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Le condotte temerarie nel diritto di famiglia

palesemente inammissibile

5.11. Le condotte temerarie nel diritto di famiglia

La giurisprudenza sanziona ai sensi dell’art. 96 c.p.c. il contegno processuale abusivo del coniuge posto in essere in sede di separazione e divorzio. Così è stato condannato «il comportamento […] del resistente che – nonostante la documentazione versata in atti e la conoscenza della propria storia personale e matrimoniale, i provvedimenti a suo carico emessi dalle varie AA.GG. per comportamenti tenuti e per i reati connessi contro la moglie – ha resistito in causa chiedendo che la separazione fosse addebitata alla ricorrente». Tale condotta, infatti, «deve far ritenere la ‘manifesta temerarietà’ della lite che definisce quella ‘colpa grave’ consistita nell'avere resistito in giudizio ed addirittura formulato domanda riconvenzionale, in modo manifestamente temerario e strumentalmente a fini dilatori, che è testimoniato dalla proposizione di una tesi giuridicamente del tutto inconsistente e infondata già in fatto, oltre che diritto»306. I giudici hanno precisato come la liquidazione del danno ex art. 96 c.p.c. debba essere direttamente corrisposta alla parte lesa,

305 Cfr. Cass., 15 giugno 1999, n. 5934, in Giust. civ., 2000, I, 130. 306 Cfr. Trib. Milano, 13 febbraio 2013.

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coerentemente non rilevando l’eventuale beneficio di un patrocinio a spese dello Stato. Infatti, «l’abuso di posizione processuale da parte del convenuto» impedirebbe «la definizione del procedimento in tempi ragionevoli» e prolungherebbe, «nel processo di separazione, il disagio e la sofferenza, personale ed esistenziale», che la parte ha sperimentato in via diretta. Analogamente, i giudici di legittimità hanno condannato ai sensi dell’art. 96, 1° comma c.p.c. la parte che aveva proposto infondatamente ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice a quo, riguardante il rigetto del reclamo contro la decisione sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio. In specie, il coniuge riteneva «lesivo della sua posizione di cattolico praticante che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio anticipi l’esito del giudizio rotale di annullamento attualmente in corso». La Corte di Cassazione, accogliendo e ribadendo le ragioni indicate dai giudici di merito307, condannava il ricorrente al pagamento della somma, «assumendo il reclamo, consapevolmente infondato, un carattere meramente strumentale, al fine di prolungare i tempi del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio e di vanificare le statuizioni della sentenza definitiva»308.

Un’ulteriore ipotesi in grado di configurare una condanna ex art. 96 c.p.c. è ricondotta dalla dottrina alla proposizione di eccezioni infondate, unicamente dirette a impedire la declaratoria di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso. A titolo esemplificativo sono queste le ipotesi in cui venga dedotto il ripristino della convivenza tra coniugi, al fine di prospettare la riconciliazione

307 App. Perugia, 7 febbraio 2011. 308 Cfr. Cass., 30 gennaio 2014, n. 2089.

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familiare e addurre il difetto del presupposto della separazione interrotta per il termine di cui all’art. 3, l. 1 dicembre 1970, n. 898. Gli studiosi ammettono la pronuncia tanto a seguito di una richiesta della controparte, quanto d’ufficio mediante la liquidazione di una somma equitativamente determinata309.

L’art. 96 c.p.c. trova applicazione anche nel delicato terreno dell’affidamento dei figli minori. In siffatto contesto, la fattispecie ha il compito di porre rimedio all’instaurazione di liti ovvero alla proposizione di domande contrassegnate da comportamenti temerari, che sono in grado di ripercuotersi negativamente sulla prole. È stato questo il caso dell’avvio di un procedimento pretestuoso avente ad oggetto la richiesta manifestamente infondata da parte di un genitore di affidamento esclusivo dei figli. La giurisprudenza di merito ha condannato la ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, 3° comma c.p.c., «tenuto conto che […] ha tenuto ferma la richiesta dell’affidamento esclusivo […] nelle tre udienze e nelle memorie, non ha fornito elementi a sostegno della sua domanda, ha fortemente limitato – in quantità e qualità – il libero esplicarsi del diritto del ricorrente ad allevare la figlia, che le motivazioni addotte a sostegno di tale ultimo comportamento si sono rivelate infondate». La condotta della parte, «ritenuta […] contraria ai doveri di lealtà e probità espressi dall’art. 88 c.p.c.», aveva «impegnato tempi e risorse eccessive rispetto al materiale probatorio raccolto e scrutinato alla luce delle richieste di parte resistente»310. Più discutibilmente, i giudici di merito hanno condannato ex art. 96, 1°

309 Marino M., Separazione e divorzio. Normativa e giurisprudenza a confronto, in Il

Sole 24 Ore, Milano, 2009, p. 269.

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comma c.p.c. il contegno del genitore che, a causa della difficile condizione economica connessa alla disoccupazione, aveva introdotto una causa avente ad oggetto la domanda per la revoca ovvero la riduzione del contributo di mantenimento nei confronti della figlia. La giurisprudenza ha qualificato come iniziativa temeraria il «porre domande giudiziali in contravvenzione a […] basilari principi», secondo i quali «le sempre possibili altalenanze reddituali, dipendenti da ragioni diverse dalla perdita o dalla rilevante diminuzione della capacità lavorativa per cause irreversibili di salute, o per l’età troppo avanzata, non intaccano le potenzialità di produrre reddito di una persona di 38 anni, psicofisicamente normodotata», inoltre «non è ragionevole pensare che il mantenimento di un figlio sia dovuto ad intermittenza a seconda delle entrate contingenti del genitore obbligato», infine, «poiché il debito genitoriale è solidale, il sistema prevede semplicemente che il genitore anticipatario degli oneri dell’altro, quando questi sia privo di entrate, possa agire in futuro regresso per i recupero degli arretrati, cui l’obbligato inadempiente rimane esposto, coi suoi beni presenti e futuri»311.

In passato, le corti richiamavano la previsione, oggi abrogata, di cui all’art. 155-bis c.c.312, con la quale il legislatore sembrava prendere

consapevolezza della conflittualità insita nella materia e, nella sua ultima parte, menzionava l’art. 96 c.p.c., così recitando:

«se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della

311 Cfr. Trib. Triete minori, 7 marzo 2012, in Persona e Danno.

312Articolo introdotto con l. 8 febbraio 2006, n. 54,recante "Disposizioni in materia

di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli" ed abrogato dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

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determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'art. 96 del c.p.c.».

In ultimo, è stata oggetto di condanna ex art. 96, 1° comma c.p.c. l’iniziativa giudiziaria infondata volta a ottenere il disconoscimento di paternità. I giudici hanno accolto la domanda per il risarcimento dei danni, i quali «si riflettono essenzialmente nella sfera non patrimoniale», sia della coniuge, in quanto «oggetto di insinuazioni ingiuriose sulla sua condotta di compagna e di madre», sia «dei figli minori stessi, di cui è stata messa arbitrariamente in dubbio la relazione di paternità, con un conseguente disorientamento nei rapporti affettivi»313. Nel caso di specie, il contegno si è rivelato palesemente infondato, avendo il coniuge «tentato di sostenere la liceità dei propri dubbi sulla paternità con deduzioni generiche e finanche offensive nei confronti dell'ex convivente» e, in aggiunta, con osservazioni «stravaganti e risibili».