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5.2 Istituzioni

5.2.1 Institutional Theory

Intendo trattare le teorie istituzionali della competenza inserendole nel più ampio e generale filone di ricerca della Institutional Theory. Ritengo, infatti, che le idee di Sheila Jasanoff e di altri possano essere analizzate e indagate meglio soltanto dopo aver fornito una buona articolazione delle nozioni di istituzione e di legittimità, nelle loro caratteristiche generali.

Partiamo dalle basi. In buona approssimazione, si definisce organizzazione un artefatto sociale che richiede un attore intenzionale (singolo o collettivo), il quale con un atto deliberato decide di riunire un insieme di persone, in modo formale o meno, per raggiungere uno o più obiettivi.223 Questo punto di partenza non è limitativo

nella nostra trattazione, perché in un dominio quasi ogni attore è coinvolto in qualche organizzazione. Rimangono esclusi soltanto i cosiddetti «attori indipendenti», che però possono essere considerati marginali ai nostri fini.

Dunque, come è evidente, non basta la riunione formale a definire un’organizzazione; anzi, non ne è nemmeno condizione necessaria. Ad esempio, un gruppo di persone sul treno Bologna-Milano, pur avendo formalmente acquistato il biglietto per quel treno e avendo lo scopo di arrivare ad una precisa destinazione, non sono una organizzazione, perché manca l’attore intenzionale che abbia deliberatamente deciso di riunire quel gruppo di persone.

Osservo esplicitamente che la cosiddetta «identità dei fini», secondo cui ogni singolo membro di un’organizzazione debba avere lo stesso obiettivo, inteso come stato futuro

220Di Trocchio[1997] ne cita molti esempi.

221La scientometria si occupa dell’analisi delle ricerche scientifiche e tecnologiche: ad esempio, la validità dei sistemi di peer-review o i difetti delle procedure di assunzione dei ricercatori.

222Cfr.De Solla Price[1963] eMcCutchen[1991]. 223Cfr.Ferrante e Zan,1994, p. 19-22.

atteso, era considerata una componente essenziale fino a Cyert e March [1963]. I due autori, invece, hanno mostrato come gli obiettivi siano propriamente e in essenza individuali, mentre l’esistenza di “obiettivi comuni”, postulato dalle vecchie teorie con- sensualiste, in generale non è fondamentale nella struttura organizzativa. Ad esempio, in un’azienda gli obiettivi dei vari individui sono diversi: il consiglio d’amministrazione (che è l’attore intenzionale) mira al profitto, l’operaio ad un aumento salariale, il mana- ger a maggiore visibilità per avere una promozione, etc. Ciononostante, consideriamo l’azienda un’unica organizzazione.

Ovviamente, ci sono anche alcuni tipi di organizzazione (pochi in verità) che richie- dono una certa identità dei fini, almeno temporanea, per poter nascere e svilupparsi: ad esempio, i casi in cui un attore intenzionale collettivo costituisce tutta l’organizzazione (aziende a conduzione familiare, etc.).

Le organizzazioni effimere sono quelle in cui l’obiettivo ha una breve scadenza. Ad esempio, le joint venture, le missioni militari, etc. creano organizzazioni che non durano nel tempo.

Le organizzazioni si distinguono dagli altri artefatti sociali perché al suo interno avvengono peculiari categorie di processi.224

1. Processi di differenziazione. Sono quelli in cui i diversi membri si specializzano in una determinata mansione o si prendono l’incarico e la responsabilità di raggiungere un certo obiettivo. Questi processi creano, ad esempio, le varie divisioni di una azienda o i vari settori dell’amministrazione pubblica.

2. Processi di integrazione. Sono quelli tramite i quali i membri si coordinano e unificano i propri sforzi personali. Ad esempio, il direttore di un dipartimento universitario ha il compito di coordinare il lavoro del corpo docente e ammini- strativo, che è differenziato. I processi di integrazione producono le gerarchie dirigenziali e le piramidi organizzative in aziende, pubblica amministrazione, etc. Cerchiamo ora di capire che cos’è un’istituzione. Purtroppo, per quanto suoni strano, nella Institutional Theory manca una definizione univoca. L’approccio più semplice, seguendo Robert Merton e Philip Selznick, è ritenere che un’organizzazione (come definita sopra) si istituzionalizzi quando, in modo graduale o meno, vengono in essa infusi dei valori,225 inclusa una certa legittimazione morale,226 al punto da

far passare in secondo piano i mezzi puramente tecnici. L’istituzionalizzazione è ovviamente un meta-processo, ovvero un processo che produce un mutamento in alcuni processi, e può coinvolgere sia tutti i processi di differenziazione e integrazione interni ad una organizzazione, sia alcuni di essi singolarmente.227 Inoltre, Arthur Stinchcombe, un allievo di Selznick, ha per primo messo in rilievo la capacità delle istituzioni di autoperpetuarsi, mediante meccanismi con cui i detentori del potere

224I nomi dati a queste due categorie di processi cambiano molto in base all’autore. Ad esempio,

Mintzberg[1996], massima autorità nell’organizzazione aziendale, utilizza i termini «divisione» e «coordinamento». La mia terminologia è invece mutuata daFerrante e Zan[1994] in quanto è inserita

in un’analisi più generale e non limitata al mondo aziendale. 225Selznick,2011, p. 17.

