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Il problema dell'abduzione in Peirce. Segno e interpretazione applicati alla detective story.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e Politiche Sociali

Tesi di Laurea Magistrale

Il problema dell’abduzione in Peirce.

Segno e interpretazione applicati alla detective story.

Candidata: Relatore:

Maria Sara Angeli Prof. Riccardo Venturini

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INDICE:

Introduzione p. 1

PARTE I: L’abduzione di Peirce

Capitolo 1: Il Pragmatismo p. 3

1.1 Teoria della verità nel pragmatismo p. 3 1.2 I metodi per arrivare alla certezza della credenza e il primato del

metodo scientifico p. 6

1.3 L’ottica di Peirce p. 9

Capitolo 2: Semiotica e teoria dei segni p. 12

2.1 Fenomenologia e dottrina delle categorie p. 12

2.2 Il triangolo semiotico e la semiosi illimitata p. 14

2.3 Analisi dei segni p. 20

2.3.1 Icona, Indice e Simbolo p. 22

Capitolo 3: Abduzione, Deduzione, Induzione p. 25

3.1 Il processo inferenziale p. 25

3.1.1 Deduzione p. 31

3.1.2 Induzione p. 33

3.1.3 Abduzione p. 34

3.2 Ordine epistemologico dei tre tipi di inferenza p. 37

PARTE II: Peirce vs Sherlock

Capitolo 4: L’abduzione di Peirce e il ragionare all’indietro

di Sherlock Holmes p. 39

4.1 Abduzione e interpretazione in Peirce p. 40

4.2 L’abduzione di Sherlock Holmes p. 45

4.3 Le abduzioni di Peirce e l’applicazione di Holmes p. 49

4.4 Metodo di Holmes e metodologia della ricerca scientifica p. 51 4.4.1 Il ragionamento a posteriori, costruzione del dato e sfondo teorico p. 51

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4.4.2 Immaginazione, congetture e confutazioni p. 54

4.4.3 Il punto di vista dell’altro, causazione e tipicità p. 56

Capitolo 5: Abduzioni nei romanzi e nei racconti di Sherlock Holmes p. 61

5.1 Le abduzioni ipercodificate di Sherlock Holmes p. 62

5.2 Le abduzioni ipocodificate di Sherlock Holmes p. 66

5.3 Le abduzioni creative di Sherlock Holmes p. 73

Capitolo 6: Sherlock Holmes e la società vittoriana e edoardiana p. 79

6.1 I mestieri p. 80

6.2 Le donne nella società vittoriana e edoardiana p. 85

6.3 Crimini e criminali p. 93

Conclusioni p. 103

Bibliografia p. 107

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«L'induzione non può mai dare luogo a una nuova idea. E neppure la deduzione. Tutte le idee della scienza vengono alla scienza

attraverso la via dell'Abduzione. L'abduzione consiste nello studio dei fatti e nell'escogitazione di una teoria per spiegarli». (C. S. Peirce, CP 5.145).

«Le nostre idee devono essere grandiose quanto la natura, se devono interpretare la natura stessa».

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Introduzione.

Uno dei temi salienti del pensiero di Charles S. Peirce è lo studio sulle diverse modalità di ragionamento. La logica tradizionale aveva sviluppato due tipi di ragionamento, vale a dire la deduzione e l’induzione. Peirce ne aggiunge un terzo, l’abduzione. Il ragionamento abduttivo ha un carattere interpretativo e consiste nell’adozione di un’ipotesi per spiegare i fenomeni dell’esperienza. Si procede quindi dal fenomeno stesso per risalire alla premessa. L’adozione dell’ipotesi comporta una selezione tra diverse alternative plausibili che potrebbero spiegare il fenomeno. L’abduzione è un tipo di ragionamento utile non soltanto nell'ambito della teoria scientifica, come aveva ipotizzato Peirce. L'abduzione ha infatti un carattere interdisciplinare e può prestarsi ad altri ambiti d’indagine come nella medicina, nella psicologia cognitiva, nella ricerca sociale o, nel nostro caso, nella detective story.

In questa tesi confronteremo le abduzioni scientifiche teorizzate da Peirce con le abduzioni che ricorrono nella detective story. Adotteremo Sherlock Holmes come prototipo di detective che formula dei ragionamenti abduttivi. Nell’indagine poliziesca si esordisce con l’esame della scena del crimine e si risale alle vicende personali della vittima, fino a individuare il movente del delitto e formulare l’ipotesi relativa all’identità dell’assassino. Il ragionamento abduttivo si basa sull’interpretazione dei segni che emergono nel quadro indiziario. In questo modo è possibile far emergere diverse ipotesi esplicative. Si ha una circolarità tra l’individuazione dei segni e la formulazione delle ipotesi tese alla risoluzione del caso.

Il lavoro si compone di due parti: nella prima parte, analizzeremo gli scritti di Charles S. Peirce sul problema dell’abduzione; nella seconda parte, prenderemo in esame l’applicazione dell’abduzione nel contesto della detective story.

Il primo capitolo, rappresenterà una ricostruzione dei principali temi dell’epistemologia di Peirce, vale a dire la concezione della conoscenza come un processo inferenziale, la relazione tra dubbio e credenza, la classificazione dei metodi per giungere alla credenza e la circolarità tra pensiero, segno e realtà. Nel secondo capitolo, esplicheremo i motivi della chiave di lettura interpretativista adottata in questa tesi, vedremo come il significato di una realtà sia legato all’analisi del segno. La realtà non è un riflesso del mondo esterno, immutabile e uniforme, ma si costituisce attraverso l’interpretazione dei segni: tutta la realtà è un segno. Vedremo l’analisi del segno proposta da Peirce sulla

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base della fenomenologia delle categorie (primità, secondità e terzità) e le principali tricotomie derivate dall’analisi del segno. Nel terzo capitolo proporremo un confronto tra le modalità di ragionamento (deduzione, induzione e abduzione) e faremo emergere il tema dell’abduzione, le sue caratteristiche di innovazione, rischiosità e creatività interpretativa. Nel quarto capitolo, analizzeremo le differenze tra le abduzioni scientifiche di Peirce e le abduzioni che Holmes formula nel corso delle sue indagini. Seguendo le indicazioni di Eco, Bonfantini e Proni, elencheremo i tipi di abduzione più ricorrenti nelle narrazioni di Doyle, in virtù del diverso grado di creatività interpretativa: abduzione ipercodificata, abduzione ipocodificata, abduzione creativa e meta-abduzione. Inoltre, confronteremo alcune tecniche di Holmes con le procedure della metodologia di ricerca scientifica. Nel quinto capitolo, proporremo dei brani in cui sono presenti i ragionamenti abduttivi di Holmes, contraddistinti ora dall’immediatezza dell’interpretazione (abduzione ipercodificata), ora dalla selezione dell’ipotesi più plausibile in virtù del legame tra i segni e il suo bagaglio di conoscenze (abduzione ipocodificata), ora da una maggiore creatività interpretativa (abduzione creativa). Nel sesto capitolo, illustreremo alcuni brani nei quali emergono i ragionamenti abduttivi ipocodificati. Mostreremo come Holmes sia in grado di usare abduttivamente la cultura vittoriana e edoardiana riuscendo a riconoscere e interpretare i segni relativi ai tipici comportamenti delle classi lavoratrici, del mondo femminile e del mondo criminale.

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PARTE I: L’abduzione di Peirce.

Capitolo 1: Il pragmatismo.

1.1 Teoria della verità nel pragmatismo.

Il pragmatismo può essere distinto in due filoni che fanno capo rispettivamente a William James e Charles S. Peirce. Il filone di James è quello che diviene famoso e approda anche in Europa, mentre quello di Peirce è conosciuto limitatamente nei circoli di studio americani, emergendo nel vecchio continente soltanto negli ultimi anni1. Peirce conia il termine pragmaticismo, al fine di mantenere l’originale essenza del pragmatismo che lui intendeva2.

