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1.4 Esperti nella società

2.1.2 Analogie linguistiche

Da quanto scrivono gli autori, le loro idee sull’ipotesi interazionale forte sono nate osservando come, ascoltando e parlando con diversi esperti contributori di un dominio, essi stessi apprendevano il linguaggio specialistico fino al punto di essere scambiati

per contributori. Dunque Collins ed Evans non ritengono necessario allontanarsi dalla sociologia della scienza per rintracciare le origini della competenza interazionale.

Invece, secondo me, idee simili sono già state trattate in linguistica, nella teoria dell’acquisizione della seconda lingua (L2-acquisition theory). Infatti, nel 1996, Michael Long pubblica quelle che chiama «ipotesi d’interazione» (interaction hypotesis), basan- dosi in parte sui suoi studi precedenti.90Per capirle, però, dobbiamo prima spiegare brevemente il contesto.

Long stava indagando un fenomeno noto come «negoziazione del significato» (nego- tiation for meaning), che avviene quando, imparando una L2, essa cresce di complessità nel momento in cui, a parole che abbiamo già imparato, riusciamo ad accostare signi- ficati più ampi o dettagliati, ricchi di sfumature. Tale complessità, secondo l’autore, può essere gestita e può crescere perché, parlando con qualcuno madrelingua, essa viene compensata da modifiche nell’interazione e da una trasparenza semantica più alta del solito.91 In altri termini, il madrelingua è meno ambiguo nelle frasi e nel

contesto quando usa alcune parole con un significato più “difficile”, ovviamente se sa che l’interlocutore non è madrelingua: può aiutarsi con dei gesti o ridurre le proposizioni incidentali, oppure può rallentare, etc. Insomma, cerca di semplificare il discorso quanto più possibile, per far sì che colui il quale sta acquisendo una L2 possa afferrare i nuovi significati che trova per la prima volta (o una delle prime volte). Ovviamente, sottolinea Long, non c’è alcuna certezza che, pur così facendo, il discente riesca a capire il nuovo significato; in linea di principio, egli potrebbe non rendersi nemmeno conto che in quel frangente ci sia tale nuovo significato.

In questo contesto, si possono enunciare due ipotesi mutualmente esclusive.92 Proposizione 2.2 (Ipotesi d’Interazione forte). L’interazione in sé riesce a produrre una negoziazione del significato in un parlante L2.

Proposizione 2.3 (Ipotesi d’Interazione debole). L’interazione è il mezzo attraverso il quale il parlante L2 riesce a produrre una negoziazione del significato.

Prima di discuterle nel dettaglio, vale la pena fare una osservazione importante. Il collegamento tra queste proposizioni e la quasi-informalità di Collins ed Evans è abbastanza semplice. Colui che si avvicina per la prima volta ad una comunità di esperti si trova in una situazione simile a chi sta imparando una L2 e prova a confrontarsi con un madrelingua. In entrambi i casi l’esperto e il madrelingua useranno alcune parole che il principiante già conosce, ma con un significato diverso, cioè rinegoziato: è come se al livello della comunità, intesa come forma di vita, si ripetessero le stesse dinamiche di ciò che nel paragrafo 1.2abbiamo chiamato «competenze ubique», facendo proprio l’esempio della lingua parlata in un certo paese. In altri termini, il linguaggio specialistico è, all’interno della comunità scientifica, l’analogo di ciò che la lingua ufficiale è all’interno di un certo paese. Gli stessi autori sembrano suggerire questa analogia.93

Senza dubitare della buona fede di Collins ed Evans, che legittimamente potrebbero non aver mai sentito parlare di Long e dei suoi studi nella teoria dell’acquisizione di L2, la similarità del nome delle rispettive ipotesi pone in evidenza la centralità della nozione di interazione nell’apprendimento di una certa competenza linguistica. Nel primo caso tale competenza si rivolge ad un linguaggio specialistico, nel secondo ad un linguaggio ordinario.

90Cfr.Long,1985. 91Cfr.Long,1996, p. 452.

92Cfr.K. Johnson e H. Johnson,1999, p. 174. 93Cfr. ad esempioCollins e Evans,2007, p. 78.

