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La liquidazione della somma

L’art 96, 3° comma c.p.c.

2.6. La liquidazione della somma

L’art. 96, 3° comma c.p.c. prescrive che il giudice possa condannare la parte soccombente al pagamento “di una somma equitativamente determinata”. Il potere ex officio introdotto dalla fattispecie è più ampio di quello riconosciuto dal 1° e dal 2° comma, in quanto non concerne soltanto il quantum, ma anche l’an debeatur.

A differenza della previsione dell’art. 385, 4° comma c.p.c. che individuava, quale tetto della liquidazione, il doppio dei massimi tariffari, la norma introdotta con l. 18 giugno 2009, n. 69 omette qualsiasi riferimento in ordine ai criteri di quantificazione della somma. In realtà, il progetto originario prevedeva espressamente che la misura dovesse essere ricompresa in una somma non inferiore alla metà e non superiore al doppio dei massimi tariffari. La sanzione era stata successivamente sostituita con l’introduzione di un emendamento e la previsione di una misura minima e una massima, rispettivamente di euro 1.000 e euro 20.000. Secondo una prima ricostruzione, la mancata predeterminazione degli indici di liquidazione rimanderebbe a una libera scelta del legislatore, volta a non vincolare il giudice all’adozione di rigidi criteri a fronte di casi che non possono essere oggetto di previa

145Porreca P., Il governo delle spese processuali dopo la legge n. 69 del 2009, cit., p.

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determinazione, preferendo, invece, una valutazione del caso concreto146. In base a un diverso orientamento, la lacuna sarebbe da ricondurre a una disattenzione del legislatore, a cui sarebbe opportuno soccorrere mediante l’utilizzo di appositi parametri di quantificazione. A tale riguardo, vi è chi ha ritenuto di colmare la mancanza impiegando i criteri di quantificazione del danno da lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, introdotti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo147. Quest’ultima usa come riferimento base una

somma variante tra gli euro 1000 e gli euro 1500, per anno di durata della procedura, alla quale potranno essere applicati aumenti percentuali in relazione a quanto liquidato a titolo di spese. Questa soluzione viene criticata, in quanto gli indici elaborati a livello sovranazionale sono pensati per fattispecie indennitarie, e non risarcitorie o sanzionatorie. Ulteriore riferimento è stato ravvisato nelle misure di cui al decreto ministeriale, 20 luglio 2012, n. 140, recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia. Anche l’adozione di tali provvedimenti desta qualche perplessità in ordine alla diversità tra l’istituto della refusione delle spese e quello della condanna per responsabilità processuale aggravata. Nella casistica è, inoltre, possibile riscontrare come gli organi giudiziari finiscano per calcolare la somma talvolta sulla base di importi irrisori, rischiando di svuotare di significato la condanna, talaltra sulla scorta di somme consistenti, perseguendo un intento rigorosamente punitivo. Altre pronunce hanno individuato,

146 Cfr. Trib. min. Milano, 4 marzo 2011, in Fam. dir., 2011, 809. 147

Cfr. Trib. Milano, 8 febbraio 2010, in Corr. mer., 2010, 371; Trib. Oristano, 17 novembre 2010, in Foro it., 2011; Trib. Piacenza, 7 dicembre 2010, in Giur. it., 2011, 2568.

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quale metro di riferimento, il valore della controversia o della decisione adottata148. In tal senso, tuttavia, sarebbe necessario considerare come anche una causa il cui valore economico sia minimo possa risultare onerosa e gravosa149. Vi è poi chi ha tenuto conto di altri aspetti, quali l’intensità dell’elemento soggettivo, la gravità del contegno abusivo, l’incidenza sulla durata150 o ancora la quantificazione dell’ingiusto

profitto che l’attore presumeva di ricavare151. In dottrina e in

giurisprudenza, si è osservato che la liquidazione equitativa debba avvenire prendendo a riferimento, non soltanto dei parametri oggettivi, ma anche le capacità economiche e patrimoniali delle parti152. La finalità sarebbe quella di valutare la sostenibilità della lite da parte dei contendenti ed evitare che la condanna si traduca in un grave e serio onere a danno della parte non economicamente abbiente e in una somma irrisoria per la parte benestante. Sono prevalentemente criteri che mostrano una preferenza verso la tutela dell’interesse privato rispetto a quella dell’interesse pubblico. Non sono ciononostante mancate pronunce dirette a promuovere valori pubblicistici, per le quali il criterio equitativo non deve tanto rapportarsi al singolo processo, quanto piuttosto a esigenze legate all’apparato giustizia e al risparmio di risorse del sistema153.

La dottrina si interroga pure sull’utilizzazione degli indici adoperati dall’art. 614-bis c.p.c., introdotto con la legge 18 giugno 2009, n. 69.

148 Cfr. Trib. Lodi, 1 aprile 2011.

149 Mazzola M.A., Responsabilità processuale, Milano, 2013, p. 157. 150 Cfr. Trib. Rovigo, Sez. dist. Adria, 7 dicembre 2010, in Altalex. 151 Cfr. Trib. Milano, 11 gennaio 2012, in Danno e resp., 2012, 6, 661. 152

Alessandri N., Competenza, giurisdizione, fatti pacifici e condanna alle spese nella

riforma 2009, in Convegno sulla riforma del codice di procedura civile, Bologna,

14 settembre 2009, p. 23; Cfr. Trib. Terni, 17 maggio 2010, in Giur. it., 2011, 143.

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La previsione non rimette alla discrezionalità del giudice la valutazione della somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento e la determinazione dell’ammontare della stessa, bensì è il legislatore aindicare i criteri di valutazione da commisurare al caso concreto. Al riguardo, i sostenitori della tesi secondo la quale l’art. 96, 3° comma c.p.c. avrebbe la natura di rimedio punitivo ravvisano delle difficoltà di adattamento di siffatti riferimenti nell’ambito di applicabilità di una sanzione, rispetto alle diverse ipotesi di quantificazione di un danno.

Alcuni autori si sono soffermati sulla motivazione della liquidazione, evidenziandone il rilevante ruolo che andrebbe a svolgere nell’aiutare la parte a comprendere le ragioni che hanno portato l’autorità a esercitare il potere equitativo. La volontà sarebbe quella di consentire alla parte di operare un controllo dei provvedimenti adottati sulla base dei più vari criteri di liquidazione, data la mancanza di alcuna cornice edittale o di parametri di riferimento.

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CAPITOLO III