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4.2 Percezioni e aspettative

4.2.2 Affordance

Il termine affordance fu introdotto dallo psicologo Gibson per spiegare il compor- tamento di uomini e animali nelle diverse situazioni. L’idea alla sua base è molto semplice: un animale (uomo compreso) immerso in un certo ambiente tende a compiere

determinate azioni solo se quell’ambiente, in qualche modo, gliele suggerisce. Formal- mente, diciamo quindi che la percezione delle possibili azioni è una proprietà distribuita o relazionale, cioè nasce dalla relazione tra l’animale e l’ambiente.

Leggiamo un semplice esempio di Gibson.

Una via dà a chi cammina affordances di locomozione da un luogo a un altro, ed è una via che viene a tracciarsi tra le caratteristiche del terreno che impedirebbero tale locomozione. La locomozione è impedita da ostacoli, barriere, margini d’acqua e cigli (bordi di precipizi). Una via deve consentire l’appoggio, e deve essere quindi relativamente libera da ostacoli rigidi dell’ordine di grandezza del piede. Un ostacolo può essere definito come un oggetto dell’ordine di grandezza dell’animale che dà affordances di collisione e possibile lesione.183

Secondo questa analisi, un uomo (o un animale), che si trova in un bosco, non comincia a muoversi in una direzione scelta a caso. Piuttosto, tende a dirigersi in una direzione libera da ostacoli, senza barriere, etc., che comunemente chiamiamo «via». Quindi, in qualche modo, la situazione suggerisce all’uomo quali direzioni può prendere. Generalizzando: suggerisce quali azioni può compiere utilizzando gli elementi presenti in essa. Questo spiega perché, in alcune versioni italiane, il termine affordance è occasionalmente tradotto con «invito all’uso».184

Chiariamo ora un’ambiguità nell’uso del termine. Alcune volte, il termine «affordan- ce» è utilizzato per indicare tutte le possibilità di azione in una data situazione. Altre volte, l’uso del termine è ristretto alle sole azioni possibili percepite da un certo attore (uomo o animale). Altre volte ancora, il termine indica semplicemente la capacità dell’attore (uomo o animale) di percepire tali possibilità di azione nella loro varietà più o meno ampia. Senza dubbio il primo uso del termine è il più diffuso, ma spesso negli autori i tre casi si presentano intrecciati, perché non è sempre possibile distinguerli.185

Così come originariamente articolata da Gibson, la affordance è un termine stretta- mente legato al senso della vista: l’attore guarda la situazione e grazie a forme e colori percepisce le azioni possibili.186 L’ingegnere e scienziato cognitivo Donald Norman, d’altra parte, ha applicato questa nozione alle possibilità d’uso di un oggetto da parte di attori umani, eliminando però la restrizione gibsoniana. Infatti, gli esseri umani (e molti animali) percepiscono i possibili usi di un oggetto anche utilizzando altri sensi. Ad esempio, sentendo al tatto che la corteccia di un albero è ruvida, un orso percepisce che può essere usata per grattarsi la schiena. Oppure, un cane annusa un cibo per vedere se è commestibile, ossia se tra le sue possibilità d’uso rientra l’esser mangiato senza subire avvelenamenti o lesioni.187

Proverò ora ad elencare alcune interessanti proprietà che Norman assegna al concetto di affordance, così come da lui articolato.

183Gibson,2007, p. 82.

184Ho scelto di utilizzare il termine originale per due motivi. In primo luogo, la traduzione italiana è rara e limitata ad alcune vecchie edizioni dei testi di Gibson e Norman. In secondo luogo, essa genera facilmente alcuni equivoci legati al significato comune della parola «invito» e «uso».

185Norman[2018] si scusa per l’ambiguità nelle precedenti opere e dichiara che nel secondo caso avrebbe dovuto usare l’espressione perceived affordance. Purtroppo, sembra che ignori il terzo caso nell’uso della parola.

186Nel linguaggio di Gibson: grazie al layout.

187A onor del vero,Gibson[2007] risponde a questa accusa. Secondo lui, qualsiasi animale utilizza in primo luogo la vista, perché fornisce informazioni da più lontano. Essa offre le affordance per utilizzare altri sensi. in modo da ottenere altre informazioni. Tuttavia, ciò non spiega come operi, ad esempio, una talpa o un pipistretto, i quali com’è noto utilizzano rispettivamente olfatto e udito come sensi fondamentali, mentre la vista ha un ruolo del tutto marginale nei loro comportamenti.

1. Vincoli fisici. La affordance è legata in modo fondamentale alle caratteristiche fisiche dell’oggetto. Ad esempio, un’automobile non può essere sollevata e trasportata come uno zaino, non solo a causa del suo peso. Ipotizziamo un’auto fatta interamente di una lega super leggera, in modo che pesi solo20kg. Anche in questa situazione, la forma e le dimensioni dell’automobile rendono proibitivo il sollevamento e il trasporto sulla schiena. Invece, un’evidente affordance suggerita da questo oggetto è la spinta orizzontale, che darebbe modo ai pneumatici di ruotare.