A questo punto possiamo confrontare le due ipotesi linguistiche. La differenza appare abbastanza sfumata: la seconda ipotesi sembra postulare l’esistenza di altri meccanismi di negoziazione, che si servono strumentalmente dell’interazione per poter produrre il loro effetto. Ebbene, la quasi-informalità di Collins ed Evans è molto vicina, potremmo dire sovrapponibile, a questa ipotesi, ed essi lo mettono in evidenza parlando di come un allenatore insegna ad un atleta.

L’allenatore umano può insegnare alcune cose attraverso il medium del lin- guaggio parlato perché egli condivide alcune abilità non-esplicite dell’allievo: le abilità linguistiche condivise possono trasferire dei significati taciti mutualmente compresi, che non sarebbero disponibili a quelli con livelli di competenza al di sotto di quella interazionale.94

In questa frase, oggettivamente densa e complessa, gli autori hanno posto la loro interpretazione della quasi-informalità: l’interazione è un mezzo che permette alla conoscenza tacita di diffondersi.

Le analogie tra chi impara una L2 e chi si inserisce in una comunità di esperti, purtroppo, hanno grossi limiti. Ciò perché il postulato interazionale forte di Collins ed Evans si spinge fino a ciò che linguisticamente appare molto difficile da affermare. Mentre, infatti, chi acquisisce una L2 non potrà mai elevarsi al livello di un madrelingua nella padronanza di un linguaggio, se non in casi molto particolari, la proposizione2.1

enuncia che l’esperto interazionale può farlo. Possiamo dire, in un certo senso, che, secondo Collins ed Evans, più il linguaggio è specialistico e più si ha garanzia di riuscire a padroneggiarlo.

2.1.3

Corpi

Affermare, come fa l’ipotesi interazionale forte, che un linguaggio specialistico può essere padroneggiato completamente, semplicemente interagendo con persone che già lo padroneggiano, significa escludere il ruolo del corpo in questo tipo di apprendimento linguistico. Questa tesi è direttamente opposta a quella di Hubert Dreyfus, secondo cui per padroneggiare un linguaggio occorre necessariamente avere un corpo.95Questa, che

potremmo chiamare «tesi dell’incorporazione massimale», è indirizzata principalmente contro la possibilità di costruire una intelligenza artificiale e considera il linguaggio in una dimensione puramente individuale: ogni individuo deve avere un certo corpo per padroneggiare una certa lingua.

Collins ed Evans rispondono con una analisi più accurata dal punto di vista sociale. Essi enunciano la «tesi dell’incorporazione sociale», secondo cui un certo linguaggio si sviluppa relativamente alla forma del corpo della specie che lo parla, perché la forma del corpo plasma ciò che quella specie può fare o non fare nel mondo. Un leone, dicono i nostri autori, se parlasse una lingua per noi comprensibile, non potrebbe elaborare la nozione di “sedia” perché il suo concetto di sedersi è differente dal nostro, a causa del diverso sistema muscolo-scheletrico. Su questo punto probabilmente Dreyfus sarebbe d’accordo, visto che non contrasta con la sua tesi; anzi, sembra sostenerla.

Ma tra le due non c’è alcun legame logico di tipo deduttivo. Al contrario, alla tesi dell’incorporazione massimale, i nostri autori oppongono quella dell’«incorporazione minimale», secondo cui un individuo di una certa specie può imparare un linguaggio sviluppato da un’altra specie, se adeguatamente addestrato. I requisiti corporali richiesti sono semplicemente la capacità di udire ed emettere i suoni di quella lingua,

94Collins e Evans,2007, p. 30, trad. mia. 95Cfr.H. L. Dreyfus,1967.

unitamente alle abilità cognitive per elaborarli. Un leone (con una laringe e un cervello opportuni) può imparare il linguaggio umano, compreso il significato di “sedia”, se la sente in un certo numero di scambi linguistici.

Una conferma pratica delle tesi degli autori sembra venire da uno dei casi trattati dal dottor Sacks, un neurologo, in un suo famoso saggio.96 La signora Madelein è una

donna di circa sessant’anni, nata cieca. A differenza di ciò che accade spesso ai non vedenti, per varie circostanze non ha potuto sviluppare in un modo specifico gli altri sensi, ad esempio il tatto e l’udito, e vive a letto, praticamente immobile. Tuttavia, scrive Sacks, ella mostra, attraverso il parlato e lo scritto, un’intelligenza acuta e vivace, oltre ad una notevole literacy. Con questo termine, il dottore vuole indicare precisamente la padronanza del linguaggio che la donna aveva acquisito, al punto da poter parlare in modo indistinguibile da un qualsiasi essere umano pienamente abile. Sembra dunque che una lingua nata in una specie che vede possa essere imparata anche da chi non vede.

