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La responsabilità ex art 96 c.p.c e l’abuso del processo

4.2. L’abuso del diritto

L’espressione “abuso del diritto” rimanda all’uso di un diritto o di un potere con forme scorrette, strumentali, eccedenti i limiti imposti dalla legge. Prima facie, l’avvicinamento del termine “diritto” a quello di “abuso” sembrerebbe contraddittorio. L’obiezione tradizionalmente mossa evidenza l’impossibilità logica e filosofica di delineare la figura in esame. Secondo tale impostazione, si tratterebbe meramente di valutare se l’atto sia conforme ovvero difforme a diritto, mentre tertium non datur207. Sotto questo punto di vista, l’abuso consisterebbe in un eccesso di diritto e sarebbe facilmente riassumibile con la formula “le droit cesse où l'abus commence”. La diversa opinione, che propende per la configurabilità del divieto di abuso del diritto, mostra lo scarto

e II, Padova, 2000; Ghirga M.F., La meritevolezza della tutela richiesta.

Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004;Dondi A.-

Giussani A., Appunti sul problema dell’abuso del processo civile in una

prospettiva de jure condendo, cit., p. 195; Comoglio L.P., Abuso del processo e garanzie costituzionali, cit., p. 319; Dondi A., Manifestazioni della nozione di abuso del processo civile, Riv. dir. proc., 2008, p. 319; Ghirga M.F., Abuso del processo e sanzioni, cit. Cfr. Cass., 10 aprile 2000, n. 108, in Giur. it., 2001, 1143;

Cass., 15 novembre 2007, n. 23726, in Foro it., 2008, 1514.

207 Orlandi M., Abuso del diritto e teoria della fonte, in Velluzzi V. (a cura di), L’abuso

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tra il piano della qualificazione formale, del riconoscimento della situazione giuridica soggettiva, e il diverso piano dinamico, del concreto esercizio, ove più propriamente la figura rileverebbe. Per la valutazione della bontà dell’esercizio del diritto non sarebbe, pertanto, sufficiente un mero confronto con la norma astratta, dovrebbe bensì essere considerato il momento attuativo208. Le prime formulazioni del

concetto sarebbero individuabili già nel diritto romano classico209, ove

il giudice doveva pronunciarsi sul comportamento dei contendenti in base al criterio della buona fede (iudicia bonae fidei) ed era previsto un rimedio generale volto a precludere l’esercizio fraudolento o improprio dei diritti (exceptio doli) ovvero finalizzato a nuocere ad altri (aemulatio). L’epoca dell’individualismo giuridico, che ha segnato le prime codificazioni dell’Ottocento, abbandonava, invece, ogni teorizzazione del concetto del divieto di abuso del diritto210. La certezza delle regole, che veniva garantita mediante una loro generalità, stabilità, resistenza, concepiva il giudice come “bouche de la lois”, lasciando pochi spazi al potere creativo del medesimo. Il successivo passaggio verso una «idea sociale»211 del diritto ha contribuito a una nuova elaborazione della figura, vista quale strumento diretto a risolvere le

208 Messina M., L’abuso del diritto, Napoli, 2003, p. 166; Uda G. M., La buona fede

nell’esecuzione del contratto, in (diretto da) Busnelli F.D., Patti S., Scalisi V., Zatti

P., Studi di diritto privato, Torino, 2004, p. 321; Robles M., Abuso del diritto e

dinamiche sanzionatorie nella prospettiva costituzionale, in Rass. dir. civ., 2009,

p. 770.

209 Rotondi M., L’abuso di diritto, in Riv. dir. civ., 1923; Riccobono S., La teoria

dell’abuso del diritto nella dottrina romana, in Capogrossi Colognesi L., (a cura

di), Bullettino dell’istituto di diritto Romano, 1939, p. 1; Quadrato R., L’abuso del

diritto nel linguaggio romano: la regula di Gai Inst. 1.53, in Bianco O.-Tafaro S.

(a cura di), Il linguaggio dei giuristi romani. Atti del convegno internazionale di

studi, Lecce, 5-6 dicembre 1994, Galatina, 2000, p. 65; Elsener U., Les racines romanistes de l’interdiction de l’abus de droit, Neuchâtel, 2000.

210 Solari G., L’individualismo e il diritto privato, Torino, 1959; Grossi P., L’Europa

del diritto, Roma-Bari, 2007, p. 99.

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eventuali lacune che un sistema necessariamente incompleto presenta. Il divieto sorgeva nell’ambito del diritto di proprietà e finiva per radicarsi progressivamente negli altri settori del diritto. Nell’attuale ordinamento giuridico italiano, è assente una norma espressa sul divieto di abuso del diritto. Il contesto culturale immediatamente precedente alla stesura del codice civile del 1942, che inquadrava la figura sotto un’ottica più etico morale che giuridica e la volontà di non indebolire il principio della certezza del diritto, aveva portato i codificatori a non introdurre la norma generale del progetto preliminare, secondo la quale: «nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto».