Secondo Peirce, il pragmatismo non deve essere considerato una dottrina metafisica che ha la pretesa di stabilire la verità delle cose, quanto piuttosto un metodo per accertare il significato dei “concetti”. La qualità dei concetti è legata agli effetti che gli individui attribuiscono agli oggetti della loro riflessione. Inoltre, l’insieme di questi effetti diviene la concezione stessa dell’oggetto in questione3.Di conseguenza, tra un concetto e una qualità vi è un rapporto circolare che si articola su un’attribuzione di senso. Scrive

1 C. Sini , Il pragmatismo americano, Laterza, Bari, 1972, pp. 9-10.

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Secondo Peirce, la riflessione filosofica deve seguire i criteri del metodo scientifico e della discussione “pubblica” tra sperimentatori. In James, invece, la riflessione filosofica si dilata al di là dell’ambito scientifico e si sviluppa in una teoria della verità come utilità per l’uomo della strada. James dice che è necessario riformulare, scrive Calcaterra, «[...] il principio di Peirce dicendo che il reale significato di ogni proposizione filosofica può essere sempre ricondotto a qualche conseguenza particolare nella nostra esperienza pratica futura, sia essa attiva o passiva; poiché l'essenziale è che l'esperienza sia pratica e non che sia attiva». R. M. Calcaterra, Pragmatismo, i valori dell’esperienza,Carocci, Roma, 2003, p. 89. Si può quindi adottare la distinzione proposta da Massaro e porre da un lato il pragmatismo “metodologico” di Peirce e dall’altro quello “metafisico” di James. Quando Peirce parla di pratiche, infatti, intende vagliare metodi e procedure logiche con cui verificare i concetti, quindi il problema si pone da un punto di vista logico, non ha alcun riferimento di natura morale o etica. Il pragmatismo di Peirce può essere definito “la teoria della corretta inferenza”: si parte da un dato un concetto, se ne vedono le implicazioni logiche, si formulano inferenze scientifiche. D. Massaro, La comunicazione

filosofica, vol. 3, Il pensiero contemporaneo, Paravia, Trento, 2002

3 Peirce ricorre a un parallelo: da un lato, pone il concetto di “rosso”, che attinge a una sensazione soggettiva (lo stimolo ricevuto dal nervo ottico); dall’altro, parla della “durezza”, che esprime il comportamento oggettivo delle cose. A un oggetto si attribuisce o meno la caratteristica della durezza se la superficie può essere scalfita o meno da una punta di coltello. I «concetti intellettuali» si contraddistinguono, quindi, perché non si limitano a esprimere una sensazione, ma delle potenziali azioni di un comportamento. C. S. Peirce, Pragmatism (1907) in The Essential Peirce, vol. II (1893-1913), a cura del PEIRCE EDITION PROJECT, Indiana University Press, Indianopolis and Bloomington 1986; Trad.it. Pragmatismo in G. Maddalena (a cura di) Pragmatismo e oltre, Bompiani, Milano, 2000, p. 59

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Peirce: «Consolidare quali effetti, che possono concepibilmente avere portate pratiche, noi pensiamo che l'oggetto della nostra concezione abbia. Allora la concezione di questi effetti è l'intera nostra concezione dell'oggetto»4.

Il carattere circolare del pensiero investe anche un altro aspetto essenziale del pragmatismo, vale a dire la relazione tra dubbio e credenza, presente nella ricerca. Il dubbio si contraddistingue per la sua natura “irritante”: è uno stato di profonda inquietudine e agitazione, dovuto all’insorgere di un fatto che non può essere spiegato a causa dell’inidoneità dalla certezza iniziale. La ricerca è una “lotta”, un’attività specifica per fuoriuscire dallo stato di dubbio5, è un processo di tipo sperimentale volto alla risoluzione di bisogni effettivi, lineare a una visione dell’esperienza non solo in termini cognitivi, ma anche della concretezza della quotidianità. L’esito della ricerca è lo stabilirsi di una nuova credenza, una nuova certezza. Raggiunto lo stadio della credenza, il pensiero si rilassa ma quello che sembra un punto di arrivo è, in realtà, un altro punto di partenza. Quella linea d’azione conduce a nuovi dubbi e da lì l’esigenza di successiva ricerca fino all’approdo a una nuova credenza e così via.

Lo scopo del ragionamento è individuare, partendo da ciò che si conosce, quello che è ancora ignoto e può ritenersi valido. È valido ciò che conduce a una conclusione ritenuta “vera”, partendo da premesse “vere”. Ciò che fa giungere a un’inferenza piuttosto che un’altra è un certo abito precedentemente acquisito che potrà dimostrarsi più o meno valido rispetto alle premesse. Il passaggio dal noto all’ignoto e la relazione circolare tra dubbio e credenza sembrano quindi configurare un’idea di certezza valida sempre fino a prova contraria.

Le proprietà della credenza sono la consapevolezza, la tendenza a collegare comportamenti e circostanze simili e l’economicità. La credenza è uno stato d’animo di cui si ha consapevolezza, è una condizione percepita come naturale e che comporta uno

4 C. S. Peirce, How to Make Our Ideas Clear in «Popular Science Monthly » Vol. 12, 1878, pp. 286-303, in Writing of Charles S. Peirce, vol. 3, a cura del PEIRCE EDITION PROJECT, Indiana University Press, Indianopolis and Bloomington 1986, p. 266; Trad.it. Come rendere chiare le nostre idee, in N. e M. Abbagnano (a cura di) , in Caso, Amore e Logica, Taylor, Torino, 1956.

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Secondo Campelli Peirce si scaglia contro la definizione cartesiana del dubbio: nella concezione dello studioso americano il dubbio non è metodico, universale e astratto (non è un atteggiamento filosofico), ma emerge da un’effettiva situazione di indecisione che nasce dalla necessità di fare scelte concrete. Scrive Campelli: «Il dubbio assoluto è una funzione per la mente, e non configura l’inizio di alcun processo reale […] il dubbio genuino nasce per ragioni concrete nell’urgenza delle cose reali». E. Campelli, Da un luogo comune, Carocci, Roma, 2000, p. 265.

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stato di auto-soddisfacimento che vede una linearità spontanea con il modo di agire6.E’ uno stato di quiete cui l’uomo non desidera rinunciare. Scrive Peirce: «La credenza non è un modo momentaneo della coscienza; è un abito della mente che per essenza dura nel tempo […] e come altri abiti se ne sta perfettamente soddisfatto di sé sino a quando non incontra qualche sorpresa che dà principio alla sua dissoluzione»7. E ancora: «[…] Una credenza può essere distrutta solo quando si verifichi qualche nuova esperienza, di carattere esterno o interno»8. L’essenza e la funzione della credenza è lo stabilirsi di un abito che Peirce definisce come «la tendenza a comportarsi effettivamente in modo simile in circostanze simili in futuro»9, ma che non può essere eterno. Scrive Peirce: «La credenza, per il tempo che sussiste, costituisce un'abitudine e, come tale, costringe l'uomo a credere finché un elemento improvviso non distrugga l'abitudine»10. Infine, la credenza può considerarsi “economica”, ossia una situazione di efficace adattamento all’ambiente che ciascuno cerca di mantenere il più a lungo possibile, resistendo al dubbio11,seppur sia inevitabile il ripresentarsi (con l’insorgere di nuove situazioni) di questo circuito senza fine12.

6 W.B. Gallie, Peirce and pragmatism, Penguin Books, Harmondsworth; Trad.It., Introduzione a Charles

S. Peirce e al pragmatismo, Roberto Tettucci (a cura di), Universitaria G. Barbera, Firenze, 1965

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C. S. Peirce, CP, (5.417), What the Pragmatism is in «The Monist », vol. 15, 1905, pp. 161-181; Trad. It., Che cos'è il pragmatismo in M. A. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni (a cura di), Le leggi delle ipotesi, Bompiani, Milano, 1984, p. 138

8 C. S. Peirce, CP (5.524) in W. B. Gallie, Op. Cit. 9

C. S. Peirce, Pragmatism (1907) in The Essential Peirce, vol. 2 (1893-1913), a cura del PEIRCE EDITION PROJECT, Indiana University Press, Indianopolis and Bloomington 1986; Trad.it.

