La Corte di Cassazione, in più occasioni, è stata chiamata a pronunciarsi, in tema di delibazione delle sentenze straniere che
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comminano danni punitivi. Ancor prima della novella della l. 18 giugno 2009, n. 69, gli ermellini si sono espressi sul possibile riconoscimento di una sentenza della corte distrettuale della contea di Jefferson (Alabama, Stati Uniti), con la quale una società statunitense era stata condannata a pagare la somma di un milione di dollari USA, a titolo di risarcimento danni, per difetto di progettazione e costruzione di una fibbia di un casco protettivo indossato da un bambino deceduto a seguito di un incidente stradale188. La Corte d’appello di Venezia adita dalla ricorrente per la delibazione della sentenza aveva respinto la domanda ritenendo trattarsi di condanna a danno punitivo, in contrasto con l’ordine pubblico italiano e, avverso tale decisione, era stato proposto ricorso per cassazione. Il collegio, richiamando anche delle conformi pronunce189, ha ritenuto che: «nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così com’è indifferente la condotta del danneggiante. Alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. E ciò vale per qualsiasi danno, compreso il danno non patrimoniale o morale, per il cui risarcimento, proprio perché non possono ad esso riconoscersi finalità punitive, non solo sono irrilevanti lo stato di bisogno del danneggiato e la capacità patrimoniale dell’obbligato, ma occorre altresì la prova dell’esistenza della sofferenza determinata dall’illecito, mediante l’allegazione di concrete circostanze di fatto da cui presumerlo, restando escluso che
188 Cfr. Cass., 19 gennaio 2007, n.1183, in Danno e resp., 2007, 1125.
189 Cfr. Cass., 14 ottobre 1997, n. 10024, in Giust. civ. Mass., 1997, 1932; Cass., 21
dicembre 1998, n. 12767, in Giust. civ. Mass., 1998; Cass., 14 febbraio 2000, n. 1633, in Giur. it. Mass., 2000.
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tale prova possa considerarsi in re ipsa». La Corte ha, pertanto, evidenziato come l’impianto sistematico e la finalità delle norme di diritto civile non ritaglino spazi di operatività all’istituto anglosassone. Nel nostro ordinamento, il ruolo centrale svolto dal principio dell’integrale riparazione del danno non consentirebbe l’applicazione di quelle figure contraddistinte da un risarcimento eccedente l’entità del danno patito.
L’intervento di modifica del 2009 ha portato parte della dottrina e della giurisprudenza di merito a ritenere che il legislatore abbia introdotto, con l’art. 96, 3° comma c.p.c., una forma di danno punitivo190. L’intento sarebbe quello di scoraggiare condotte di abuso del processo, tutelando l’efficienza e la funzionalità della macchina giudiziaria191. Così, a pochi mesi dall’entrata in vigore della legge, il Tribunale di Varese recitava: «attraverso la nuova previsione, viene introdotta una fattispecie a carattere sanzionatorio che prende le distanze dalla struttura tipica dell’illecito civile per confluire nelle c.d. condanne punitive (natura giuridica che in questi termini è confermata dai lavori parlamentari e dalla relazione al primo disegno di legge). Come ha autorevolmente osservato la dottrina, una previsione del genere ”assume le fogge di una ‘pena privata’ dal carattere inedito per il nostro ordinamento”192 […] Sulla scorta del nuovo grimaldello
190 Cfr. Trib. Varese, 23 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2229; Trib. Piacenza, 22
novembre 2010, in Guida al dir., 2011, n. 3, 46; Trib. Reggio Emilia, 25 settembre 2012, in. Corr. giur., 2013, 992; v. Buffone G., I rimedi per contrastare l'azione
temeraria: una prima lettura interpretativa, in Altalex, 2011; Nicotra F., Responsabilità aggravata ex art. 96 cpc: una fattispecie di danno punitivo, in
Altalex, 2015.
191 Cfr. Trib. Piacenza, 22 novembre 2010, in Guida al dir., 2011, n. 3, 46; v. Buffone
G., I rimedi per contrastare l'azione temeraria: una prima lettura interpretativa, cit.
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Luiso F.P.-Consolo C., Codice di procedura civile commentato, Milano, 2007, II, p. 3098.
