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4.3 Che cos’è un dominio?

4.3.4 Approccio frattale

Ora che abbiamo un quadro unitario del dominio e del modo di analizzarlo, rimane da vedere come si comporta rispetto all’onnipresente approccio frattale. In primo luogo, è ovvio che in un certo dominio un attore (individuale o collettivo) non riuscirà mai a padroneggiare nemmeno in modo debole tutte le classi di azioni, tanto meno

206Cfr. la voce «Girabacchino» inZinoni,2018. 207Cfr.Epstein,1996.

208In termini più formali: tutte le contribuzioni sono contributi, ma non tutti i contributi sono contribuzioni. Considero le contribuzioni come i contributi che portano direttamente un risultato tangibile. Per questo, esse sono sempre, per definizione, compiute da esperti contributori.

tutte le azioni. Quindi sarà sempre specializzato in qualcosa, a discapito di altro. In secondo luogo, possiamo schematizzare i seguenti livelli di “ingrandimento”, per quanto approssimativi.

1. Livello del problema. Uno o più problemi richiedono lo sviluppo di intere nuove classi di azioni, dissomiglianti dalle altre classi di azioni del dominio (nel senso della somiglianza di famiglia). Alcuni attori scelgono dunque di dedicarsi in special modo a tali problemi, cercando di applicare le nuove azioni anche agli altri domini.

2. Livello della classe di azioni. Una o più classi di azioni richiede lo sviluppo di nuove azioni, dissomiglianti dalle altre azioni utilizzate nel dominio. Alcuni attori scelgono dunque di dedicarsi a tali classi di azioni, cercando di utilizzare le nuove azioni a quanti più problemi possibili.

3. Livello dell’azione. Una o più singole azioni si rivelano difficili da padroneggiare. Alcuni attori scelgono dunque di dedicarsi ad esse e provano ad applicarle anche ad altri problemi.

4. Livello sub-azionario. Una singola azione può essere spezzata in più azioni. Poniamo momentaneamente da parte il quarto livello di ingrandimento.

Il primo caso è quello in cui un problema che compone il dominio si rivela più difficile del previsto, tale da richiedere uno sviluppo di molte nuove azioni. Il caso forse più eclatante è il problema della radiazione del corpo nero, che sorse all’interno della termodinamica classica, ma per essere impostato e risolto necessitò della nascita della meccanica quantistica. I nuovi strumenti concettuali, creati inizialmente per risolvere solo questo problema, produssero la ben nota rivoluzione nella fisica del0900.

Il secondo caso è quello di un problema in cui solo una classe di azioni si rivela particolarmente ostica. Ad esempio, i casi in cui le misure dei parametri (che con- sideriamo parte del problem setting) non riescono ad essere effettuate con i mezzi convenzionali. Così, si sviluppa la subcultura della strumentazione, come formulata da Galison,209 perché alcuni attori cercano di sviluppare nuovi strumenti, adatti alle

misure del problema in questione. Ovviamente di tali strumenti beneficia spesso l’intero dominio.

Il terzo caso è quello in cui un’azione necessita di un training particolare. Ad esempio, saper derivare e integrare le funzioni è un’operazione così fondamentale nella fisica che il primo corso di analisi matematica per gli studenti è dedicato quasi esclusivamente a queste operazioni. Storicamente parlando, il calcolo differenziale nacque proprio perché in fisica c’era bisogno di usare questi strumenti.210 Dunque, possiamo dire che i moderni analisti (matematici che si occupano di analisi matematica) discendono da quei fisici che approfondirono derivazione e integrazione in quanto azioni utili in fisica.

Quest’ultimo esempio ci mostra come può nascere un nuovo dominio attraverso una continua specializzazione. Mi sembra che anche negli altri livelli accadano cose analoghe quando certi problemi o certe classi di azioni tendono a essere separati dagli altri, soprattutto in relazione alla comunità o parte di comunità che se ne occupa, in quanto queste utilizzeranno pratiche diverse.

