 c.p.c., in Riv. dir. proc., 1996, p. 890; Monateri P.G., La responsabilità civile, in Sacco R. (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino,

1998, p. 860; Recchia C., La r.c. ex art. 96 c.p.c., in Cendon P. (a cura di), La prova

e il quantum del danno non patrimoniale, Torino, 2008, p. 1688; Mandrioli C.,

(30)

22

L’art. 96, 2° comma c.p.c., andando a individuare una forma di responsabilità legata alla «inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata» e necessitando del solo aver «agito senza la normale prudenza», contempla un’ipotesi distinta di lite temeraria rispetto alla previsione del 1° comma, contrassegnata da parametri legali divergenti. Vengono così a delinearsi, rispettivamente al 1° e al 2° comma, una forma di responsabilità a carattere generale e una a carattere speciale. Tale impianto fa leva sulla considerazione secondo cui l’art. 96, 2° comma c.p.c. trova applicazione soltanto in relazione a taluni processi, in materia esecutiva e cautelare, e per taluni atti, quali la trascrizione della domanda giudiziale e l’iscrizione di ipoteca giudiziale, mentre l’operatività dell’art. 96, 1° comma c.p.c. non riguarda esclusivamente il processo di cognizione, bensì ricomprende processi esecutivi e cautelari, qualora non sia applicabile la disciplina di cui al 2° comma, nonché processi di volontaria giurisdizione, in questo modo confermando il carattere generale della previsione.

In aggiunta, l’art. 96, 2° comma c.p.c. sanziona colui che abbia agito senza la normale prudenza, determinando una non coincidenza, sotto il profilo del presupposto soggettivo, tra le due fattispecie. Ciononostante, l’accertamento di una colpa lieve in capo al danneggiante non comporta una limitazione dell’ambito applicativo ai soli comportamenti connotati da quell’elemento subiettivo, ma altresì si estende a ipotesi di mala fede e di colpa grave.

it. Mass., 1989, 56; Cass., 15 settembre 2000, n.12177, in Foro it. Mass., 2000; Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134.

(31)

23

Questa responsabilità processuale speciale è integrata ogniqualvolta la parte si sia avvalsa degli strumenti rafforzati tipizzati predetti, in assenza del diritto sottostante. Ne consegue che sia da ricondurre alla previsione di cui all’art. 96, 2° comma c.p.c. soltanto l’ipotesi di inesistenza del diritto, mentre, in carenza di un diverso presupposto, il riferimento è alla forma di responsabilità processuale di cui al 1° comma, con la necessità di accertare che il creditore istante abbia agito con mala fede ovvero colpa grave. Su quest’ultimo piano, si pongono, ad esempio, i casi in cui la misura cautelare ovvero l’iscrizione di ipoteca sulla base di un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo vengano a difettare del presupposto del periculum in mora.

1.5. La natura della responsabilità processuale

La natura della responsabilità ex art. 96 c.p.c. è stata per molto tempo discussa in dottrina e giurisprudenza. In passato, era esclusa la possibilità di ricomprendere la fattispecie nell’alveo della responsabilità civile, a favore di modelli esclusivamente processuali ovvero di meccanismi prettamente indennitari. In dottrina veniva constatata l’impossibilità di considerare il diritto di azione e il diritto di difesa come fonti di illecito, richiamando il brocardo latino neminem laedit qui suo iure utitur. Ne conseguiva la capacità di far leva sulla inviolabilità della previsione di cui all’art. 24 Cost., legittimando una qualsiasi modalità di esercizio del diritto di difesa.

Una prima soluzione richiamava approcci processualistici che sganciavano la fattispecie da forme tanto di responsabilità contrattuale, quanto di responsabilità extracontrattuale, andando piuttosto a evocare

(32)

