UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
L'ERRORE GIUDIZIARIO
ED I SUOI RIFLESSI SUL DIRITTO
AD UN RISTORO PATRIMONIALE
Candidato:
Eleonora Marcuccetti
Relatore: Chiar.mo Prof. Enrico Marzaduri
INDICE
Capitolo I
STORIA ED EVOLUZIONE DELL'ISTITUTO
DELL'ERRORE GIUDIZIARIO
1. Le origini dell'istituto ... 1 2. L'impostazione originaria del codice di procedura
penale del 1930 ... 4 3. L'approvazione della Costituzione della repubblica
italiana ... 6 4. La riparazione nella Convenzione europea dei diritti
dell'uomo ... 8 5. La riparazione nel codice del 1930 dopo la l. 23 maggio
1960, n. 504 ... 10 6. La legge delega del 1974 e il progetto preliminare del
1978 ... 12 7. La riparazione nel Patto internazionale sui diritti civili e
politici ... 15 8. La riparazione nella legge delega del 1987 e nel
progetto preliminare del 1988 ... 18 9. La riparazione nello Statuto della Corte penale
Capitolo II
LA REVISIONE
1.1 Il valore del giudicato ... 22 1.2 La necessità di rimedi contro l'ingiusta condanna
definitiva ... 24 2. I provvedimenti soggetti a revisione ... 26 3. I casi di revisione ... 31 3.1 Inconciliabilità di giudicati, art. 630 comma 1 lett. a)
c.p.p. ... 31 3.2 Revoca della sentenza pregiudiziale civile o
amministrativa, art. 630 comma 1 lett. b) c.p.p. ... 33 3.3 Nuove prove, art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p. ... 34 3.4 Condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o
in giudizio, art. 630 comma 1 lett. d) c.p.p. ... 38 3.5 Un nuovo modello di revisione a seguito della condanna
dello Stato italiano pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ... 39 4.1 Il procedimento di revisione: legittimazione soggettiva,
competenza, forma della richiesta ... 40 4.2 Il giudizio preliminare di delibazione sull'ammissibilità
della domanda di revisione ... 44 5. Il giudizio di revisione e la sentenza ... 47
Capitolo III
L'ERRORE NELLE PROCEDURE
INCIDENTALI DE LIBERTATE
2. La prevenzione dell'ingiusta detenzione ... 55
2.1 La giurisdizionalizzazione del potere cautelare ... 56
2.2 I presupposti per l'esercizio del potere cautelare: i limiti di pena, l'utilità della misura e i gravi indizi di colpevolezza ... 59
2.3 L'accertamento delle esigenze cautelari ... 63
3. I fatti generatori della riparazione per ingiusta detenzione ... 65
3.1 La custodia cautelare sostanzialmente ingiusta ... 66
3.2 La detenzione cautelare «illegittima» ... 69
3.2.1 Il «mantenimento» illegittimo della misura cautelare ... 70
4.1 Il riferimento allo status detentivo: la custodia cautelare 72 4.2 Le precautele ... 73
4.3 Le misure di sicurezza personali detentive ... 74
5. Il provvedimento irrevocabile ... 75
6. Il provvedimento di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere ... 78
6.1 La riapertura delle indagini e la revoca della sentenza di non luogo a procedere ... 80
7. L'errore in fase esecutiva ... 82
7.1 Le ipotesi di erroneo ordine di esecuzione ... 83
Capitolo IV
IL PROCEDIMENTO RIPARATORIO
1. Natura del procedimento riparatorio ... 882. Il giudice competente ... 91
3. Il termine per la presentazione della domanda ... 94
4. I soggetti titolari del diritto ... 96
giudice ...
7. La fase introduttiva del procedimento ... 105
8. Le condizioni ostative ... 108
8.1 Dolo o colpa grave: la componente psicologica ... 111
8.1.1 La condotta gravemente colposa e la sua delimitazione temporale ... 113
8.1.2 L'esercizio del diritto di difesa e il «difetto di collaborazione» ... 116
8.2 L'operatività della condizione ostativa nei confronti dei prossimi congiunti ... 118
8.3 Le cause di esclusione disciplinate dall'art. 643 comma 3 c.p.p. e dai commi 4° e 5° dell'art. 314 c.p.p. ... 119
9. La fase decisoria ... 121
10. Il ricorso per cassazione ... 122
Capitolo V
LA RIPARAZIONE
1. La riparazione dell'errore giudiziario ... 1251.1 Le forme di riparazione ... 125
1.2 La natura giuridica della riparazione pecuniaria ... 126
1.3 I danni riparabili ... 129
1.4 Il criterio equitativo ed il criterio risarcitorio ... 131
1.5 Il criterio risarcitorio: la riparazione del danno patrimoniale ... 133
1.6 La riparazione del danno non patrimoniale ... 135
1.6.1 Il danno morale soggettivo, il danno biologico e il danno esistenziale ... 137
1.6.2 La quantificazione ... 139
massimo ... 2.2.1 La liquidazione dell'indennizzo: il problema dell'individuazione dei criteri di determinazione del
quantum debeatur ... 142
2.2.2 I recenti approdi della giurisprudenza ... 145
CONCLUSIONI
... 148BIBLIOGRAFIA
... 153Capitolo I
STORIA ED EVOLUZIONE DELL'ISTITUTO
DELL'ERRORE GIUDIZIARIO
SOMMARIO: 1. Le origini dell'istituto – 2. L'impostazione originaria
del codice di procedura penale del 1930 – 3. L'approvazione della Costituzione della repubblica italiana – 4. La riparazione nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo – 5. La riparazione nel codice del 1930 dopo la l. 23 maggio 1960, n. 504 – 6. La legge delega del 1974 e il progetto preliminare del 1978 – 7. La riparazione nel Patto internazionale sui diritti civili e politici – 8. La riparazione nella legge delega del 1987 e nel progetto preliminare del 1988 – 9. La riparazione nello Statuto della Corte penale internazionale
1. Le origini dell'istituto
Il problema dell'errore giudiziario è molto più antico di quanto si possa credere.
E' la dottrina illuministica che, per prima, ha affermato l'esigenza da parte dello Stato di disporre una serie di meccanismi riparatori per tutelare le vittime di ingiuste detenzioni1, ed è con la Rivoluzione
Francese che viene ribadita la necessità di conferire alla vittima dell'ingiusta detenzione la stessa dignità riconosciuta alla vittima del reato2.
1 CAPALOZZA, Contributo allo studio dell'errore giudiziario in materia penale, Padova, 1962, p. 16.
Queste teorizzazioni vengono accolte e, per la prima volta, normativizzate nella Nuova legislazione criminale da osservarsi nella Toscana promulgata dal Granduca Pietro Leopoldo nel 17863. Essa
prevedeva, all'art. XLVI4, un indennizzo a favore dei soggetti che,
dopo essere stati processati e incarcerati, fossero stati riconosciuti innocenti; le somme necessarie sarebbero state prelevate da una Cassa realizzata appositamente5, nella quale sarebbero dovute confluire tutte
le multe e le pene pecuniarie inflitte dai vari organi giurisdizionali6.
La totale assenza di precise norme attuative comportò la disapplicazione dell'istituto, ma ciò non impedì alla norma leopoldina di costituire un modello per i successivi interventi in questa materia: significativa è l'influenza che essa esercitò sull'art. 35 del codice penale del Regno delle due Sicilie e sui numerosi progetti che precedettero l'emanazione del primo codice penale unitario del Regno d'Italia.
Tuttavia, il progetto del 1887 del codice penale Zanardelli non accolse questa impostazione, non prevedendo alcun obbligo dello stato alla riparazione. Le preoccupazioni erano prevalentemente di carattere economico: proprio il Ministro di Grazia e Giustizia sottolineò la necessità di una futura disciplina normativa diretta al «santo e nobile
1997.
3 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, Milano, 2007, p. 30.