2. Vincoli logici. Le possibili interazioni tra l’attore e l’oggetto devono seguire una certa logica. Ipotizziamo un oggetto simile ad un tavolino da té molto basso, di forma triangolare, ma con due soli piedi di appoggio in due angoli. Tale oggetto viene recapitato a casa di un uomo, in una scatola chiusa. Egli apre la scatola e ne estrae il tavolino. Con ogni evidenza, l’attore prende in esame le stesse affordance di un tavolo. Poiché, però, i due piedi sono insufficienti al sostegno, egli cerca un terzo punto d’appoggio. Dunque, pensa che al tavolino manchi un pezzo. Chiamando il costruttore, questo gli conferma che l’oggetto dovrebbe avere tre piedi d’appoggio, quindi l’esemplare che ha di fronte è danneggiato. Come si vede, i vincoli logici partono dai vincoli fisici e aggiungono ad essi una certa riflessione razionale, utilizzando anche il bagaglio di esperienze passate e le informazioni in possesso dell’attore. In molti casi, i vincoli logici sono strettamente intrecciati con i vincoli fisici e con quelli culturali, come se fossero un tipo intermedio. 3. Vincoli culturali. Le affordance sono profondamente dipendenti dalla cultura

in cui è immerso l’attore, e in particolare dalle convenzioni. Ad esempio, nella nostra società, la maggior parte degli oggetti è pensata per destrimani. I mancini si adattano a questa convenzione e utilizzano la mano destra anche quando scomoda. Un esempio più concreto: la maniglia. Se la vediamo vicino ad una porta, sappiamo che per la nostra cultura essa segnala un meccanismo di apertura e muovendola possiamo aprire la porta. Invece, se la vediamo vicino ad un muro, sappiamo che di norma non c’è alcun meccanismo nascosto in grado di aprire un varco in esso. Questo perché per convenzione percepiamo i muri come oggetti rigidi senza possibilità di aprirsi come porte, e se vediamo un oggetto che somiglia ad una maniglia semplicemente pensiamo che abbia un’altra funzione. Di certo, non la stessa che avrebbe se attaccata ad una porta. Un altro esempio molto semplice sono gli insetti: in alcune culture essi sono considerati commestibili, in altre no.

4. Vincoli semantici/semiotici. Sono casi particolari di vincoli culturali, in cui la affordance è limitata attraverso dei segni convenzionali (linguaggio compreso). Ad esempio, quando dobbiamo posizionare una batteria, sappiamo che dobbiamo orientarla seguendo i simboli «+» e «–», che indicano convenzionalmente i poli. Questi due simboli sono posizionati sia sulla batteria che nel vano, in cui essa va riposta in modo da avvicinare i due simboli «+» e i due simboli «–». Altri esempi comuni sono i libretti delle istruzioni, che vincolano le affordance di un insieme di oggetti attraverso il linguaggio ordinario. Oppure, si pensi ai cartelli «Acqua non potabile» su alcune fontane, che eliminano a priori gli usi legati al

bere, incluso il riempire bottiglie, etc.

5. Scarsità dei rilevanti. Di norma, per ogni oggetto esistono migliaia di possibili usi. Probabilmente, nessun uomo ha mai chiaramente percepito l’affordance totale di

alcun oggetto, nemmeno il più comune e familiare. Di questa moltitudine, però, la stragrande maggioranza è costituita da usi inutili o addirittura stupidi. Ad esempio, usi in cui l’oggetto si rompe, usi in cui si ferisce se stessi o altri esseri umani, etc. Insomma, per l’attore queste affordance sono irrilevanti. Quindi, le affordance rilevanti sono poche; per molti oggetti, non più di qualche decina. 6. Invarianza alla risposta. La affordance non dipende dalla risposta che l’oggetto dà

ad un certo uso possibile. Ad esempio, uno schermo ha tra i possibili usi l’essere toccato con un dito, con una certa pressione. Chiamiamo questa affordance «toccabilità». Ora, è evidente che gli schermi touch-screen sono sensibili al tocco, e dunque rispondono bene alla toccabilità. D’altra parte, anche gli schermi non touch-screen possiedono la toccabilità, in quanto possono essere toccati con la stessa pressione delle dita; tuttavia, secondo Norman, non rispondono ad essa. Dopo questa intensa carrellata, dovremmo aver chiaro in mente cosa sia l’affordance e come si comporta, pur mantenendo i problemi tipici dei concetti psicologici. Ora, però, dobbiamo cercare di adattare la affordance per inserirla con successo nella nostra trattazione.

In primo luogo, è evidente che non ci interessa una affordance «oggettuale» del tipo di Norman, ma una «situazionale» del tipo di Gibson. Mi sembra che le proprietà di Norman si possano estendere in modo coerente alle situazioni e alle possibili azioni (invece dei possibili usi).

In secondo luogo, grazie ai nostri autori, abbiamo una buona teoria oggettuale e un’ottima teoria situazionale,188 ma ora abbiamo bisogno di prendere il meglio da entrambe.