Perché nell’analisi frattale dei livelli non compaiono gli ordini? Perché gli esperti, ogni volta che prendono in considerazione un problema, tendono a condurlo verso la

209Vedi paragrafo2.2.1.

risoluzione. Ricordando la tabella6, il loro approccio è “orizzontale”. Non esistono esperti di un certo dominio specializzati in problem finding o problem solving. Gli ordini sono classificazioni piuttosto arbitrarie in cui abbiamo scelto di scomporre l’interazione tra attore e problema, ma difficilmente le comunità di esperti utilizzano queste categorie nel loro lavoro.

Chiediamoci ora se gli esperti che scelgono di specializzarsi in uno o più problemi, in una o più classi, o in una o più azioni stiano creando un nuovo dominio, nel senso di un approccio frattale. In altri termini, anche un sub-dominio è un dominio?

Sì, e la dimostrazione si effettua utilizzando la caratterizzazione del dominio che già conosciamo, cioè secondo forma e composizione. Nel primo caso, la risposta affermativa è ovvia: abbiamo un set di problemi e almeno una comunità. Nel secondo caso, utilizziamo la tabella6. Poniamo, ad esempio, che siano scelte le classi h1, 2i e h2, 3i. Allora, la prima classe risponde alla domanda «come impostare il problema1?», mentre la seconda classe risponde alla domanda «come risolvere il problema 2?». Ma queste domande sono considerabili anche come problemi a sé, scoperti in una situazione che dal nostro punto di vista è l’attività degli esperti in un certo dominio. Dunque, anche qui abbiamo un set di problemi e una comunità che si dedica ad essi. Nel terzo caso, la domanda «come riuscire a migliorare l’esecuzione dell’azione an,m?» è considerabile un

problema a sé, anch’esso scoperto all’interno di una situazione che è l’ambiente dove degli esperti stavano conducendo certe attività. Di nuovo, abbiamo un problema e una comunità.211 Da ciò, possiamo dire che i sub-domini sono domini.

Per quanto forse contro-intuitive, non vedo particolari problemi di ordine logico nel fare queste considerazioni. Semplicemente, i “pezzi” di problemi sono ancora problemi, e le attività degli esperti nei domini generano ovviamente situazioni, perché sono il “luogo” dove ogni comunità pratica la propria forma di vita.

Stessi risultati si raggiungono se si prova a costruire un dominio prendendo problemi, classi o singole azioni da domini diversi e provando a comporli. Il risultato, come si può intuire, sarà ancora un dominio. E se si prova a costruire un dominio formato da altri domini interi?

Dal punto di vista compositivo, supponiamo ad esempio che un super-dominio sia formato da tre domini, i quali hanno rispettivamente l, m, n problemi. Poiché la composizione è un semplice elenco di problemi, il super-dominio è un dominio composto da l+ m + n problemi. Dal punto di vista formale, la rete del super-dominio è formata dalle reti dei singoli domini. Ma una rete di reti è semplicemente una rete che collega attori di diverse reti.212 Dunque, possiamo dire che un dominio di domini è ancora un

dominio.

In ultimo, bisogna analizzare il caso sub-azionario. Nel paragrafo4.2.1 abbiamo trattato dei due tipi di morficità, lasciandoci però un problema aperto: come fa un esperto interazionale a padroneggiare polimorficamente un’azione se possiede solo una morficità debole? La questione, a mio parere, riguarda il fatto che un’azione può essere spezzata in varie componenti. Una componente è indubbiamente linguistica.

Nel paragrafo2.1.3abbiamo visto le varie e complesse posizioni su questo argomento, dove per il momento non ci sono risposte definitive o esaustive. Collins ed Evans ritengono che la padronanza del linguaggio possa essere separata dalla padronanza fisica delle azioni espresse nel linguaggio stesso. Su questo si basa l’esistenza degli esperti interazionali, che sanno padroneggiare solo la componente linguistica delle azioni.

211Non occorre un numero minimo di problemi per creare un dominio, perché seguendo l’approccio frattale abbiamo mostrato che un singolo problema è suddivisibile in più problemi.

Inoltre, fino ad ora, per comodità, ho considerato separati il quando fare cosa e il cosa fare, ma questo non è del tutto corretto. Nell’apprendere quando fare un’azione, in relazione ad un problema, si deve inevitabilmente apprendere almeno qualche componente dell’azione stessa. Come livello base, bisogna imparare il nome dell’azione, cosa la può precedere e cosa la può seguire. Questo è precisamente il primo gradino della competenza, ovvero la Beer-mat knowledge vista nel paragrafo1.2.