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normativo, il giudice può (e, invero, deve) responsabilizzare la parte che abbia proposto una domanda giudiziale senza sperimentare alcuna seria soluzione conciliativa e adducendo - a sostegno delle proprie richieste - argomenti dai quali è possibile evincere un contegno tradottosi in un abuso dello strumento processuale. La norma risponde anche all’esigenza di preservare l’interesse pubblico a una giustizia sana e funzionale, scoraggiando il contenzioso fine a sé stesso che, aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi, crea nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e, spesso, necessità impellenti o urgenze nonché agli interessi pubblici primari dello Stato che, in conseguenza dei ritardi, è sottoposto alle sanzioni previste dalla l. 89/01, giusta l’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo»193. Dalla giurisprudenza di merito proviene un’ulteriore pronuncia194, con la quale siffatto giudice, «aderendo alla tesi già propugnata da parte della dottrina e condivisa dalla maggioritaria giurisprudenza di merito edita, ritiene che l'articolo 96, comma 3 c.p.c. introduca nell'ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia». Infatti, «è ben vero che la teorica del danno punitivo è sostanzialmente estranea alla storia del nostro diritto civile, ma è altrettanto vero che, per un verso, il contenuto letterale della norma pare inequivoco nel non presupporre l'esistenza di un danno di controparte; e per altro verso non vi sono parametri costituzionali che vietano al Legislatore di introdurre tale tipologia di danno». Tali soluzioni non sono state accolte da una diversa parte della dottrina e della giurisprudenza, ad avviso della quale non sarebbe
193 Cfr. Trib. Varese, 23 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2229. 194 Cfr. Trib. Piacenza, 22 novembre 2010, in Guida al dir., 2011, 3.
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ritagliabile, all’interno del nostro ordinamento, lo spazio per un trapianto dei punitive damages195. Alcuni autori hanno anche sottolineato come la traduzione più corretta della formula dovrebbe essere individuata in “risarcimento punitivo”, e non mediante l’utilizzo dell’espressione “danni punitivi”, sostenendo che il “damage” anglosassone non indichi tanto il pregiudizio patito dalla vittima, quanto piuttosto la somma di denaro al cui pagamento è tenuto l’autore del fatto196. In questo senso, il modello risarcitorio accoglierebbe la tradizione “differenzialista”, secondo cui il danno consisterebbe soltanto nella perdita subita, unitamente al mancato guadagno, al quale si riferirebbe l’art. 1223 c.c., applicabile anche in materia di illecito extracontrattuale per il tramite dell’art. 2056 c.c. Ne deriverebbe una estraneità dei punitive damages rispetto alla nostra esperienza giuridica.
La Corte di Cassazione, a seguito dell’entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, si è nuovamente pronunciata sulla delibazione delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi. In una prima occasione197, il giudice di legittimità ha avuto modo di ribadire come
«nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, né il medesimo ordinamento consente l'arricchimento se non sussista una causa
195 Morano Cinque E., Lite temeraria: la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., tra
funzione punitiva e funzione risarcitoria, cit., p. 1851; Di Marzio M., I danni punitivi, l’elemento psicologico e le impugnazioni, cit. Contro il riconoscimento
dei danni punitivi in Italia si è espresso Castronovo C., Del non risarcibile
aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Liber amicorum per F.D. Busnelli, II, 2008, p. 349.
196 Di Marzio M., I danni punitivi, l’elemento psicologico e le impugnazioni, cit. 197 Cfr. Cass., 8 febbraio 2012, n. 1781, in Foro it., 2012, 5, 1449.
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giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro». La Corte, uniformandosi alla predetta pronuncia del 2007198, aveva, perciò, assunto una costante posizione negativa quanto al riconoscimento delle decisioni straniere di condanna a danni punitivi. Nel maggio 2016, tuttavia, un’ordinanza interlocutoria pronunciata dalla Prima Sezione ha segnato una sostanziale discontinuità con i precedenti arresti199.Il caso era similare a quello deciso dalla Corte di
Cassazione nell’intervento del febbraio 2007 e ha preso le mosse da un’opposizione di una società italiana al riconoscimento di tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti d'America, con le quali il giudice aveva accolto la domanda di reintegrazione patrimoniale di una società americana, in ordine a un indennizzo corrisposto a un motociclista che aveva subito danni a seguito di un incidente automobilistico, per un difetto del casco protettivo prodotto dall’istante e rivenduto dall’altra parte. La società USA aveva ottenuto la condanna della produttrice dell’articolo alla refusione delle somme corrisposte dalla prima al danneggiato. La società italiana aveva, di conseguenza, proposto ricorso alla Corte di Cassazione contro la pronuncia emessa dalla Corte d’appello di Venezia, che aveva dichiarato efficaci ed esecutive le sentenze, escludendo che contenessero una condanna al pagamento di una somma a titolo di danni punitivi, senza tuttavia verificare, ad avviso della Prima Sezione, «la causa dell’attribuzione patrimoniale, le regole legali e/o i criteri applicati dal giudice americano nella liquidazione delle diverse voci di danno (neppure esplicitate) e, in definitiva, la ragionevolezza e proporzionalità del risarcimento». Da qui, la constatazione per la quale il «principio della non delibabilità, per
198 Cass., 19 gennaio 2007, n.1183, in Danno e resp., 2007, 1125. 199 Cfr. Cass., 16 maggio 2016, n. 9978, in Foro it., 2016.