4 LECCI, Una pagina della legislazione criminale toscana del 1786 e il progetto
del codice penale italiano, in Riv. pen., 1888, p. 490.
5 DI CHIARA, Attualità del pensiero di Francesco Carrara in tema dell'ingiusto
carcere preventivo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, p. 1414
6 L'art. XLVI prevedeva infatti l'istituzione di «una cassa a parte sotto la direzione del presidente del Buon Governo del Dominio Fiorentino, e nel Senese
dell'auditor fiscale di Siena, nella quale debbono colare tutte le multe e pene pecuniarie di tutti i rispettivi tribunali dello Stato (...). Da questa cassa per quanto si estenderanno i suoi assegnamenti dovranno indennizzarsi (...) tutti quelli i quali senza dolo o colpa di alcuno (giacchè in questo caso chi avrà commesso il dolo o la colpa sarà tenuto ad indennizzarli), ma solo per certe combinazioni fatali o disgraziate saranno processati, carcerati e poi trovati innocenti, e come tali assolti, purchè (...) abbia il giudice dichiarato doversi questa indennizzazione, e in quella somma che avrà liquidata, e tassata».
scopo» di «indennizzare le vittime degli errori giudiziari», ma posticipò le ulteriori regolamentazioni a «migliori condizioni delle finanze e più maturi studi sull'argomento»7.
Questa decisione, che disilluse le aspettative di chi sperava in una adeguata disciplina in materia, segnò l'avvio di una progressiva caduta di interesse nei confronti di questo istituto8.
Fu soltanto con l'avvio dei lavori preparatori del codice di procedura penale per il Regno d'Italia che ritornò in auge l'argomento; analizzando l'iter dei lavori, però, si può rilevare come il riconoscimento normativo di questa materia sia stato ricco di contrasti ermeneutici.
Si affermò, da un lato, la tendenza a considerare la «riparazione» come una mera elargizione pietistica, collegata alla condizione di bisogno dell'interessato, e dall'altro l'impostazione che ricollegava la possibilità di un indennizzo ai soli casi di errori giudiziari riconosciuti in sede di revisione, e non a quelli riguardanti l'ingiusta carcerazione preventiva9.
Questa impostazione venne accolta nel progetto del codice di procedura penale del 1905 Finocchiaro-Aprile, che all'art. 600 prevedeva una riparazione pecuniaria a titolo di soccorso a seguito del riconoscimento dell'innocenza, in sede di revisione, per coloro che avessero scontato ingiustamente una pena detentiva per oltre tre anni. Il testo definitivo del codice del 1913 non risultò dissimile dai progetti che lo precedettero10.
L'istituto fu disciplinato negli artt. 551-553 c.p.p., che riconoscevano il
7 Preoccupazioni rese note dal Ministro Zanardelli nella relazione al progetto del 1887.
8 RIVELLO, Riparazione per l'ingiusta detenzione, in Dig. disc. pen., p. 326. 9 Questa ricostruzione dogmatica apparve la più opportuna sullo sfondo di
argomentazioni «d'indole razionale»: «il danno sempre minore, la natura provvisoria, e l'inevitabile incertezza delle indagini» toglierebbero all'arresto dell'innocente «il carattere di errore e di vera e propria ingiustizia»; così
Relazione ministeriale al progetto del 1905, in Lavori preparatori sul codice di procedura penale. Progetto 1905, vol. VII, Roma, p. 705.
diritto di chiedere (e non di ottenere) una riparazione a titolo di soccorso ai soggetti «in condizioni economiche bisognevoli», che avessero espiato una pena restrittiva della libertà personale per oltre tre anni, che fossero stati prosciolti a seguito di revisione della sentenza di condanna.
2. L'impostazione originaria del codice di procedura penale del 1930
Il codice del 1930 ha rielaborato la materia con gli artt. 571, 572, 573 e 574, senza modificarne le linee essenziali: il mutato contesto politico instauratosi nel Paese non permetteva infatti alcun progresso, respingendo la tesi della sussistenza di una responsabilità dello Stato con riferimento ad episodi di ingiusta detenzione11.
La Relazione ministeriale al progetto preliminare evidenziava che non si trattava «di un diritto soggettivo al risarcimento del danno, cagionato dall'errore giudiziario, bensì di un semplice interesse, protetto mediante autorizzazione data dal giudice (...). Lo Stato non deve rispondere dei danni che possa cagionare l'attuazione delle sue funzioni di sovranità, che, se rappresenta l'esercizio d'un potere, costituisce anche l'adempimento d'un imprescindibile dovere necessariamente soggetto ad errore»12.
In tale assetto risultava accettabile solamente la previsione di una riparazione limitata all'ambito del giudicato riconosciuto erroneo in sede di revisione, elargita a mero titolo assistenziale13: il Guardasigilli 11 La dottrina sviluppava, autorevolmente, anche la tesi opposta: CARRARA,
Programma di diritto criminale, Parte generale, II, Firenze, 1924, p. 347, il
quale, pur osservando che «la società non agisce contra ius quando arresta lo innocente che ha ragione di sospettare» aggiungeva che quando «viene a conoscersi che esso era innocente ne risulta che la medesima agì sine iure». 12 Lav. prep. del codice penale e del codice di procedura penale, vol. VIII, Roma,
pp. 116 e 117.
Rocco affermava infatti che il compenso pecuniario avrebbe assunto «il carattere odioso di una speculazione economica»14 se non fosse
stato giustificato da uno stato di bisogno.
In base all'art. 571 c.p.p. 1930 chi, a seguito di revisione, fosse stato assolto per effetto della pronuncia della Corte di cassazione o del giudice di rinvio, e avesse espiato, in conseguenza della sentenza annullata, una pena detentiva di almeno tre mesi , avrebbe potuto chiedere una riparazione pecuniaria a titolo di soccorso , in presenza di uno stato di bisogno per sè o per la sua famiglia15. Oltre a questi
requisiti, per il riconoscimento suddetto, occorreva l'esistenza di tali e tante altre condizioni da rendere estremamente difficoltoso l'ottenimento di quella "elemosina".
Nonostante il concretizzarsi di alcuni miglioramenti rispetto alla norma prevista dal codice del 1913 (la soglia di durata della restrizione che legittimava la richiesta passava da tre anni a tre mesi; il termine per proporre l'istanza veniva elevato da tre mesi ad un anno), l'impostazione accolta dal codice del 1930 non risultava sostanzialmente innovativa e continuava a presentare inaccettabili incongruenze. Un soggetto privato della libertà personale a qualunque titolo, e successivamente assolto al termine del giudizio, ha sicuramente subito danni e sofferenze non dissimili da quelli patiti da chi sia stato condannato irrevocabilemente e sia stato poi riconosciuto innocente al termine del giudizio di revisione16.
Per sperare che il legislatore si occupasse concretamente del problema
14 In proposito, il Guardasigilli affermava che: «soltanto chi sente e presume di poter ragguagliare a denaro anche le più delicate situazioni psichiche umane può pensare diversamente; ma io ho tanta stima dell'umanità in genere e del nuovo cittadino italiano in specie, da credere che nessuna vittima d'errore giudiziario, che non si trovasse in bisogno, si degnerebbe di chiedere allo Stato un compenso per una sventura casuale». Cfr. Relazione sul progetto preliminare del codice di
procedura penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. XI, Roma, 1930, p. 117.
15 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 37. 16 CORDERO, L'errore giudiziario e la riparazione pecuniaria, in Jus, 1963, p.
dell'ingiusta carcerazione preventiva era comunque necessario un radicale mutamento ideologico, e un allontanamento dall'impostazione del regime fascista in corso17, che tendeva unicamente a privilegiare gli
interessi collettivi impersonati dallo stato rispetto a quelli dei singoli individui18.
3. L'approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana L'art. 24 comma 4 Cost., secondo cui «La legge determina le condizioni e i modi della riparazione degli errori giudiziari», costituisce una vera "norma manifesto", sovrapponendosi alla disciplina contenuta negli artt. 571-574 c.p.p. del 193019.