24

un tertium genus di responsabilità, svincolato da elementi di diritto sostanziale e fondato sulla violazione dei doveri di lealtà e probità ex all’art. 88 c.p.c.54. Tale inosservanza sarebbe stata integrata

ogniqualvolta la parte avesse perseguito finalità differenti rispetto a quelle naturalmente perseguibili mediante lo svolgimento del processo. La tesi è stata oggetto di critiche, in ragione del fatto che il rapporto tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 88 c.p.c., seppur esistente, non possa andare a contrassegnare una sovrapposizione tra le previsioni stesse55. Un secondo modello consentiva di collegare, sotto ottiche di tipo indennitario, la responsabilità processuale aggravata ad attività lecite ma dannose. Tuttavia, anche questa concezione è stata superata, in quanto lo stesso esercizio, in maniera abusiva, del diritto di difesa consente di delineare il confine tra liceità e illiceità. L’abbandono delle visioni predette è stato reso possibile dal richiamo al concetto di abuso del diritto e dalla qualificazione dell’art. 96 c.p.c. come «norma tendenzialmente esaustiva rispetto a tutti i possibili danni connessi al c.d. illecito processuale»56.

Secondo l’attuale configurazione dominante, la responsabilità processuale aggravata sarebbe una particolare declinazione della responsabilità civile. L’approdo definitivo a siffatta soluzione si è avuto mediante la pronuncia della Corte costituzionale, con ordinanza 23 dicembre 2008, n. 435: il Tribunale di Ancona aveva sollevato, con ordinanza del 21 novembre 2007, questione di legittimità

54 Carnelutti F., Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Foro It., Roma, 1951, p.

222; Calvosa C., La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità

aggravata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 378; Andrioli V., Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 414.

55 Sul punto si rimanda alla trattazione contenuta nel paragrafo 1.7.

56 Pulsoni M.C., Danno esistenziale e responsabilità aggravata, in Resp. civ. prev.,

(33)

25

costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, 1° e 2° comma Cost., dell’art. 96, 1° comma c.p.c. nella parte in cui stabilisce che la condanna per lite temeraria necessiti della istanza di parte. Sebbene l’ordinanza abbia dichiarato la manifesta infondatezza della questione, ha consentito alla Corte costituzionale di pronunciarsi nel senso di incentivare i giudici a un ripensamento dell’art. 96 c.p.c., rispondente a una «finalità risarcitoria e sanzionatoria», e a una più precisa e severa applicazione del medesimo.

È possibile leggere la responsabilità processuale aggravata come un presidio dell’art. 24 Cost. La previsione dell’art. 96 c.p.c. ha, infatti, quale obiettivo, quello di tutelare il diritto ad agire e difendersi in giudizio e consente di andare a tracciare il confine oltre il quale è integrata la particolare declinazione di responsabilità civile tipizzata dal legislatore. L’azione o la resistenza in giudizio connotati dall’elemento soggettivo della mala fede o colpa grave ovvero della colpa lieve, risolvendosi in un abuso, ledono l’interesse di rango costituzionale dell’art. 24 Cost.

1.6. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 2043 c.c.

Dall’analisi dell’art. 96 c.p.c. è possibile ricavare il carattere di specialità della responsabilità processuale aggravata rispetto al genus della responsabilità civile. Questa considerazione, a cui si è approdati a partire dalla metà degli anni ’8057, è riscontrabile dalla presenza di

57 Cfr. Cass., 18 gennaio 1983, n. 477, in Giust. civ. 1983, I, 1493; Cass., 6 febbraio

1984, n. 874, in Foro it., 1984, I, 1892; Cass., 19 settembre 1995, n. 9888, in Corr. giur., 1996, 308; Cass., 17 ottobre 2003, n. 15551, in Giust. civ. Mass., 2003, 10; Cass., 08 maggio 2015, n. 9309, in Foro it., 2015; v. anche Rossetti M., Il danno da

(34)

26

alcuni elementi che contraddistinguono in senso di specialità la previsione citata, consistenti in una limitazione del presupposto soggettivo per l’applicazione della fattispecie, circoscritto, nel 1° comma, alla mala fede ovvero colpa grave e, nel 2° comma, anche alla colpa lieve e, inoltre, una restrizione quanto alla tipologia di danno, legato alla sola condotta temeraria. Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalente, essendo l’azione di cui all’art. 2043 c.c. e quella di risarcimento danno per responsabilità processuale aggravata in un rapporto di genere e di specie, non è configurabile un concorso, anche alternativo, tra le stesse. Ne deriva che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricada interamente sotto la disciplina dell’art. 96 c.p.c. e sia escluso il ricorso all’art. 2043 c.c. in ogni ipotesi disciplinata dal suddetto art. 96 c.p.c.58.

