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Tabella 3 – Forme dei domini.

Forma del dominio

Irregolare

Regolare

Più che regolare

Perfetta

Interazione

Debole

Forte

Massima

Assente

Contribuzione

Assente

Debole

Forte

Massima

Linguaggio

Gergo

Pidgin

Creolo

Puro

Istituzioni

Dominazione

Partecipazione

Collaborazione

Uniformità

Training

Differente

Sul campo

Affine

Identico

Il fine di questo paragrafo è esporre un modo per armonizzare le competenze e le zone di scambio. Finora, infatti, i rapporti tra queste due categorie concettuali appaiono caotici e creano notevoli problemi. La mia proposta, per superare molte delle difficoltà riguardanti la questione, è introdurre il concetto di «forma del dominio».

Abbiamo visto, infatti, che tutti gli autori trattano la nozione di dominio in modo abbastanza superficiale. In parte si dà per assunto il suo significato, in parte non ci si premura di caratterizzarlo a dovere. La mia idea è che siano proprio le modalità con cui al suo interno si sviluppano le competenze a definire un dominio. Tuttavia, le competenze interazionali e contributorie dovranno essere leggermente revisionate.

La tabella 3riassume le idee che qui intendo illustrare. Individuo quattro forme che i domini possono assumere.

1. Forma irregolare. Un dominio irregolare è un dominio in cui è presente una comunità che in qualche modo prevarica o utilizza in modo parassitico145 le altre comunità. In questa forma, l’interazione è debole o formale, perché alla

«comunità dominante» non interessa realmente avere scambi con le altre comunità del dominio. Un esempio è la medicina nucleare, che si serve della fisica per trovare nuovi metodi diagnostici o nuove cure; inoltre essa prende in prestito alcune parole dalla fisica (esempio: radioattività), creando un gergo. Come abbiamo già visto, le macchine per effettuare risonanze magnetiche nucleari non sono realmente capite, nel loro funzionamento, dai medici e dai radiologi che le usano. Semplicemente, essi seguono le istruzioni di funzionamento messe a punto da fisici. Questo significa che il grado di interazione dei medici con questa comunità si arresta al livello formale dei regolamenti; per tali motivi ho definito «debole» o «formale» questa competenza interazionale. Essa non soddisfa l’ipotesi interazionale forte e non supera il gioco dell’imitazione. La contribuzione nel dominio irregolare è considerata assente, perché la comunità di fisici, ad esempio, non ha migliorato la propria comprensione della radioattività nel costruire la macchina per le risonanze. D’altra parte, ricordando ancora una volta l’approccio frattale, se “ingrandiamo” la comunità dei medici, che (come vedremo) in sé costituisce un esempio di dominio perfetto, osserviamo che essa ha avuto un notevole beneficio dal suo rapporto parassitico con la fisica, senza dare nulla in cambio. Le zone sovversive e le zone forzate sono casi particolari di dominio irregolare.

2. Forma regolare. Un dominio regolare è un dominio in cui sono presenti molte comunità, senza che nessuna sia dominante. Qui l’interazione non si ferma alle regole, ma ci sono ampi scambi di conoscenza tacita, quindi tra i gruppi possono svilupparsi competenze interazionali forti. Dalle interazioni nasce un linguaggio embrionale, un pidgin, in cui i termini risentono degli influssi delle varie comunità. Inoltre, dalla partecipazione nascono contributi di cui beneficiano tutte le comunità del dominio; la produzione di oggetti di confine, che avviene in questo tipo di domini, ne è un esempio.