Ad esempio, poniamo un avvocato che viene invitato ad una festa organizzata da un gruppo di amici chirurghi. Volendo apparire competente nella materia, legge su internet le azioni che si possono eseguire per un trapianto di cuore, compresa la preparazione. Nella nostra terminologia, questo significa che l’avvocato sta cercando di imparare come impostare e risolvere (mimeomorficamente) il problema di trapiantare il cuore. L’avvocato comincia ad enumerare la fase preparatoria (impostazione): analisi di certi valori del sangue, informazioni su dipendenze da alcol o fumo, urgenza del trapianto, posizione nella lista d’attesa, etc. Di ognuna di queste azioni, impara nome e cosa viene fatto prima e dopo di essa. In questo modo, il nostro avvocato ha imparato quando fare cosa, ed è evidente che ha imparato qualcosa anche delle azioni, per quanto sia poco o trattato in modo superficiale.

Al termine di questo denso capitolo, la conclusione è che, per come li abbiamo caratterizzati, i domini sono gli oggetti più generali di cui abbiamo bisogno. In un certo senso, si fanno carico della complessità e in cambio ci donano la possibilità di poter scomporre la competenza in tanti “pezzi” relativamente semplici da studiare e strettamente collegati tra loro.

Capitolo 5

Verso un paradigma per la

competenza

Nel mondo ci sono tutte le buone massime; manca soltanto

l’applicazione.

Blaise Pascal Pensieri In questo capitolo cercherò di esporre i vari punti contributi non-realistici alla teoria della competenza forniti da diversi studiosi, evidenziandone pregi e difetti. Prima di elencarli analizzeremo la tesi secondo cui essi sono irrilevanti nella società. In seguito, contestualmente ai vari approcci, approfondiremo anche i concetti di istituzione e di rete sociale. Infine, illustrerò graficamente un metodo per aggregare i contributi e sviluppare un paradigma che sia il più condiviso possibile nell’ambito della competenza.

5.1

Gli STS e la società

La prima questione da porsi, all’interno del nostro approccio il più possibile metodico e ordinato, è di stampo squisitamente epistemologico, e riguarda se e quanto sia lecito per gli studiosi di STS applicare i risultati ottenuti alla società. In tal modo, i science and technology studies smetterebbero di essere semplicemente descrittivi, e probabilmente si dovrebbero rivedere molte delle idee dominanti in questo campo.

Sismondo [2017], in particolare, ritiene che gli attuali studi sulla competenza siano del tutto irrilevanti nel contesto politico. Egli divide il dibattito odierno sulla competenza in tre approcci principali.

1. Teorie realistiche: la competenza è reale e sostanziale, in quanto consiste in alcune capacità che l’individuo ha sviluppato e possiede all’interno di una specifica comunità. I principali esponenti di questa linea di pensiero (articolata nel capitolo1) sono Collins ed Evans. Questo approccio realistico è il paradigma in cui i nostri ragionamenti si sono mossi fino ad ora.

2. Teorie istituzionali: la competenza esiste solo nelle istituzioni in cui sono organiz- zati gli esperti di un certo tipo di società. L’autrice di riferimento per questa

corrente è Sheila Jasanoff, secondo cui i vari modi di ordinare le conoscenze e le comunità di esperti sono una emanazione del potere e la competenza è dunque una co-produzione della società.213

3. Teorie relazionali: la competenza esiste solo in quanto frutto di relazioni tra esperti, pubblico e altri attori. La tesi è portata avanti in particolare da Gil Eyal, secondo cui la competenza è una rete (network) di agenti, dispositivi e spazi sociali che comunicano tra di loro.214

Finora, afferma Sismondo, questi tre approcci si sono rivelati fallimentari nel fornire un qualche riferimento che possa essere utilizzato dagli studiosi di politica e società. Ma procediamo con ordine.

Il suo punto di partenza è osservare come, nell’attuale scenario politico, a livello globale si assiste alla svalutazione del concetto di verità, quindi siamo nell’«era della post-verità». Va detto che, ovviamente, esistono a livello locale dei gruppi e delle minoranze in cui il criterio vero/falso è ancora il principio dominante nelle decisioni.