226Merton,1968, p. 202.

227Per completezza, segnalo il punto di vista giuridico diCroce[2012], filosofo del diritto, secondo cui anche delle semplici pratiche sociali possono istituzionalizzarsi. Egli adotta la classificazione seguente: le pratiche istituzionalizzate sono «istituzioni di primo livello», mentre le classiche organizzazioni istituzionalizzate sono «istituzioni di secondo livello». L’ordinamento giuridico, invece, è una meta- istituzione, in quanto consiste in una «istituzione che istituisce istituzioni». Nella mia trattazione, tuttavia, ho preferito mantenere maggiormente un approccio organizzativo.

creano una rigenerazione continua, attraversando i mutamenti dei contesti sociali, politici, economici.228

A mio parere, una buona definizione sintetica, che tiene conto dei contributi sopracitati e di molti altri, è quella di Richard Scott.

Le istituzioni comprendono elementi regolativi, normativi e culturali-cognitivi che, insieme con le risorse e le attività associate, forniscono stabilità e significato alla vita sociale.229

Il principale vantaggio di questa definizione è di condensare molte e variegate proprietà delle istituzioni, che però necessitano di essere spiegate.

I “mattoni” di un’istituzione sono chiari: da una parte regole, norme e credenze culturali-cognitive, chiamati «pilastri delle istituzioni» da Scott, dall’altra risorse e attività. Vanno considerati insieme, perché le prime si manifestano sempre in modo materiale, mentre le seconde da sole perdono ogni significato. Infatti, regole, norme e credenze sono guide per l’azione degli attori. Al contempo, le risorse a disposizione (compresi tempo e personale) e i comportamenti (individuali e collettivi) influenzano

gran parte della struttura istituzionale.

I sistemi di regole creati nelle istituzioni sono dei corpus scritti, espliciti e formaliz- zati, che hanno tre principali caratteristiche.

1. Obbligazione. Le regole vincolano gli attori ad obbedire, imponendo l’esecuzione di certe azioni e vietandone altre, perché il comportamento è tenuto sotto osservazione.

2. Precisione. Le regole specificano nel modo meno ambiguo possibile la condotta richiesta.

3. Delegazione. Le regole stabiliscono quali terze parti hanno l’autorità di applicare e controllare l’applicazione delle regole stesse, e intervenire in casi di dispute e controversie.

Le regole sono dei sistemi coercitivi, perché la loro applicazione può fare uso della forza e la loro violazione comporta sanzioni legali. Inoltre, sono strumentali e generalmente non contengono gli obiettivi dell’istituzione. Ovviamente, esse cambiano in base all’utilità e alla convenienza; in un certo senso, costituiscono la parte mobile dell’istituzione, nella sua tendenza a conservarsi nel tempo, adattandosi alle diverse situazioni.

Ma le regole sono diffuse in molti artefatti sociali. Invece, l’elemento che rende davvero speciali le istituzioni sono le norme. I sistemi normativi sono in gran parte taciti230 e consistono in quei valori che Merton e Selznick consideravano la peculiarità

delle istituzioni, con le seguenti due caratteristiche.

1. Prescrizione. Le norme, come le regole, vincolano il comportamento degli attori. Tuttavia, a differenza di esse, l’obbligatorietà riguarda fini e obiettivi, non singole azioni da eseguire.

2. Valutazione. I sistemi normativi contengono valori, intesi come concezioni piuttosto ampie di ciò che è preferibile o desiderabile per l’istituzione.

228Stinchcombe,1968, p. 111.

229R. W. Scott,2013, p. 56, trad. mia.

230Di solito lo statuto fondativo contiene alcuni cenni, più o meno vaghi, ai «valori» che ispirano l’organizzazione. Tali valori, tuttavia, possono modificarsi durante il processo di istituzionalizzazione.

Com’è ovvio, nei sistemi normativi non esiste una vera differenza tra norme e valori.231 In effetti, essi possono essere definiti proprio come quel terreno ibrido in

cui l’elemento prescrittivo/obbligatorio, tipico delle regole, incontra e si intreccia con l’elemento culturale-cognitivo.