La domanda che sorge è: quante e quali parti del corpo sono necessarie alla padronanza della lingua? Dreyfus considera il corpo come un pezzo unico, che si ha o non si ha, ma l’esempio di Madelein infrange questa logica binaria. Nel caso dei sordi dalla nascita, Collins ed Evans fanno notare che il discorso parlato è normalmente il primo strumento con cui si entra in contatto con il linguaggio, mentre lettura e scrittura sono in un certo senso parassitici di esso. Sembra che i non udenti abbiano problemi ad afferrare la profondità concettuale delle parole, ma a parere degli autori ciò può essere evitato prestando particolari attenzioni al bambino sordo fin dalla nascita. Sembra, dunque, che gli autori non si facciano problemi a fare analogie tra l’ac- quisizione di un linguaggio ordinario e l’apprendimento di un linguaggio specialistico. Anzi, passano spesso con agilità dall’uno all’altro ambito per avvallare le proprie tesi, senza giustificare in dettaglio i ragionamenti analogici.97 Tuttavia, grazie agli studi

di Long, siamo giustificati ad accettare questi discorsi. In generale, le due questioni coinvolgono la cosiddetta «socializzazione linguistica», ovvero gli effetti sul linguaggio di un individuo quando questo ha scambi linguistici con una certa comunità. La tesi dei nostri autori può essere riassunta dicendo che la socializzazione linguistica è condizione sufficiente per la fluidità linguistica.

Alle posizioni su espresse, due studiosi in particolare hanno risposto con alcune critiche: Hubert Dreyfus e Evan Selinger. Infatti, in un divertente articolo scritto da questi insieme allo stesso Collins, i primi due analizzano le tesi dell’incorporazione minimale, affermando che il terzo non ha compreso la corretta funzione del corpo nella socializzazione linguistica.98 Tutti sono concordi sul fatto che la più notevole caratteristica della teoria dei nostri autori è aver creato un legame sociologico e filosofico tra linguaggio e conoscenza tacita, come mostra l’esempio dell’allenatore e dell’atleta, che in linea teorica può essere oggetto di esperimenti.

Selinger afferma che Collins non ha analizzato adeguatamente le attività del corpo. Se fosse entrato nei dettagli, avrebbe osservato che le capacità che mancano ad un non vedente, percepire forme e colori, possono essere adeguatamente replicate finanche da alcune macchine. Ad esempio, esiste un apparecchio, chiamato «vOICe», che, puntato su un oggetto, dice il suo colore, aiutando così le persone con disabilità (cecità, acromatopsia, daltonismo, etc.). Riguardo le forme, mi permetto di aggiungere, ci sono apparecchi usati addirittura nell’industria videoludica: un esempio famoso è il «Kinect», che, proiettando raggi infrarossi e osservando come vengono riflessi, riconosce

96Cfr.Sacks,2013.

97In tutto il terzo capitolo diCollins e Evans[2007] la validità di questa analogia è data per scontata. 98Collins, H. L. Dreyfus et al.,2007.

forma e distanza degli oggetti. Se Madelein, dunque, manca in abilità che possono essere replicate da una macchina, allora Collins, il cui intento è dimostrare che si può fare a meno delle abilità del corpo nell’acquisizione del linguaggio, ha scelto l’esempio sbagliato. Secondo Selinger, Madelein avrebbe anche potuto possedere molteplici disabilità fisiche, ma vive pur sempre in un corpo non dissimile da quello di chiunque, che le trasmette gli stessi impulsi di dolore, rilassatezza, solletico, etc. Tale corpo le consente una certa empatia, con cui può “sentire” le motivazioni degli altri. In altre parole, può ricostruire dentro di sé il perché di una certa espressione linguistica formatasi attraverso il corpo, a causa del fatto che lei ha un corpo e, pur non usandolo, può “immaginare” come sia stato usato per creare quella espressione linguistica. Ad esempio, pur non avendo mai visto una sedia ed essendo stata per tutta la sua vita su di un letto, può immaginare quale sia il significato della parola «sedia» perché sente, attraverso il corpo, come si muovono le ginocchia e la schiena, e come potrebbe essere fatto un oggetto che permetta di piegarle in un certo modo. Ciò varrebbe anche se, per qualche strana malattia, non potesse effettivamente muovere ginocchia e schiena. Insomma, per Selinger basta sentire il proprio corpo, non occorre che lo si muova. L’accusa che muove a Collins è di considerare Madelein un corpo disincarnato, mentre il suo sistema nervoso, sia centrale che periferico, funzionante anche se in parte danneggiato, non consente di sostenere questa tesi.