Tale disposizione si inserisce in un contesto in cui i rapporti autorità-libertà sono ormai totalmente cambiati, e sviluppa le enunciazioni dell'art. 2 Cost, proponendo un'ulteriore tutela dei diritti inviolabili della persona che risultassero lesi dall'errata attività giudiziaria.
Tuttavia nella suddetta norma l'errore giudiziario non è concettualmente esplicato: essa non fu, infatti, elaborata in sottocommissione, ma il testo fu direttamente formulato dal Comitato di redazione che lo ha approvato, su proposta del suo presidente on. Ruini, senza contestazioni o dichiarazioni espresse da parte della Commissione20.
Forse proprio a causa dell'assenza di indicazioni ulteriori sulla struttura dell'istituto, l'ultimo comma dell'art. 24 Cost. divenne oggetto di interpretazioni non omogenee: i primi commentatori ritennero infatti di dover ricondurre l'area interessata alla «riparazione» entro i confini del
17 Si esprimeva in termini di svolta «in senso autoritario della dialettica autorità-libertà» GREVI, Libertà personale dell'imputato e Costituzione, Milano, 1976, p. 13.
18 ALOISI, Manuale pratico di procedura penale, Milano, 1932, p. 2.
19 SANTANGELO, La riparazione per l'ingiusta detenzione, in Giur. mer., 2001, p. 1499.
giudicato riconosciuto erroneo in sede di revisone, come ricavabile dalla legislazione ordinaria21. Questa interpretazione si dimostrava però
debole e in contrasto con l'intero complesso di principi giuridici, sociali e politici espressi nella Costituzione, che avevano modificato completamente lo Stato nei suoi fondamenti ideologici e politici. Non mancò quindi una presa di posizione in senso contrario, volta a sostenere la tesi in base alla quale la norma costituzionale ricomprendeva la tutela riparatoria nei confronti delle vittime di ingiusta carcerazione preventiva22.
Proprio l'accoglimento di una interpretazione "allargata" di errore giudiziario ha giustificato il promovimento di una questione di legittimità del disposto dell'art. 571 c.p.p. del 193023, per contrasto con
l'art. 24 comma 4 Cost. I giudici a quibus, dopo aver stabilito che la nozione di «errore giudiziario» contenuta nella norma costituzionale andasse riferita a qualsiasi provvedimento giurisdizionale restrittivo della libertà personale che fosse poi riconosciuto erroneo da altro e definitivo atto, hanno evidenziato le ingiuste discriminazioni derivanti dal disposto dell'art. 571 c.p.p.
Tuttavia la Corte24, pur ammettendo il carattere di altissimo valore
etico e sociale del principio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 24 Cost., ha dichiarato infondata la questione sollevata, osservando che «per la sua formulazione in termini estremamente generali, il principio della riparazione degli errori giudiziari postula l'esigenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per conferirgli concretezza e determinatezza di contorni». La Corte rileva quindi che una pronuncia di accoglimento della questione di legittimità, in assenza di questi
21 GERACI, L'errore giudiziario in materia penale e la riparazione pecuniaria, in
Riv. pen., 1965, I, p. 751 s.
22 GREVI, Libertà personale dell'imputato e Costituzione, p. 304.
23 Trib. Milano, 15-12-1966, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1967, p. 258, con nota di TRANCHINA, Dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme che
disciplinano la riparazione degli errori giudiziari.
interventi normativi, avrebbe provocato un regresso della situazione normativa, «riaprendo un vuoto che non sarebbe (stato) colmabile in sede interpretativa»25.
La dottrina, nell'analisi di questa decisione, si mostrò divisa: accanto a valutazioni positive, molti avanzarono osservazioni critiche. Si affermò infatti che una pronuncia di questo tipo, dal carattere sostanzialmente abdicativo, costituisse un'«occasione perduta» per il Giudice delle Leggi di svolgere un ruolo di concretizzazione dei principi costituzionali26: l'impostazione accolta, che riconosceva nell'art. 24 ult.
comma Cost. una norma meramente programmatica, evidenziava infatti un atteggiamento interpretativo poco sensibile alla difesa dei valori tutelati dalla norma costituzionale27.
4. La riparazione nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo
Un ulteriore intervento del legislatore risultava necessario anche per allinearsi con gli obblighi internazionali, tra i quali compariva proprio quello di provvedere alla riparazione in caso di illegittima custodia cautelare28.
Ad essere rilevanti, in particolare, sono l'art. 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali29 e
l'art. 3 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea30.
Il primo stabilisce che «Ogni persona vittima di arresto o detenzione in
25 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 45. 26 CHIAVARIO, La riparazione alle vittime degli errori giudiziari in balia del
legislatore ordinario?, 1969, cit. p. 14.
27 GREVI, Libertà personale dell'imputato e Costituzione, p. 305.
28 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 46. 29 Firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva in Italia con la l. 4 agosto
1955, n. 848 ed entrata in vigore il 26 ottobre 1955
30 Adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo con l. 9 aprile 1990, n. 98 ed entrato in vigore il 1° febbraio 1992: pubblicato in Gazz. Uff., 2 maggio 1990, n. 100, suppl. ord.
violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto ad una riparazione»: la normativa europea assicura quindi la riparazione in tutti i casi in cui la restrizione della libertà personale, in base ad un giudizio ex ante, risulti disposta in violazione di uno dei diritti fondamentali garantiti dallo stesso art. 531 (non tutela invece i casi in
cui la detenzione risulti ingiusta ex post).
L'art. 3 del Protocollo addizionale n.7 alla Convenzione europea, occupandosi invece dell'errore giudiziario in senso stretto, stabilisce che: «Allorchè una condanna penale definitiva viene annullata o la grazia viene accordata poichè nuovi elementi o nuove rivelazioni comprovano un errore giudiziario, la persona che ha subito una pena in ragione di tale condanna verrà indemnisée conformemente alla legge o agli usi in vigore nello Stato interessato, a meno che non venga provato che il fatto di non aver rivelato in tempo utile gli elementi non conosciuti sia totalmente o parzialmente imputabile alla stessa».
Nonostante la CEDU evidenziasse un forte valore ideale e politico, il nostro legislatore per lunghi anni si è dimostrato completamente indifferente alle indicazioni offerte dalla normativa. A queste disposizioni è stato generalmente negato il carattere self-executing32,
ma deve essere comunque riconosciuto il fatto che la disciplina contenuta nella Carta europea non si è rivelata sterile: da un lato, essa ha fornito al legislatore statale le basi su cui creare il meccanismo riparatorio, e dall'altro ha permesso di alleggerire le polemiche conseguenti alla lacuna legislativa interna predisponendo appositi strumenti di tutela33.
31 Dal quadro della norma convenzionale risulta che «illegittima», e quindi riparabile, è la misura restrittiva dellaa libertà personale disposta: 1) senza la sussistenza del fumus commissi delicti; 2) senza la sussistenza delle esigenze di tutela della collettività ritenuta in pericolo dalla commissione di futuri reati; 3) senza la sussistenza del pericolo di fuga. È inoltre riparabile la misura restrittiva mantenuta oltre il limite della «durata ragionevole».
32 AMODIO, La tutela della libertà personale dell'imputato nella Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, in Riv. it. proc. pen., 1967, p. 855.
Sotto quest'ultimo profilo si deve specificare che gli artt. 13 e 34 della Convenzione di Roma hanno conferito ad ogni soggetto vittima di illegittime violazioni della propria libertà il diritto, rispettivamente, a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale ed al ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell'uomo (organo giurisdizionale internazionale con funzione sussidiaria rispetto agli organi giudiziari nazionali, poichè le domande sono ammissibili solo una volta esaurite, con esito negativo, le vie di ricorso interne34).
Sulla scia delle richiamate disposizioni si pone poi l'art. 41, in forza del quale se la Corte europea dei diritti dell'uomo «dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa».