3. Forma più che regolare. Un dominio più che regolare è un dominio in cui le varie comunità parlano uno stesso interlinguaggio, un creolo. Esso permette alle interazioni di avere la massima efficacia, e dunque, a seconda dei punti di vista, in questo dominio si può vedere una sola comunità o comunità diverse che si capiscono. Riprendiamo l’esempio della biochimica. Per quanto sia una scienza con un proprio linguaggio, i giovani biochimici possono avvicinarsi ad essa a partire dalla chimica o dalla biologia. A seconda del tipo di training seguito per diventare un biochimico, un certo scienziato potrà essere più esperto nella parte chimica, ad esempio, ma grazie al creolo avrà sempre la sicurezza di poter parlare anche ai biochimici provenienti dalla biologia, e per lo stesso motivo, se vorrà, potrà imparare interazionalmente da essi le parti della biologia che non conosce, anche se non gli serviranno mai nel suo lavoro. In altre parole, il creolo permette al biochimico di area chimica di capire i concetti biologici espressi dai biochimici di area biologica. Poniamo, tuttavia, che ci sia un esperimento di biochimica in cui tutto il team è composto da biochimici di area chimica. Essi, per caso, ottengono durante l’esperimento un certo effetto che sono concordi nello spiegare chimicamente. Un biochimico di area biologica, nel nostro caso ipotetico, avrebbe fatto notare loro che potrebbe essere un effetto dovuto a delle particolari condizioni biologiche e che c’è necessità di ulteriori approfondimenti. Questo mostra che un creolo genera la massima condizione per le interazioni, ma non necessariamente per la contribuzione, per quanto essa sia forte. Avere un linguaggio in comune non uniforma giocoforza le competenze contributorie,

perché i membri di una certa comunità potrebbero non ritenere importante immettere nel creolo certe conoscenze o certi risultati della loro materia. Nel nostro esempio, quella particolare condizione biologica è ignorata da tutti i biochimici non provenienti dalla comunità dei biologi, perché i biologi, fino ad allora, non avevano mai avuto necessità di usare il creolo per diffondere la conoscenza di quell’effetto; ovvero, di parlare ai biochimici di quella parte della biologia.

4. Forma perfetta. Un dominio perfetto è semplicemente un dominio in cui è presente una sola comunità coesa. La competenza contributoria è massima, perché tutti i membri condividono lo stesso training e le stesse conoscenze tacite. Per lo stesso motivo, non ci può essere alcuna competenza interazionale, che richiede la presenza di membri esterni alla comunità.146

Il nodo fondamentale è nella scelta delle comunità: prendere in considerazione diverse comunità conduce a diverse forme del dominio. Un esempio è la stessa medicina nucleare, in cui le macchine sono costruite anche da ingegneri, i quali però ottengono dei benefici, perché nella progettazione di tali macchine (all’epoca innovative) hanno sviluppato metodi di lavoro nuovi. Nella mia proposta le comunità letteralmente formano i domini, perché danno ad essi la forma.

Invece di creare apposite zone di scambio in cui avvengono le interazioni, come hanno fatto i nostri studiosi, la mia prospettiva è diversa: le interazioni sono sempre presenti, ovunque ci siano membri di diverse comunità in uno stesso dominio. Ciò che cambia è il tipo di competenza interazionale che si può apprendere, perché i rapporti tra le comunità non sono sempre uguali. Inoltre, da diversi tipi di interazione sorgono diversi tipi di linguaggi: in questo modo si risolve il problema delle zone regolatorie di Gorman. Questo mi permette anche di considerare la questione della precedenza tra interazione e linguaggio secondo un punto di vista alternativo. Semplicemente, essi si sviluppano in contemporanea, ma per gradi.

Anche le contribuzioni sono classificate allo stesso modo. Considero contribuzione di un dominio solo i contributi che producono miglioramenti a tutte le comunità dei membri di quel dominio. Perciò nei domini irregolari esse sono assenti. Nei domini regolari, invece, sono deboli, perché limitate ad oggetti di confine. La domanda che ci eravamo posti sulla SSME, ossia se al suo interno si possono sviluppare competenze contributorie, ora ha una risposta affermativa: essendo i servizi “di confine”, gli esperti hanno una competenza contributoria debole. Ciò non vuol dire che i contributi siano in sé di scarso valore. La “debolezza” sta nel non vedere i contributi sotto lo stesso punto di vista, perché a causa delle diversità tra le comunità, ognuna giudicherà più o meno utile l’oggetto di confine. Nel caso dei domini irregolari, alcuni membri del dominio considerano completamente inutile per la propria comunità ciò che hanno prodotto per soddisfare la subalternità alla comunità dominante. Le macchine per le risonanze, infatti, non sono utilizzate nella ricerca dai fisici.