Collins, in modo intellettualmente onesto, accetta praticamente tutte le critiche di Selinger, compresa quella più radicale, ovvero che l’unico esperimento veramente definitivo sarebbe prendere un bambino appena nato e porlo in uno stato di completa deprivazione sensoriale.99 Solo a quel punto, attraverso interazioni soltanto verbali, si potrebbe capire quanto linguaggio si può padroneggiare senza un corpo. Tuttavia, da ciò Collins non deduce la falsità delle sue ipotesi. Semplicemente, ci sono altri esperimenti (non definitivi) da fare e la strada è ancora lunga.

Dreyfus si colloca su posizioni leggermente più estreme, rispetto a quelle di Selinger: considera Madelein immersa pienamente nella forma di vita della comunità dei parlanti, a dispetto del fatto che ella non può muoversi né utilizzare i suoi sensi sottosviluppati. Come detto, la sua logica è di tipo binario, e per lui basta letteralmente avere un corpo per acquisire la padronanza linguistica, non importa se alcune funzioni sono atrofizzate o danneggiate. Sembra non distinguere, all’interno della forma di vita, la componente pratica dalla componente linguistica, distinzione che per Collins è fondamentale, in quanto permette di distinguere gli esperti interazionali da quelli contributori.

La risposta di Collins a questa critica consiste semplicemente nel ribadire, ancora una volta, la distinzione tra visione formale e informale (quest’ultima è quella di Dreyfus). In questo quadro, la sua visione quasi-informale si colloca tra le due, anche se un po’ più vicina a quella informale.

2.1.4

Il gioco dell’imitazione

A questo punto è chiaro che la teoria della competenza ha precisi risvolti linguistici, psicologici e sociologici. Prendendo spunto dal celebre Test di Turing,100 Collins ed

Evans hanno sviluppato dei simili giochi di imitazione per riuscire ad osservare se e

99Attualmente, la deprivazione sensoriale si ottiene utilizzando una vasca di acqua ipersatura di solfato di magnesio, alla temperatura di 34, 8◦C. L’uomo viene immerso orizzontalmente, mentre la

vasca viene chiusa, creando un ambiente buio e insonorizzato. In questo modo vengono eliminati gran parte degli stimoli esterni, ma non tutti. Ad esempio, pur non sentendo direttamente la gravità a causa dell’immersione, i nostri organi interni ne provano ancora gli effetti.

quanto l’ipotesi interazionale forte sia sostenibile.101 Tale linea di ricerca ha anche

ottenuto un contributo da parte dell’European Research Council per il quinquennio 2011 − 2016.102

La prima idea degli autori su come sperimentare la loro teoria è stata di cercare di fare qualcosa di simile, per quanto possibile, alle analisi del dottor Sacks, visto che «sfortunatamente, non abbiamo accesso a leoni parlanti».103Hanno dunque cercato situazioni in cui, fisiologicamente, una parte della popolazione mancasse di una certa abilità che la restante parte possiede. Ne hanno trovate due: la cecità ai colori rosso- verde e l’orecchio assoluto. La prima è una forma di daltonismo presente in circa il5% della popolazione maschile, la seconda, secondo gli autori, è sicuramente assente in chi non ha una istruzione musicale, e anche tra i musicisti non è particolarmente diffusa. Quest’ultimo assunto è, in realtà, particolarmente criticabile, in quanto è stato dimostrato che anche chi non sa dare un nome alle note può riconoscerle in modo assoluto, e sono stati sviluppati degli esperimenti in grado di dimostrarlo.104 Le prove

hanno indicato che l’orecchio assoluto è diffuso comunque in una minoranza della popolazione. Inoltre, sembra che i musicisti con l’orecchio relativo abbiano preferenze per certe note o per certe tonalità, riconoscendole in modo assoluto.105Ad esempio,

molti violinisti, dopo un certo numero di anni, riescono imparare a riconoscere il la, nota usata per accordare gli archi prima di ogni prova o concerto, nonostante abbiano, in partenza, un orecchio relativo. Ciò accade semplicemente a causa dell’esercizio e della pratica.

