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Filosofia della competenza. Contributi per un paradigma interdisciplinare.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civilt`a e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in

Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di laurea magistrale

Filosofia della competenza

Contributi per un paradigma interdisciplinare

Candidato:

Giorgio Parente

Matricola: 456611

Relatore:

Prof. Pierluigi Barrotta

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Indice

Introduzione. Esperti e competenza iii

1 Teoria realistica della competenza 1

1.1 Il fondamento normativo . . . 1

1.2 La tavola periodica delle competenze . . . 5

1.3 Conoscenza tacita ed esplicita . . . 12

1.4 Esperti nella società . . . 19

2 Interazioni e scambi 29 2.1 L’ipotesi interazionale forte . . . 29

2.1.1 Definizione e caratteri generali . . . 29

2.1.2 Analogie linguistiche . . . 31 2.1.3 Corpi . . . 33 2.1.4 Il gioco dell’imitazione . . . 35 2.2 Zone di scambio . . . 41 2.2.1 Scienze intercalate . . . 41 2.2.2 Regolamenti e rappresentazioni . . . 43 2.2.3 Accordo e omogeneità . . . 45 2.2.4 Servizi . . . 50

2.3 Forma del dominio . . . 52

3 Dalla conoscenza all’azione 57 3.1 Teoria della morficità . . . 57

3.2 Knowledge Management . . . 60

3.2.1 Introduzione e quadro epistemologico . . . 60

3.2.2 La macchina per il pane . . . 64

3.3 Tre dimensioni . . . 67

4 Dominî 70 4.1 Composizione del dominio . . . 70

4.1.1 Problemi e azioni . . . 70

4.1.2 Due ipotesi . . . 76

4.1.3 Discussione delle difficoltà . . . 78

4.2 Percezioni e aspettative . . . 80

4.2.1 Introduzione . . . 80

4.2.2 Affordance . . . 81

4.2.3 What if. . . ? . . . 85

4.2.4 Inclinazioni . . . 87

4.3 Che cos’è un dominio? . . . 91

(3)

4.3.2 Attori . . . 93

4.3.3 Metodi . . . 95

4.3.4 Approccio frattale . . . 97

5 Verso un paradigma per la competenza 101 5.1 Gli STS e la società . . . 101

5.2 Istituzioni . . . 104

5.2.1 Institutional Theory . . . 104

5.2.2 Teorie istituzionali della competenza . . . 110

5.3 Reti . . . 117

5.3.1 Social Network Analysis . . . 117

5.3.2 Teorie relazionali della competenza . . . 120

5.4 Una sintesi possibile? – Cicli. . . 123

Conclusioni. Il problema della rilevanza 127 Bibliografia 130

Elenco delle tabelle

1 Tavola periodica della competenza . . . 6

2 Tipologie di zone di scambio . . . 45

3 Forme dei domini . . . 52

4 Preparazione del pane . . . 65

5 Modello di apprendimento lineare delle competenze . . . 74

6 Composizione del dominio . . . 92

7 Attori del dominio . . . 93

8 Schema dei meta-ruoli istituzionali CKSW . . . 115

(4)

Introduzione

Esperti e competenza

Ars nihil aliud est quam ratio recta aliquorum operum faciendorum. Quorum tamen bonum non consistit in eo quod appetitus humanus aliquo modo se habet, sed in eo quod ipsum opus quod fit, in se bonum est. Non enim pertinet ad laudem artificis, inquantum artifex est, qua voluntate opus faciat; sed quale sit opus quod facit. Sic igitur ars, proprie loquendo, habitus operativus est.

L’arte non è altro che la retta norma per compiere determinate opere. Il bene delle quali non consiste nel fatto che il volere umano si comporti in una certa maniera, ma nel fatto che sia buona la cosa stessa prodotta. Infatti, non torna a lode dell’artefice, in quanto tale, l’intenzione con cui egli compie la sua opera, ma solo la qualità dell’opera che egli compie. Perciò, propriamente parlando, l’arte è un abito operativo.

Tommaso d’Aquino Summa Theologiae In Aristotele, il termine téchne (τέχνη), solitamente tradotto con arte, indica una «disposizione poietica accompagnata da ragionamento»,1 cioè un abito del pensiero il cui fine è produrre un’opera. Essa si distingue dalla scienza, in quanto si occupa di ciò che può essere altrimenti, mentre l’epistéme (ἐπιστήμη) aristotelica riguarda la conoscenza di ciò che è necessario e non può non essere.

Se, però, l’ideale di una conoscenza certa e immutabile è crollato nella prima metà del novecento, la téchne si è parallelamente sviluppata in molte direzioni. Da un lato, infatti, essa è diventata sia tecnica, intesa come l’insieme di pratiche atte all’esecuzione

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di una qualsiasi attività professionale, sia tecnologia, ossia produzione di oggetti anche mediante l’utilizzo dei risultati delle ricerche scientifiche. Dall’altro lato, si è allargato il concetto aristotelico di produzione (ποίησις).

Si è mostrato, infatti, che le attività produttive non richiedono necessariamente un oggetto fisico e tangibile come risultato, ma che consistono più generalmente in performance e asserzioni. La sociologia delle professioni del secondo novecento individuava il «professionista» proprio in colui che nel suo lavoro padroneggia ambedue queste attività.2

In parallelo, il fondamentale testo di T. S. Kuhn [1978] ha dato l’avvio ad una seria e approfondita ricerca sulla “professione” dello scienziato. In particolare i science and technology studies (STS) hanno mostrato fin da subito una grande potenza nella distruzione dell’aura esoterica che da secoli circondava la figura del professionista della scienza.

Tuttavia, è stato mostrato facilmente che considerare necessaria una determinata professione per compiere certe performance e proferire certe asserzioni con accuratezza e abilità sia una posizione alquanto riduttiva. Si è dunque resa indispensabile un’indagine non solo su chi possa padroneggiare le attività produttive, ma anche in cosa consista questa capacità; in altre parole, occorre passare dal professionista all’esperto, e dalla professione alla competenza. Come cercherò di argomentare in questo testo, proprio il chi fa cosa, ossia l’unione complementare delle due prospettive, può essere ritenuto un principio guida a mio parere utile e fecondo per la nascita e lo sviluppo di una teoria della competenza adeguatamente articolata.

Il primo capitolo offre una panoramica della teoria della competenza sviluppata da Harry Collins e Robert Evans, due sociologi che si occupano di STS. Essa è definita «realistica» perché considera la competenza come una sostanza che si ha o non si ha. Questi primi paragrafi forniscono anche una trattazione introduttiva delle fondamentali tematiche trattate dagli studiosi durante gli ultimi anni, nel tentativo, per ora agli inizi, di strutturare la materia.

Il secondo capitolo discute nel dettaglio i concetti di interazione e di scambio, che sono fondamentali per qualsiasi teoria della competenza. Infatti, osservare come gli esperti interagiscono tra di loro e come le diverse comunità compiono scambi dona un punto di vista molto operativo, pur senza tralasciare gli adeguati approfondimenti filosofici. Ad esempio, da un lato tratteremo il problema di quanto il linguaggio sia dipendente dal corpo, e dall’altro vedremo che Collins ed Evans hanno sviluppato una serie di esperimenti per corroborare o falsificare le loro ipotesi su questo argomento. Nell’ultimo paragrafo, cercherò di armonizzare i loro risultati sulle interazioni e sugli scambi con l’opera dello psicologo Michael Gorman.

Il terzo capitolo intende mostrare quanto un serio approccio alla competenza debba essere focalizzato anche sull’azione e non semplicemente sulla conoscenza. Si parte, infatti, esponendo la teoria della morficità delle azioni, sviluppata da Harry Collins e Maren Kusch, che offre categorie di analisi estremamente interessanti e utili. Si prosegue con l’analisi del knowledge management e di come la gestione della conoscenza nelle aziende passi effettivamente tramite le azioni, discutendo anche un famoso caso di studio.

2Mi riferisco principalmente adAbbott[1988], che raccoglie e ordina molti risultati precedenti, indicando al contempo le più feconde linee di sviluppo della materia.

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Il quarto capitolo espone alcune mie idee sulla definizione e l’utilizzo del concetto di dominio. Pur essendo trascurato dalla letteratura sulla competenza, mi sembra che una sua corretta analisi aiuti a mostrare i problemi filosofici intrinseci nella strutturazione della teoria. Allo stesso tempo, cerco di offrire un approccio il più propositivo possibile, introducendo e legando tra di loro molte e varie nozioni, al fine di fornire un’articolazione del dominio che sia allo stesso tempo sufficien-temente profonda da fornire un solido fondamento, ma anche adeguatamente flessibile per poter essere utilizzata con successo.