Pragmatismo in G. Maddalena (a cura di), Op. Cit, p. 99

10 C. S. Peirce, CP (5.524) in W. B. Gallie, Op. Cit. 11

Ponendo a confronto i due diversi stati d’animo che accompagnano il dubbio e la credenza, Peirce scrive: «[...] la credenza non ci fa agire subito, ma ci mette in condizione di comportarci in un certo modo, quando si presenta l'occasione. Il dubbio non ha assolutamente un effetto attivo del genere, ma ci stimola alla ricerca, finché non viene distrutto». C. S. Peirce, CP (5.373), The Fixation of Belief in «The Popular Science Monthly», vol. 12, 1877, pp. 1-15; Trad. It., Il fissarsi della credenza in M. A. Bonfantini, R. Grazia e G. Proni (a cura di), Op. Cit., pp. 90-91 La differenza tra credenza e dubbio è di natura «pratica», poiché le credenze modellano l’azione dell’uomo in virtù dell’abito acquisito, mentre dal dubbio non può scaturire un simile effetto. Se l’obiettivo della ricerca è lo stabilirsi di un abito, il dubbio, scrive Peirce: «[…] non è un abito, ma privazione di un abito: come privazione di un abito non può essere altro che attività erratica che in qualche modo dovrà essere sostituita da un abito». C. S. Peirce, CP (5.417) in What the Pragmatism is in «The Monist », vol. 15, 1905, pp. 161-181; Trad. It., Che cos'è il

pragmatismo in M. A. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni (a cura di), Op. Cit., p. 138

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1.2 I metodi per arrivare alla certezza della credenza e il primato del metodo scientifico.

Peirce elenca gerarchicamente i metodi che consentono l’approdo alla credenza: la tenacia personale, il criterio dell’autorità, il metodo metafisico o “a priori” e il metodo scientifico13.

Il metodo della tenacia personale consiste nel rifiuto di mettere in discussione le proprie idee, ancorandosi a conoscenze pregresse per non far insorgere quello stato disagevole di dubbio «allontanando sistematicamente dalla propria vista tutto ciò che può causare mutamento delle opinioni»14.

Il metodo autoritario esclude altre possibili opinioni, riducendo al silenzio, con il terrore, chi non condivide quelle esistenti. Questi primi due metodi dimostrano un rifiuto a esporsi al rischio del dubbio, mantenendosi fedeli alle proprie opinioni o seguendo scrupolosamente quelle imposte da un’autorità esterna. Il primo, però, è destinato a fallire, perché è in contrasto con l'impulso sociale15;il secondo fa superare le idiosincrasie individuali con il proprio gruppo sociale, ma anch'esso con il tempo subirà lo stesso destino del primo16.

Il metodo metafisico è detto “a priori” poiché comporta l’accettare per vero qualcosa senza alcuna conferma empirica, perché «in accordo con la ragione» ossia con ciò in cui siamo portati a credere. Questo metodo appare più idoneo dei precedenti poiché è un tentativo di epurare le nostre opinioni dall’elemento accidentale, ma finisce con il riprodurre gli elementi critici degli altri due. Usa infatti i criteri dogmatici della logica matematica, ma senza riscontro empirico, in quanto è “auto-convalidato” da cognizioni soggettive. Particolarmente preoccupante è la confusione che potrebbe scaturire tra “verità a priori” e certezze tipiche del senso comune.

13

Come osserva Calcaterra, questo ordine è stato stabilito seguendo il criterio della “socialità” e per ogni metodo è stato spiegato il meccanismo psicologico sottostante. Punto fondamentale è la capacità delle credenze pervenute di trovare convalida in quel percorso tortuoso di ricerca della verità e del consenso della comunità scientifica. R. M. Calcaterra., Op. Cit., p. 68

14

C. S. Peirce, CP (5.377) in C. Sini, Op. Cit., p. 191

15 Sini osserva che l’errore fondamentale di questo metodo è non aver compreso il carattere “pubblico” della verità che gli uomini inevitabilmente si influenzano reciprocamente e lo stabilirsi della credenza non è una questione che concerne il singolo individuo. C. Sini, Ivi, p. 192

16

Proni osservache i primi due metodi sono legati alla comunicazione tra culture e che le modalità per difendere le credenze sono analoghe. La differenza sostanziale è che nel metodo della tenacia l'individuo crede che le credenze difese siano le sue, in quello autoritario che gli siano imposte dalla comunità. (Proni, 2015) G. Proni, Da Peirce a Sennett: pragmatismo e progetto in Su Peirce. Interpretazioni,

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Il metodo scientifico, cui Peirce riconosce il primato, ha la caratteristica di concepire la verità come "qualcosa di pubblico"17. Si tratta di una norma necessaria e un criterio di validità che rende questo procedimento più proficuo rispetto agli altri. E’ l’unico in grado di distinguere modalità giuste e sbagliate di procedere nel percorso della conoscenza18. Le credenze infatti sono determinate da «permanenze esterne» e nulla di umano. Tale permanenza esterna, continua Peirce, deve esercitare la sua «effettualità» su tutti gli uomini19.

L’applicazione del metodo scientifico conferisce alla ricerca una garanzia sulla “sicurezza” del ragionamento ma non può dirsi altrettanto della sua “fecondità” 20

. Si tratta di un punto fondamentale nelle riflessioni di Peirce: lo scopo della ricerca è l’affermazione della credenza, ma questo non implica che essa sia vera. Scrive Peirce:

Si potrebbe supporre che […] noi andiamo in cerca non meramente di un'opinione, ma di un'opinione vera. Ma se mettete alla prova questa

17

Secondo Calcaterra esiste un punto di contatto tra il criterio di socialità di Peirce e quello di Wittgenstein. Esaminando la nozione di regola, Wittgenstein dice che il suo carattere normativo deriva dal consolidamento di una certa «pratica», vale a dire dall’uso comunitario delle regole. Entrambi gli autori non ritengono possibile l’esistenza di un linguaggio “privato”, poiché il linguaggio è inteso come frutto di interazione e di intersoggettività. Quando Wittgenstein parla del linguaggio o della parola come di un «gioco linguistico» sta affermando che l'uso del linguaggio ha luogo in un contesto di attività e di consuetudini sociali. L’apprendimento e l’uso del linguaggio presuppongono quindi le interazioni sociali: i giochi linguistici sono articolazioni di reazioni pre-linguistiche e sono, in quanto configurazioni simboliche e soggette a regole, dipendenti dalle attività che di volta in volta fissano l'applicazione e la condivisione delle regole stesse. Se ciò non avviene il linguaggio non ha senso. Analogamente, secondo Peirce, il carattere pubblico della realtà è il risultato di un processo di inferenze segniche che si formano nell’ambito delle esperienze conoscitive, sempre all’interno della società. Da qui il primato del metodo scientifico come garanzia dei risultati pervenuti. R. M. Calcaterra, Op. Cit.

18Scrive Peirce: «[…] Per soddisfare i nostri dubbi, è necessario trovare un metodo in base al quale le

nostre credenze siano determinate da niente di umano, bensì da qualche permanenza esterna - da qualcosa sopra cui il nostro pensiero non abbia nessun effetto [...] Tale permanenza esterna deve essere qualcosa che esercita la sua effettualità […] su tutti gli uomini […] il metodo deve essere tale che la conclusione ultima di ciascuno sia la medesima. Questo è il metodo della scienza. La sua ipotesi fondamentale, resa in linguaggio più famigliare è la seguente: Ci sono cose Reali, le cui caratteristiche sono interamente indipendenti dalle nostre opinioni [...]» C. S. Peirce, CP (5.384) in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, (a cura di), Op. Cit., p. XXVII

19

C. S. Peirce, CP (5.384) in Collected Papers, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1931-1935; Trad. It., Semiotica, I fondamenti della semiotica cognitiva, M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, (a cura di), Einaudi, Torino, 1980, p. XXVII

20

La scelta di questo termine non è stata casuale. Scrive Peirce in merito: «[...] Difficilmente si può pensare che io abbia scelto l'inusuale parola “fecondità” (uberty) invece di “fruttuosità” (fruitfulness) solo perché è scritta con la metà delle lettere. Le osservazioni possono essere fruttuose quando vuoi, ma non si può dire che siano gravide di giovane verità nel senso in cui può esserlo il ragionamento, non a causa della natura del soggetto che considera, ma per il modo in cui è supportato dall'istinto raziocinante» C. S. Peirce, An Essay Toward Improving Our Reasoning In Security and in Uberty (1913), in The Essential

Peirce, vol.2 (1893-1913), a cura del PEIRCE EDITION PROJECT, Indiana University Press,

Indianopolis and Bloomington 1986; Trad.it., Un saggio per migliorare il nostro ragionamento, in G. Maddalena (a cura di), Op. Cit., p. 261 (corsivo di Peirce).

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supposizione, la troverete senza fondamento: infatti, appena raggiungerete una salda credenza, siete perfettamente soddisfatti, sia che la credenza sia vera, oppure falsa. Ed è chiaro che nulla fuori dalla nostra conoscenza può essere nostro obiettivo [...] Possiamo al massimo sostenere che andiamo in cerca di una credenza che

crederemo vera. Ma sostenerlo è una mera tautologia: infatti, di

ognuna delle nostre credenze crediamo che sia vera21.