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contrasto con l'ordine pubblico, della sentenza straniera che riconosca danni punitivi» susciterebbe talune perplessità. L’argomentazione prende avvio dall’esame dell’ambito applicativo di tale principio, inizialmente inteso come «espressione di un limite riferibile all'ordinamento giuridico nazionale, costituito dal complesso dei principi che, tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili, informano l'ordinamento giuridico e concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della società nazionale in un determinato momento storico» e, successivamente, come «complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria». In questo senso, l’ordinanza ha affermato che «l'ordine pubblico non si identifica con quello esclusivamente interno, poiché, altrimenti, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all'applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversità tra i sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato200», ma «potranno avere libero ingresso prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate direttamente dalla Costituzione». Da queste considerazioni, la Corte di Cassazione è arrivata ad affermare che «non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all'ordine pubblico internazionale) l'istituto di
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origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in concreto, che tenga conto delle "circostanze del caso di specie e dell'ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito"». L’ordinanza, richiamando le precedenti pronunce del gennaio 2007 e del febbraio 2012, ha messo in dubbio «se la funzione riparatoria-compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, sia davvero l'unica attribuibile al rimedio risarcitorio e se sia condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente» e anche «se al riconoscimento di statuizioni risarcitorie straniere, con funzione sanzionatoria, possa opporsi un principio di ordine pubblico desumibile da categorie e concetti di diritto interno, finendo, in tal modo, per trattare la sentenza straniera come se fosse una sentenza di merito emessa da un giudice italiano». Ad avviso del collegio, «si deve tenere conto sia dello scopo del giudizio delibatorio - che è di dare ingresso nell'ordinamento interno non alla legge straniera, ma ad una sentenza o ad un atto, nell'ambito di uno specifico rapporto giuridico, con limitata incidenza sul piano del diritto interno - sia della "evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente"». Sulla base di queste ragioni, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha giudicato opportuno un intervento delle Sezioni Unite in ordine alla riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi.
Tali conclusioni si pongono nel solco di un’evoluzione del sistema della responsabilità civile, che porta verso una sua dinamicità e
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polifunzionalità201, in una prospettiva tale da comprendere anche una finalità sanzionatoria - punitiva. Non a caso il collegio, nell’ordinanza in esame, ha ritenuto che «quando l’illecito incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, in quanto la determinazione del quantum è rimessa a valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative che non rispecchiano esattamente la lesione patita dal danneggiato». Ad avviso di alcuni studiosi, l’attenzione della Corte di Cassazione verso i numerosi indici normativi che testimonierebbero l’introduzione, all’interno del nostro ordinamento, di rimedi con funzione sostanzialmente sanzionatoria202, unitamente al mutamento del concetto di “ordine pubblico”, sarebbero sintomatici della possibile futura condivisione, da parte della Sezioni Unite, dell’impostazione dell’ordinanza di remissione. Tuttavia, «l’ipotetica generalizzazione del rimedio dei danni punitivi dovrebbe essere modulata, in ogni caso, tenendo conto dell’esigenza di effettività della tutela giurisdizionale e, dunque, riservata a quelle ipotesi in cui il rimedio sia funzionale ad assicurare una protezione piena e appunto effettiva della situazione giuridica soggettiva della quale di volta in volta si tratti, fermo restando che, proprio alla luce delle considerazioni diffusamente svolte dall’ordinanza di rimessione qui commentata, non sembrano costituire ormai un ostacolo ‘di sistema’ al recepimento nel
201 Scognamiglio C., I danni punitivi e le funzioni della responsabilità civile, in Corr.
Giur., 2016, 7, p. 912; Ponzanelli G., La delibabilità delle sentenze straniere
comminatorie di danni punitivi finalmente al vaglio delle Sezioni Unite - Possibile intervento delle Sezioni Unite sui danni punitivi, in Danno e resp., 2016, 8-9, p.
836; Gagliardi M., Uno spiraglio per i danni punitivi: ammissibile una sfumatura
sanzionatoria nel sistema di responsabilità civile, in Nuova giur. civ. comm., 2016,
10, p. 1289.
202 La Corte di Cassazione richiama a titolo esemplificativo la L. 8 febbraio 1948, n.
47, articolo 12; l'articolo 96 c.p.c., comma 3; l'articolo 709-ter c.p.c.; la L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 158 e, soprattutto, Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 125; il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187
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nostro ordinamento giuridico della categoria dei danni punitivi le premesse circa le funzioni della responsabilità civile, pure assunte dalla precedente giurisprudenza della Suprema Corte»203. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, si apre, dunque, «uno spiraglio»204 per i danni punitivi.
203 Scognamiglio C., I danni punitivi e le funzioni della responsabilità civile, cit., p.
919.
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Gagliardi M., Uno spiraglio per i danni punitivi: ammissibile una sfumatura
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