La condanna per responsabilità processuale aggravata è legata alla perdita e al mancato guadagno determinati dall’agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave. Da questo punto di vista, è comprensibile la scelta di richiedere alla parte istante la prova sia dell’an che del quantum debeatur ovvero l’allegazione degli elementi di fatto desumibili dagli atti di causa59.

civile, cit., p. 863; Scarselli G., Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 91; Beghini R., Comportamento processuale e risarcimento del danno, Padova, 2003, p. 1; Di Marzio M., Boom di cause: l’antidoto lite temeraria, in Dir. giust., 2006, p. 45.

58Cfr. Cass., 8 giugno 1981, n. 3694, in Foro it. Mass., 1981; Cass., 3 giugno 1983,

n. 3799, in Foro it., 1984, I, 221; Cass., 26 novembre 1992, n. 12642, in Foro it. Mass., 1992; Cass., 27 luglio 1994, n. 7029, in Foro it., 1994; Cass., 17 ottobre 1994, n. 8464, inGiust. civ. Mass., 1994, 1231; Cass., 12 marzo 2002, n. 3573, in Giur. it. Rep., 2002; Cass., 17 ottobre 2003, n. 15551, in Giust. civ. Mass., 2003, 10; Cass., 20 luglio 2004, n. 13455, in Foro it., 2004, 48; Cass., 24 luglio 2007, n. 16308, in Giust. civ. Mass., 7-8; Cass., 3 marzo 2010, n. 5069, in Foro it. Mass., 2010; Cass., 23 agosto 2011, n. 17523, inGiust. civ. Mass., 2011, 9, 1244.

59 Cfr.Cass., 20 aprile 2004, n. 7583, in Foro it. Rep., 2004;Cass., 19 luglio 2004, n.

(35)

27

Pur non essendo ammesso un concorso tra le azioni citate, non è da escludere che si possa fare ricorso all’art. 2043 c.c. qualora, per la struttura del processo, la previsione di cui all’art. 96 c.p.c. non sia applicabile. Segnatamente, in ipotesi cui risulti mancante uno degli elementi della responsabilità processuale aggravata, quali il presupposto soggettivo e la soccombenza, è possibile che la responsabilità aquiliana subentri alla responsabilità processuale aggravata, proprio grazie alla natura analoga60. Nondimeno, qualora l’azione venga modulata sul modello dettato dall’art. 2043 c.c., viene messa in discussione la posizione ricoperta dell’art. 96 c.p.c., quale baluardo e delimitazione dell’art. 24 Cost.

La dottrina non ha mancato di individuare le ragioni sottostanti alla scelta del legislatore di dettare, accanto alla previsione generale collocata in materia di responsabilità civile, una regola volta a determinare il risarcimento dei danni da lite temeraria, giungendo a inquadrare il tema sotto differenti prospettive. Secondo parte della dottrina61, comportando la responsabilità processuale aggravata il

risarcimento del danno ingiusto, sarebbe opportuno delineare un divario tra la forma di responsabilità extracontrattuale e quella di cui all’art. 96 c.p.c. Infatti, l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. non può arrecare danni ingiusti, ma sono proprio la mala fede e la colpa grave a qualificare come tali i danni medesimi. L’art. 96 c.p.c., pertanto, perseguendo la finalità di superare i limiti

it. Mass., 67; Cass.,12 dicembre 2005, n. 27383, in Foro it., 2005; Cass., 15 aprile 2013, n. 9080, in Giust. civ. Mass., 2013.

60 Monateri P.G., La responsabilità civile, cit., p. 876.

61 Ripepi, C., Concorso di norme e concorso di azioni nelle responsabilità per spese

e danni nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 381; Di Marzio M., Vita nuova per il danno da lite temeraria (in attesa che l’ennesima riforma rimescoli le carte), cit., p. 1590.