La “fecondità” non è un requisito necessario: la ricerca scientifica nasce nell’eterno circolo tra dubbio e credenza e il suo metodo si basa sul realismo e sul fallibilismo. Il realismo, infatti, presuppone il confronto anche falsificante con l’esperienza e il conseguente fallibilismo è definito da Peirce come «la dottrina secondo la quale la nostra conoscenza non è mai assoluta, ma nuota sempre, per così dire, in un continuum di incertezza e indeterminazione»22. Le riflessioni di Peirce possono considerarsi delle linee guida per un ottimale ragionamento e l’essenza stessa del pragmatismo sembra essere l’estensione e l’applicazione del metodo scientifico alle riflessioni filosofiche23. Peirce era inoltre interessato alla portata pratica degli effetti scaturiti dalla credenza nel predisporre un abito: giunti alla credenza non è quindi necessario che sia vera. La credenza fissa un abito e quindi ciò che la caratterizza è che, in quanto fonte di credenza, predisponga un determinato comportamento e dia vita a un’opinione che può dimostrarsi vera o falsa all’interno di un percorso di ricerca potenzialmente infinito24

. L’enfasi sul metodo scientifico introduce un altro tema preponderante e controverso nell’analisi delle opere di Peirce, vale a dire la sua particolare concezione di realtà.

21

C. S. Peirce, CP (5.375) in M. A. Bonfantini, R. Grazia, G. Proni, Op. Cit., p. 91 (corsivo di Peirce) 22 C. S. Peirce in D. Massaro, Op. Cit., p. 416

23 La massima va intesa come l’applicazione in ambito filosofico della tipica procedura sperimentale che avviene in laboratorio, mentre lo scienziato osserva tutti gli sviluppi di un determinato fenomeno. Similmente il filosofo pragmatista deve vagliare tutti i possibili effetti che possono derivare dall'affermazione o dalla negazione di un concetto. Secondo Peirce l’abduzione, come vedremo nel capitolo dedicato, è il metodo più appropriato per la formulazione delle teorie scientifiche in quanto fornisce una spiegazione convincente dei fatti osservati, ma non ha la pretesa di essere verità definitiva e deve essere sottoposta al vaglio della verifica empirica. D. Massaro, Op. Cit., pp. 414-5 Nonostante la mancanza di un’opera organica, si può denotare un filo rosso che unisce linearmente gli articoli e i saggi pubblicati da Peirce e che disegnano un profondo legame tra il piano epistemologico e quello semiotico delle sue riflessioni.

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9 1.3 L’ottica di Peirce25.

La conoscenza presuppone un processo inferenziale infinito in quella circolarità tra dubbio e credenza: non possiamo fare conoscenza diretta della realtà, ma vi è un processo d’interpretazione presupposto. Reale è soltanto ciò che è oggetto d’interpretazione da parte della comunità umana26

. La definizione di reale è indissolubilmente legata all’analisi del segno: tutto il reale è un segno. Scrive Peirce:

Dov'è il reale, la cosa indipendente dal modo in cui la pensiamo? Ci deve essere una tal cosa, poiché troviamo che i nostri punti di vista sono condizionati: c'è qualcosa perciò che influenza i nostri pensieri e che non è creata dai pensieri stessi. E' vero che noi non abbiamo nulla di immediatamente presente alla nostra mente se non i pensieri stessi. Questi pensieri però sono stati determinati dalle sensazioni e quelle sensazioni sono state determinate da qualcosa fuori della mente. La cosa fuori della mente che influenza direttamente la sensazione e attraverso di essa il pensiero, perché è fuori della nostra mente, è indipendente da ciò che noi ne pensiamo e, in breve, è reale27.

25 La concezione di realtà di Peirce risulta controversa e ha generato un dibattito che persiste tuttora su quale sia esattamente la posizione del pragmatista al riguardo. Questa tesi propone una chiave di lettura

interpretativa della realtà, attraverso i segni, e vedrà emergere il tema centrale dell’abduzione, ma sono

possibili altre interpretazioni. Secondo Sini la concezione di realismo di Peirce è indissolubilmente legata al primato riconosciuto al metodo scientifico. Non c’è contraddizione tra l’idea di una realtà in termini di «incondizionatezza» e la garanzia del suo carattere “pubblico” garantito dal metodo scientifico perché occorre distinguere «ciò che voi o io o ogni numero finito di uomini si può pensare [della realtà] […] dal pensiero in generale». C. Sini, Op. Cit., pp. 200-1 Analogamente Campelli ritiene che il pensiero di Peirce converga in una forma di «idealismo oggettivo»: da un lato la realtà è legata all’indipendenza dei suoi caratteri rispetto alla concezione degli uomini, dall’altro vi è un evidente riferimento alla collettività scientifica. E. Campelli, Op. Cit, p. 271 Secondo Brioschi il tema della realtà rappresenta un crocevia nel pensiero di Peirce in cui semiotica e pragmatismo convergono. Negli scritti del pragmatista c’è stata un’evoluzione poiché Peirce ha precedentemente riconosciuto il primato al metodo scientifico. In seguito agli studi dedicati alla dottrina dei segni, tuttavia, Peirce sembra ritenere che nessuna rappresentazione scientifica della realtà possa essere esauriente e si presuppone un paradigma di natura interpretativa. Le due concezioni di realtà (scientifica e interpretativa) non devono necessariamente essere viste in contraddizione perché il realismo di Peirce nasce dal principio della “semiosi infinita” e dalla corrispondenza tra la realtà e il ragionamento e tra la realtà e il segno. M. R. Brioschi, Il concetto di realtà

secondo Peirce: tra attesa e sorpresa in M. A. Bonfantini, R. Fabbrichesi, S. Zingale, Op. Cit.

26 D. Massaro, Op. Cit., p. 416

27 C. S. Peirce, CP (8.8-38) in C. S. Peirce, P. Bairati, Scienza e Pragmatismo, Scelta antologica delle

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Il pensiero stesso coincide con il segno28 ed è rappresentato da un processo d’inferenze semiotiche “infinito” in cui il punto di partenza è individuabile di volta in volta, ma senza poter stabilirne il fondamento della conoscenza nella sua totalità. Se esistesse tale fondamento, si dovrebbe presupporre l’esistenza di un pensiero senza segni o che ne è precedente29. Scrive Peirce:

Ma abbiamo visto che il pensiero si può conoscere solamente attraverso i fatti esterni. Dunque, il solo pensiero che è possibile conoscere è, senza eccezione, il pensiero in segni. Ma il pensiero che non può essere conosciuto non esiste. Perciò ogni pensiero deve necessariamente essere pensiero in segni 30.

Poiché ogni pensiero è un segno, ogni pensiero deve indirizzarsi a un altro pensiero, questa è l’essenza del segno. Dice Peirce: «Ogni pensiero dev'essere interpretato in un altro pensiero [...] ogni pensiero è in segni. Quindi ogni pensiero deve essere interpretato in un altro pensiero, ovvero ogni pensiero è in segni»31. La relazione tra pensiero, realtà e segni implica una concezione della conoscenza come interpretazione. Ogni contenuto di pensiero (in quanto segno) è rappresentativo "di" e "per" altro, ed è costituito della struttura triadica dei segni e della loro funzione mediatrice nonché dalla molteplicità di rimandi che ogni segno implica. Quindi la conoscenza non potrà mai approdare a risultati definitivi: ogni punto di arrivo è oggetto di ulteriori diramazioni interpretative32. La conoscenza non è intesa, quindi, come un mero rispecchiamento della realtà e le idee non sono riflesso interno di un mondo esterno, ma si creano in un processo di reciproca interazione e formazione con la realtà, attraverso cui la realtà stessa viene a strutturarsi. La ricerca della “verità” rappresenta un limite ideale cui non si approda mai in via definitiva, perché è sempre e inevitabilmente provvisoria33.