Prima di descrivere in dettaglio gli esperimenti, cerchiamo di capire come interagi- scono i gruppi con le caratteristiche in questione. Poniamo, in mezzo ad un gruppo con una certa caratteristica, un sottogruppo che non ce l’abbia. Ad esempio, in un gruppo di persone normo-vedenti, ne mettiamo alcune cieche ai colori rosso-verde. L’ipotesi interazionale forte impone che i ciechi saranno fluenti nel linguaggio sviluppato da chi vede i colori, anche se non possono percepirli in prima persona. Per quanto abbiamo detto, essi avranno la competenza interazionale nel linguaggio dei colori, ma senza la competenza contributoria nella discriminazione dei colori. Dunque, se un giudice vedente sente parlare un cieco, non dovrebbe accorgersi dalle sole parole della sua cecità.

D’altra parte, poiché la maggioranza della popolazione non ha l’orecchio assoluto e non è stata cresciuta in un ambiente in cui la norma è l’orecchio assoluto, essa non sa comportarsi come chi riesce riconoscere e distinguere le note. Ci si aspetta dunque che un giudice con l’orecchio assoluto riesca a capire se una persona sta fingendo di averlo, senza ovviamente emettere una nota e chiedere di riconoscerla.

Simili considerazioni valgono invertendo le caratteristiche di giudici e giudicati. Ci aspettiamo che un vedente fallisca nell’imitare un cieco, non avendo un linguaggio adatto. Allo stesso modo, riteniamo che un musicista con l’orecchio assoluto riesca ad imitare bene qualcuno senza tale capacità.

La procedura adottata negli esperimenti di Collins ed Evans è abbastanza complessa e divisa in fasi, cercando di rispettare l’originale Test di Touring.

Nella Fase 1, tre computer vengono collegati tra di loro tramite rete wireless. Il computer del giudice può inviare domande agli altri due computer, di fronte ai quali

101Il primo articolo in cui presentano l’idea di voler sperimentare la competenza interazionale è

Collins, Evans, Ribeiro et al.[2006]. 102European Research Council,2011. 103Collins e Evans,2007, p. 91, trad. mia. 104Cfr. ad esempioWest Marvin e Newport,2008. 105Bahr et al.,2005.

siedono due tester, ‘A’ e ‘B’. Uno dei tester e il giudice hanno una certa caratteristica (target expertise): ad esempio, sono sicuramente vedenti o sicuramente non hanno l’orecchio assoluto. L’altro tester prova ad imitare tale caratteristica. Il giudice, ad ogni domanda inviata, riceve le due risposte in contemporanea sul proprio computer, quindi fa una supposizione su chi abbia davvero la caratteristica cercata e chi invece menta. Ad ogni supposizione associa un livello di confidenza, ossia un numero da 1 a 4 che indichi quanto è sicuro della supposizione fatta. Ad esempio, dopo due domande può dire che il tester ‘A’ vede i colori, mentre il tester ‘B’ no, con un livello di confidenza pari a3, cioè è abbastanza sicuro di questa sua affermazione, ma non del tutto. La sessione prosegue finché il giudice decide che non è più necessario fare altre domande. Negli esperimenti di Collins ed Evans, i giudici si fermavano circa dopo6 − 7 domande. Il fatto che i giudici abbiano o meno certe capacità è determinante nel test e crea una asimmetria. Un giudice che non sappia riconoscere le note in modo assoluto, cresciuto senza aver interagito in una comunità di musicisti con l’orecchio assoluto, nel tentativo di giudicare se una persona abbia o meno tale capacità si muove a caso, visto che il mentitore, avendola, è abituato a vivere in una società di persone che non sa riconoscere le note. Allo stesso modo, un giudice che percepisce i colori si trova in difficoltà nel giudicare qualcuno che, non potendoli percepire, è però abituato a vivere in una società in cui si percepiscono i colori. Questi due casi (la metà dei quattro totali) sono detti chance condition, perché il giudice non dovrebbe avere gli strumenti per poter giudicare, e dunque segue la sorte (chance). Gli altri casi due sono detti identify condition, perché il giudice è in grado di immedesimarsi (to identify) nel mentitore.