(36)

28

propri della responsabilità civile, disciplina condotte che in quella sede non determinerebbero alcuna forma di risarcimento. Un diverso inquadramento delle ragioni alla base della soluzione adottata dal legislatore è offerto da chi sostiene che probabilmente la fattispecie in esame, anche in mancanza di una previsione legislativa speciale, sarebbe ugualmente riferibile all’ipotesi generale dell’illecito aquiliano, seppur potendo suscitare dibattiti e contrasti. Tale considerazione muove dall’idea per la quale l’eventuale esercizio abusivo del diritto sancito dall’art. 24 Cost. determina il superamento del confine di liceità demarcato da quest’ultimo62.

1.7. I rapporti tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 88 c.p.c.

L’art. 88 c.p.c. rubricato «Dovere di lealtà e probità», al suo 1° comma statuisce il dovere delle parti e dei loro difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità. La responsabilità processuale aggravata comporta la condanna della parte che abbia tenuto un comportamento abusivo, emulativo, contrario alla buona fede e la qualificazione in siffatti termini del contegno adottato dalla parte è subordinato al necessario accertamento di un presupposto soggettivo in capo alla stessa. Ne consegue che la violazione dei doveri di lealtà e probità si realizza qualora il soggetto persegua finalità estranee al processo o al singolo atto, a favore di un diverso interesse altrimenti non conseguibile, integrando così un comportamento connotato da mala fede processuale.

(37)

29

Sebbene sia evidente l’esistenza di un contatto tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 88 c.p.c., non altrettanto chiaro è il legame intercorrente fra gli stessi. Parte della dottrina sostiene che la responsabilità processuale sia un’ipotesi specificamente determinata dal legislatore di violazione dei doveri di cui all’art. 88 c.p.c., andando a integrare una condotta contraria alla buona fede63. Altri tendono a tracciare una distinzione tra

le due previsioni, attenendo l’art. 96 c.p.c. all’an dell’attività processuale, intesa nella sua «globalità e sinteticità» e l’art. 88 c.p.c. al quomodo dell’agire o del resistere in giudizio64. In questo ambito, si pone poi la posizione di chi identifica l’accertamento della responsabilità ex art. 96 c.p.c. come contenente in sé la violazione dell’art. 88 c.p.c., pur non considerando tale corrispondenza come reciproca. In specie, un’eventuale condotta della parte in grado di integrare i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c. e conseguentemente condannare la medesima al risarcimento dei danni può essere, al contempo, qualificata come illegittima ex art. 88 c.p.c. Nondimeno, impercorribile appare il ragionamento inverso, secondo il quale una qualsiasi violazione dei doveri di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta costituisca un comportamento dal quale far derivare una condanna per responsabilità processuale aggravata65. I giudici di legittimità si sono allineati a tale soluzione, volendo sottolineare come l’eventuale condanna per lite temeraria, conseguente all’inosservanza del dovere di lealtà e probità, non possa discendere dal sol aver prospettato tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, ma è

63 La China S., Diritto processuale civile, Milano, 1991, p. 502.

64 Mandrioli C., Dei doveri delle parti e dei difensori, in Comm. Allorio, I, Torino,

1973, p. 963.

65Scarselli G., Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali, cit., p. 91;

Riferimenti

Documenti correlati

In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo, occorre che l'agente, pur in assenza dell'"affectio societatis" e,

organizzazione delle attività di front office finalizzate alla più ampia e completa diffusione delle informazioni relative al servizio civile, ai progetti, alle

«sia nella giurisprudenza penale che in quella amministrativa, è consolidato il c.d. principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Ciò comporta

In tema di confisca ambientale, peraltro, uno stimolo a rafforzare la tutela penale dell’ecosistema e dei singoli elementi dell’habitat naturale è senza dubbio

Ufficio Stampa Cisl - “Sono inaudite le reazioni ed i toni usati nei confronti del presidente della Repubblica.. Bisogna avere fiducia nel ruolo di garanzia istituzionale e di

Tenuto conto pertanto della necessità di riservare una somma coerente con le esigenze sopra esposte, destinata a spese legali di soccombenza e oneri accessori di tipo processuale

“atteggiamenti soggettivi” dell’imputato X rilevanti in relazione ai fatti di causa”. Un quesito, dunque, inequivocabilmente rivolto ad ottenere elementi utili ai fini di

L’interessato gode dei diritti di cui all’art.7 del citato decreto, tra i quali figura il diritto di accesso ai dati che lo riguardano, nonché alcuni diritti complementari tra i