5. La riparazione nel codice del 1930 dopo la l. 23 maggio 1960, n. 504
Nonostante fosse chiaramente avvertita la necessità di allineare la disciplina processuale interna in materia de libertate alla nuova normativa europea, la riparazione per l'ingiusta detenzione preventiva non costituì oggetto di concreta attenzione da parte del legislatore ordinario fino alla stesura della prima legge-delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale35.
Anche la l. 23 maggio 1960, n. 504, che riformulava gli artt. 571-574
34 Sulla rilevanza di questo presupposto, Corte europea, 26 novembre 1997, Sakik c. Turchia, ad avviso della quale il requisito del «previo esaurimento delle vie di ricorso interno» presuppone che il diritto di adire le autorità giurisdizionali, nel singolo ordinamento nazionale, sia caratterizzato da un sufficiente grado di «accessibilità e di effettività» in ordine alla sua instaurazione, «non solamente in teoria ma anche in pratica».
c.p.p. 1930 e introduceva il nuovo art. 574-bis36, risultò caratterizzata
da un'impostazione fortemente deludente, poichè trattava l'area dell'errore giudiziario unicamente nella sua accezione tradizionale37.
Il merito che deve essere riconosciuto alla nuova normativa è, invece, l'aver configurato come diritto soggettivo nei confronti dello Stato ciò che fino a quel momento era un semplice intervento elargito pietatis causa, a mero titolo di soccorso38; il nuovo testo dell'art. 571 c.p.p.
1930 riconosceva infatti il «diritto (...) ad una equa riparazione commisurata alla durata dell'eventuale carcerazione preventiva o internamento ed alle conseguenze personali e famigliari derivanti dalla condanna».
Restava fondamentale, anche nella nuova disciplina, la pronuncia di una sentenza di proscioglimento a seguito del giudizio di revisione e il non «aver dato, per dolo o colpa grave, concorso a dare causa» all'errore giudiziario.
In merito alla determinazione del pregiudizio, che doveva essere commisurato alla durata della carcerazione preventiva ed alle conseguenze personali e familiari, anche a causa della natura dei danni, che sfuggivano ad un accertamento rigido e matematico, l'art. 571 primo comma c.p.p. stabiliva che la riparazione dovesse essere informata ad un criterio di equità, che prescindeva quindi da accertamenti fondati su prove precise: si attribuiva quindi al magistrato, per la soluzione del caso concreto, un ampio potere di apprezzamento, che non lo svincolava però dall'obbligo di applicare le
36 Quest'ultima norma disponeva che nei casi in cui la sentenza di condanna fosse stata emessa in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, o di un altro fatto preveduto dalla legge come reato, la riparazione pecuniaria poteva essere richiesta solo se non fosse stato possibile ottenere il risarcimento dei danni dal responsabile del reato, per causa non imputabile all'avente diritto; nel caso in cui vi fosse stato un risarcimento parziale, la riparazione sarebbe stata liquidata in misura non eccedente l'ammontare della somma non recuperata a titolo di risarcimento.
37 CORDERO, Procedura penale, Milano, 1971, p. 521. 38 PISANI, Tutela penale e processo, Bologna, 1978, p. 295.
norme di diritto preposte alla materia in sede civilistica39 (il che risulta
dai lavori preparatori della l. 504 del 196040).
E' significativo notare come, a soli pochi mesi di distanza dall'emanazione della citata nuova disciplina, essendo stata avvertita l'insufficienza della soluzione normativa, venne presentato un nuovo disegno di legge riguardante la medesima materia41. I parlamentari
Chabod e Lami Starnuti, infatti, si fecero promotori di una iniziativa42
volta a concedere un'equa riparazione anche a chi fosse stato erroneamente incarcerato, per almeno sei mesi, e ad estendere quindi il diritto alla riparazione al di là delle ipotesi di errore giudiziario, per ricomprendervi anche i casi in cui un soggetto fosse stato riconosciuto innocente dopo un'ingiusta carcerazione preventiva già all'esito del processo. Il disegno di legge però, nonostante le valide intenzioni che lo sostenevano, non ebbe alcun seguito43.
6. La legge delega del 1974 e il progetto preliminare del 1978 Molto diversa rispetto all'impostazione restrittiva precedente risultò quella contenuta nella l. 3 aprile 1974, n. 108 di delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, che al punto n. 81 dell'art. 2 prevedeva la «riparazione dell'errore giudiziario o per ingiusta detenzione»44.
39 CAPALOZZA, Contributo allo studio dell'errore giudiziario in materia penale, p. 95.
40 Fu il Guardasigilli on. Gonella ad affermare che «l'equa riparazione è un concetto più ampio del risarcimento» e che l'espressione usata, se da un lato vuole
respingere la «natura materiale od aritmetica» del risarcimento ed evidenziare il carattere morale del danno, dall'altro vuole evidenziare che il danno non deve essere provato, essendovi «la prova in re ipsa, con il riconoscimento dell'errore». Atti del Senato, III Leg., Discussioni, 12 maggio 1960, p. 11642.
41 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 57. 42 D.d.l. n. 1228, comunicato alla Presidenza del Senato il 6 ottobre 1960, in Riv. it.
dir. e proc. pen., 1961, p. 113 s.
43 RIVELLO, Riparazione per l'ingiusta detenzione, in Dig. disc. pen., p. 334, nt. 30.
La direttiva in esame, frutto di una accresciuta sensibilità nei confronti dell'ingiusta detenzione, risultò come una delle maggiori innovazioni nell'organizzazione del futuro processo45; inoltre, già in sede di
legge-delega, risultò palese l'intenzione di superare l'impostazione disegnata dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, focalizzata esclusivamente sulla riparazione della detenzione «illegale», allo scopo di tutelare anche la detenzione rivelatasi comunque «ingiusta» (anche se formalmente legittima al momento dell'emissione della misura cautelare)46.
Tuttavia, considerando soprattutto la novità della materia e i contrasti che da sempre aveva originato, la genericità e la ristrettezza delle indicazioni contenute nella legge-delega portarono il legislatore a confrontarsi con un compito assai arduo.
Dando voce solo parzialmente alla volontà della legge-delega, l'art. 300 del progetto preliminare del 1978 previde che «chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, può chiedere una riparazione per la custodia provvisoria trascorsa in carcere, qualora non vi abbia dato o concorso a dare causa per dolo o colpa grave. Il giudice decide secondo equità»47.
Simmetricamente, l'art. 606 del progetto preliminare 1978 conferì al «prosciolto in sede di revisione, se per dolo o colpa grave non (avesse) dato causa all'errore giudiziario», il «diritto ad una equa riparazione commisurata alla durata dell'eventuale carcerazione o internamento ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna». Quest'ultima disposizione poco si discostava dal contenuto dell'art. 571 c.p.p. 1930: le uniche differenze riguardavano il riferimento, come
45 GREVI, Libertà personale dell'imputato e Costituzione, p. 371. 46 RIVELLO, Riparazione per l'ingiusta detenzione, in Dig. disc. pen.
47 Per quanto riguarda i profili procedurali l'art. 301 del progetto rinviava poi, in quanto applicabili, alle disposizioni degli artt. 608 e 609 prog. prel., in tema di riparazione dell'errore giudiziario accertato con procedimento di revisione.
presupposto del diritto di riparazione, alla pronuncia di una sentenza di proscioglimento anzichè di assoluzione in sede di revisione, con la conseguenza di una espansione dell'ambito applicativo dell'istituto (che poteva essere riferito non solo ai casi di assoluzione ex art. 502 prog. prel. 1978, ma anche ai casi di sentenza di non doversi procedere o di dichiarazione di estinzione del reato), e la non menzione, tra gli elementi ostativi al sorgere del diritto a quo, del «concorso a dare causa» all'erronea condanna48.