Il quinto capitolo descrive gli approcci non-realistici alla competenza provenienti da diversi studiosi. In particolare, essi possono essere istituzionali o relazionali, in base a dove tragga origine la competenza. Contestualmente, offro degli approfondimenti sul concetto di istituzione e su quello di rete sociale. Infine, provo ad unire questi diversi approcci con quanto discusso nei capitoli precedenti, per delineare una bozza di come potrebbe svilupparsi in futuro un paradigma nel campo della competenza che sia il più possibile condiviso, ma che lasci spazi interpretativi a ciascuno dei punti di vista incontrati.

In questo complesso argomento ho dovuto spaziare tra filosofia, sociologia, linguistica e psicologia; inoltre, ho analizzato molti casi di studio in ambito aziendale e professionale. Dunque, chiedo in anticipo perdono al lettore se, a volte, il passaggio da una materia all’altra potrà risultare brusco e immediato. A mia parziale giustificazione, osservo che una teoria della competenza ha il compito di inglobare e armonizzare i contributi interdisciplinari senza riguardo per la loro provenienza, ma sempre con riflessione e spirito critico.

(7)

Capitolo 1

Teoria realistica della

competenza

The proper skill of expertise Is to arrange the premises

So that the most foregone conclusion Will fit therein without confusion.

Anonimo (citato inButler[1946]) In questo primo capitolo affronterò in maniera completa, seppur non eccessivamente approfondita, la teoria della competenza che Harry Collins e Robert Evans hanno sviluppato. Essa, come verrà mostrato, si basa su una concezione realistica della competenza, che letteralmente si ha o non si ha. Verranno tralasciati molti aspetti marginali che gli autori hanno modificato nel tempo. Partirò dalle tesi fondamentali degli autori, per proseguire con la loro classificazione delle competenze, i tipi di conoscenza tacita e infine il ruolo degli esperti nella società.

1.1

Il fondamento normativo

Da buoni sociologi, l’approccio di Collins ed Evans comincia con lo studio di come gli esperti possano utilizzare la loro competenza all’interno della società. I fondamenti di questa metodologia sono:

1. La centralità della nozione di competenza e di esperienza. Al contrario, la nozione di verità, in senso epistemologico, viene completamente abbandonata.

2. La possibile costruzione di una teoria della competenza di tipo normativo (normative studies of expertise and experience).

Questi due punti sono strettamente collegati. Abbandonando la nozione di verità, la competenza va trattata come un punto di partenza «reale»3 e non semplicemente come un attributo assegnato a posteriori ad alcune persone. Da qui la dichiarata normatività della teoria che i due autori intendono costruire.

3Collins e Evans,2006, p. 40.

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In primo luogo, osserviamo che gli autori, nel corso delle loro opere, hanno avvicinato sempre più l’esperienza al campo della competenza. Come vedremo nell’esposizione più organica fornita,4 l’esperienza è considerata il meta-criterio più affidabile per giudicare

la competenza. In secondo luogo, anche se gli autori affermano di voler affrancarsi dalla filosofia della scienza tout-court, non riescono in questo proposito. L’abbandono della nozione di verità riesce ad accantonare solo una parte dell’epistemologia classica, ma, ad esempio, i riferimenti impliciti ed espliciti aT. S. Kuhn[1978] sono molti e, sotto più punti di vista, basilari per le conclusioni che Collins ed Evans intendono raggiungere. Quasi sempre, però, gli autori lo considerano un testo sociologico e non filosofico, forse a causa della loro formazione.

I due problemi fondamentali, la cui tensione è considerata feconda per lo sviluppo della materia, sono i seguenti.

1. Problema della Legittimità: se sia lecito o meno che il pubblico (lay people) intervenga nei processi decisionali di tipo tecnico (technical decision-making), basati solitamente sui pareri degli «esperti».

2. Problema dell’Estensione: fino a che punto e con quali modalità sia lecito che il pubblico partecipi ai processi decisionali di tipo tecnico.

Gli studi classici sulla sociologia delle comunità scientifiche, secondo gli autori, hanno risposto positivamente al primo problema. Il pubblico può e dovrebbe partecipare alle decisione tecniche, perché può e dovrebbe dare un contributo rilevante alle questioni scientifiche e tecnologiche che hanno effetti sulle loro vite. Tuttavia, questa risposta affermativa richiede una modifica della classica nozione di «esperto»: non più un membro di una élite dotato di qualifica certificata in un certo dominio specialistico, ma, in senso più ampio, chiunque abbia comprovata esperienza in quel dominio. D’altra parte, estendere il concetto di «esperto» porta alla “liquefazione” degli esperti nella società. In termini un po’ estremi, ma efficaci: se tutti sono esperti, nessuno è più esperto. Da qui nasce il secondo problema, con l’obiettivo di trovare un punto di equilibrio nella partecipazione del pubblico. Infatti, se si lasciassero i processi tecnici alla decisione del pubblico si rischierebbe facilmente la paralisi tecnologica, mentre se fossero i soli tecnici, privi di mandato democratico, ad occuparsi di questioni che coinvolgono le vite di milioni di persone, monterebbe velocemente la protesta popolare.5

La questione dell’estensione della competenza non è di attuale applicazione politica. Al giorno d’oggi, come sottolineano gli autori, gli esperti certificati sono per lo più occupati a dare giudizi ex cathedra e i politici non si preoccupano della partecipazione pubblica ai processi decisionali di tipo tecnico. D’altra parte, pur sembrando oggi un astratto esercizio accademico, trovare un fondamento normativo sul quale ridefinire esperti e competenze potrebbe un giorno essere un problema concreto.

Bisogna sottolineare che non esiste un modo unico per costruire questa teoria normativa della competenza di cui parlano gli autori. Collins ed Evans ne costruiscono una, ma chiariscono in più luoghi che a loro preme dare un esempio di come ciò possa essere fatto e dei risultati che ne possano derivare. Nulla vieta, dunque, che altri (o loro

4Cfr.Collins e Evans,2007, vedi paragrafo1.2.

5A mio parere, questi due scenari non sono simmetrici. La paralisi tecnologica deriva dal male utilizzo di strutture e attrezzature tecniche, e quindi appare pressoché inevitabile nello scenario ipotetico di persone comuni che prendano da sole decisioni tecniche critiche in campi per lo più estranei. La protesta popolare, invece, può essere ritardata, sedata o finanche dirottata verso altri obiettivi mediante i mezzi di comunicazione di massa, utilizzando opportune tecniche di manipolazione, come ad esempio il cosiddetto marketing sociale. Non sarebbe la prima volta nella storia.

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stessi) possano un giorno costruire teorie alternative, più adatte alle mutate necessità degli sviluppi tecnici, scientifici, sociali e politici.

La teoria esposta in questo capitolo si inserisce nella storia recente dei science and technology studies (STS), gli studi filosofico-sociologici dei rapporti tra scienza, tecnica e società. Cronologicamente, possiamo tracciare una storia di questa materia proprio utilizzando i due problemi di cui sopra. Tale modellizzazione, ovviamente, non rispecchia la complessità delle idee che si sono sviluppate negli ultimi decenni, ma è una ricostruzione che aiuta a capire da dove potrebbe nascere e dove potrebbe portare una nuova teoria normativa della competenza.

1. Prima Ondata. Tra gli anni ’50 e ’70 gli esperti erano considerati autorità e i processi decisionali tecnici si svolgevano dall’alto verso il basso (top-down). Non c’era alcuna problematica relativa alla legittimazione del pubblico, né tanto meno all’estensione.

2. Seconda Ondata. Il celebre libro diT. S. Kuhn[1978], uscito nella prima edizione originale del 1962, sgretolò le granitiche certezze sui fondamenti del sapere esoterico degli esperti, innescando un ampio dibattito sui fattori extra-scientifici che entrano in gioco nelle comunità scientifiche e mostrando che la conoscenza scientifica non si distacca molto da altri tipi di conoscenza. Globalmente (e un po’ approssimativamente), ci si può oggi riferire a questo movimento chiamandolo «costruttivismo sociale». Il problema della legittimazione sorse e fu studiato in tutte le sue sfaccettature. La sua soluzione positiva generò il problema dell’estensione: se la costruzione del sapere scientifico è frutto di una costruzione sociale, diventa difficile dire chi sono gli «esperti» e la distinzione tra pubblico e comunità scientifica diventa sempre più sfumata.

3. Terza Ondata. Su questa strada, Collins ed Evans intendono dar luogo ad una nuova ondata che cerchi il fondamento razionale (special rationale) del ruolo degli esperti e della competenza nella società.