Il legislatore ha preferito introdurre alcune disposizioni specifiche con cui sanzionare l’abuso in relazione a determinate categorie di diritti, mediante le previsioni dell’art. 330 c.c., in materia di abuso della potestà genitoriale, dell’art. 1015 c.c., concernente l’abuso dell’usufruttuario, dell’art. 2793 c.c., relativo all’abuso della cosa data in pegno da parte del creditore pignoratizio e, in particolare, dell’art. 833 c.c., riguardante il divieto di atti emulativi, ma impiegata come disposizione volta a reprimere l’abuso dei diritti reali in genere e degli artt. 1175 e 1375 c.c. che consentono di sanzionare l’abuso di diritti relativi o di credito. Nondimeno parte della dottrina ricostruisce la figura come un principio generale non scritto212 e lo equipara a «un

principio ponte che alimenta di valori costituzionali le regole

212 Natoli U., Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento

giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 26; Robles M., Abuso del diritto e dinamiche sanzionatorie nella prospettiva costituzionale, cit., p. 755.

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codicistiche» e che, «per converso, attinge dalle regole stesse la sua dimensione operativa»213.

Dall’idea di abuso del diritto è possibile ricavare delle indicazioni generali. Innanzitutto, non è possibile parlare di “abuso”, se non in relazione a una situazione soggettiva di cui si è titolari. Qualsiasi condotta posta in essere da un soggetto diverso dal titolare non integra una forma di abuso, bensì un’usurpazione, un’integrazione di un atto nullo, invalido, abusivo, abnorme214. Analoghe conclusioni possono riscontrarsi in campo processuale, ove l’atto realizzato da chi non è legittimato ad agire non rappresenta un abuso, quanto piuttosto un difetto di legittimazione attiva o passiva. A tali considerazioni ne conseguono difficoltà di delimitazione dello spazio entro il quale esercitare il diritto, la facoltà, il potere, atteso che il caso concreto attribuisce a chi è legittimato una scelta tra differenti contegni non facilmente determinabili a priori. Sorgono così alcune complessità soprattutto ove si volga lo sguardo all’ambito processuale e all’esercizio di attività coperte da garanzie costituzionali, in ordine alle quali è necessario dettagliare l’eventuale esistenza di limiti all’utilizzo di detti strumenti. In questa prospettiva, data la maggiore discrezionalità ravvisabile nella valutazione degli scopi da perseguire piuttosto che nelle modalità con le quali raggiungere i medesimi, sarebbe possibile considerare l’abuso dei rimedi processuali alla luce dei fini della scelta operata della parte, più che delle modalità adoperate e solitamente dettagliate dal legislatore. Da un lato, l’utilizzo di uno strumento

213 Busnelli F.D.-Navarretta E., Abuso del diritto e responsabilità civile, in AA.VV.

L’abuso del diritto,Padova, 1998, p. 186.

214

Taruffo M., Elementi per una definizione di abuso del processo, cit., p. 439; Ansanelli V., Abuso del processo, in Dig. civ., Agg., I, Torino, 2007; Comoglio L.P., Abuso del processo e garanzie costituzionali, cit., p. 327.

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processuale è orientato al raggiungimento di un certo risultato, dall’altro lato, l’opzione è condizionata dalla sussistenza di mezzi che l’ordinamento fornisca alla parte. In altre parole, non è consentito perseguire fini difformi rispetto a quelli messi a disposizione della legge processuale. Nell’ambito di questo rapporto di biunivocità, si pone un criterio di distinzione tra i concetti di “uso” e “abuso”: l’abuso può essere qualificato come l’utilizzo di uno strumento con l’intento di raggiungere uno scopo improprio. Un ulteriore parametro potrebbe essere quello di valutare il fine dal punto di vista della sua illiceità ovvero illegittimità. Ne discenderebbe la necessità di individuare taluni parametri atti a classificare in termini negativi i propositi, la qualificazione dei quali estenderebbe o meno l’area delle fattispecie abusive. Tuttavia, il sol fatto che dello strumento sia fatto un uso legittimo o proprio non è sufficiente a escludere eventuali conseguenze pregiudizievoli. Basti pensare, in ambito processuale, a un pignoramento ovvero a un’istanza di fallimento, i quali, pur lecitamente impiegati, possono portare con sé gravose ripercussioni negative. Appare, sul punto, opportuno un attento accertamento di queste conseguenze, valutando la correlazione tra l’effetto prodotto e l’uso del mezzo.