Un altro aspetto che fece discutere fu la decisione del legislatore delegato di sganciare le ipotesi di ingiusta detenzione da quelle di errore giudiziario49 (impostazione che in seguito fu sempre mantenuta):
le critiche si concentrarono principalmente sulla scelta di "relegare" semplicisticamente l'errore giudiziario nell'ambito della revisione50.
Riguardo all'istituto previsto dall'art. 300 prog. prel. vari furono gli elementi che risultarono insoddisfacenti: in primo luogo, la scelta del legislatore delegato di limitare la riparazione alle sole carcerazioni rivelatesi ingiuste ex post implicava l'esclusione di tutti i casi in cui, anche in presenza di una successiva sentenza di condanna, la carcerazione fosse stata comunque illegittima ex ante51 (e ciò risultava
in contrasto anche con l'ambito di operatività delineato dalle Convenzioni internazionali, che incentrano la loro attenzione sul diritto alla riparazione della detenzione originariamente «illegale», non occupandosi dell'ipotesi dell'ingiusta detenzione, correttamente presa in considerazione dal prog. prel. 1978).
48 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, pp. 60-61.
49 Venne separata la disciplina della «Riparazione per l'ingiusta detenzione» (Capo VII del Titolo I, "Misure di coercizione personale", del Libro IV "Misure di coercizione") da quella della «Riparazione dell'errore giudiziario» (Titolo IV, "Revisione", del Libro X, "Impugnazioni").
50 COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, p. 100.
51 GREVI-NEPPI MODONA, Introduzione al progetto del 1978, in CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi
delega ai decreti delegati, vol. I, La legge delega del 1974 e il progetto preliminare del 1978, Padova, 1989, p. 108.
In secondo luogo il progetto considerò suscettibile di riparazione la sola custodia provvisoria in carcere rivelatasi ingiusta, rendendo quindi "non riparabili" le misure di coercizione personali non detentive. Se tuttavia una certa cautela era comprensibile considerando la novità della materia trattata, non era tollerabile o comprensibile la previsione, a favore dell'innocente detenuto, di una semplice «legittimazione a chiedere» l'indennizzo, in luogo di un vero e proprio «diritto ad ottenere» la riparazione; le valutazioni giudiziali sull'an, oltre che sul quantum debeatur, collocavano la pretesa del richiedente tra le situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo, subordinato alla valutazione discrezionale dell'organo procedente52.
Le critiche mosse a questa impostazione non furono senza effetto. Infatti, in sede di attuazione della seconda (e definitiva) legge delega del 1987, come vedremo, il legislatore delegato si dimostrò più attento alle esigenze garantistiche sottolineate in ambito costituzionale ed internazionale.
7. La riparazione nel Patto internazionale sui diritti civili e politici
Un approccio differente rispetto a quello fatto proprio dal progetto preliminare al codice penale del 1978 è contenuto nel Patto Internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la l. 25 ottobre 1977, n. 881 ed entrato in vigore il 15 dicembre 1978 (prima della fine dei lavori sul progetto preliminare).
Ai sensi dell'art. 9 § 5 del Patto, infatti, «chiunque sia stato vittima di arresto o detenzioni illegali ha pieno diritto ad un indennizzo»53. Il 52 COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, p. 104.
Patto di New York, quindi, analogamente alla Convenzione di Roma, impone agli Stati membri di intervenire per riconoscere una riparazione alle vittime di ingiusta detenzione qualificabile ex ante illegittima, differenziando queste ipotesi da quelle disciplinate dall'art. 14 § 6 di «errore giudiziario in senso stretto»54.
Quest'ultima norma, ai sensi della quale «quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, ovvero viene accordata la grazia, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna dimostra che era stato commesso un errore giudiziario, l'individuo che ha scontato la pena in virtù di detta condanna deve essere indennizzato, in conformità della legge, a meno che non venga provato che la mancata scoperta in tempo utile del fatto ignoto è a lui imputabile in tutto o in parte», può risultare in parte assimilabile all'art. 3 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea. D'altra parte, sembrerebbe che l'art. 9 § 5 del Patto Internazionale, in materia di ingiusta detenzione, coinvolga un'area più vasta rispetto alla norma gemella della Convenzione europea: parlando di detenzione o di arresto «illegali», anzichè di detenzione o di arresto «eseguiti in violazione alle disposizioni di questo articolo», l'art. 9 del Patto sembra fare riferimento ad ogni tipo di arresto o detenzione «illegale», e non soltanto a quelle «illegalità» che derivano dalla violazione delle «garanzie minime» fissate nei primi commi dell'art. 5 della Convenzione55.
Tuttavia, osservando l'ambito italiano, una riserva apposta all'atto di deposito della ratifica del Patto Internazionale ha notevolmente delimitato la portata del diritto de quo: essa precisa infatti che «la Repubblica italiana, considerando che l'espressione "arrestation ou détention illégales" contenuta nel paragrafo 5 dell'art. 9 potrebbe dar
inglese «compensation».
54 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 65. 55 CHIAVARIO, Le garanzie fondamentali del processo nel Patto internazionale sui
luogo a divergenze d'interpretazione, dichiara d'interpretare l'espressione summenzionata come riferentesi esclusivamente agli arresti o detenzioni contrarie alle disposizioni del paragrafo 1 del medesimo articolo 9»56. Il legislatore italiano ha quindi reso
impossibile il collegamento tra il diritto riparatorio e le limitazioni di libertà contrastanti con norme interne di più ampio respiro57.
Inoltre, osservando la tecnica normativa utilizzata per la stesura dell'art. 9 del Patto di New York - sintetica e limitata a comprendere mere enunciazioni di principio, a differenza della corrispondente norma convenzionale, contenente l'elenco tassativo dei casi di legittima limitazione della libertà personale dell'imputato - risulta chiara la difficoltà dell'interprete nell'individuare le situazioni in concreto riparabili58, con la conseguenza che la tutela apprestata dal Patto
Internazionale finisce per rivelarsi meno incisiva rispetto a quella della Convenzione europea59.
Allo stesso risultato si giunge anche riflettendo su quali siano gli strumenti offerti per la tutela del diritto alla riparazione: mentre la Convenzione europea permette di devolvere la soluzione di possibili controversie in materia alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le cui decisioni sono vincolanti per gli stati interessati, il Patto Internazionale si limita a conferire il ruolo di garante degli obblighi in esso contenuti al Comitato dei diritti dell'uomo60, che può solamente esercitare attività
istruttorie o di composizione amichevole.
56 Il testo della riserva del Ministro degli affari esteri è pubblicato in Gazz. uff., 23 novembre 1978, n. 328.
57 CHIAVARIO, Le garanzie fondamentali del processo nel Patto internazionale sui
diritti civili e politici, p. 498.
58 Al punto da «privare sostanzialmente la misura riparatoria di ogni potenzialità operativa»; COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, p. 91. 59 ZANETTI, La riparazione dell'ingiusta custodia cautelare, pp. 79-80.
60 È però vero che tutti i riconoscimenti di violazioni di diritti di libertà da parte del Comitato europeo appaiono destinati «ad avere risonanza ed un'incidenza etico-politica fuori dal comune (...) ed al tempo stesso non puramente riconducibili ad un qualunque pronunciato "politico"»: così testualmente CHIAVARIO, Processo
e garanzie della persona, vol. I, Profili istituzionali di diritto processuale,
8. La riparazione nella legge delega del 1987 e nel progetto preliminare del 1988
Le numerose critiche e perplessità nate attorno all'impostazione proposta a seguito della legge delega del 1974 portarono all'accantonamento del progetto preliminare del 1978, e impedirono alla disciplina della riparazione di conformarsi agli obblighi imposti in materia a livello costituzionale (art. 24 comma 4) e a livello internazionale61.
Ciò non comportò comunque una perdita di attenzione per la tematica in oggetto, tanto che numerosi furono i disegni e le proposte di legge che contribuirono allo sviluppo dell'istituto.