Mentre tra prima e seconda ondata possiamo individuare una evidente frattura, dovuta all’opera di demolizione che quest’ultima ha compiuto, tra la seconda e la terza ondata esiste, al contrario, una certa continuità; gli autori, infatti, intendono semplicemente proseguire gli studi della seconda ondata applicandoli a nuovi problemi. In un certo senso, essi vogliono dar luogo ad una costruzione dopo la distruzione; per fare ciò è necessario che la terza ondata sia in essenza normativa.

La prima critica con cui confrontarsi è banale: è possibile definire gli esperti in modo normativo? La prassi comune, infatti, prevede che un esperto scientifico, ad esempio, possa essere etichettato come tale solo dopo che ha risolto un problema nel dominio specialistico di appartenenza. La risposta è che, nel momento in cui si affronta la conoscenza specialistica nel suo complesso, si sta configurando una «scienza della conoscenza»6 che possa in qualche modo stabilire criteri per delineare chi sa e chi

non sa. La seconda ondata si era mossa prevalentemente a posteriori, osservando e classificando, nel corso delle sue indagini, l’organizzazione delle comunità scientifiche e le abitudini sociali degli scienziati. Ma, nel momento in cui si creano delle categorie di analisi di queste osservazioni,7 si muta completamente prospettiva, perché si prova ad

6Collins e Evans,2006, p. 45.

7È alquanto comune ritenere che le stesse osservazioni abbiano bisogno di essere precedute da qualcosa, sia essa una congettura (Popper [1970]), un paradigma (T. S. Kuhn[1978]) o un set di valori (Putnam[2004],Churchman[1961]). In questa sede, Collins ed Evans preferiscono ignorare ciò.

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incasellare il lavoro degli esperti. In realtà, affermano gli autori, anche nella seconda ondata c’erano molte categorie aprioristiche; si pensi, ad esempio all’applicazione della nozione di «conoscenza tacita» nell’ambito della riproducibilità degli esperimenti. Questo aspetto normativo, presente in nuce nella seconda ondata, va ora sviluppato e reso fecondo.

Il bisogno di normatività nasce anche dalla generalizzazione di un noto problema che Collins aveva scoperto e affrontato durante i suoi studi nell’ambito del costruttivismo sociale.8 Supponiamo che uno sperimentatore si trovi ad affrontare un esperimento ai limiti della teoria vigente e accettata nel suo dominio specialistico, mai effettuato prima da alcuno. Per sapere se il risultato dell’esperimento è positivo (successful outcome), lo sperimentatore deve basarsi sulle previsioni della teoria che ha usato per costruire ed eseguire l’esperimento. D’altra parte, per giudicare se la teoria sia la più affidabile tra le varie teorie concorrenti, ha bisogno di basarsi sul risultato dell’esperimento. Dunque, nel giudicare l’esperimento, lo sperimentatore avrà un bias, che consiste nel giudicare ciò che è importante nel nuovo fenomeno (sperimentato) sulla base di una teoria che in quell’esperimento potrebbe non essere valida. In definitiva, lo sperimentatore potrebbe non rilevare nemmeno la presenza del nuovo fenomeno, a causa della teoria usata. Secondo Collins, quindi, c’è una intrinseca ambiguità nelle espressioni “risultato positivo” o “esperimento riuscito”, e il ragionamento circolare che ne deriva, così come appena descritto, è chiamato «regressione dello sperimentatore» (experimenter’s regress).9 Il nuovo fenomeno può essere giudicato solo col senno di

poi, dopo la valutazione e l’accettazione della comunità scientifica. Infatti, essendo sostanzialmente costruttivista,10per Collins il criterio ultimo che vige tra gli scienziati è il negoziato sociale, utilizzato come strumento principale per la risoluzione di ogni tipo di controversia, persino la più “oggettiva”.

Allo stesso modo, attualmente è possibile giudicare chi sono gli esperti di un certo dominio specialistico solo dopo che essi hanno risolto effettivamente dei problemi tecnici in quel dominio. Mentre però la regressione dello sperimentatore riguarda il lavoro e la metodologia degli sperimentatori, la «regressione degli esperti»11 non riguarda gli

esperti, ma coloro che hanno il compito di sceglierli, valutarli ed etichettarli, ossia i meta-esperti.

Il motivo è che ora le condizioni al contorno sono cambiate. Durante la seconda ondata ci si poteva permettere di analizzare la creazione del consenso all’interno della comunità scientifica, perché si aveva a disposizione un tempo virtualmente illimitato per osservare come gli scienziati siano influenzati dalle convenzioni sociali. Questi presupposti vengono meno nella terza ondata, lo scopo della quale è chiarire chi sono gli esperti e in quali condizioni possano collaborare con i processi decisionali tecnici, i quali hanno di norma tempi stretti e condizioni di fattibilità limitate.

Quindi, ciò che nella regressione dello sperimentatore era rappresentato dalla negoziazione all’interno della comunità scientifica, ora va sostituito con un qualche metodo che sia il più possibile veloce e preciso, ossia garantisca risultati ottimali nel raggiungimento di decisioni tecnico-operative. Il metodo dovrà appunto essere dato

Tuttavia, è da notare che Collins utilizza implicitamente queste nozioni per lo studio della «regressione dello sperimentatore» (come si vedrà poco più avanti).

8Cfr.Collins,1981a.

9Pur essendo un fenomeno descritto per la prima volta inCollins[1981a], il nome è stato definito da altri e poi adottato anche dallo stesso Collins. Si noti, però, che la regressione dello sperimentatore non si presenta solo nel caso di nuovi fenomeni da osservare, ma è di gran lunga più diffuso. Ho utilizzato questo esempio perché più evidente e comodo dal punto di vista espositivo.

10Lo era sicuramente al tempo in cui studiò questo problema. 11Collins e Evans,2006, p. 44.

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dall’applicazione della teoria normativa che i nostri autori postulano. In ciò, secondo Collins ed Evans, sta la sua principale utilità, il motivo per il quale vale la pena studiare la competenza e mettere dei paletti, a costo di essere accusati di “arbitrarietà” nelle classificazioni dai loro stessi colleghi costruttivisti.12

1.2

La tavola periodica delle competenze

Collins ed Evans sviluppano un modo particolare di classificare le competenze, e a tale classificazione dedicano un intero libro.13La tabella1riproduce quella che gli

autori chiamano «tavola periodica delle competenze»;14 ne darò qui una breve, ma

completa spiegazione.

La base da cui parte la tavola è costituita dalle «competenze ubique» (ubiquitous expertises), che comprendono tutte le abilità (skills) necessarie a vivere in una società umana. Prendiamo in considerazione un esempio classico: la fluidità in una certa lingua. Questa competenza si trova in tutti i singoli membri di un certo paese, anche se la lingua cambia da paese a paese. Essere fluenti in francese è una competenza ubiqua in Francia, ma è una competenza specialistica nel Regno Unito. Questo esempio ci permette di comprendere facilmente che le competenze ubique non sono necessariamente semplici. La fluidità in una lingua naturale non è stata finora raggiunta da nessun animale, né tanto meno da qualche intelligenza artificiale.

Gli autori osservano che il fondamento di gran parte delle competenze è la conoscenza tacita. La fluidità in una lingua si ottiene stando immersi in un ambiente carico di conoscenza tacita (tacit-knowledge-laden) e non semplicemente imparandone le regole grammaticali. Da ciò possiamo distinguere le competenze in due gruppi: quelle che possono essere acquisite semplicemente attraverso una conoscenza tacita ubiqua e quelle che coinvolgono una conoscenza tacita di tipo specialistico. Il secondo caso richiede, dato un certo dominio, l’immersione in una società di specialisti (society of the domain specialists).

Il primo gradino della competenza di tipo specialistico è la «conoscenza da sotto-bicchiere» (beer-mat knowledge, BMK), che deve il suo strano nome alle scritte che una compagnia di birra, la Babycham, poneva negli anni080 sui sottobicchieri forniti ai pub. Consideriamo il seguente testo, presente su uno di questi sottobicchieri.

Un ologramma è come una fotografia in 3 dimensioni – una in cui puoi guardare dentro. In una fotografia ordinaria, l’immagine che vedi è di un oggetto visto da una posizione dalla fotocamera con luce normale. La differenza con un ologramma è che l’oggetto è stato fotografato con un laser, diviso per andare tutto intorno all’oggetto. Il risultato – una vera immagine a 3 dimensioni!15

Il titolo che introduce questo testo è «Che cos’è un ologramma?». Se qualcuno, a tale domanda, desse la risposta soprascritta, guadagnerebbe di certo un punto in qualche quiz. Tuttavia, tale risposta non implica alcuna reale comprensione delle parole usate, o alcuna capacità di creare un ologramma, o di discutere sulla sua natura, o di prendere una decisione sull’uso degli ologrammi nei sistemi educativi, etc. In realtà, a tali parole non è strettamente associata nemmeno la capacità di riconoscere

12In particolare, nell’ambito dell’Empirical Programme of Relativism, il programma di ricerca cui Collins appartiene (o apparteneva?), l’accusa di compartmentalization of activity è probabilmente tra le più infamanti.

