• Non ci sono risultati.

La responsabilità processuale nel fallimento

palesemente inammissibile

5.10. La responsabilità processuale nel fallimento

In materia fallimentare, la dottrina da tempo segnala le conseguenze pregiudizievoli che anche la mera proposizione di un ricorso può

284 Cfr. Trib. Rovigo, Sez. Adria, 7 dicembre 2010, in Altalex. 285 Cfr. Cass., 23 aprile 2001, n. 5972, in Giust. civ. Mass., 2001, 863. 286

In tal senso, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 24 febbraio 1998, n. 1984.

117

produrre in capo al debitore287. Sul punto, la sentenza dichiarativa di fallimento può essere oggetto di un giudizio di reclamo e di una conseguente revoca, ove la decisione appaia ingiusta o illegittima. A tale eventualità deriva il diritto del soggetto dichiarato fallito di proporre domanda di risarcimento danni per responsabilità processuale. Ad avviso di parte della dottrina, si tratterebbe di una richiesta non regolata dall’art. 96 c.p.c., atteso che la previsione ex art. 147, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), dettagliando il recupero delle spese in caso di revoca del fallimento, individua l’elemento soggettivo anche nella sola colpa lieve, non richiamando pertanto i presupposti del dolo ovvero della colpa grave di cui alla fattispecie codicistica. La medesima conclusione dovrebbe essere raggiunta pure a seguito dell’introduzione dell’art. 96, 3° comma c.p.c., in ragione della non sovrapponibilità della recente forma di responsabilità oggettiva col richiesto apprezzamento del presupposto subiettivo, ai sensi del Testo unico in materia di spese di giustizia. Siffatta soluzione darebbe dimostrazione anche della non operatività del criterio di liquidazione del danno ex officio, essendo la parte onerata di provare la condotta, l’evento e il nesso di causalità tra suddetti elementi. Avremmo, dunque, a che fare con una differente disciplina della responsabilità processuale, a carattere speciale. Mutatis mutandis, il citato art. 147 troverebbe applicazione anche nell’ipotesi, espressamente disciplinata dall’art. 22, 2° comma, l. fall, in cui oggetto del reclamo sia il decreto di diniego288. Una diversa soluzione viene accolta da alcuni arresti giurisprudenziali,

287 Di Nanni C., La responsabilità del creditore istante per ricorso di fallimento non

accolto, in Riv. dir. civ., 1970, p. 115.

118

a parere dei quali la responsabilità del creditore per i danni subiti dall’imprenditore a seguito della dichiarazione di fallimento configura «una particolare applicazione, al processo fallimentare, dell’istituto della responsabilità aggravata, di cui all’art. 96 del codice di rito»289,

che resterebbe disciplinata dall’art. 96, 2° comma c.p.c.290 o dall’art. 96, 1° comma c.p.c., rispettivamente nei casi in cui «la dichiarazione di fallimento sia […] revocata per inesistenza del credito vantato» ovvero in «ogni altra ipotesi in cui la revoca sia intervenuta per difetto dei presupposti soggettivi e oggettivi, necessari alla ricordata dichiarazione»291. Vi è anche chi specifica come il giudice, ove il fallito proponga opposizione senza richiamare la responsabilità aggravata del creditore istante, possa, congiuntamente alla revoca del fallimento, condannare il creditore ex art. 96, 3° comma c.p.c., in presenza di un contegno caratterizzato dall’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa grave e in assenza dei requisiti sostanziali o processuali alla base dell’istanza292. La Corte di Cassazione ammette la possibilità di

chiedere, «ai sensi dell’art. 96 c.p.c., il risarcimento dei danni cagionati con dolo o colpa grave non soltanto se, in seguito ad opposizione, la sentenza dichiarativa di fallimento sia revocata per mancanza dei presupposti di diritto sostanziale, ma anche quando la sentenza sia stata

289

Cfr. Cass., 20 marzo 1987, n. 2767, in Giust. civ., 1987, I, 1403; Cass., 23 ottobre 1993, n. 10556, in Il fallimento, 1994, 358; Cass., 4 settembre 1998, n. 8781, in Giust. civ. Mass., 1998, 1853; Cass.21 febbraio 2007, n. 4096, in Giust. civ., 2007, I, 831.

290

La possibilità per il fallito di chiedere il risarcimento dei danni ex art. 96, 2° comma c.p.c. discende dalla considerazione di alcuni interpreti di ritenere il fallimento un processo esecutivo.

291

Cfr. Cass., 20 marzo 1987, n. 2767, in Giust. civ., 1987, I, 1403. In tal senso anche Cass., 27 febbraio 1988, n. 2071, in Il fallimento, 1988, 7, 660; Cass., 4 settembre 1998, n. 8781, in Il fallimento, 1999, 8, 863.

119

dichiarata nulla per inosservanza di norme processuali»293. Affinché il debitore fallito possa chiedere la condanna del creditore al risarcimento dei danni, è indispensabile che la dichiarazione di fallimento sia stata revocata, poiché, trattandosi di un danno che trova «la sua causa in un provvedimento giurisdizionale avente efficacia di cosa giudicata», in caso contrario, difetterebbe «del requisito dell’antigiuridicità necessario ad integrare la fattispecie della responsabilità per atto illecito» e non sarebbe «eziologicamente ricollegabile all’istanza presentata dal medesimo creditore»294. La condanna non può, per questo, derivare dalla «semplice istanza di fallimento, rimasta senza esito perché non accolta»295. In tal senso, si era espressa la Suprema Corte in vigenza della previsione di cui all’art. 21 l. fall.296.