Seguendo questo ragionamento, nei domini più che regolari la contribuzione è forte perché i punti di vista sono molto simili, in gran parte a causa del training affine e del creolo. Ma non sono del tutto sovrapponibili, come ho mostrato sopra nell’esempio della biochimica. Possiamo dire quindi che la contribuzione è più forte, quanto più i membri all’interno del dominio sono concordi nell’attribuire lo stesso significato ai contributi.

146Come abbiamo visto nel paragrafo1.2, quando due membri della stessa comunità comunicano tra loro, essi mettono in campo semplicemente le proprie abilità interattive, che non generano interazioni nel senso di Collins ed Evans.

Riguardo le istituzioni, esse giocano un ruolo fondamentale sul tipo di rapporto sociale che si instaura tra le varie comunità coinvolte nel dominio. I domini irregolari hanno di solito un’istituzione che riunisce alcuni esperti, prendendoli da diverse comu- nità, e pone loro dei problemi da risolvere. Questa istituzione agisce anche tramite mezzi coercitivi. Ad esempio, può essere un’azienda che impone ai suoi dipendenti di lavorare su un certo progetto.

I domini regolari, invece, hanno più istituzioni che cominciano a scambiarsi infor- mazioni tra di loro, ad esempio riguardo alcuni standard o convenzioni nel dominio. Nei domini più che regolari, grazie ad un diffuso linguaggio creolo, gli esperti possono formarsi in parte in un’istituzione e in parte in un’altra. Anche le organizzazioni147 risentono degli standard e delle convenzioni delle istituzioni.

Nei domini perfetti, tutte le istituzioni sviluppano di norma progetti in comune. In questa situazione, gli standard normativi delle varie istituzioni combaciano tra di loro. Ad esempio, in fisica il Sistema Internazionale è adottato su scala mondiale da tutte le associazioni di fisici, i dipartimenti universitari, etc. Gli istituti di metrologia si occupano di definire le grandezze ivi contenute con sempre maggior precisione, e quando si ottiene un significativo avanzamento di accuratezza, esso viene prontamente accettato da tutte le istituzioni di fisica. Nel capitolo5tratteremo in modo approfondito delle istituzioni.

Una nota a parte merita il training. Nel paragrafo 1.2 abbiamo visto che le credenziali non sono affidabili quando si tratta di scegliere un esperto che abbia competenza. Qui però intendo trattare il training a livello organizzativo-istituzionale. In primo luogo, esso è la formazione che la comunità di esperti, tramite le sue istituzioni, sceglie di dare alle nuove generazioni che faranno parte della comunità, e dà normalmente accesso ad un titolo di studio riconosciuto dalle altre istituzioni del dominio. In secondo luogo, esso consiste nella pratica fatta non solo all’interno della comunità d’origine, ma anche all’interno di un dominio, insieme ad altre comunità.

Nei domini irregolari, i training sono molto differenti tra di loro, e sul campo non si interagisce molto, se non a livello formale, dunque le occasioni di imparare dalle altre comunità sono limitate. Nei domini regolari, i membri di comunità diverse, interagendo in modo forte e partecipando alla costruzione di oggetti di confine, sviluppano nel tempo una vera esperienza nel dominio in questione. Nel nostro esempio degli esperti intenti a creare una mappa, i biologi potrebbero imparare dai cartografi quali sono i metodi standard di rappresentazione convenzionale sulle mappe, cioè i modi per trasformare le loro conoscenze sugli ecosistemi in simboli, forme o colori che possono essere utili agli altri biologi come mezzo di diffusione delle informazioni tecniche necessarie alle attività della comunità.

Com’è evidente, il training è una caratteristica che dipende molto dal dominio considerato. Nei domini più che regolari lo sviluppo di interazioni massime e l’esistenza di un linguaggio creolo portano la possibilità di sviluppare corsi accademici appositi di livello avanzato. I biochimici, partendo da studi di base in biologia o chimica, possono ritrovarsi a seguire le stesse lezioni negli ultimi anni di università. Nei domini perfetti, ovviamente, la preparazione delle nuove generazioni è identica, specialmente nei corsi base.

Si noti che la mia classificazione non intende cancellare la vecchia distinzione (purtroppo poco adoperata) tra domini specialistici e domini intermedi, perché questi ultimi corrispondono alle prime tre forme della tabella, mentre il dominio specialistico coincide evidentemente con il dominio perfetto, anche se quest’ultimo può forse essere

considerato un po’ troppo restrittivo o “ideale”. Per lo stesso motivo, gli scambi sono possibili nelle prime tre forme.