13Collins e Evans,2007. 14Collins e Evans,2007, p. 14.

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Tabella 1 – Tavola periodica della competenza.

UBIQUITOUS EXPERTISES

DISPOSITIONS Interactive ability

Reflective ability

SPECIALIST EXPERTISES UBIQUITOUS TACIT KNOWLEDGE SPECIALIST TACIT KNOWLEDGE Beer-mat knowledge Popular understanding Primary source knowledge Interactional expertise Contributory expertise Polimorphic Mimeomorphic META-EXPERTISES EXTERNAL (Transmuted expertises) INTERNAL (Non-transmuted expertises) Ubiquitous discrimination Local discrimination Technical connoisseurship Downward discrimination Referred expertise

META-CRITERIA Credentials Experience Track record

un ologramma quando lo si vede. Appare chiaro che la BMK sia un tipo di competenza prettamente superficiale e nozionistica.

Il secondo gradino della competenza di tipo ubiquo è la «comprensione popolare della scienza» (popular understanding of science, PUS), che si basa su articoli, libri e documentari di divulgazione scientifica. Essa si differenzia da una comprensione più profonda della scienza perché si presenta come insieme di idee, facilmente trasmissibili, e non di formule, quindi i dettagli e le controversie interne alla comunità scientifica rimangono nascosti. Questa dinamica è compendiata in una frase che Collins ed Evans ripetono spesso: la distanza produce incanto (distance lends enchantment).16

Prendiamo in considerazione l’esecuzione di un esperimento e l’analisi dei dati risultanti. Una conoscenza specialistica consente di vedere tutte le variabili che possono andare diversamente, le scelte arbitrarie effettuate dagli sperimentatori, la vastità di metodi statistici applicabili e i loro limiti intrinseci, e infine tutte le possibili interpretazioni delle analisi. Al contrario, chi ha una conoscenza popolare di ciò riceve solo un breve set di idee su cosa si è misurato e quali sono i risultati dell’esperimento, senza ulteriori complicazioni. Com’è ovvio, dunque, la PUS mostra una notevole divergenza dalla comprensione specialistica sulle materie che sono soggette a dispute nella comunità scientifica, a causa delle semplificazioni che offre per il pubblico. Il suo più grande rischio, secondo gli autori, è che essa si può facilmente trasformare in propaganda.

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Il gradino più elevato della competenza di tipo ubiquo è la conoscenza da fonte primaria (primary source knowledge, PSK). Al giorno d’oggi, grazie ad internet, le fonti primarie sono facilmente accessibili a chiunque. Tuttavia, la credenza secondo cui la padronanza di tali fonti e del loro linguaggio tecnico sia sufficiente a padroneggiare la materia trattata è falsa. Ciò vale perché gli articoli specialistici su di un certo argomento sono tanti e spesso non contengono esplicitamente le indicazioni su ogni questione che entra in gioco nella materia trattata (ad esempio, le possibili conseguenze o le premesse nascoste). Dunque, c’è bisogno di qualcuno che dica che cosa leggere e che cosa non leggere, e spesso come interpretare ciò che si è letto; cioè occorrono contatti sociali.

L’immersione in un ambiente carico di conoscenza specialistica, d’altra parte, genera due tipi di competenza: interazionale e contributoria.

La competenza interazionale (interactional expertise) consiste nella capacità di interagire con un membro appartenente alla comunità di un certo dominio specialistico. Questo tipo di interazione non è una intervista, ma una vera e propria conversazione, in cui i due si scambiano le idee e l’uno può rendere edotto l’altro sulla conoscenza di certi argomenti. Ad esempio, Collins racconta di aver spiegato l’effetto Christodoulou17

ad un fisico che ne ignorava l’esistenza, durante un workshop.18

La competenza contributoria (contributory expertise) consiste, d’altra parte, nella capacità di fare ricerca e produrre risultati nuovi in un certo dominio specialistico. Come è evidente, non basta interagire con gli esperti di quel dominio per essere in grado di contribuire ad esso. Lo stesso Collins, dopo aver studiato teoria dei semiconduttori amorfi e aver parlato con diversi esperti del campo, ha ammesso di non avere alcuna idea di come fare ricerca in merito.19

Questi cinque tipi costituiscono quella che gli autori chiamano «scala della com-petenza» (five-step ladder of expertise). Ovviamente, in questo schema chi possiede un certo tipo di competenza possiede anche tutti i tipi precedenti; salendo lungo la scala, i gruppi in considerazione diventano sempre più ristretti e la competenza sempre più esoterica. Ad esempio, chi in un certo settore possiede una conoscenza da fonte primaria a proposito di un tema, ne possiede anche una comprensione popolare, ovvero sa divulgarne le idee fondamentali e dare un inquadramento dei suoi presupposti e dei suoi risultati più diffusi.

Tale relazione transitiva20 ha delle eccezioni a livello individuale. Ad esempio,

uno scienziato contributore che ha scritto molti articoli scientifici in un certo dominio specialistico potrebbe non possedere una conoscenza diretta di una certa fonte primaria (poniamo: un articolo scientifico del suo dominio), letta magari da una persona che non ha mai nemmeno interagito con un membro della comunità scientifica. Questo perché, come sembra evidente, non è necessario conoscere tutti gli articoli di un certo dominio per essere considerati esperti contributori di quel dominio. Ma questa scala non è di tipo individualistico, bensì sociale; nell’esempio di sopra, dunque, la comunità degli scienziati contributori, considerata globalmente, possiede la conoscenza di tutte le fonti primarie.

Un caso ben più interessante è quello di uno scienziato contributore che non sa interagire con i colleghi come può farlo, ad esempio, un giornalista scientifico. In tale situazione gli autori definiscono «latente» la competenza interazionale dello scienziato,

17L’effetto Christodoulou consiste in un contributo informativo proporzionale all’inverso del raggio del campo gravitazionale durante una esplosione di onde gravitazionali.

18Collins e Evans,2007, p. 33. 19Collins e Evans,2007, p. 33. 20Collins e Evans,2007, p. 36.

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che può riuscire ad esplicarla con un adeguato esercizio di alcune delle cosiddette soft skills, in particolare delle proprie doti comunicative. Collins, nella tabella, le definisce globalmente «abilità interattiva» e afferma che un bravo giornalista o sociologo deve saper riuscire a tirare fuori questa abilità anche da uno scienziato poco “interattivo”.21

L’abilità interattiva non è generalmente propria di alcun dominio specialistico e può facilmente essere passata di generazione in generazione oppure assorbita attraverso frequentazioni amicali o professionali. Tuttavia, alcune professioni la richiedono come capacità specialistica; ad esempio, giornalisti, politici, etc.

Oltre a questa, l’unica altra disposizione presente sulla tavola è la «abilità riflessiva», che riguarda la capacità di riflettere criticamente su ciò che si fa e sul motivo per cui lo si fa. Secondo gli autori, è una capacità insegnata in maniera più o meno consapevole nei corsi di filosofia e sociologia. Spesso uno scienziato non ritiene di aver bisogno di questa abilità, limitandosi agli aspetti tecnici del proprio lavoro e a volte addirittura vantandosi di non possederla.22

La differenza tra competenza polimorfica e competenza mimeomorfica, che si configura come una “terza dimensione” della tavola, rimanda a dei precedenti studi di Collins, in particolare ad una teoria che egli chiama «teoria della morficità delle azioni» (theory of action morficity23). In base a questa teoria, le azioni possono essere distinte

in due gruppi.

1. Azioni mimeomorfiche: quelle che ad ogni occorrenza non mutano. Si defini-scono «macchine» i dispositivi in senso lato che possono compiere solo azioni mimeomorfiche: computer, calcolatrici, ma anche burocrazia, etc.

2. Azioni polimorfiche: quelle che mutano ad ogni occorrenza, perché influenzate dal contesto. Sono proprie di esseri umani che nel compiere una azione riflettono sulle circostanze sociali del loro agire, comprese situazioni contingenti e conseguenze dell’azione.24

Quando si acquisisce una competenza, le prime esecuzioni sono effettuate in modo mimeomorfico. Ad esempio, prendendo lezioni di guida, le prime volte si utilizzeranno meccanicamente i pedali per imparare i loro effetti: «accelera», «frena», etc. Col tempo, però, si impara a fare più attenzione alla situazione della strada e del traffico, piuttosto che ai singoli comandi da usare. Si arriva ad un punto, cioè, in cui l’applicazione meccanica è stata assorbita completamente e viene naturale eseguirla “senza pensarci”.