A seconda delle situazioni, si può sottolineare come un obiettivo dell’istituzione sia considerabile una prescrizione o una valutazione, oppure entrambe. Mentre però i sistemi regolativi sono costruiti sulla base di una logica strumentale, e quindi mutano nel tempo, i sistemi normativi hanno come criterio fondamentale una logica di «aderenza» (appropriateness232) all’istituzione, e quindi risultano più stabili e duraturi; in definitiva, essi sono costitutivi. Infatti, nel momento in cui in un’istituzione vengono promosse nuove norme, si crea una cesura quasi sempre abbastanza netta ed evidente, al punto da poter identificare in essa la nascita di una nuova istituzione, che sostituisce quella precedente.

L’approccio antropologico alle istituzioni ha messo in rilievo un terzo pilastro: i sistemi culturali-cognitivi. Questo punto di vista parte dalla constatazione secondo cui le culture sono costituite da simboli, cioè parole, segni e gesti, i quali danno forma ai significati che gli uomini attribuiscono a oggetti e attività. L’esaltazione di certi simboli, che avviene normalmente nelle istituzioni, conduce quindi a modificare o enfatizzare alcuni significati. Ciò produce effetti nella dimensione interiore degli attori e in particolare nelle loro credenze. Da questo punto di vista, le istituzioni sono dunque considerabili come una «cristallizzazione di significati in forma oggettiva»233 o un «software della mente».234

Ritornando all’intuizione di Merton, dobbiamo ora chiederci da dove arrivi la legittimità di cui godono le istituzioni. C. Johnson et al.[2006], grazie ad una meritoria opera di confronto tra l’approccio psicologico e quello sociologico, ne enucleano le principali caratteristiche.

1. La legittimità è un problema di costruzione della realtà sociale.

2. Sebbene la legittimità sia mediata dalle percezioni e dai comportamenti degli individui, essa è fondamentalmente un processo collettivo.

3. La legittimità dipende dall’apparente, e non necessariamente reale, consenso tra gli attori nella situazione locale. (Un consenso sporadico e non omogeneo, almeno ad un livello locale, non crea legittimità.)

4. La legittimità ha sia una dimensione cognitiva, che costituisce l’artefatto per gli attori, in quanto caratteristica sociale (social feature) obiettiva e valida, sia una dimensione normativa, che rappresenta tale artefatto come socialmente corretto.235

Per chiarire quest’ultimo punto, bisogna rifarsi al celebre testo costruttivista di

Berger e Kellner[1981], in cui gli autori definiscono il meccanismo attraverso il quale un’istituzione guadagna legittimità, chiamato «processo di legittimazione», nel modo seguente.

231Dunque, la scelta di chiamarli «sistemi valutativi» o «sistemi normativi» è del tutto arbitraria. 232Lett. «appropriatezza». Mi sembra però che il termine «aderenza» renda meglio il concetto. 233Berger e Kellner,1981, p. 31.

234Hofstede,1991, p. 4.

235L’artefatto, in questo caso, è ciò che l’istituzione propone agli attori; può essere una nuova tecnologia, come il PC, oppure una nuova attività, come andare in palestra. C. Johnson et al.[2006] li chiama «oggetti» dell’istituzione, ma per ovvi motivi questo termine si presta a vari fraintendimenti.

La legittimazione “spiega” l’ordine istituzionale assegnando validità cognitiva ai suoi significati oggettificati (objectified meanings). La legittimazione giusti- fica l’ordine istituzionale donando dignità normativa ai suoi imperativi pratici (practical imperatives).236

Dunque, la legittimità si guadagna sia in senso cognitivo, interiorizzando i significati dell’istituzione, sia in senso pratico, accettando le norme dell’istituzione e facendosi guidare da esse.

Dalle campagne contro il fumo ai lettori CD-ROM, ogni istituzione mira non solo a diffondere un artefatto237il più possibile, ma ad influenzare pratiche e significati. Il

fumo, che grazie all’ingegnosa propaganda di Edward Bernays nel primo novecento era diventato segno di emancipazione,238è stato accostato socialmente a tumori e patologie

polmonari. D’altra parte, lo stato, con le sue forze coercitive, lo ha bandito da uffici e sedi pubbliche, rendendo normativa l’emarginazione sociale dei fumatori. I lettori CD-ROM, invece hanno modificato il nostro concetto di informazione, in quanto in un piccolo oggetto portatile, il CD, le persone hanno potuto cominciare ad inserire grandi quantità di immagini, musica e altro. Inoltre cambiarono drasticamente molte pratiche sociali, dallo scambio di documenti alla vendita dei videogiochi; fu introdotta la possibilità di portare con sé la propria musica preferita, etc.239

Ovviamente, il processo di legittimazione non è improvviso e la sua riuscita non è affatto garantita. In generale, esso si può suddividere in quattro fasi.