Il quadro in cui si trovò ad operare il legislatore delegato, per la redazione del nuovo progetto preliminare del codice di procedura penale, non fu ideale: il legislatore delegante, infatti, con la direttiva n. 100 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, aveva ripetuto l'errore del suo predecessore, esprimendo concetti generici e privi di più chiare indicazioni (parlava infatti genericamente di «riparazione dell'ingiusta detenzione e dell'errore giudiziario», senza specificare il significato da attribuire ai concetti di ingiustizia e di detenzione62) e aveva apportato
alcune "discutibili" modifiche alla precedente direttiva.
Tuttavia, la maturazione di una forte sensibilità sociale e politica sul tema, ha permesso al legislatore delegato di elaborare l'istituto dell'ingiusta detenzione in modo particolarmente attento alle esigenze
61 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 69. 62 Come rileva COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, p. 117, la
formula «ingiusta detenzione» sembra, da un lato, troppo circoscritta, poichè nell'espressione «detenzione» non sono comprese misure diverse dal carcere; dall'altro quasi ambigua, poichè nel termine «ingiustizia» non è necessariamente implicato il fenomeno della «illegittimità» della detenzione, «la cui valutazione dovrebbe di per sé prescindere dall'esito del processo».
garantistiche sempre più energicamente affermate63.
In materia di errore giudiziario, invece, il contenuto dell'art. 606 comma 1 prog. prel. 1978 è stato interamente accolto nel nuovo testo dell'art. 643 prog. prel. 1988, con una sola modifica suggerita dalla Commissione parlamentare64: l'eliminazione dell'aggettivo «equa»
avanti al sostantivo «riparazione», ritenuto dalla Commissione in contrasto con i parametri di valutazione contenuti nel comma 1 dello stesso art. 643.
9. La riparazione nello Statuto della Corte penale internazionale
L'istituzione della Corte penale internazionale65 ha portato un ulteriore
riconoscimento del diritto di chi abbia subito una illegittima misura restrittiva ad ottenere una riparazione.
Lo statuto della Corte, adottato a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002, all'art. 85 § 1 stabilisce infatti che «Chiunque sia stato vittima di un arresto o di una detenzione illegale ha diritto alla riparazione». Questa previsione, che ricalca il contenuto dell'art. 9 § 5 del Patto di New York, precede la disciplina che attiene all'errore giudiziario in senso stretto.
Ai sensi del § 2 del medesimo articolo, lo Statuto dispone che «Se una condanna definitiva è in seguito annullata in quanto un fatto nuovo, o
63 COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, p. 116.
64 Parere della Commissione parlamentare sul progetto preliminare del 1988, in CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, vol. IV, Il progetto preliminare del 1988, Padova, 1990, p. 1370.
65 Nuova istituzione permanente, è un tribunale internazionale che ha sede all'Aia. La competenza del tribunale è legata ai crimini più seri che riguardano la comunità nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra. La sua giurisdizione è improntata al principio di territorialità, e, ratione
temporis, si estende unicamente ai crimini che verranno commessi dopo l'entrata
in vigore del Trattato adottato a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002, contenente lo Statuto della Corte.
recentemente rivelato, dimostra che è stato commesso un errore giudiziario, la persona che ha subito una pena in ragione di detta condanna è risarcita in conformità alle leggi (...)», per poi concludere, al § 3, che «in circostanze eccezionali, qualora la Corte scopra sulla base di elementi affidabili che è stato commesso un errore giudiziario grave e manifesto essa può, a sua discrezione, concedere un risarcimento secondo i criteri enunciati nel Regolamento di procedura e di prova, ad una persona che era stata liberata a seguito di un proscioglimento definitivo o in quanto il procedimento giudiziario era cessato per via di questo fatto».
Il primo elemento di evidente diversità tra lo Statuto, la Convenzione di Roma e il Patto di New York è la previsione, nel primo, di una disciplina unitaria delle ipotesi riconducibili alla più ampia nozione di "errore giudiziario in senso stretto"66.
Inoltre, mentre la Convenzione e il Patto risultano prive di specificità, mancando indicazioni idonee di carattere procedurale, il Regolamento di procedura e prova, varato ai sensi dell'art. 51 dello Statuto67, alle
rules 173 e 174, delinea una procedura comune alle tre ipotesi di riparazione.
In materia di determinazione del pregiudizio, la Rule 175 - «Amount of compensation» - stabilisce che l'ammontare della compensazione venga calcolato prendendo in considerazione le conseguenze del grave e manifesto errore giudiziario sulla situazione personale, familiare, sociale e professionale della persona che ha presentato la richiesta, ma ricollega queste regole alla sola ipotesi di riparazione prevista dal § 3 dell'art. 85 dello Statuto68.
66 TURCO, L'equa riparazione tra errore giudiziario e ingiusta detenzione, p. 74. 67 Il testo del Regolamento, adottato unitamente agli Elementi di Reato, il 30 giugno
2000, dalla V Sessione della Commissione preparatoria, si compone di 225 regole a corredo dei diversi articoli dello Statuto.
68 Il testo ufficiale della rule 175 recita: «In establishing the amount of any
compensation in conformity with article 85, paragraph 3, the Chamber (...) shall take into consideration the consequences (...)».
Quest'ultima affermazione può indurre un'ulteriore riflessione: gli stessi parametri possono essere utilizzati anche per il calcolo dell'ammontare da liquidare come riparazione dell'ingiusta detenzione di cui al § 1 e dell'errore giudiziario di cui al § 2 dell'articolo in esame? Nonostante il testo della Rule 175 potrebbe portare verso una risposta negativa, l'interpretazione estensiva della disposizione è ricavabile dall'identità della ratio che sta a fondamento dei tre istituti.
In conclusione, nonostante alcune lacune e dubbi interpretativi che la norma in esame può suscitare, la previsione nello Statuto del diritto alla riparazione deve essere accolta e valutata positivamente, per la sua capacità di guidare gli ordinamenti nazionali dei diversi Paesi: la disciplina contenuta nello Statuto fa infatti scattare, a carico degli Stati Parte, il dovere di uniformare le normative nazionali a tale soglia di garanzia, nel caso in cui non prevedano ancora l'istituto della riparazione, o lo ammettano in forme più attenuate69.
Capitolo II
LA REVISIONE
SOMMARIO: 1.1 Il valore del giudicato – 1.2 La necessità di rimedi
contro l'ingiusta condanna definitiva – 2. I provvedimenti soggetti a revisione – 3. I casi di revisione – 3.1 Inconciliabilità di giudicati, art. 630 comma 1 lett. a) c.p.p. - 3.2 Revoca della sentenza pregiudiziale civile o amministrativa, art. 630 comma 1 lett. b) c.p.p. - 3.3 Nuove prove, art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p. - 3.4 Condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, art. 630 comma 1 lett. d) c.p.p. - 3.5 Un nuovo modello di revisione a seguito della condanna dello Stato italiano pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo - 4.1 Il procedimento di revisione: legittimazione soggettiva, competenza, forma della richiesta – 4.2 Il giudizio preliminare di delibazione sull'ammissibilità della domanda di revisione – 5. Il giudizio di revisione e la sentenza
1.1 Il valore del giudicato
Poichè la possibilità di errore rappresenta una verità innegabile, è necessario che la legge predisponga, nella maniera più efficace, strumenti atti ad eliminare la sentenza ingiusta, una volta divenuta definitiva70.
In tutti i casi in cui ci si trovi in presenza di indizi di errore giudiziario,
70 SCARDIA, Relazione, in Aa. Vv., Errore giudiziario e riparazione pecuniaria, in Atti del Convegno di Lecce, 1962, Galatina, 1963, p. 29.
che abbiano portato alla pronuncia di una sentenza ingiusta, vale a dire di una sentenza che «offre una ricostruzione della verità storica non conforme a quella reale»71, ineliminabili ragioni di giustizia sostanziale
ne impongono l'accertamento e l'eliminazione attraverso la riapertura del processo72.