Allo stesso modo, quando una persona è immersa in un ambiente specialistico, impara ad interagire prima facie in modo mimeomorfico. Ad esempio, le prime interazioni saranno composte da frasi simili, di fronte alle quali i vari esperti del dominio daranno risposte diverse. Questo genera la ben nota sensazione di “sentirsi un pesce fuor d’acqua”, ossia uno spaesamento dovuto alla mancanza (apparente) di regolarità nei feedback ricevuti. Col tempo, la persona in questione impara ad adattarsi all’interlocutore e padroneggiare gli argomenti, riuscendo a dirigere la conversazione. A questo livello, la sua interazione sarà di tipo polimorfico.

Questa terza dimensione ha i suoi limiti, chiaramente riconosciuti dagli autori, ma riesce molto bene ad articolare l’apprendimento dei singoli gradini di competenza.

21Collins e Evans,2007, p. 37.

22Viene spesso citata una frase (senza fonte) attribuita a Richard Feynman: «La filosofia della scienza è utile agli scienziati quanto l’ornitologia è utile agli uccelli».

23Collins e Kusch,1998, p. 1.

24Collins e Kusch,1998, discute anche sulla capacità di alcuni mammiferi (delfini e scimpanzé) di compiere azioni polimorfiche.

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La parte inferiore della tavola è dedicata alle meta-competenze, ossia alle competenze che permettono di giudicare le competenze altrui.

Le prime due sono chiamate esterne, perché non necessitano di alcuna conoscenza interna della materia e quindi gli autori le definiscono «competenze trasmutate», perché consistono in competenze sociali sulle persone e su quello che possono fare, trasportate in domini specialistici per poterne giudicare gli esperti e i risultati. Il giudizio esterno è classificato in «discriminazione ubiqua» e «discriminazione locale».

La prima deriva chiaramente (anche nel nome) dalle competenze ubique che si trovano nella parte alta della tabella. Ad esempio, nel giudicare la veridicità dello sbarco sulla luna, di fronte alle teorie che la negano, un uomo senza competenze specialistiche si affida al fatto che migliaia di persone, strutturate in una grande agenzia governativa, dotate di notevoli curricula e stimate nei propri ambienti, non possano aver mentito in maniera così costante e pervasiva, al fine di orchestrare e diffondere una pantomima curata fin nei minimi dettagli. Com’è ovvio, non ci sono ostacoli logici o tecnici alla falsità dello sbarco sulla luna, e persino alcuni scienziati la ritengono più che una semplice ipotesi. Il punto è che la discriminazione ubiqua non entra nei dettagli, ma rimane sul piano delle persone coinvolte e su come esse si comportano; sulla base di ciò, l’uomo comune arriva ad esprimere il suo giudizio di veridicità dello sbarco.

La seconda è un tipo di meta-competenza esterna che si trova in gruppi limitati a certi luoghi. Il caso più noto è quello citato da Wynne,25che analizza il comportamento

del Ministero dell’Agricoltura britannico e dei pastori della Cumbria dopo l’incidente di Chernobyl del1986, che ha provocato un fallout radioattivo sull’area.

In primo luogo, Wynne nota che i pastori sono degli esperti contributori, pur non avendo alcuna qualifica formale.26 In secondo luogo, egli osserva che tali pastori riescono a giudicare i pronunciamenti ufficiali del Ministero in un modo diverso dalle persone comuni, avendo già vissuto una esperienza simile, ossia l’inquinamento radioattivo causato dal locale impianto di Sellafield,27che provocò un aumento di leucemie e altre

malattie nella popolazione circostante durante gli anni 070. In particolare, i pastori

non si fidano dei continui rimandi del Ministero o degli addetti stampa dell’industria nucleare. Secondo Collins ed Evans, questa capacità di discriminazione non è parte integrante della competenza contributoria dei pastori, avendola acquisita, ad esempio, anche gli abitanti (non pastori) della vicina Windscale; allo stesso tempo, non fa parte della discriminazione ubiqua, essendo limitata sia in senso geografico, sia anagrafico (i pastori più giovani non hanno memoria degli avvenimenti del decennio precedente). Dunque, essa è definita «discriminazione locale».

Oltre a questo caso, anche in altre circostanze si è rilevata l’insufficienza delle qualifiche formali per la caratterizzazione delle competenze. Ad esempio, Epstein ha mostrato che alcuni pazienti malati di AIDS, attivisti di un gruppo denominato ACT UP, hanno contribuito a migliorare le cure, collaborando con i medici (che all’inizio erano scettici su questo tipo di collaborazione).28

Inoltre, è molto facile per qualcuno con titoli accademici fingere di possedere competenze che non ha. Ad esempio, nel1996 un fisico di nome Alan Sokal mandò alla rivista Social Text un articolo privo di senso intitolato «Violare le Frontiere: Verso

25Wynne,1996a.

26Wynne per questa ragione li definisce lay expert, ma il termine viene criticato inCollins e Evans [2007, p. 49] eCollins e Evans[2006, p. 41-42] a causa dell’ambiguità che può suscitare. SecondoPrior [2003, p. 45] la prima apparizione di questa espressione è stata inArksey[1994].

27Questo impianto si occupa principalmente di riprocessamento di materiale nucleare e smantellamento di altri impianti nucleari.

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un’Ermeneutica Trasformativa della Gravità Quantistica».29Essendo la rivista in peer

review, l’articolo non avrebbe teoricamente passato la revisione. Tuttavia, Sokal fece in modo di scrivere cose (in apparenza) ideologicamente vicine agli ambienti femministi e di sinistra, a cui la linea editoriale si ispirava; come da lui previsto, l’articolo fu pubblicato. Questa vicenda, nota come Beffa di Sokal, ha mostrato, tra le altre cose, alcuni punti deboli dell’attuale sistema di referee.

Di fronte a tali problematici esempi, Collins ed Evans trovano una soluzione. Qualunque criterio di competenza deve consentire a gruppi come i pastori di Cumbria e gli attivisti malati di AIDS di essere inclusi nella categoria degli esperti, e questo è il motivo per cui il criterio di qualifica o accreditamento formale è troppo esclusivo. Suggeriamo che un criterio più importante delle qualifiche sia l’esperienza. Se deve esserci un criterio generale di competenza, l’esperienza è il candidato principale. Il criterio di esperienza includerebbe i pastori di Cumbria, gli attivisti malati di AIDS, e gruppi simili.30

Allo stesso modo, Sokal potrebbe pubblicare su una rivista specializzata in studi sociali solo dopo accurati controlli, non avendo esperienza nel settore; la qualifica di fisico non è di per sé una autorizzazione a scrivere di gravità quantistica in campi che non siano quelli di propria esperienza.31

Dunque, la prima meta-competenza interna, cioè non trasmutata, consiste nella «conoscenza tecnica» (technical connoisseurship). Il motivo principale è che il riconosci-mento di quali pratiche rendano tecnicamente abili in un certo dominio è in sé una capacità che migliora con la pratica.

Ad esempio, un piastrellista conosce nella pratica le tecniche del proprio mestiere, avendole imparate e applicate. Anche un architetto le conosce, avendo osservato e parlato con molti piastrellisti. Tuttavia, l’architetto non potrebbe ricoprire di piastrelle un bagno, perché la sua conoscenza è solo interazionale. Conosce la pratica, compresi standard formali e convenzioni informali, ma non saprebbe applicarla allo stesso modo di un piastrellista che svolge da tempo la professione. Questo autorizza gli architetti a fare da “convertitori” tra le richieste dei committenti, espresse in linguaggi non specialistici e spesso vaghe, e la pratica lavorativa di un piastrellista.

Non si tratta, tuttavia, di una vera e propria “vaghezza”: la richiesta di un commit-tente contiene termini molto astratti e definisce con precisione solo i risultati, lasciando a chi ascolta il compito di utilizzare i mezzi più idonei allo scopo. I committenti potrebbero chiedere all’architetto “un bagno con piastrelle che facciano risaltare la luminosità delle finestre”. L’architetto converte queste informazioni in qualcosa che il piastrellista può applicare più facilmente; ad esempio può dire che “le piastrelle che occorrono dovranno essere chiare e lucide, in modo da riflettere la luce che entra dalle finestre”. Il piastrellista, a sua volta, sceglierà come tagliare e posizionare le piastrelle in base alla peculiare disposizione della finestra, avendo egli esperienza di situazioni simili. L’architetto sa riconoscere un piastrellista di talento perché, pur non sapendo praticamente piastrellare un bagno, sa quali metodi usa il piastrellista per ottenere certi risultati; conosce i tipi di piastrelle e come possono essere utilizzati (pur non avendole mai applicate egli stesso).