28 Scrive Massaro: « […] Conoscere è interpretare dei segni e pensare non è un fatto che si esaurisca nella propria interiorità, ma un’attività che rifluisce al di fuori di sé, passando di parola in parola, di segno in segno. Senza la “materialità” del segno non può esistere il pensiero. Il pensiero, infatti, non si pone mai di fronte all’oggetto in modo immediato , come un soggetto che è di fronte all’oggetto, ma è sempre mediato da quel corpo materiale che è rappresentato dal segno». D. Massaro, Op. Cit, p. 416

29 R. M. Calcaterra, Op. Cit.

30 C. S. Peirce, CP (5.251), Questions Concerning Certain Faculties Claimed for Man in «Journal of Speculative Philosophy» vol.2, 1868, pp. 103-114; Trad. It. Questioni concernenti certe pretese facoltà

umane in M. A. Bonfantini, R. Grazia e G. Proni (a cura di), Op. Cit., p. 50

31C. S.Peirce, CP (5.253), Ibidem 32 R. M. Calcaterra, Op. Cit. 33

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Il cammino della scienza è un progressivo e infinito affinamento nella rappresentazione della realtà e la preminenza che Peirce riconobbe al metodo scientifico implica l’idea che la verità possa essere raggiunta «in the long run» della ricerca potenzialmente infinita34.

34Secondo Webb il circolo ermeneutico tra dubbio, azione e credenza avvicina Peirce alla fenomenologia di Schutz e al pragmatismo di Dewey. In entrambe le epistemologie vi è, infatti, un basilare riferimento all'elemento "pratico" della quotidianità. Schütz analizza il modo in cui gli uomini cercano di orientarsi nella loro quotidianità, attraverso conoscenze pregresse e tipizzazioni, specializzandosi in diversi ambiti di conoscenza. Analogamente, nella definizione del pragmatismo, Peirce riconosce l’importanza degli effetti “pratici” delle idee nella concezione della realtà e quindi nell'agire umano. La sociologia ha il compito principale, scrive Dewey, di individuare i modi in cui le tendenze sociali formano abiti di azioni e aspettative. E' fondamentale che il ruolo dell'abito venga spiegato e il sociologo possa individuare la genesi e l’organizzazione dell'esperienza umana. Si tratta di un ideale che è presente in entrambe le tradizioni. Schütz sembra essere il legittimo successore di Weber nell'enfatizzare il significato dell'agire umano nell'interpretazione della situazione da parte dell'agente stesso, sul versante della comprensione e non quello della spiegazione. Analogamente la teoria semiotica di Peirce cerca di illustrare il processo di generazione della conoscenza, a partire dalla conoscenza stessa e dall’acquisizione di un abito. Dice Webb: «Il pragmatismo non è semplicemente una versione americana della fenomenologia [...] Ma sopravvalutare le differenze sarebbe distorcere la complementarietà tra le aree che potrebbe servire come base per ulteriori dialoghi tra fenomenologia e pragmatismo». R. B. Webb, The presence of the Past:

John Dewey and Alfred Schütz on the Genesis and Organization of Experience, The University Presses of

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Capitolo 2: Semiotica e teoria dei segni.

«Ammetto pienamente che esiste una non comune follia per le tricotomie. Non so se gli psichiatri le hanno dato un nome […] si potrebbe chiamarla triadomia. Non ne sono così colpito; ma mi sento obbligato, per amore di verità, a comporre un gran numero di tricotomie che non posso meravigliarmi se i miei lettori […] sospettano, o soltanto pensano, che io ne sia vittima… Non ho nessuna marcata predilezione per le tricotomie in generale»35.

2.1 Fenomenologia e dottrina delle categorie.

Peirce organizza una fenomenologia e una dottrina delle categorie come modalità sovrapposte e interdipendenti di un quadro basilare, universale e necessario in ogni nostra esperienza segnica. Secondo l’autore, non accediamo direttamente agli oggetti e alla realtà, ma attingiamo all’esperienza che ne abbiamo attraverso i segni organizzati secondo delle categorie. Le categorie, tuttavia, non sono cognizioni ma strutture formali che fondano la possibilità di fare cognizioni: non sono forme di esperienza, ma forme che costituiscono l’esperienza stessa36.

Le categorie che descrive Peirce sono la primità (o monade), la secondità (o fatto) e la terzità (o legge) 37.

La primità prevede di considerare il segno in se stesso, ossia come pura qualità o esistente effettivo o legge generale. Come suggerisce il nome, rappresenta le esperienze qualitative primarie, elementari, postulate come separate da qualsiasi altra cosa. Facendo riferimento all’indipendenza di questa esperienza rispetto alle nostre interpretazioni, Peirce non sta alludendo al fatto che le rappresentazioni siano soggettive o irrealistiche. Hanno, al contrario, un loro fondamento che si riscontra, come vedremo, nella terzità. Nella primità si vuole, invece, valorizzare l’esperienza in quanto unica (un

35 C. S. Peirce, CP (1.568-9) in U. Eco, T. A. Sebeok, The Sign of Three – DUPIN, HOLMES, PEIRCE, Bloomington, Indiana Univerisity Press, 1983, Trad. It., Il segno dei tre, G. Proni (a cura di), Bompiani, Milano, 2004, p. 19 (corsivo di Peirce)

36 M. A. Bonfantini in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit, p. XL

37 C. S. Peirce, On a new list of Categories (1867) in «Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences», vol. 7, pp. 287-298; Trad. It., Una nuova lista di categorie in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva. Einaudi: Torino, 1980, pp. 17-35

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suono, un colore, un odore) e percepita come tale. Si tratta, quindi, di potenzialità: non necessariamente quella particolare caratteristica è riscontrata nell’oggetto. Nel momento in cui essa si realizzasse, non sarebbe più indipendente da qualsiasi altra cosa poiché la sua realizzazione comporterebbe una relazione in un dato tempo e luogo e in rapporto ad altre cose. Ma ciò non inficia e neppure condiziona la sua “qualità” che resta tale a prescindere da ogni nostra reazione e indipendente anche da ogni nostra possibile interpretazione38.

La secondità (o fatto) guarda al segno nel suo rapporto con l’oggetto poiché dipende da qualche carattere del segno, o dal rapporto tra il segno e l’oggetto o dalla sua relazione con l’interpretante. Questa categoria rappresenta l’esperienza soggettiva e personale di un fatto. Scrive Peirce: «Secondo è il concetto di esistere in rapporto, in relazione reattiva con qualche altra cosa»39. Un avvenimento è qualcosa la cui esistenza consiste nel fatto che ci imbattiamo in esso. Continua Peirce: «Nessuna legge spinge un atomo all’esistenza. Esistenza vuol dire presenza in un universo di esperienze… E tale presenza comporta che ogni caso esistente sia in rapporto di reazione dinamica con tutte le altre cose dell’universo. L’esistenza dunque ha carattere diadico»40

.

Infine, la terzità (o legge) consiste nell’analisi del segno in rapporto con l’interpretante: il modo in cui è rappresentato da quest’ultimo, quindi segno di possibilità, di fatto o di ragione. La terzità incarna una correlazione esplicativa e costante tra primità e secondità. La si può considerare la categoria conoscitiva per eccellenza poiché indica l’esistenza di un soggetto che interpreta la correlazione tra i due elementi. Tale correlazione deve essere intellegibile: Peirce vuole infatti dimostrare che tutte le idee di legge naturale e di sviluppo continuo non sono altro che diverse facce di una generale forma di mediazione il cui prototipo è dato dall’azione di un segno che media tra l’oggetto e il suo elemento interpretativo41

.

La triadicità delle categorie è presente in ogni esperienza: primità e secondità sono categorie logiche, ma la vera categoria radicata nell’esperienza è la terza. Non solo,

38

Secondo Gallie se si analizzassero tutti i modi in cui facciamo uso delle parole, delle espressioni, delle frasi che apparentemente indicano una relazione a due termini, si potrebbe scoprire che in realtà la relazione non può essere diadica. Si supponga di analizzare la somiglianza tra A e B: tale somiglianza può esservi soltanto in certi aspetti, ragione per cui è presupposto un elemento interpretativo C. Peirce tuttavia si impegna a cercare di dimostrare l'effettiva esistenza di un elemento dualistico tra dei fatti concreti. W.B. Gallie, Op. Cit.

39 C. S. Peirce, CP (1.432) in W.B. Gallie, Ivi, p.190 40 C. S. Peirce, CP (1.432) in W.B. Gallie, Ivi, p.192 41

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infatti, le prime non si danno mai pure nell’esperienza ma è impossibile riconoscerle e individuarle senza il giudizio o l’interpretazione. Le tre categorie, inoltre, sono interdipendenti: la primità rappresenta la qualità in sé e l’esordio del processo conoscitivo, ma soltanto con la secondità e la terzità può avere inizio la fase d’interpretazione42

. Ogni fenomeno cognitivo deve, quindi, mettere in causa tutte e tre le categorie: ci sono momenti in cui la primità o la secondità sono preminenti, ma non sono mai esclusive del processo, perché qualsiasi tipo di esperienza ha sempre bisogno di essere costituita da tutte e tre le categorie43.