La mia classificazione può essere utilizzata per definire i domini? No. Per quanto le comunità, con le loro caratteristiche, diano in un certo senso forma ad un dominio, esse non bastano a definirlo univocamente. Forse, da un punto di vista sociologico, si potrebbe semplicemente affermare che un dominio è un insieme di comunità che soddisfa una delle quattro forme. Questo perché in sociologia l’unità fondamentale e non definita, il vero concetto assiomatico, è sempre e soltanto la comunità, intesa (nel nostro caso) come forma di vita. Tuttavia, da un punto di vista filosofico, la nozione di comunità non basta a costruire tutta la teoria della competenza, come vedremo in modo più approfondito nel prossimo capitolo.

La classificazione delle forme in quattro categorie possiede con tutta evidenza una dose di arbitrarietà. Infatti, è facile osservare che, nella realtà, tra di esse vi è una certa continuità e non la separazione presentata nello schema. Così come Collins, Evans e Gorman[2007] ipotizza una tendenza delle zone di scambio verso una maggiore omogeneità, allo stesso modo nel nostro schema possiamo ipotizzare una tendenza spontanea verso una maggiore regolarità, e in definitiva verso la forma perfetta. Tale tendenza potrebbe quindi chiamarsi «perfettibilità». D’altra parte, grazie all’approccio frattale sappiamo che anche i domini perfetti possiedono sempre al loro interno dei sottodomini non perfetti. Dunque, la perfettibilità è caratterizzata sia da una maggiore integrazione reciproca delle comunità del dominio, sia da una certa propensione alla differenziazione. Alla luce di quello che sappiamo sulla storia della fisica, come presentata inGalison [1997], possiamo affermare che questo movimento “centrifugo” di differenziazione si sviluppa sotto forma di specializzazioni che gradualmente assumono sempre più autonomia e infine diventano domini a sé stanti, anche grazie alla nascita di nuove istituzioni che ne promuovono le peculiarità. Come vedremo nel paragrafo5.2.1, la compresenza di integrazioni e differenziazioni è una caratteristica generale di ogni organizzazione umana.

Infine, vorrei osservare che le forme dei domini non sostituiscono le zone di scambio, che considero semplicemente come particolari configurazioni delle forme del dominio. Tuttavia, sono dell’idea che, all’interno delle varie forme, siano possibili molti tipi di zone di scambio non ancora analizzati o trovati empiricamente. La ricerca su questi temi è solo all’inizio.

Mi rendo perfettamente conto che questa classificazione sia in gran parte ingenua e ideale: i linguaggi puri non esistono, e nemmeno i training identici. Tuttavia, mi sembra una risposta ragionevole (per ora) alla necessità di armonizzare gli ottimi risultati ottenuti da Collins, Evans, Gorman ed altri su competenze e scambi.

Capitolo 3

Dalla conoscenza all’azione

L’esperienza è conoscenza delle cose individuali, mentre l’arte è

conoscenza degli universali; e le azioni e i mutamenti concernono tutti le cose individuali.

Aristotele Metafisica In questo capitolo mostrerò la necessità del concetto di azione nel campo della competenza. Infatti, non basta trattare la conoscenza (tacita o esplicita) e osservare come essa si diffonde. Bisogna anche connetterla alle attività che compiono gli esperti. Com’è ovvio, non esistono esperti che sanno, ma non sanno fare. Dopo una necessaria premessa teorica, che serve ad introdurre il concetto di morficità, esporrò il modo con cui la conoscenza viene legata all’azione nel mondo aziendale, utilizzando anche un famoso caso di studio. Infine, vedremo il modo con cui Collins lega conoscenza e risultati nel lavoro degli esperti, osservando alcune criticità nel suo modello.