D’altra parte, argomenta il nostro autore, gli studiosi di STS sanno bene che spesso, oltre alla verità, bisogna avere dei criteri di priorità, per decidere quale, tra le verità, sia la più importante o notevole, oppure la più utile nei processi di decision making.

Infine, egli ritiene che la competenza sia vista nelle democrazie moderne quasi come un corpo estraneo di cui il pubblico cerca di liberarsi il più possibile, e questo, nella sua interpretazione, si potrebbe osservare se si analizzano le ultime votazioni nei paesi occidentali. Da qui, lo studioso giunge a giudicare inutile ogni sforzo di applicare al mondo politico una qualsiasi teoria della competenza come formulata ad oggi. Per riuscire ad essere incisivi ed utili alla gestione della cosa pubblica, egli invoca con forza una «politicizzazione» dei science and technology studies, e dunque una svolta nelle teorie della competenza. Questo approccio degli esperti di STS alla politica dovrebbe manifestarsi con una vera e propria agenda da proporre e, se necessario, imporre con un’azione di lobbying nel dibattito democratico.

Nel trattare dell’attuale situazione, però, Sismondo afferma che la corrente costrut- tivista degli STS, dominante fin dalla sua nascita, non è in nessuna misura causa della diffusa e patologica «post-verità», perché non ha mai spinto verso quella direzione. Ma questa ricostruzione confligge apertamente con molte esposizioni sulla nascita e lo sviluppo degli STS.

SecondoCollins, Evans e Weinel[2017] dopo la pubblicazione diT. S. Kuhn[1978], cadde a poco a poco la cosiddetta proscrizione di Mannheim.215 Questo studioso, infatti, nel dare fondamentali contributi in vari campi della sociologia, aveva riconosciuto che gli elementi della Weltanshauung rientrano sempre nelle costruzioni conoscitive degli esseri umani. Dunque, per salvaguardare almeno un tipo di conoscenza che potesse in qualche modo essere affidabile più di altre, pose semplicemente dei vincoli nella possibilità di estendere la sociologia della conoscenza, così come da lui stesso fondata e approfondita, alle comunità scientifiche.216

Ebbene, la caduta della proscrizione generò una simmetria tra le scienze naturali, in precedenza considerate epistemologicamente superiori e “intoccabili”, e le altre forme di conoscenza.

213Cfr. ad esempioJasanoff,2004. 214Cfr. ad esempioEyal,2013a.

215Karl Mannheim (1893-1947), sociologo tedesco, fondatore della sociologia della conoscenza. 216Nella terminologia di Mannheim: analizzare la conoscenza calcolante (cioè tecnica, scientifica, etc.) non richiede di prendere in considerazione le relazioni esistenziali tra soggetto e oggetto, come avviene nella conoscenza generale (la cultura). Cfr. Mannheim[2000, p. 165-171].

Si ruppe il cristallo puro della scienza e venne mostrato che il sociale e il politico potevano avere un impatto ovunque.217

Da qui una serie di science wars, in cui gli scienziati naturali, percepito il pericolo di essere parificati ad altri, hanno fatto a gara per delegittimare ogni studio sociologico sui meccanismi di funzionamento delle comunità scientifiche. La Beffa di Sokal, di cui abbiamo accennato nel paragrafo1.2, è probabilmente il più conosciuto esempio di ciò: l’autore, un fisico, mette a segno un duro colpo contro le scienze sociali, e più in generale contro il sistema di referaggio utilizzato ancor oggi.

Gli studiosi di STS, d’altra parte, non erano ingenui. I loro studi avevano una mole di dati empirici sostanziosa, oltre a metodologie sempre più raffinate e argomentazioni sufficientemente stringenti, nonostante la materia fosse recente. Inoltre, i science warriors si distinguevano in acredine e impatto distruttivi nel dialogo fra le scienze, mentre il più delle volte i sociologi hanno dimostrato un atteggiamento propositivo.

