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3.3 Tre dimensioni

4.1.3 Discussione delle difficoltà

L’approccio compositivo da me introdotto presenta ovviamente delle difficoltà. La più evidente è che non si possono conoscere tutti i problemi di un certo dominio, vista anche l’elasticità del termine. A questo si può rispondere osservando che nessun esperto sa realmente impostare o risolvere tutti i problemi del suo dominio. Da una parte, però, l’esperto padroneggia azioni che gli consentono di risolvere molti dei problemi incontrati. Dall’altra, un esperto serio, di fronte ad un problema non impostabile o risolvibile con le azioni che già padroneggia, cerca di imparare nuove azioni atte allo scopo.

A mio parere questo è proprio quello che imparano i dottorandi. Infatti, pur avendo un supervisor, per la prima volta devono confrontarsi con situazioni e problemi in modo autonomo. Spesso, questa è l’occasione in cui apprendono l’utilità o l’inutilità di ciò che hanno studiato negli anni precedenti. Al contempo, imparano anche che la propria preparazione non è esaustiva, ma necessitano di approfondire autonomamente alcune azioni.

La seconda difficoltà, forse solo apparente, è unificare le due ipotesi precedenti con la caratterizzazione delle competenze che ho dato nel capitolo2, in relazione alle forme del dominio (paragrafo2.3). La risposta principale è che quanto più un dominio è lontano da quello perfetto, tanto più sono limitate le interazioni, per definizione. Dunque, in base all’ipotesi additiva, è limitata anche la contribuzione che gli attori della rete possono dare a quel dominio. Come visto, la contribuzione nella tabella3è pensata per esperti che sono contributori massimi nel proprio dominio perfetto, dunque essa pone dei limiti superiori alla capacità di poter effettivamente contribuire in un dominio in cui, ad esempio, le interazioni sono contenute e l’interlinguaggio non è ben sviluppato.

Ad esempio, come mostrato daGalison[1997], la collaborazione tra fisici ed ingegneri è sempre molto difficoltosa all’inizio di un progetto. Pur avendo una buona base culturale in comune, spesso queste due comunità guardano gli stessi fenomeni in modo estremamente diverso, e imparano ad interagire partendo dall’uso degli strumenti, su cui è più facile trovare accordo.

A questo proposito, vorrei esplicitamente osservare che l’approccio frattale nei domini mostra situazioni davvero interessanti. Ad esempio, parlando della medicina, abbiamo visto che la fisica non utilizza le macchine per le risonanze nella ricerca. Questo è ovviamente vero. Tuttavia, è nata una branca apposita, chiamata «fisica medica», che si occupa, tra le altre cose, proprio dello sviluppo di macchine e apparati per la diagnosi e la cura delle malattie (TAC, terapia adronica, PET, etc.). In un certo senso, si tratta della controparte fisica della medicina nucleare, in cui i fisici studiano un po’ di medicina, quanto basta per capire se le macchine costruite assolvono o meno la funzione per cui sono state progettate.

Dunque, la macchina per risonanza può essere ripensata come oggetto di confine non tra fisica e medicina, ma tra fisica medica e medicina nucleare. Da questo punto di vista, il dominio delle due comunità in questione non sarebbe irregolare ma regolare o forse addirittura più che regolare. Questo, ancora una volta, mostra come la forma del dominio cambi a seconda delle comunità in considerazione e dello zoom applicato su di esse. Ingrandire la medicina per selezionare quella nucleare, e ingrandire la fisica per selezionare quella medica, ha un notevole effetto nella caratterizzazione del dominio.

Rimane ancora una questione: come si legano le categorie da me proposte con le tre dimensioni di Collins?

In primo luogo, è evidente che la dimensione dei risultati coincide in gran parte, ma non del tutto, con l’ordine del problem solving. Tuttavia, in molti casi trovare modi alternativi per impostare un problema, o addirittura scoprirne di nuovi, è un risultato notevole che può anche cambiare la prospettiva su un intero dominio. Sembra ovvio, dunque, che la categoria dei “risultati”, come usata nella teoria cognitiva della competenza, sia un po’ ristretta, almeno nella nostra trattazione. Dunque, quando Collins scrive che gli psicologi vedono le cose da un punto di vista limitante, direi che ha pienamente ragione.

In secondo luogo, l’esotericità è diffusa in tutte le categorie. Questo è evidente, se pensiamo che la definizione di un problema di fisica non è comprensibile a tutti. Forse, la scoperta dei problemi è la caratteristica meno esoterica, visto il suo stretto legame con l’intuizione. Ma in questa categoria è inclusa anche la capacità di problem shaping, ovvero di dare forma e inquadrare il problema, per poterlo poi impostare e risolvere. Ovviamente, il problem shaping necessita di tanta conoscenza ed esperienza, perché il problema scoperto deve “stare bene” all’interno del dominio.

In terzo luogo, anche l’esposizione alla conoscenza tacita, come l’esotericità, sembra piuttosto diffusa negli ordini. Leggere su un manuale l’impostazione e la risoluzione di

un problema aiuta a risolvere solo quel particolare problema. Invece, ciò che occorre a chi vuole diventare esperto è riuscire a capire quando fare cosa: quando il problema è scomponibile in un certo modo, quando si può utilizzare una certa formula, quando una certa approssimazione è sufficiente, etc. Queste azioni forse è possibile impararle in minima parte tramite conoscenza esplicita, ma sicuramente hanno bisogno di molta conoscenza tacita. La scoperta del problema, infine, è forse l’attività più tacita che possa compiere la mente umana. Per questo, è anche la più difficile da studiare per gli psicologi, e la meno metodica da imparare per un esperto. Probabilmente, occorre tutta la vita per riuscire a padroneggiarla.