2.2 Il triangolo semiotico e la semiosi illimitata.

La semiotica di Peirce è cognitiva, nasce dalle riflessioni sul processo attraverso cui si genera la conoscenza che è anche il punto culminante delle sue analisi44. Peirce definisce la semiosi «un’azione o un’influenza che è, o implica, una cooperazione di tre soggetti, il segno, il suo oggetto e il suo interpretante, tale che questa influenza tri-relativa non si possa in nessun modo risolvere in azioni fra coppie»45. Questa relazione è rappresentata dalla nota immagine del triangolo semiotico.

42

Per chiarire questo concetto è utile ricorrere all’esempio di Umberto Eco. Una casalinga nella pubblicità afferma: «Credevo che il mio lenzuolo fosse bianco, poi ho visto il tuo». Quella prima sensazione di bianchezza scaturita dal primo lenzuolo rappresenta la primità. Poi vi è stato il riconoscimento del secondo lenzuolo (secondità) da cui inizia il confronto (terzità) tra i lenzuoli fino a constatare che il secondo appare più bianco del primo. Ma ciò non può comunque cancellare l’impressione precedente che è stata di pura qualità. Quindi se dovessimo riformulare la frase della casalinga in modo più puntuale, diremmo: «Ero convinta (prima) di aver visto del bianco... ma ora riconosco che ci sono differenti gradi di bianchezza ». U. Eco, Peirce e l’iconismo primario in M. A. Bonfantini, R. Fabbrichesi, S. Zingale, Op. Cit.

43 Solo mettendo in relazione le tre categorie si può constatare che la prima reazione era dovuta ad un errore, come ad esempio aver avvertito come rosso ciò che non era tale. Si comprende di aver ricevuto lo stimolo in condizioni che hanno ingannato i sensi. Ma anche dopo aver riconosciuto l'errore non si può comunque negare di aver avuto precedentemente l’impressione che qualcosa fosse rosso.U. Eco, Op.Cit.

44

Tradizionalmente la semiotica, scrive Traini, è definita come la disciplina che studia i segni ma un'univoca definizione non sarebbe sufficiente a cogliere l’articolazione e lo sviluppo della disciplina stessa. A cavallo tra 800 e 900 la semiotica si struttura in due ambiti molto diversi, tanto da ricorrere anche a una distinzione lessicale. Da un lato, con Saussure, s’inizia a parlare di semiologia, intesa come scienza che studia la vita dei segni; dall'altro lato, grazie a Peirce, nasce la semiotica, intesa come uno studio dei segni nell’ambito della sua teoria della conoscenza. Oggi i due termini sono considerati pressoché equivalenti. Secondo Traini la semiotica ha due anime: quella strutturale che si rifà a Saussure e quella interpretativa che attinge al pensiero di Peirce. S. Traini, Le due vie della Semiotica. Teorie

strutturali e interpretative, Bompiani, Milano, 2014 Analogamente Pisanty ha distinto l’approccio

“strutturalista” di Saussure da quello “pragmatista” di Peirce. Quello strutturalista ha come scopo scomporre l’ingranaggio della lingua, analizzandone le relazioni interne. Quello pragmatista indaga sui meccanismi dell’interpretazione. V. Pisanty, La semiotica in U. Eco, R. Fedriga (a cura di), La filosofia e

le sue storie, vol. 3, L'età contemporanea, Laterza, Milano, 2015

45

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Interpretante

Segno Oggetto

Il primo elemento del triangolo è il segno, che Peirce definisce:

Qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità […] 46» ossia «[…] Qualcosa che da un lato è determinato da

un Oggetto e dall'altro determina un'idea nella mente di una persona, in modo tale che quest'ultima determinazione [...] l'interpretante del segno è con ciò stesso mediatamente determinante da quell'Oggetto47.

Ne deriva che l'oggetto determina il segno e il segno determina l'interpretante. Il segno è quindi l’elemento mediatore di questa triade48.

L’oggetto rappresenta ciò «per cui sta» il segno, ossia l’idea di ciò che il segno deve risvegliare. Scrive Peirce: «[…] Il segno sta per qualcosa: il suo oggetto. Sta per quell'oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in riferimento a una sorta di idea che io ho talvolta chiamato la base del representamen»49. Il segno quindi mette in risalto alcuni

46 C. S. Peirce, CP (2.228), Ivi, p. 132 47

C. S. Peirce, CP (8.343), Ivi, p. XXX

48La definizione di segno elaborata da Ferdinand Saussure anticipa tutte le definizioni della funzione segnica. Secondo il linguista svizzero, il segno è un’entità a due facce che unisce un concetto (significato) e un'immagine acustica (significante). Quest’ultima non va intesa come il suono materiale, ma piuttosto la traccia psichica del suono, la rappresentazione che ci è data dalla testimonianza dei nostri sensi. La distinzione tra le due entità non è legata alle caratteristiche fonetiche o psicologiche, ma è puramente arbitraria. Il segno è quindi ogni unione tra significante e significato e poiché tale unione è arbitraria, così lo è anche il segno. T. De Mauro in F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Payot, Paris 1916, Trad. It., Corso di Linguistica generale, T. De Mauro (a cura di), Laterza, Bari, 2005, pp. XII-XVII. In Saussure, come in Peirce, il riferimento all'oggetto è consentito solo attraverso l'interpretazione del segno da parte del pensiero. La funzione rappresentativa ha il suo momento fondamentale nel rapporto tra segno e pensiero e non nel rapporto diretto tra il segno e il suo oggetto M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit., p. 128 Le semiotiche di Saussure e Peirce convergono, quindi, verso il legame tra simbolo e referenza, tra il segno e i suoi possibili interpretanti. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975.

49 C. S. Peirce, CP (2.228) in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit, p. 132 (corsivo di Peirce). Anche la fenomenologia di Schütz approda verso una connotazione di realtà segnica che pone

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elementi dell’oggetto, ne coglie le qualità e ne costituisce un’idea fondamentale. Questo processo non avviene per costrizione dell’oggetto sulla mente né per intuizione, ma attraverso un’interpretazione dell’oggetto e una formulazione d’ipotesi50.

Peirce distingue l’«Oggetto Dinamico» dall’«Oggetto Immediato». L’oggetto dinamico rappresenta «l’Oggetto quale esso è»51 che «in qualche modo riesce a determinare il Segno alla sua Rappresentazione»52. Da questa determinazione avrà origine l’oggetto immediato, che corrisponde all’idea da cui nasce il segno o, come scrive Peirce, «l'Oggetto come il Segno stesso lo rappresenta». Quindi l’oggetto immediato non è altro che un riflesso dell’oggetto dinamico53.

Il terzo elemento del triangolo semiotico è l’interpretante che non va inteso come un soggetto vero e proprio54 ma il segno prodotto nella mente di chi interpreta. Dice Peirce:

l’enfasi sul suo carattere sociale: il mondo nel quale viviamo è per definizione intersoggettivo perché nello stock di conoscenze a disposizione si sono sedimentate conoscenze attraverso le quali agiamo e modelliamo le nostre interazioni. Queste conoscenze sono tipiche e mediate da marchi, segni e simboli. Il marchio è la forma più semplice di rapporto rappresentativo nel quale un oggetto del mondo esterno non è esperito in sé ma in quanto indicazione di qualcos’altro. Si tratta di un espediente mnemonico come un segnalibro. Il segno è dato da «oggetti, fatti e eventi del mondo esterno, la cui apprensione appresenta per un interprete cogitazioni di un altro uomo» A. Schütz, Saggi Sociologici. Parte Prima, Sulla metodologia

delle scienze sociali, A. Izzo (a cura di), Utet Torino, 1979, p. 291. Il segno media l'esperienza dell'Altro.

Mentre i marchi possono essere uno strumento monologico, i segni presuppongono l'intersoggettività. Quando la rappresentazione va oltre la realtà della vita quotidiana, si è di fronte a esperienze simboliche: i significati dei simboli sono caratterizzati dal fatto che il membro «appresentato» fa parte di una provincia finita di significato diversa da quella quotidiana (per esempio, il mondo della scienza, dell’arte, della fantasia).