Tuttavia questa esigenza non riguarda l'intera gamma di errori realizzatisi nel corso del processo e confluiti nel giudicato, a causa del rilievo del diverso contenuto del provvedimento definitivo: la sentenza che, errando sostanzialmente, assolve un colpevole (ma non condanna un imputato innocente), è processualmente giusta e valida; al contrario, quando questo rischio non è scongiurato, la sentenza, anche se valida e processualmente giusta, è «sostanzialmente ingiusta»73. Nessuna
ingiustizia sostanziale può derivare da una pronuncia irrevocabile di proscioglimento, che non attribuisce all'imputato uno status di «innocente» diverso o aggiuntivo rispetto a quello garantito dall'art. 27 comma 2 Cost; solo il giudicato di condanna produce effetti sostanziali, a causa del superamento della presunzione di innocenza e dell'assegnazione all'imputato dello status di «colpevole»74.
La differenza che intercorre tra gli effetti del giudicato, quindi, influisce sulla «forza di resistenza» della sentenza definitiva e comporta un diverso trattamento sotto il profilo della rilevabilità dell'errore.
Il giudicato, in un sistema fondato sulla tutela dei diritti fondamentali, svolge un'essenziale funzione individual-garantistica. Ottenere un accertamento definitivo è il fine ultimo dell'attività giudiziaria, allo scopo di soddisfare l'interesse di ogni ordinamento alla certezza delle
71 ASTARITA, Revisione, in Dig. disc. pen., III Agg., II, Torino, 2005, p. 1357. 72 CAVALLARO, Revisione, in Dig. disc. pen., VIII Agg., Torino, 2014.
73 CARPONI SCHITTAR, Al di là del ragionevole dubbio e oltre, Milano, 2008, p. 65.
74 In tal senso si esprime D'ORAZI, in La revisione del giudicato penale, Padova, 2003, p. 91 ss.
situazioni giuridiche (certezza che risponde all'obiettivo di tutelare la sicurezza dei diritti e le libertà del singolo75).
La realizzazione di questo obiettivo richiede che il risultato del processo sia intangibile, grazie al divieto di statuire nuovamente su ciò che è già stato definitivamente deciso76; le disposizioni contenute nella
Costituzione permettono di identificare nel provvedimento «definitivo» di cui all'art. 27 comma 2 Cost., il momento finale della fase di incertezza iniziata con l'avvio della vicenda processuale, momento in cui l'imputato ottiene un vero e proprio diritto ad essere posto, in relazione a quel fatto, in condizione di «quiete penalistica»77.
La necessità espressa dalla Carta fondamentale di garantire la tranquillità dei cittadini è soddisfatta dal divieto di bis in idem78, tipico
effetto del giudicato, appartenente alla tradizione del nostro processo penale.
1.2 La necessità di rimedi contro l'ingiusta condanna definitiva Non contrasta, invece, con il valore del giudicato l'esigenza, di origine costituzionale, di correzione dell'errore giudiziario. È la stessa Carta costituzionale , infatti, che all'art. 24 comma 4 impone la previsione, a livello di legge ordinaria, di strumenti in grado di rimediare all'ingiusto giudicato di condanna79.
75 DE LUCA, voce Giudicato (diritto processuale penale), in Enc. giur., Roma, 1989, p. 2.
76 DE LUCA, voce Giudicato, p. 3. 77 D'ORAZI, La revisione, cit. p. 163.
78 Il principio del ne bis in idem figura a chiare lettere anche tra le garanzie del processo penale previste dalle Carte internazionali sui diritti dell'uomo (art. 14 comma 7 Patto internazionale sui diritti civili e politici e art. 4 Protocollo n. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), che vietano di sottoporre a nuovo giudizio o nuova pena, per il medesimo fatto, il soggetto già «assolto» o «condannato» con sentenza definitiva, circoscrivendo così l'efficacia del divieto ai casi di precedente giudicato di merito. Cit. DALIA-FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2010, p. 737.
La flessibilità del giudicato di condanna è elemento fondamentale di qualsiasi sistema ispirato ai diritti fondamentali della persona, ed è proprio ricercando nell'ambito dei valori costituzionalmente protetti che l'art. 24 Cost. appare come un coerente «sviluppo del più generale principio "dei diritti inviolabili dell'uomo"»80, assunto in Costituzione
tra le basi dell'intero ordinamento repubblicano.
Lo strumento previsto dal nostro ordinamento come rimedio volto all'accertamento ed alla correzione dell'errore giudiziario è la revisione, «punto di equilibrio del sistema processuale penale»81: la
revisione è un mezzo di impugnazione straordinario, non sospensivo, non devolutivo, estensivo, che permette di rimuovere sentenze di condanna o decreti penali di condanna divenuti irrevocabili, di cui elementi conosciuti successivamente al giudicato rendano conoscibile l'ingiustizia82.
L'istituto della revisione, quindi, non si configura come un'impugnazione tardiva, idonea a dedurre, in ogni tempo, ciò che nel processo, ormai conclusosi con provvedimento divenuto irrevocabile, non è stato rilevato o dedotto; inoltre, non può essere consentita senza confini, proprio a garanzia del giudicato che altrimenti sarebbe eccessivamente sacrificato. L'equibilibrio è stato trovato nel divieto di configurare questa impugnazione straordinaria come mero riesame del giudicato83, e nella conseguente necessità di individuare un novum tale
da consentire e caratterizzare l'impugnazione.
Per giurisprudenza costante, non costituisce ostacolo al ricorso
Padova, 2011, p. 100.
80 In questo senso si esprime Corte cost., 24-1-1969, n. 1, in Giur. Cost., 1969, p. 1 ss.
81 Così DEAN, La revisione, Padova, 1999, p. 13.
82 GALATI, Le impugnazioni, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto
processuale penale, II, Milano, 1995, p. 547.
83 «Non è la erronea (in ipotesi) valutazione del giudice a rilevare, ai fini della rimozione del giudicato; bensì esclusivamente "il fatto nuovo" (tipizzato nelle varie ipotesi scandite dall'art. 630 del codice di rito), che rende necessario un nuovo scrutinio della base fattuale su cui si è radicata la condanna oggetto di revisione», Corte cost. 30-4-2008, n. 129.
all'istituto della revisione la scelta dell'interessato di non aver impugnato il provvedimento di condanna o di aver proposto solo alcuni dei mezzi ordinari di impugnazione predisposti dall'ordinamento giuridico84. Ugualmente, costituisce ormai ius receptum il principio per
il quale la revisione è ammissibile anche se il condannato abbia dato causa, per dolo o colpa grave, al provvedimento di condanna, principalmente perché, se il legislatore avesse voluto introdurre tale preclusione, lo avrebbe fatto in modo espresso85.
2. I provvedimenti soggetti a revisione
Ai sensi dell'art. 629 c.p.p. «È ammessa in ogni tempo, a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta».
Il legislatore descrive il provvedimento impugnabile in termini sia formali sia di contenuto86.
Sotto il profilo formale viene fatto riferimento a sentenze e decreti penali irrevocabili, col fine di circoscrivere il rimedio a provvedimenti passati in giudicato (escludendo quindi, ad esempio, le ordinanze). A questo dato si affianca il profilo contenutistico, col quale viene fatto riferimento alle sole sentenze di condanna. Questa limitazione esclude dal novero di provvedimenti suscettibili di revisione le sentenze di proscioglimento e di non luogo a procedere, anche se la dottrina ha espresso qualche dubbio di legittimità costituzionale sull'esclusione di sentenze di proscioglimento che comportano un accertamento di responsabilità ed effetti pregiudizievoli, come le sentenze di non
84 Cass., Sez I, 13-2-1985, Aprea, in GP, 1986, III, p. 255. 85 Cass., Sez. V, 28-5-1996, Di Fabio, in CP, 1997, p. 2184. 86 D'ORAZI, La revisione, p. 498 ss.
imputabilità che applicano misure di sicurezza o sentenze di proscioglimento per amnistia87.