La conoscenza tecnica aiuta a cogliere due elementi: standard formali e convenzioni informali. L’ipotesi implicita di Collins ed Evans è che la bravura possa essere

29A. D. Sokal,1996.

30Collins e Evans,2007, p. 53, trad. mia.

31Una «teoria della gravità quantistica» dovrebbe risolvere i problemi che sorgono quando si applicano al contempo relatività generale e meccanica quantistica. Tuttavia, ad oggi non esiste una teoria del genere, pur essendoci diversi candidati. Dunque il termine è intrinsecamente speculativo.

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riconosciuta e apprezzata solo all’interno di un sistema composto da questi due elementi. L’esperto interazionale, in questa ottica, è colui che ha una «conoscenza teorica della pratica», colui che conosce standard e convenzioni non per averli applicati, ma per averne parlato con chi li ha applicati. Gli autori sembrano parzialmente sovrapporre la competenza interazionale e la conoscenza tecnica, e ciò accade perché l’immersione in una comunità specialistica provoca al contempo lo sviluppo sia della capacità di interagire con i membri della comunità, sia della capacità di riconoscere quali persone siano o meno membri della comunità. La prima è una competenza, la seconda una meta-competenza. Come si vede, dunque, gli esperti interazionali costituiscono un «ponte» comunicativo tra gli esperti contributori e coloro che sono al di fuori del dominio specialistico.

In maniera simile, alla competenza contributoria si accompagna la meta-competenza che gli autori chiamano «discriminazione discendente» (downward discrimination). Essa non è altro che la capacità di un esperto contributore di poter giudicare gli altri esperti dello stesso dominio specialistico, siano essi contributori o interazionali. Com’è ovvio, questa capacità di giudizio deriva dalla proprietà transitiva delle competenze, ed è alla base del sistema di peer review.

Tuttavia, Collins ed Evans spingono più in là questa idea (classica) di giudicare “chi è sotto di sé” e provano a generalizzarla nel modo seguente. Consideriamo due persone, A e B, che hanno entrambe una certa competenza nel dominio specialistico x. Tuttavia, nessuno dei due è mai stato immerso nell’ambiente specialistico x o ha mai interagito con un esperto di x. La loro competenza, d’altra parte, non è allo stesso livello, perché A ha letto molti articoli e libri divulgativi nel dominio x, mentre B ha solo visto documentari televisivi sull’argomento. Nella nostra prospettiva, A è pienamente autorizzato a giudicare le opinioni di B sul dominio x, pur non conoscendolo a livello specialistico. Questo tipo di giudizio, che potrebbe sembrare esterno, può essere rivolto solo “verso il basso”, cioè verso chi ha meno competenze, al contrario delle meta-competenze esterne, che sono applicabili anche in orizzontale e “verso l’alto”.32

L’ultima meta-competenza è chiamata «competenza di riferimento» (referred ex-pertise) e si ha quando un esperto contributore in un certo dominio specialistico si trova a gestire un progetto in un altro dominio. Quanto più i domini sono vicini, tanto più l’esperto svilupperà velocemente alcune capacità. In primo luogo, imparerà ad interagire con gli esperti del nuovo dominio, diventando quindi un esperto interazionale. In secondo luogo applicherà nel nuovo campo la propria esperienza, acquisita nel campo precedente. L’esempio di Collins ed Evans riguarda un fisico delle alte energie, Gary Sanders, il quale fu prima nominato project manager di LIGO, un interferometro progettato per captare onde gravitazionali, poi direttore di costruzione di un telescopio. Pur essendo campi affini, il passaggio «fisica delle alte energie ⇒ interferometria ⇒ costruzione di telescopi» è stato difficile. Tuttavia, stando alla testimonianza diretta del fisico, egli afferma di aver sempre utilizzato le sue competenze precedenti per capire meglio i nuovi problemi, pur essendo in domini specialistici mai affrontati: ad esempio, conosceva alcuni strumenti matematici per analisi quantitative, limiti tecnici di alcuni tipi di strumentazione, etc. Cercando di generalizzare, appare ovvio che alcune competenze sono comuni a quasi tutti i manager, siano essi coinvolti in progetti scientifici, come Sanders, oppure no: la gestione delle risorse umane, il controllo del budget, etc. Dunque, la competenza di riferimento è ciò che consente ad un manager di poter passare da un dominio all’altro. Ma essa è una meta-competenza, perché consente di prendere decisioni su qualcosa che non si sa applicare in prima persona, indicando

32Gli autori utilizzano le espressioni upward (verso l’alto) e downward (verso il basso) per indicare, rispettivamente, un movimento verso destra o verso sinistra della tavola.

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quali sono gli esperti contributori più capaci e dando ad essi direttive appropriate alla situazione.

Passiamo ora all’ultima riga della tavola. Al fine di giudicare una competenza non è obbligatorio possedere delle meta-competenze; si può in alternativa ricorrere a dei criteri che giudicano le competenze, chiamati dagli autori «meta-criteri». Il primo e più ovvio tra di essi riguarda le credenziali che possiede un certo esperto, intese come qualifiche formali. Tuttavia, come già visto sopra, questo meta-criterio escluderebbe i pastori della Cumbria e gli attivisti malati di AIDS, dunque non è un buon criterio.

Il secondo meta-criterio riguarda le «prestazioni passate» (track records) di un esperto. In un suo famoso articolo, Goldman ha proposto e difeso questo criterio, definendolo «la miglior fonte di evidenza del principiante per fare scelte credibili»,33

quando questo si trova a dover valutare degli esperti. Anche questo criterio escluderebbe i pastori della Cumbria e gli attivisti malati di AIDS, dunque gli autori lo considerano poco utile, e non sono gli unici.

Il quinto metodo, che riguarda le passate prestazioni degli esperti, si è rivelato probabilmente determinante nella controversia sul fumo passivo: se gli esperti hanno già sbagliato sul fumo attivo, perché dovrebbero essere affidabili quando negano che il fumo passivo sia pericoloso? Insieme all’esistenza di interessi perso-nali [un altro criterio di Goldman, NdR], questa considerazione ha chiaramente orientato razionalmente l’opinione pubblica, che ha giudicato una parte degli esperti più affidabile dell’altra. Tuttavia, in altri casi, è per il pubblico quantome-no quantome-non agevole valutare i successi passati, senza entrare nei contenuti dell’analisi scientifica.34

Il terzo e di gran lunga più utile meta-criterio, come già anticipato, secondo gli autori è l’«esperienza». Valutando l’esperienza, i pastori e gli attivisti sono indubbiamente degli esperti, e al contempo Sokal avrebbe avuto più serie difficoltà ad attuare la sua Beffa, rispetto ad una «superficiale peer review».35Tuttavia, è ovvio che anche avere

molta esperienza in un dominio non garantisce la competenza in quel dominio. Gli autori riconoscono che questa tavola è imperfetta e imprecisa. In particolare, le separazioni tra le competenze nella realtà non sono così nette, ma spesso solo sfumate. Tuttavia la loro opinione è che occorra una tavola di questo genere (non necessariamente questa) per costruire nuove cornici concettuali.

La competenza interazionale è di gran lunga il concetto più interessante di questa classificazione, sebbene gli autori affermino di non essere i primi ad indagare il fenomeno. Tuttavia, essendo la prima analisi esplicita con l’intenzione di classificarla e interpretarla, questo argomento ha suscitato un ampio dibattito e sarà approfondito nel prossimo capitolo.

1.3

Conoscenza tacita ed esplicita

Ma in che senso l’immersione in un ambiente specialistico “produce” una competenza? Per rispondere a questa domanda bisogna approfondire i concetti di conoscenza tacita e conoscenza esplicita. Collins ha dedicato vari articoli all’argomento, ma ad un certo punto della sua carriera ha cambiato radicalmente la sua visione e reinterpretato i diversi case study analizzati. Intendo qui trattare quest’ultima sua posizione, studiata

33Goldman,2006, p. 31, trad. mia. 34Barrotta,2016, p. 223.

(19)

esplicitamente per dare un profondo supporto alla teoria della competenza sviluppata con Evans.36

Anche se la nozione di conoscenza tacita può apparire oscura o addirittura astrusa, bisogna riconoscere che essa rappresenta da sempre la conoscenza più diffusa.