3.1

Teoria della morficità

Il nostro punto di partenza è un concetto che finora è rimasto ai margini della trattazione, seppur citato nel paragrafo1.2: l’azione. Come già visto, nel1998, Collins e Kusch hanno scritto insieme un libro che espone la teoria della morficità delle azioni.148 Il termine azione è utilizzato dai nostri studiosi in un modo preciso: un’azione è ciò che il membro di una comunità compie intenzionalmente all’interno di quella comunità, e che acquisisce il suo senso solo all’interno di quella comunità. Questa definizione è piuttosto sociologica, in quanto si basa sul significato di comunità, e dunque lontana dalle molte e diverse definizioni filosofiche.149 Inoltre, essa consente di includere anche

gli scambi linguistici, che come sappiamo sono intenzionali e di norma hanno un senso solo nella comunità in cui si svolgono. Questa caratterizzazione permette di evitare la trattazione delle azioni intenzionali non-sense, oppure delle conseguenze non-intenzionali delle azioni intenzionali. Infatti, le conseguenze delle azioni sono collegate alle intenzioni solo in modo contingente (contingently related).

148Collins e Kusch,1998.

149Cfr. ad esempioDavidson,2001.

Come visto nel paragrafo1.4, alcune azioni e intenzioni sono «formative», perché esse in qualche modo formano la comunità, intesa come forma di vita. Il rapporto tra le due è molto stretto: le intenzioni sono “guida” delle azioni, le azioni sono il modo con cui i membri della comunità possono scorgere le intenzioni gli uni degli altri. Va notato che tra azioni e intenzioni formative, da un lato, e azioni e intenzioni non-formative, dall’altro, non c’è sempre una differenza netta e chiara.

Riporto nuovamente la distinzione tra i due tipi di azione.

1. Azioni di tipo mimeomorfico. Sono quelle identiche ad ogni occorrenza, cioè uguali a se stesse ogni volta che vengono eseguite.

2. Azioni di tipo polimorfico. Sono quelle che mutano ad ogni occorrenza, cioè dipendono in modo profondo dagli elementi contestuali.

Una stessa azione può essere eseguita in modo mimeomorfico o in modo polimorfico. Anche se c’è continuità tra questi due estremi, in generale in ogni azione si può individuare una prevalenza dell’uno o dell’altro aspetto.150

Per eseguire una azione mimeomorfica non è necessario comprenderne il senso. Infatti, la loro esecuzione, ad un osservatore esterno, fa apparire l’esecutore pienamente consapevole, anche se non lo è. Prendiamo in considerazione un uomo che impara ad andare in bicicletta. Azionare i freni della bicicletta è sostanzialmente un’azione mimeomorfica, perché consiste ad ogni occorrenza nello stringere la leva del freno sempre allo stesso modo. Frenare ha ovviamente anche una componente polimorfica, perché si frena in certe occasioni e non in altre. Tuttavia, consideriamo un caso in cui il contesto sia trascurabile, ad esempio ci sia un semplice percorso lineare, ideale per l’apprendimento. Ad un certo punto, l’insegnante dice al ciclista di tirare la leva, senza spiegare cosa essa faccia; il nostro discente esegue. Chi osserva la scena (senza udire il comando) non ha modo di capire che la leva è stata premuta da qualcuno che sappia cosa fa, a meno di altre azioni del nostro ciclista, ad esempio un’esclamazione di stupore («perbaccolina, non mi aspettavo una frenata azionando questa leva!»). Questo perché le esecuzioni sono tutte uguali ad ogni occorrenza. Solo eventuali elementi contestuali possono far capire la differenza, ma in quel caso la componente polimorfica prevale su quella mimeomorfica. Il ciclista che sa quando frenare e quando non farlo (esempio: in salita), e quanta forza usare nella pressione della leva, padroneggia la

frenata polimorficamente.

Dalle definizioni possiamo derivare una proprietà chiamata «identicità» (sameness). Le azioni mimeomorfiche hanno una forte identicità, perché non richiedono una speciale inculturazione nella comunità per essere comprese. In altre parole, è facile per un osservatore esterno alla comunità riconoscere che due occorrenze diverse di una azione mimeomorfica sono “la stessa azione”. D’altra parte, le azioni polimorfiche richiedono che l’osservatore, di fronte a due occorrenze diverse, abbia una certa inculturazione, altrimenti potrebbe considerarle due azioni differenti. Perciò, le azioni polimorfiche hanno una debole identicità. Chi sa individuare l’identicità nelle occorrenze delle azioni