Oltre alle sentenze di condanna, senza alcuna ingiustificata distinzione tra condanna per delitto e per contravvenzione88, sono quindi presenti
altre ipotesi appartenenti alla casistica dei provvedimenti revisionabili. La revisione è ammissibile in caso di sentenza di condanna con pena sospesa, di amnistia impropria e in caso di condanna a cui sia seguita la abolitio criminis, poichè la sentenza era originariamente di condanna e il (già) condannato avrà comunque un forte interesse al proscioglimento, rispetto ad un reato, ancorchè abolito.
L'impugnazione straordinaria è esperibile, in caso di condanna, anche rispetto a singoli elementi del reato continuato. La dottrina penalistica fornisce oggi una risposta relativamente unanime alla questione della natura – unitaria o pluralistica – del reato continuato, nel senso che si deve applicare la disciplina più favorevole: nel caso di specie la revisione è quindi applicabile anche ad uno solo dei reati componenti la continuazione89.
Allo stesso modo, la revisione può essere applicata ad un solo capo di sentenza, nel caso di cumulo oggettivo, soggettivo, ovvero di sentenza con cumulo oggettivo e soggettivo.
Rispetto alle ipotesi che precedono – revisione per uno solo dei componenti del reato continuato, o per uno solo dei reati o dei soggetti di unica sentenza – potrebbero presentarsi problemi rispetto all'art. 631 c.p.p., che dispone che «Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531». Nei casi ora analizzati, infatti,
87 Sul punto, JANNELLI, sub art. 629, in Comm. Chiavario, VI, Torino, 1991, p. 330.
88 Distinzione presente nel codice del 1930, ma superata dalla sentenza della Corte cost. 5-3-1969, n. 28, in Giur. Cost.., 1969, p. 384.
non si potrebbe raggiungere un proscioglimento integrale, come sembra prevedere l'art. 631 c.p.p.
Questo rilievo, tuttavia, non sembra avere fondamento: guardando la vicenda in modo atomistico, infatti, la revisione è ammissibile, poichè il condannato mira ad ottenere un proscioglimento proprio con una delle formule elencate nell'art. 631, e non un semplice miglioramento della sentenza. Inevitabilmente, essendo quest'ultima cumulativa, alcune condanne non verranno meno, e potrà dirsi che la revisione avrà prodotto, nel suo complesso, l'effetto esclusivo di rendere più favorevole la sentenza. Nondimeno, in relazione al singolo reato, il fine sarà quello di proscioglimento, come imposto dall'art. 631 c.p.p., e dunque la revisione deve ritenersi applicabile90.
Nell'ambito dei provvedimenti soggetti a questo rimedio straordinario merita particolare attenzione l'estensione della revisione, ad opera dell'art. 3 l. 12-6-2003 n. 134, alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Questo intervento ha posto fine a numerose incertezze giurisprudenziali sul punto, incertezze che erano state risolte in modo drasticamente negativo (e controverso) dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione91, che avevano escluso la possibilità di ricorrere alla
revisione avverso le sentenze «negoziate»92. In particolare, ad avviso
della Corte regolatrice, la sentenza di applicazione di pena concordata non poteva essere suscettibile di revisione per diverse ragioni: in primo luogo, per la sua diversità ontologica dalla sentenza di condanna; in secondo luogo, per la impossibilità di incentrare una richiesta di revisione sulle condizioni tipizzate dalla lett. a) e dalla lett. c) dell' art. 630, atteso che, di regola, nel procedimento anticipatamente definito con l'applicazione concordata di pena, non si svolge alcuna istruzione
90 D'ORAZI, La revisone, p. 502.
91 Cass. pen., Sez. Un., 25-3-1998, CP, 1998, p. 2897. 92 ASTARITA, Revisione, in Dig. disc. pen.
probatoria e non vi è alcun accertamento (in senso pieno) dei fatti oggetto di imputazione93; infine, per la natura irrevocabile che il codice
riconosce alla manifestazione di volontà delle parti che optano per la applicazione di una pena concordata94.
La soluzione offerta era apparsa subito insoddisfacente e costituzionalmente illegittima, poichè in contrasto con la verifica sui temi della responsabilità penale, resa imprescindibile dal rispetto di alcuni principi di rango costituzionale, quali la presunzione di non colpevolezza (art. 27 comma 2 Cost.), l'inviolabilità della libertà personale (art. 13 comma 1 Cost.), il diritto di difesa (art. 24 comma 2 Cost.), la legalità dell'azione penale (art. 112 Cost.) e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (art. 111 comma 1 Cost.).
La l. 12-6-2003 n. 134, attraverso la modifica dell'art. 129 c.p.p., ha definitivamente risolto la vexata quaestio, includendo espressamente nel novero dei provvedimenti soggetti a revisione le sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 comma 2 c.p.p.
Tuttavia, l'intervento del legislatore, pur avendo eliminato ogni incertezza in merito alla possibilità di chiedere la revisione anche della sentenza di patteggiamento, non ha trovato unanime consenso in dottrina. Ed invero, all'opinione di coloro che hanno accolto favorevolmente il novum legislativo, se non altro perché funzionale ad assicurare all'imputato, anche in ipotesi di patteggiamento, un rimedio straordinario nella eventualità di un errore giudiziario95, si sono
affiancate le voci di quanti, al contrario, hanno continuato a far leva sulla intrinseca inconciliabilità del rimedio della revisione con la sentenza di applicazione di pena concordata, sostenendone la reciproca
93 In tal senso, anche Cass. pen., Sez. Un., 28-5-1997, CP, 1997, p. 3341. 94 Cass. pen., Sez. Un., 25-3-1998, Boretti, in DPP, 1998, p. 1078.
95 AMODIO, I due volti della giustizia negoziata nella riforma del patteggiamento, in CP, 2004, p. 705; CALAMANDREI, Sentenza di patteggiamento e revisione, in GI, 2005, p. 214.
incompatibilità96.
L'innovazione normativa ha inoltre lasciato aperti alcuni problemi interpretativi. In primo luogo, considerata l'immanente operatività, in materia di impugnazioni, del principio di tassatività, l'esplicito riferimento alle sole sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 comma 2 c.p.p., ha indotto qualche autore a paventare il rischio che la norma analizzata non potesse trovare applicazione in caso di provvedimenti post-dibattimentali che applicano la pena concordata ai sensi dell'art. 448 c.p.p.97, anche se è opinione maggioritaria, in dottrina, quella
secondo cui la revisione è esperibile anche avverso le sentenze di applicazione di pena concordata emesse in questi casi, a maggior ragione quando la sentenza interviene dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, così da essere, in tutto e per tutto, assimilabile ad una sentenza di condanna98.
In secondo luogo, gran parte della dottrina ha lamentato la mancata introduzione, da parte del legislatore della riforma, di una disciplina ad hoc per la revisione delle sentenze di patteggiamento, soprattutto per quanto concerne il concetto di prova nuova sulla quale incentrare la richiesta di revisione, che tenesse conto delle particolarità che connotano, sotto plurimi aspetti, il rito alternativo disciplinato dagli artt. 444 e ss99.
Ed infatti, anche in giurisprudenza si è ritenuto che, in relazione alla sentenza di patteggiamento, non possono essere classificate come prove nuove, idonee a fondare un giudizio di revisione, tutte quelle prove preesistenti alla scelta del rito alternativo e note all'imputato che,
96 CREMONESI, Patteggiamento "tradizionale e "allargato", ecco le differenze, in
Dir. Giust., 2003, p. 24.
97 PERONI, La nuova fisionomia del patteggiamento, in Di Chiara (a cura di), Il
processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, p.
386.
98 MARCHETTI, La revisione, in Spangher, Trattato di procedura penale, p. 933. 99 CAPPA, Profili problematici della revisione della sentenza "patteggiata", in De
Caro (a cura di), Patteggiamento allargato e sistema penale, Milano, 2004, p. 174.