[. . .]La quasi intera storia dell’universo, che include le parti messe in atto dagli animali e dai primi uomini, consiste in cose andate abbastanza bene senza che alcuno dicesse qualcosa a qualcosa o ad alcuno.37 Non c’è niente di strano, quindi, riguardo cose che sono fatte senza essere dette –è la vita normale. Ciò che è strano è che qualcosa può essere detta.38

Tuttavia, la nostra idea di conoscenza tacita è in un certo senso parassitica dell’idea di conoscenza esplicita. Infatti, di solito la conoscenza esplicita è considerata più semplice da cogliere e più facilmente diffondibile, perché può sfruttare il mezzo scritto. Vediamo quindi come Collins cerca di caratterizzare meglio i rapporti tra i due tipi di conoscenza.

La sua analisi procede scomponendo la conoscenza in entità e stringhe, entrambe definite in relazione l’una all’altra: le stringhe sono bit39 di informazione che possono essere trasferiti da un’entità all’altra, mentre le entità sono gli oggetti che emettono e ricevono stringhe. Le stringhe, pur portando informazione, non sono dotate di significato,40 ma hanno degli «schemi» (pattern) che ne garantiscono la non-casualità.

Questo livello di analisi, sottolinea Collins, è più basilare rispetto al livello semiotico, che riguarda segni, icone, codici, etc.; infatti, come vedremo in seguito, la semiotica si struttura sul livello dell’interpretazione di una stringa. Inoltre, si vede facilmente che dalle definizioni relazionali emerge come la differenza tra entità e stringhe dipenda dal contesto, perché le une possono essere trattate come le altre e viceversa; in generale, entrambe sono denominate elementi della conoscenza.

Le stringhe influenzano le entità in tre modi, fortemente intrecciati tra loro e non sempre facilmente distinguibili.

1. Impatto fisico. La stringa è sempre materiale, dunque avrà in primo luogo una interazione di tipo fisico con l’entità. L’onda sonora che fa vibrare il timpano e il segnale elettrico che viaggia all’interno di un calcolatore sono esempi di questo livello.

2. Iscrizione. Dopo l’impatto fisico, si produce una modifica nell’entità. Ad esempio, la memorizzazione di una frase sentita, anche senza capirne il significato. 3. Comunicazione. Si ha una comunicazione, in generale, quando un’entità è spinta

a fare qualcosa o diviene capace di fare qualcosa che non poteva fare prima, come risultato del trasferimento di una stringa. In ciò, Collins ripete più volte di rifarsi a Wittgenstein.41A sua volta, la comunicazione può essere meccanica, 36Nella prefazione diCollins, 2010, l’autore inquadra questo studio all’interno di una trilogia composta da ricerche sulla natura dell’azione, della competenza e della conoscenza.

37Con «dire qualcosa a qualcosa», Collins intende la comunicazione verso computer et similia. 38Collins,2010, p. 7, trad. mia, corsivi dell’autore.

39Termine mutuato dalla teoria dell’informazione, col significato di unità di informazione primitiva non ulteriormente scomponibile.

40InCollins[2010],Collins, Pinch et al.[1996],Collins[2001a],Collins[2007a] eCollins[2001b] il termine meaning è usato con una certa ambiguità. A volte, seguendo una certa interpretazione di Wittgenstein, il significato coincide con l’uso, altre volte sembra rappresentare un sottoinsieme particolare di usi, quelli che derivano dall’interpretazione. In questa sede adotto la seconda opzione.

(20)

quando l’entità è influenzata con un meccanismo causa-effetto, o interpretata, quando alla stringa vengono conferiti uno o più significati. Questi due tipi non si escludono a vicenda; spesso sono presenti entrambi.

La comunicazione interpretata, come anticipato, è il livello su cui si muove la semiotica, ed è ciò che più propriamente si intende per conoscenza esplicita. Ma anche i calcolatori eseguono un’interpretazione. Ad esempio, quando si esegue un programma, il PC converte righe di codice scritto in un certo linguaggio di programmazione in una sequenza binaria di 0 e 1 (linguaggio macchina), la quale ha un “significato” solo ed esclusivamente per il processore che ha eseguito questa operazione.42 D’altra parte, l’impatto fisico, l’iscrizione e la comunicazione meccanica sono in definitiva dei meccanismi, quindi considerabili di scarsa utilità nella nostra trattazione. Nei comuni scambi verbali, tutti questi tipi di influenze accadono quasi simultaneamente e ciò ha portato, secondo Collins, a non cogliere la distinzione tra di essi. Inoltre, nei meccanismi prevale l’aspetto schematico della stringa, dovuto al pattern che possiede, mentre nelle interpretazioni alla stringa è assegnato un significato.

Nel suo ragionamento, molti errori su questo tema derivano da una certa ambiguità nella definizione di «conoscenza tacita»: a volte essa è trattata semplicemente come una conoscenza non esplicita, altre volte come una conoscenza non esplicabile. A complicare la situazione, si aggiunge la vaga caratterizzazione della nozione classica di «esplicabilità». La definizione wittgensteiniana di comunicazione ci consente di restringere tale nozione a questi quattro casi.

1. Esplicabile per elaborazione: quando una stringa produce una comunicazione interpretata non soddisfacente, essa può essere opportunamente sostituita da una più lunga che raggiunge lo scopo. Ad esempio, se una frase è molto sintetica e chiediamo all’interlocutore di spiegarsi meglio, gli stiamo chiedendo di sostituire una stringa breve con una più lunga che possa essere più facilmente interpretata. 2. Esplicabile per trasformazione: quando l’effetto di una stringa cresce in seguito ad una trasformazione fisica. Questo è il caso del codice binario, che, sebbene sia teoricamente elaborabile da un essere umano,43 attraversa di norma una serie di

trasformazioni effettuate da un calcolatore, fino a diventare una stringa facilmente interpretabile (ad esempio, una serie di lettere sullo schermo, un’immagine o un suono).

3. Esplicabile per meccanizzazione: quando una stringa viene implementata in un processo meccanico di tipo causa-effetto. Questo è il caso di un braccio robotico a cui sono date le istruzioni su come muoversi per (ad esempio) afferrare e spostare un oggetto. La base da cui partire è il movimento del braccio umano che compie questa medesima azione, che viene registrata e tradotta in istruzioni per i motori che muovono l’arto meccanico.

4. Esplicabile per spiegazione: quando dei rapporti causa-effetto sono convertiti in una stringa, comunemente interpretata come «spiegazione scientifica». L’abituale

42Questo è uno dei motivi per cui non si può scrivere un programma come semplice codice binario, ma c’è bisogno di linguaggi a più elevato livello di astrazione. Un programma scritto in codice binario sarebbe comprensibile solo per un certo modello di processore.

43A prezzo di una smisurata lunghezza nella fase di interpretazione e di una probabilità elevatissima di generare errori anche per codici relativamente brevi. Nel film fantascientifico Matrix (1999), alcuni operatori affermano di poter osservare gli avvenimenti che accadono in matrix semplicemente guardando scorrere il suo codice sorgente, scritto per di più in caratteri simili ai kanji.

(21)

lavoro degli scienziati consiste spesso nell’ipotizzare44 rapporti di questo tipo e

trasformarli in formule esplicite, comunicabili con i media usuali.

Osserviamo che l’esplicabilità per elaborazione, a differenza degli altri tipi, riguarda sempre una stringa già esplicita che viene sostituita da un’altra stringa esplicita.

Ma, a questo punto, possiamo utilizzare quanto scritto come guida per orientarci nella conoscenza tacita, costruendo una semplice classificazione. In primo luogo, definiamo «conoscenza tacita debole» (o relazionale) quella conoscenza tacita che può essere esplicata per trasformazione. In secondo luogo, definiamo «conoscenza tacita media» (o somatica) quella conoscenza tacita che può essere esplicata per meccanizzazione e per spiegazione. In terzo luogo, definiamo «conoscenza tacita forte» (o collettiva) quella conoscenza tacita che non può essere esplicata.

La conoscenza tacita debole o «relazionale» consiste in una conoscenza tacita che non viene esplicata per motivi di relazioni sociali o di accordi comuni tra uomini. In genere non sono motivazioni particolarmente profonde. Essa è al confine con quella esplicita e perciò viene utilizzata una terminologia ibrida. Infatti, sebbene venga chiarito che la conoscenza tacita in generale non sia scomponibile in stringhe, Collins parla in questo caso di stringhe che vengono trasformate.

(In riferimento alla conoscenza relazionale)

L’uso ordinario di “tacito” è sufficientemente impreciso da darci la licenza di chiamarla conoscenza tacita, a dispetto di ciò che sappiamo accade quando la pensiamo in termini di stringhe ed entità.45

I casi più comuni di conoscenza tacita relazionale, senza pretesa di completezza, sono i seguenti.