50

S. Traini, Op. Cit., p. 228

51 C. S. Peirce, CP (8.183) in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit., p. XXXIII 52 C. S. Peirce, CP (4.536), Ibidem

53

Peirce definisce invece l’Oggetto Reale tenendo conto della definizione di realtà, quindi nei termini di incondizionatezza. L’Oggetto Reale si avrebbe qualora vi fosse una corrispondenza con l’Oggetto Immediato. Scrive Peirce: «[...] Se c'è qualcosa di reale (cioè, qualcosa i cui caratteri siano veri indipendentemente da quanto ne possiamo pensare io, te, chiunque altro o qualsiasi numero di altri) che corrisponde sufficientemente all'oggetto immediato [...] allora, che sia identificabile con l'Oggetto strettamente inteso o no, deve essere chiamato [...] l' “oggetto reale” del segno». C. S. Peirce in G. Maddalena (a cura di), Op. Cit., p. 85

54 Peirce usa l’espressione «quasi mente» e Gallie sottolinea come sia facile cadere nell’equivoco e

ritenere che l’interpretante sia una persona fisica. Si potrebbe credere, infatti, che l'interpretazione presuppone l'attività di una mente e di una persona, ma una definizione in tali termini non sarebbe stata adeguata perché esistono attività semantiche che non hanno bisogno di una persona o di una mente nella sua accezione comune (basti pensare alla danza delle api). Inoltre se si vuole capire se il segno comunicato da una persona (A) è stato compreso e interpretato correttamente dall’interlocutore (B), non potendo cogliere i pensieri di quest’ultimo, si potrebbe valutare se la sua reazione è adeguata e giustificata dall’interpretazione del segno. W. B. Gallie, Op. Cit. Le teorie semiotiche di Peirce sono molto vicine e sembrano una delle fonti d’ispirazione delle riflessioni di Mead sull’interpretazione dei gesti e sul rapporto tra mente e società. Il gesto è definito da Mead come l’inizio di un atto sociale, uno stimolo che provoca la reazione da parte dell’altro. Diventa un «simbolo significativo», fonte di linguaggio nel momento in cui chi lo compie e la persona a cui è rivolto ne condividono il significato. La condivisione di significato è, infatti, la condizione necessaria per una reazione adeguata poiché «la risposta di un organismo al gesto di un altro […]contiene il significato di quel gesto [...]» G. H. Mead, Mind, Self &

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«Un segno […] Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno […]»55.

Il processo conoscitivo evolve secondo tre fasi: la prima è il passaggio dall’interpretante all’interpretante immediato (o emozionale), la seconda è il passaggio all’interpretante dinamico (o energico), la terza fase è il passaggio all’interpretante logico-finale.

La prima fase conoscitiva, l’interpretante immediato, è l'acquisizione di un significato-dato, socialmente determinato e immediatamente scaturito dalla corretta comprensione del segno. Peirce lo caratterizza come un riconoscimento legato alle emozioni. Scrive Peirce:

Il primo effetto propriamente veicolato dal segno è il sentimento prodotto dal segno. C'è quasi sempre un sentimento che interpretiamo come prova evidente che abbiamo compreso il senso proprio del segno [...] Questo “interpretante emozionale” [...] può essere molto più di una semplice sentimento di riconoscimento, e racchiudere addirittura tutti gli effetti propriamente veicolati dal segno56.

Nella fase dell’interpretante dinamico, prendono forma nuove ipotesi e azioni: si mette in discussione il significato acquisito in precedenza, con l’arricchimento critico e creativo dell’interpretante. Il processo conoscitivo è contrassegnato da tensioni interpretative che emergono a mano a mano che l’interpretante pone in essere un confronto con le proprie esigenze nella vita quotidiana. Continua Peirce: «[...] Se poi un segno veicola propriamente qualche ulteriore effetto, lo farà attraverso la mediazione dell'interpretante emozionale, e tale ulteriore effetto implicherà sempre uno sforzo. Questo ulteriore effetto lo chiamo interpretante energetico [...]»57.

La fase conclusiva dell’interpretante logico finale consiste nella sintesi delle precedenti esperienze finalizzata all’azione. Si forma così un nuovo abito. Scrive Peirce:

di), Giunti Barbera, Firenze, 1967, p. 100 La mente, quindi, è definita da Mead nei termini di un «fenomeno sociale» in quanto, scrive Mead, «Il contenuto della mente è solo uno sviluppo e un processo dell'interazione sociale» G. H. Mead, Ivi, p. 203

55 C. S. Peirce, CP (2.228) in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit., p. 132 (corsivo di Peirce).

56 C. S. Peirce, CP (5.475), Ivi, p. 289 57

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In vista di accertare la natura di questo effetto, converrà adottare per esso una designazione: lo chiamerò dunque interpretante logico [...] l'unico effetto mentale che può essere prodotto come interpretante logico ultimo [...] è un mutamento di abito [...] la modificazione della tendenza di una persona verso l'azione, tendenza che risulta da esperienze precedenti o da precedenti sforzi o atti di volontà, oppure da un insieme di entrambi i generi di cause [...]58.

Peirce conclude queste riflessioni, affermando che «l'interpretante logico finale è l'abito deliberatamente formato, autoanalizzantesi»59.

Le componenti del triangolo semiotico si trovano in una relazione di sussidiarietà60: l’oggetto può rappresentare il “primo motore” del processo semiotico61

, il segno costituisce l’elemento mediatore poiché rappresenta un oggetto (secondo alcune qualità62) e porta a una serie d’interpretanti in una catena interpretativa potenzialmente infinita63. Scrive Peirce:

Il segno è qualsiasi cosa di qualsiasi modo di essere che media tra un oggetto e un interpretante; infatti è determinato dall'oggetto

relativamente all'interpretante, e determina l'interpretante in riferimento all'oggetto, in maniera tale da causare la determinazione

dell'interpretante da parte dell'oggetto attraverso la mediazione di questo “segno”64

.

58 C. S. Peirce, CP (5.476), Ivi, p. 291 (corsivo di Peirce).

59 C. S. Peirce, CP (5.491) in M. A. Bonfantini, R. Fabbrichesi, S. Zingale, Op. Cit.

60 Secondo Peirce, le tre categorie sono sempre compresenti, interdipendenti, irriducibili l'una all'altra. Ciò significa che, in ogni momento d'esperienza, tutte e tre le categorie si danno solidalmente, ognuna svolge una sua funzione e ognuna provoca l'occorrere delle altre due secondo le sue caratteristiche. M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Op. Cit., p. XLII

61 Traini osserva che ciò è coerente con la posizione realista e il primato della realtà esterna: il punto di partenza è l’oggetto inteso, in senso ampio, come realtà esterna e per rendere conto degli oggetti della realtà esterna abbiamo bisogno di segni. Da qui il segno come elemento mediatore tra oggetto e interpretante, in quanto è determinato da un oggetto e genera un interpretante. S. Traini, Op. Cit., p. 228 62 L'oggetto, infatti, può essere illuminato solo a patto di essere interpretato e l'interpretazione è il frutto della mediazione creativa dell'uomo quale facilitatore di segni. Ma in quanto interpretazione la rappresentazione è sempre «possibilmente erronea: è essenzialmente un'ipotesi». C. S. Peirce, CP (2.141) in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Op. Cit., p. XXXII

63

S. Traini, Op. Cit, p. 235 Il segno risalta alcuni elementi dell'oggetto, ne coglie delle qualità e ne costruisce un'idea fondamentale, quindi il contenuto del segno rivolto all'oggetto è il ground o base che potremmo distinguere dal meaning, costituito invece dal segno rivolto all’interpretante, ossia il riflesso cognitivo dell’oggetto trasmesso in nozioni che destano riflessioni nell’interpretante. M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit, p. XXXIII

64

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Quindi, il significato non è dato da una relazione di corrispondenza perché scaturisce nel rapporto tra i segni, che non vanno intesi come parti di un sistema definito, ma piuttosto come elementi interdipendenti che si incontrano nel processo interpretativo65. Dato il carattere aperto del rapporto segnico, ne consegue il principio della “semiosi illimitata”, ovvero della fuga infinita degli interpretanti. Ogni segno è suscettibile di diverse e alternative interpretazioni e dimostrazioni: non c'è niente che possa essere indicato come il solo e unico segno di un oggetto e niente che possa essere indicato come il solo elemento interpretativo di un segno66. Quando un segno rappresenta un oggetto mette in moto un processo semiotico infinito: se un segno è altro dal suo oggetto è necessaria una spiegazione; segno e spiegazione costituiscono un altro segno67. Ma occorre una spiegazione supplementare più ampia che con il segno già ampliato ne forma uno ancora più complesso: si dovrebbe aggiungere un segno di se stesso che contiene la spiegazione sua e delle sue parti significanti, ognuna delle quali ne ha un'altra come oggetto e così all’infinito. Peirce rileva che teoricamente da ogni segno può scaturire una regressione potenzialmente infinita ma, le esigenze della quotidianità ci permettono di delimitare questa vastità infinita di significati possibili.