Un notevole esempio di ciò è costituito daCollins e Labinger[2001], in cui diversi scienziati naturali e sociali provano a convergere su alcuni punti interdisciplinari. Da una parte abbiamo sociologi e storici della scienza che cercano punti in comune, anche al fine di individuare nuovi filoni di ricerca; dall’altra fisici, matematici, biologi, etc. che non sembrano voler cedere l’asimmetria delle scienze naturali. Ad esempio, Michael Lynch, un genetista, sostiene che neppure esista una guerra da pacificare e che le rispettive posizioni siano irriducibili, mentre Sokal e Bricmont dichiarano l’assurdità degli studiosi di STS nel difendere un certo relativismo metodologico cercando di separarlo dal relativismo filosofico.

Quel che però notano più autori, da ambo le parti, è che spesso i punti più importanti della questione non vengono approfonditi adeguatamente per mancanza di sufficienti basi filosofiche: Lynch dice che questo riduce tutto ad una «metafisica pop», mentre Peter Dear, storico della scienza, definisce «epistemografia» (in mancanza di termini migliori) questo scrivere di scienza in modo superficiale.

Come sappiamo, per difendere le scienze naturali senza la nozione di verità, e al contempo evitare la post-verità, non basta la «rivelazione» dei nostri autori, secondo cui un esperto va preferito ad un non-esperto perché è “migliore”.218 Occorre un sostituto, o almeno un surrogato, della verità, che per Collins ed Evans è il consenso all’interno della comunità scientifica. Da qui i due giungono ad una tesi contraria a quella di Sismondo: per salvaguardare il ruolo delle scienze nel dibattito politico, occorre preservare la scientificità dei science and technology studies nella «speciale comprensione dell’organizzazione e dei valori della scienza»,219, compresa la natura e la

diffusione del consenso. La proposta di Sismondo, cioè la politicizzazione degli STS, va esattamente nella direzione opposta, perché conduce alla perdita dei peculiari caratteri scientifici della materia, così difficilmente sviluppati negli ultimi decenni, sotto il fuoco incessante delle science wars.

D’altra parte, il modernismo elettivo, cioè l’insieme di idee proposte da Collins ed Evans, fornisce una risposta incompleta e forse inadatta alla complessità della materia. Infatti, come affermano gli stessi autori, essi preferiscono non occuparsi della prospettiva upstream, cioè quella che analizza le influenze della società sulla comunità scientifica e sul consenso che si crea al suo interno. Questo significa ignorare tutte le volte, ad esempio, che interi programmi di ricerca sono stati portati avanti truccandone

217Collins, Evans e Weinel,2017, p. 581, trad. mia. 218Vedi paragrafo1.4.

i risultati a causa dell’ostica politica del «pubblica o muori» (publish or perish), diffusa soprattutto, ma non solo, nel mondo anglosassone.220

Inoltre, per come sono ideate e attuate molte research policy, esse sembrano favorire l’emergere dei mediocri, fino a farli arrivare ai vertici delle istituzioni scientifiche. Questa è l’opinione di Derek De Solla Price, fondatore della scientometria,221 e Charles

W. McCutchen, fisico. Le loro analisi hanno mostrato che i sistemi dei finanziamenti pubblici e privati influiscono pesantemente sulle attività delle comunità di esperti di quasi ogni settore.222

Dunque, cercare di preservare la scientificità degli STS, almeno nel contesto attuale, mi sembra che riesca a giustificare il loro ruolo nelle politiche scientifiche dei governi, senza ridurli ad un attore analogo ad altri già presenti. Questo perché, a mio parere, essi fungono da contrappeso critico e “disincantato” verso meccanismi e dinamiche delle comunità di esperti che i governi e il pubblico non potrebbero conoscere in altri modi. Il disincanto, che deriva dalla vicinanza con cui vengono studiati gli scienziati nel loro lavoro quotidiano, è forse il loro tratto più prezioso, in quanto mi sembra che offra una protezione notevole da molte delle ideologie che offrono quadri fantasiosi della scienza e del suo funzionamento.

Approfondiremo nelle conclusioni se e in che modo le varie teorie possano dare il loro contributo alla società e non essere più, secondo l’opinione di Sismondo, «irrilevanti». Ora, invece, è giunto il momento di analizzare gli altri punti di vista sulla competenza.