1. Conoscenza celata (Concealed Knowledge): è il caso più generale, si ha quando una stringa non viene trasferita volontariamente per motivi sociali. Ad esempio, un apprendista in laboratorio potrebbe sapere tutto ciò che deve fare facendo molte domande al suo supervisore. Tuttavia, quest’ultimo si aspetta che l’apprendista lo osservi e impari a fare le cose che fa lui, facendo domande solo quando è in dubbio sul da farsi. Allo stesso modo, chi entra in un circolo privato o un nuovo gruppo di amici, all’inizio, cercherà di capire quali sono le cose non dette desumendole dal comportamento di chi gli è intorno. La differenza tra la conoscenza nascosta ed un codice cifrato è riposta nella necessità di avere una chiave per decriptare quest’ultimo, mentre la prima si trasmette con la vicinanza e la frequentazione con le persone che la posseggono.

2. Conoscenza ostensiva (Ostensive Knowledge): l’atto di indicare un oggetto invece di definirlo esplicitamente può essere visto come il tentativo di far afferrare a qualcuno una conoscenza tacita. Sebbene questa azione sia interpretabile in termini di stringhe ed entità (in quanto ogni artefatto è considerabile una stringa, ad esempio quando lo tocchiamo o il nostro occhio percepisce la luce che proviene da esso), l’abilità di comprendere che cosa viene indicato, di isolarlo e farlo risaltare rispetto allo sfondo richiede un’abilità sociale notevole. Ad esempio, se una persona indica ad un altra una casa, a seconda delle circostanze quell’atto può essere riferito all’abitazione come complesso edilizio, alle persone che ci abitano, al terreno su cui si trova, etc.

44Per ovvi motivi, non posso entrare nel dibattito sulla natura della spiegazione scientifica. Mi limito qui a riferire il pensiero di Collins.

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3. Conoscenza di richiesta logistica (Logistically Demanding Knowledge): si trova quando l’organizzazione di una lunga serie di informazioni è troppo complessa per essere esplicata. Un magazziniere che lavora in un certo magazzino non è in grado, molto probabilmente, di elencare in ordine alfabetico tutti gli oggetti che vi si trovano e associare ad ognuno di essi la propria collocazione specifica. Tuttavia, se gli si chiede di prendere un certo oggetto dal magazzino, egli sa come muoversi per trovarlo. Questa conoscenza è ovviamente sostituibile da un database, ma gli esseri umani offrono una migliore flessibilità nelle situazioni contingenti (cambio di collocazione, oggetti che servono con urgenza, etc.), e dunque non possono essere pienamente sostituiti. Un modello interessante è quello di Amazon, il colosso statunitense della vendita online, il quale utilizza un sistema integrato di database e uomini: il primo ad ogni oggetto associa un codice di collocazione approssimativo, che corrisponde ad una certa area del magazzino. All’interno dell’area, però, sono gli uomini a micro-gestire la collocazione fisica degli oggetti, dividendoli nei vari contenitori a seconda delle necessità (ad esempio, quelli più richiesti tutti da una parte). La micro-gestione delle singole aree è del tutto al di fuori dei dati informatici dell’azienda, perché questo tipo di conoscenza tacita si rivela di gran lunga più efficiente.

4. Conoscenza saliente non collimante (Mismatched Saliences): si ha quando qualcu-no comunica una stringa presupponendo che l’interlocutore possegga la coqualcu-noscenza tacita atta ad interpretarla correttamente. Si parte dall’ovvia constatazione che ogni essere umano, durante un dialogo, crea un modello di ciò che l’interlocutore già sa o non sa sull’argomento di conversazione. In altri termini, il parlante crede sempre che tra lui e l’uditore ci sia una certa conoscenza tacita, e dunque parla di conseguenza. Quando si accorge che non è così, ovvero che le cose ritenute salienti su di un certo argomento divergono tra loro due, il parlante cerca di solito di esplicare la conoscenza tacita che credeva fosse condivisa.

5. Conoscenza non riconosciuta (Unrecognized Knowledge): si ha quando un essere umano esegue certi atti senza avere una chiara e consapevole cognizione della conoscenza che l’esecuzione presuppone. Spesso si apprende per tradizione o abitudine.

La conoscenza tacita media, invece, è definita da Collins «somatica» perché a suo parere essa riguarda esclusivamente il corpo e la mente umana. Questa conoscenza può essere esplicata per spiegazione scientifica e per meccanizzazione.46 Il motivo del suo nome è dovuto al fatto che questo tipo di conoscenza richiede, per poter essere trasferito, non solo un passaggio di stringhe, ma soprattutto una certa modifica di tipo fisico nell’entità che la riceve. L’esempio classico, ripreso da Polanyi, riguarda la capacità di andare in bicicletta, che si può spiegare tramite una serie di formule fisiche e quindi si possono costruire macchine che riproducano tali movimenti. Per apprendere questa competenza, tuttavia, non esiste un libro di regole da studiare, ma i consigli di un maestro vanno affiancati ad un certo periodo di pratica, che presumibilmente produce una qualche modifica a livello nervoso. Tale modifica è testimoniata, in un certo senso, dal detto secondo cui, una volta che si impara ad andare in bicicletta, non si può più dimenticare.

46A mio parere, non è un caso che lo stesso tipo di conoscenza tacita sia esplicabile per spiegazione e per meccanizzazione. Posto che la meccanizzazione sia semplicemente il più utilizzato tra i mezzi di programmazione artificiale (programmare una serie di circuiti è più facile che programmare una cellula, ad esempio), questa tesi esprime una certa vicinanza intrinseca tra scienza e tecnica.

(23)

Secondo il modello in cinque fasi di Dreyfus, citato da Collins in più libri e spesso con intento polemico, questa capacità si acquisisce nel modo seguente.47

1. Novizio: impara a guidare la bicicletta seguendo le regole esplicite dell’istruttore (coach). In questa fase la funzione è esercitata meccanicamente, seguendo direttive

estemporanee: “metti la mano lì”, “pedala più veloce”, “cambia marcia”. 2. Principiante avanzato: padroneggia alcune funzioni non esplicite.

3. Competente: sa guidare la bicicletta in modo mimeomorfico, ovvero limitandosi agli aspetti non contestuali (context-free). Ad esempio, sa intuitivamente che se vuole aumentare la velocità deve pedalare più veloce, senza elaborare ciò in modo conscio.

4. Proficuo: riconosce globalmente gli scenari contingenti del traffico e sa regolarsi di conseguenza.

5. Esperto: riconosce inconsciamente gli scenari fin nei dettagli e agisce in modo fluido. Non ricorda ogni singola azione o osservazione contestuale che compie, ma considera la guida come un atto unico in senso polimorfico, ovvero comprendendo in essa anche la capacità di osservare e valutare le situazioni contingenti. Collins argomenta che questo schema non si applica a tutte le acquisizioni di abilità umane e che non si possa trattare l’apprendimento in modo così «monolitico», perché gli stessi risultati si possono ottenere in modi diversi. La fluidità che si acquisisce quando un’abilità diventa inconsapevole, d’altra parte, non è una questione che riguarda la conoscenza, come ritiene Dreyfus, ma semplicemente la pratica umana. Una macchina non ha problemi di questo tipo, com’è ovvio.

L’errore è vedere tutti i problemi di acquisizione umana della conoscenza come problemi di conoscenza.48

Dunque, abbiamo una conoscenza che da un lato può essere descritta da formule e appresa da una macchina, ma dall’altra ha bisogno di pratica e modifiche nervose per poter essere appresa da un essere umano. Credo che nella tensione tra queste due osservazioni si trovi il motivo per cui la conoscenza tacita somatica sia definita «media». L’idea di Collins è che se usassimo una bicicletta su di un asteroide, dunque a gravità bassissima e con tutti i processi rallentati, potremmo anche noi uomini ragionare esplicitamente in termini di formule fisiche per rimanere in sella alla bici. Quindi, attualmente, andare in bicicletta è una conoscenza tacita perché sarebbe impossibile per la nostra mente fare i calcoli necessari nel poco tempo a disposizione, e dunque, parlando in termini evolutivi, essa ha scelto un’altra via di apprendimento.

Allo stesso modo, quando battiamo le parole sulla testiera del PC, per la nostra mente non conviene pensare alla posizione di ogni singolo tasto, meglio che le modifiche nervose riguardino gli spostamenti delle dita, da usare al momento opportuno. La prova è che se tentiamo di premere con la mano sinistra un tasto che di solito premiamo con la mano destra, dobbiamo riflettere per qualche istante su dove si trovi il tasto. Oppure, quando pronunciamo uno scioglilingua, non pensiamo ad ogni suono, ma alle parole o frasi intere, già memorizzate “in blocco”, secondo certi percorsi neurali. Eppure, quando si progetta una macchina che batta i tasti o emetta le parole di uno

47H. L. Dreyfus e S. E. Dreyfus,1986, p. 16-36. 48Collins,2010, p. 105, trad. mia.

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