65 Ponzio ha messo in risalto il ruolo fondamentale dell’interpretante, tanto da affermare che senza l’interpretante non si avrebbe neppure il segno. Infatti, il segno riveste la funzione di interpretante e non va considerato secondario perché è costitutivo del significato che viene interpretato. Scrive Ponzio: «Interpretare un segno non vuol dire semplicemente identificarlo come quel segno previsto in un sistema. L’identità infatti non si realizza in maniera diretta secondo la formula A=A ma in una forma come questa: A=B=C=D dove il segno di uguale non annulla la possibile differenza, confronto o alterità […]. L'identità del segno non è tautologia, ma gioco di rimandi da esso ad altri segni in una catena di interpretanti che resta aperta anziché chiudersi con un riallacciamento al punto di partenza». Identificare il segno A, continua Ponzio, significa procedere «A cioè B, cioè C, cioè D». Questi rapporti non sono di meccanica sostituzione ma richiedono interpretazioni ed ipotesi. A. Ponzio, Peirce e Bachtin in M. A. Bonfantini, R. Fabbrichesi, S. Zingale, Op. Cit.

66 Un segno può funzionare solo perché fa parte di un sistema di segni. Significa ciò che significa solo in virtù di altri segni dello stesso sistema ed essi significano ciò che significano in un'infinità di alternative possibili. W. B. Gallie, Op. Cit.

67

Come osserva Moriarty, Peirce parlando di “interpretante” si riferisce all'idea innestata dal segno. In altre parole un pensiero è un segno che richiede un’interpretazione da parte di un pensiero susseguente in modo da essere compreso. Sia Eco che Sebeok giunsero alla conclusione che l'idea di interpretazione è simile all'uso dell'enciclopedia. Diversamente da un dizionario che fornisce la definizione formale di un concetto, un'enciclopedia amplia il concetto con significati storici e descrizioni più ricche. Ad esempio la parola “uomo” rappresenta la somma di alcuni tratti in un modello “ a dizionario”, vale a dire essere umano e di sesso maschile. Nel modello enciclopedico si considerano anche elementi anatomici (gambe, braccia, testa), sociali (la capacità di interagire e organizzarsi in gruppi), la dimensione psicologica, la storia della sua evoluzione, fotografie, e così via. S. Traini, Op. Cit., pp. 253-260. L'enciclopedia, conclude Moriarty, è una metafora dell’attitudine del semiologo e illustra il modo in cui la mente funziona nel processo d’interpretazione. S. E. Moriarty, Abduction and A Theory of Visual Interpretation in «Communication Theory», Vol. 6 (2), 1996, pp.167-187.

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Come Peirce ha scritto nella massima del pragmatismo, la nostra idea di qualcosa corrisponde all’idea dei suoi effetti poiché il significato di un segno risiede nell’«abitudine che si intende che esso determini»68

. In altre parole esiste una corrispondenza tra il significato attribuito a un segno e gli effetti scaturiti dal significato stesso nella nostra quotidianità69. Possiamo rendere chiaro il significato di un segno solo in base all'uso che ne facciamo nel corso di un’indagine entro un contesto.

2.3 Analisi dei segni.

Peirce analizza il segno partendo dalla riflessione sulle relazioni triadiche: ogni relazione triadica rimanda a una tripartizione tra relazioni e le categorie sono il principio di classificazione di queste relazioni70. L’analisi dei segni consiste, quindi, in tre tappe successive di cui ognuna presuppone la precedente.

La prima tappa consiste nell’analisi delle relazioni generali che possono essere distinte in una tripartizione tra relazione di comparazione, di realizzazione e di pensiero. Nel primo caso le relazioni hanno natura di possibilità logiche, nel secondo di fatti esistenti e nel terzo di leggi71.

Nella seconda tappa si osserva che ogni relazione ha un primo, un secondo e un terzo correlato e che le relazioni possono essere suddivise a seconda che il primo, il secondo e il terzo correlato siano rispettivamente una pura possibilità, un esistente effettivo o una legge. Il primo correlato è il segno, il secondo è il suo oggetto e il terzo è il suo interpretante.

La terza tappa consiste in una successiva suddivisione del segno analizzato nei suoi tre aspetti di primità, secondità e terzità. I segni risultano così divisi in tre tricotomie: il segno in se stesso, il segno in relazione con l'oggetto, il segno considerato in relazione con l'interpretante.

Ogni segno può essere considerato anzitutto dal punto di vista della primità, in se stesso, ossia a prescindere dal rapporto con l'oggetto e con l'interpretante e assume la forma di un qualisegno, di un sinsegno o di un legisegno.

68 W. B. Gallie, Op.Cit., p. 126 69

Peirce ribadisce: «[…] Dobbiamo scendere al tangibile e al pratico (concepibile), per trovare la radice di ogni vera distinzione di pensiero, per sottile che sia; e non vi è distinzione di significato per fine che sia; che possa consistere in un altro che in una possibile differenza pratica». C. S. Peirce, CP (5.400) in C. Sini, Op. Cit.,p. 197

70

M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia (a cura di), Op. Cit., pp.124-5 (indicazioni per la lettura) 71

(25)

21

Il qualisegno è un segno considerato in se stesso, guardato nel suo aspetto di primità: una qualità considerata a prescindere dalla sua effettiva presenza. Si tratta di eventi possibili e qualità segniche possibili come, ad esempio, una sfumatura di colore72. Il sinsegno è un segno guardato nella sua «occorrenza effettiva», vale a dire nella sua effettiva esistenza, come tipico della secondità. Si tratta di una cosa o di un evento effettivamente possibile. Quindi, riprendendo il nostro esempio, non una sfumatura possibile di un qualsiasi colore, ma la sfumatura del colore che si sta osservando73. Il legisegno è un segno guardato nella sua forma tipica, una costituzione che è dettata da una regola che sembrava avere la stessa forza coercitiva di una legge, come è tipico della terzità 74. Scrive Peirce: «Un Legisegno è una legge che è un Segno. Questa legge è usualmente stabilita dagli uomini. Ogni segno convenzionale è un legisegno. Non è un oggetto singolo, ma un tipo generale che è significante in base a quanto convenuto»75. Il legisegno assume un significato nel momento in cui ricorre nella stessa forma in varie repliche. La replica, in quanto «occorrenza effettiva» è un esempio di sinsegno. Peirce propone un esempio con la parola “il” poiché ricorre svariate volte nelle pagine di un libro. In tutte le ripetizioni ci si trova di fronte la stessa parola, quindi lo stesso legisegno. Ogni legisegno acquisisce significato poiché la convenzione da cui nasce si applica a ogni sua replica: il legisegno richiede, quindi, un sinsegno. A sua volta, il sinsegno non sarebbe significante se non vi fosse una convenzione («legge») che lo rende tale.

In secondo luogo ogni segno può essere considerato dal punto di vista della secondità, cioè nel suo rapporto con l'oggetto e assume la forma di un’icona, di un indice o di un simbolo76.

In terzo luogo ogni segno può essere considerato dal punto di vista della terzità, ovvero nel suo rapporto con l'interpretante, quindi il segno può essere un rema, un dicisegno o un argomento77.

72

C. Sini, Eracle al bivio. Semiotica e filosofia, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 44 73 C. Sini, Ibidem

74 M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Ivi, pp. XLV-XLV 75

C. S. Peirce, CP 2.246 in M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Ivi, p. 139 76 Si parlerà diffusamente di questa tricotomia nel paragrafo successivo.

77

Da queste tre tricotomie Peirce declina, per combinazione, dieci classi di segni. Una descrizione completa esula i fini di quest’ analisi, quindi ci occuperemo della tricotomia che Peirce stesso identifica come quella più importante. Nel prossimo capitolo, invece, daremo ampio spazio alla tricotomia saliente ai fini della nostra indagine e scaturita dalle diverse articolazioni dell’Argomento.

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