Quest’ultimo, affermando la responsabilità per colpa del creditore istante in materia di revoca della dichiarazione di fallimento, veniva inquadrato dai giudici di legittimità «nella figura della responsabilità processuale aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c.»297. La Corte di

Cassazione ha parlato di un «nesso d’interdipendenza» tra «l’opposizione alla dichiarazione di fallimento e l’azione di responsabilità aggravata, introdotta ai sensi dell’art. 96 c.p.c.», da cui conseguirebbe «la competenza funzionale, esclusiva ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l'improponibilità

293 Cfr. Cass., 29 ottobre 2008, n. 25978, in Il fallimento, 2009, 7, 818. In tal senso

anche Cass., 3 dicembre 1986, n. 7150, in Il fallimento, 1987, 4, 381; Cass., 26 giugno 1999, n. 6637, in Il fallimento, 2000, 639; Cass., 28 febbraio 2000, n. 2216, in Foro it., I, 2232.

294 Cfr. Cass., 4 aprile 1977, n. 1284, in Dir. fall., 1977, II, 311. 295 Cfr. Cass., 28 gennaio 1972, n. 241, in Dir. fall., 1972, II, 369. 296 Articolo abrogato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

120

in separato giudizio dell'azione risarcitoria»298. In tale direzione, si muove anche l’art. 22, 2° comma l. fall., rubricato «gravami contro il provvedimento che respinge l’istanza di fallimento», considerato che, nella sua seconda parte, espressamente prevede che il debitore non possa chiedere in un separato giudizio la condanna del creditore istante alla rifusione delle spese ovvero al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Da siffatta previsione è fatto discendere l’implicito riconoscimento del diritto del debitore di chiedere il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Lo svolgimento di un procedimento fallimentare segna in negativo la considerazione che il soggetto vanta nel mondo economico. Il danno andrebbe a identificarsi tanto nel danneggiamento del buon nome dell’imprenditore, quanto nella sfiducia e diffidenza palesata dagli istituti di credito. Nondimeno, la portata del pregiudizio dipenderebbe «dalla situazione in cui la società si trova, dal campo in cui opera, dalla durata del fallimento e da altre possibili varianti legate alla sua specificità»299. La relativa liquidazione, dunque, postulerebbe «che la

parte istante abbia assolto l’onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad indentificarne concretamente l’esistenza»300. In altre occasioni, la sussistenza del danno viene

configurata in re ipsa, in termini di effetti dovuti dalla perdita della disponibilità dell’azienda301.

298 Cfr. Cass., 28 aprile 2010, n. 10230, in Giust. civ. Mass., 2010. Per la necessaria

richiesta nel medesimo procedimento fallimentare si è espressa anche la Cass., 29 ottobre 2008, n. 25978, in Il fallimento., 2009, 7, 818.

299 Cfr. Cass., 26 novembre 2008, n. 28226, in Il fallimento, 2009, II, 1287. 300 Cfr. Cass., 21 febbraio 2007, n. 4096, in Giust. civ., 2007, 4, I, 831. 301 Cfr. Cass., 29 ottobre 2008, n. 25978, in Il fallimento, 2009, 7, 818.

121

Dall’analisi giurisprudenziale è possibile desumere come venga condannato per responsabilità processuale il creditore che, nel caso di revoca del fallimento, non porti a conoscenza del giudice l’estinzione del credito, pur consapevole del sopravvenuto difetto dello stato di insolvenza. La necessaria qualificazione del contegno dal punto di vista subiettivo non consente, quindi, di configurare la condanna in presenza di un «ragionevole convincimento della ricorrenza di detto stato»302.

Analogamente, la responsabilità viene fatta discendere dalla revoca della dichiarazione avvenuta in carenza del presupposto soggettivo della qualità d’imprenditore commerciale. In aggiunta, la condanna è pronunciata ove la sentenza sia stata revocata per contrasto con norme processuali, quali la pretesa violazione del diritto di difesa ovvero l’incompetenza del giudice adito303.

In ultimo, si è posto il problema di inquadrare la responsabilità del curatore durante lo svolgimento del procedimento fallimentare. I giudici di legittimità hanno, tradizionalmente, ricondotto l’azione di responsabilità alla sola ipotesi in cui venga esercitata nei confronti del creditore istante, di conseguenza, escludendo iniziative dirette a sanzionare un diverso soggetto autore di una condotta illecita in sede fallimentare304. La responsabilità del curatore, nascente dall’impulso processuale da quest’ultimo fornito alla procedura, non è stata ricondotta né all’abrogato art. 21 l. fall., «posto che la norma in

302

Cfr. Cass., 25 settembre 1978, n. 4276, in Foro it. Rep., 1978, 173; Cass., 25 ottobre 1986, n. 6261, in Il Fallimento, 1987, 2, 182.

303

Cfr. Cass., 26 giugno 1999, n. 6637, in Il fallimento, 2000, 639; Cass., 28 febbraio 2000, n. 2216, in Foro it., I, 2232; Cass., 29 ottobre 2008, n. 25978, in Il fallimento, 2009, 7, 818.

304Cfr. Cass., 26 febbraio 1979, n. 1254, in Il fallimento, 1980, 653; Cass., 1 giugno

1989, n. 2663, in Dir. fall., 1989, II, 1030; Cass., 15 giugno 1999, n. 5934, in Giust. civ., 2000, I, 130.

122

questione» conteneva «un insuperabile riferimento esclusivo alla figura del creditore istante», né all’art. 96 c.p.c., «posto che in quest’ultimo caso si rende impeditivo il riferimento della responsabilità processuale esclusivamente alla “parte” in senso proprio del processo». L’unica forma di responsabilità processuale invocabile sarebbe, pertanto, quella di cui all’art. 2043 c.c.305.