Dunque, cerchiamo di stabilire in modo univoco il rapporto tra situazione e oggetto. Consideriamo in primo luogo la situazione come un «tutto» indeterminato. Grazie, però, ai sensi e all’indagine, possiamo delimitare alcuni elementi della situazione e considerarli separatamente: essi sono gli oggetti. Questo procedimento è analogo a quello di chi guarda la fotografia di un bosco. All’inizio egli considera le proprietà generali di ciò che osserva: un paesaggio naturale, incontaminato, etc. Poi comincia ad entrare nel dettaglio: alberi, pietre, ruscelli, etc.

Mi sembra che questo approccio, per quanto forse ingenuo, ci consenta di considerare la affordance oggettuale come un caso particolare e molto restrittivo della affordance situazionale, in cui l’oggetto è stato separato dalla situazione. Infatti, nella teoria oggettuale di Norman la nozione di «immersione» nell’ambiente è limitata agli ambienti domestici o familiari, e in ogni caso non svolge mai una funzione determinante.

Ovviamente, questo risulta estremamente riduttivo per le situazioni che si possono incontrare. Al contrario di Norman, per i nostri scopi gli oggetti devono sempre essere immersi in un certo ambiente e dunque far parte della situazione. Come mostra l’esempio della maniglia, le affordance dell’oggetto sono determinate in modo decisivo da essa. D’altra parte, gli esperti si trovano comunemente in situazioni insolite in cui anche oggetti conosciuti e familiari possono essere usati in modi nuovi e originali, a volte addirittura contro-intuitivi. Pensiamo ai medicamenti di fortuna che un medico militare compie nei casi in cui non possiede gli attrezzi idonei. Nella cultura pop è celebre il caso di McGyver, protagonista di una serie televisiva, laureato in fisica, che

188Purtroppo la trattazione della teoria di Gibson esula dalle finalità di questo testo. Tuttavia, mi sembra evidente che senza di lui Norman avrebbe ottenuto risultati di gran lunga inferiori. Inoltre, tralascio la teoria oggettuale diGaver[1991], che, pur essendo molto interessante, è del tutto inutile ai nostri scopi.

riesce a costruire congegni e armi con qualsiasi cosa sia nelle sue vicinanze, al momento del bisogno.

In terzo luogo, ritengo che nell’affordance situazionale non valga l’invarianza alla risposta. Secondo Norman ci sono casi in cui l’oggetto effettivamente non risponde; questa idea può forse avere un qualche riscontro a livello oggettuale. Tuttavia, a mio parere, non esistono situazioni in cui ad un’azione non corrisponda alcuna risposta. Più probabilmente, la risposta non è del tipo aspettato. Questo perché anche l’apparente assenza di una risposta è in sé una risposta.

Infatti, rimanendo nella psicologia, questo tipo di interazione rispecchia quella tra due persone, una delle quali, ad un «ciao» appena ricevuto, risponde voltando il viso dall’altro lato. La sua manifesta volontà di non ricambiare il saluto non è “assenza di comunicazione”, ma è essa stessa una comunicazione: sta comunicando che non vuole comunicare.189In modo simile, una situazione che “non risponde”, sta già dando una

risposta: risponde che la risposta non è quella attesa dall’attore.

Proprio questo terzo punto ci introduce al più grosso problema delle affordance. Le attività degli esperti, immersi in una data situazione, non sono guidate soltanto dalla stretta percezione sensoriale, su cui si basano le teorie di Norman e Gibson (quest’ultimo solo per la vista). I due studiosi, infatti, si concentrano troppo su ciò che l’oggetto (o la situazione) suggerisce all’attore, il quale può soltanto limitare, tramite i vincoli culturali, logici, etc., le affordance percepite. La percezione degli esperti, invece, riguarda anche e soprattutto ciò che si aspettano dalla situazione, basandosi sui propri studi, sulla propria esperienza e sul proprio intelletto, a volte andando contro le informazioni ricevute dai propri sensi; in altre parole, stimolati dall’ambiente, essi percepiscono delle aspettative.

Un ingegnere che vuole misurare la resistenza alla compressione di un pilastro non può ovviamente basarsi su quanto lo percepisce duro al tatto, ma, sulla base della sua esperienza, immagina che il pilastro possa essere sottoposto ad una serie di test e procedure, in cui egli si aspetta alcune risposte da parte dell’oggetto. Inoltre, si può facilmente supporre un caso in cui i test standard non funzionino o non siano utilizzabili per vari motivi. In quel frangente, l’ingegnere potrà interagire col pilastro escogitando una nuova procedura, in parte grazie al suo bagaglio culturale (esempio: la meccanica del corpo rigido), in parte grazie alla propria inventiva. Nulla di tutto ciò è incluso nel concetto di affordance, perché il pilastro non “invita” a fare complessi test su di sé, né tanto meno ad inventarne di nuovi.

Dunque, appare evidente che abbiamo bisogno di affinare la nostra ricerca.