1. Innovazione. Il termine «innovazione» designa propriamente un qualsiasi artefatto di nascita o sviluppo recente. Le organizzazioni generano un artefatto (non necessariamente un oggetto tangibile) che si indirizzi ad un bisogno, scopo o desiderio al livello locale degli attori. Ad esempio, lo sviluppo di una nuova pratica che risolva un problema oppure una nuova tecnologia che velocizzi un processo.

2. Validazione locale. Se l’innovazione riesce ad accordarsi e a connettersi al quadro culturale (cultural framework) più ampiamente condiviso, essa verrà accettata localmente dagli altri attori, e dunque sarà giustificata in modo esplicito o implicito. Ad esempio, la nuova soluzione al problema è economica e alla portata di tutti, perché non richiede particolari conoscenze tecniche.

3. Diffusione. L’innovazione viene applicata a nuovi contesti e a diversi quadri culturali. Poiché l’innovazione è sempre (anche) un costrutto sociale, questo può richiedere tempo. Nel nostro esempio, la soluzione richiede un’interpretazione del problema che può essere lontana da alcune credenze, dunque ostica da accettare. 4. Validazione globale. L’innovazione è largamente accettata, considerata affidabile e imitata. Qui, però, non è necessario che l’innovazione sia effettivamente più utile o economica o facile da mettere in pratica, come nella seconda fase. Semplicemente, può manifestarsi un effetto gregge, per cui l’innovazione si diffonde mediante meccanismi di imitazione sociale. Questo fenomeno è chiamato comunemente «isomorfismo».240

236Berger e Luckmann,1991, p. 92-93 trad. mia.

237Ricordo che un artefatto non deve essere necessariamente un oggetto tangibile. Può anche essere una certa attività, come andare in palestra.

238Cfr. ad esempioBernays,2008.

239Morita et al.[1986] racconta che fu Akio Morita, il fondatore della Sony, a decidere la durata del CD-Audio, 74 minuti, in modo che potesse contenere tutta la Nona Sinfonia di Ludwig Van Beethoven. 240Cfr. ad esempioR. W. Scott,2013, p. 183-188, che si concentra sull’isomorfismo istituzionale.

Ora applichiamo quanto visto al caso particolare delle istituzioni. Consideriamo la nascita di una nuova organizzazione, che fornisce alcuni servizi alle aziende clienti, ad esempio di tipo informatico (manutenzione server, controllo traffico web, etc.). Dato il veloce sviluppo della SSME, come visto nel paragrafo2.2.4, supponiamo che i fondatori, giovani talentuosi e creativi, inventino un innovativo modo per gestire i server, che garantisca velocità e sicurezza a prezzi convenienti. Le aziende clienti sono ovviamente soddisfatte delle prestazioni, e intanto l’organizzazione cresce e si fa pubblicità. Arrivano clienti da ogni parte del mondo, perché ormai è famosa e il suo nome è garanzia di affidabilità. Però, a questo punto, viste le richieste, i prezzi dell’organizzazione di servizi lievitano. Allo stesso tempo, le pratiche e le soluzioni creative che l’hanno resa famosa sono ormai diffuse anche presso la concorrenza. Non c’è più dunque un vero motivo per sceglierla, nel mercato dei servizi informatici. Tuttavia, continua ad essere un punto di riferimento per tutto il settore SSME e i clienti fanno a gara per ottenere la precedenza. Quest’organizzazione è diventata un’istituzione.

La legittimità, qui, non sta nel fatto che la nostra organizzazione abbia fama e clienti: com’è ovvio, essere un’istituzione non può dipendere dal fatturato. La legittimità sta nell’avere in un certo senso obbligato le aziende concorrenti ad adeguarsi a certi standard. Questi standard, per essere applicati, richiedono un certo punto di vista sui problemi manutentivi, sull’allocazione delle risorse informatiche, sulla preparazione del personale, e infine anche sullo sviluppo di protocolli e mezzi tecnici convenzionali nel mondo informatico. Ad esempio, la presa a modello degli standard della nostra organizzazione potrebbe condurre ad implementare dei tipi di porte con certe caratteristiche, o a nuovi modi di costruire i server. In accordo con quanto spiegato sopra, tali oggetti saranno dei veri e propri «significati oggettificati», perché veicolano un particolare modo di concepire le funzioni del server. Questi oggetti, al contempo, sono sia gli indicatori del nuovo modo di concepire la cultura informatica, sia un mezzo per diffonderla ancora di più tra gli attori.

L’elemento cognitivo sta nell’aver diffuso nuove pratiche innovando la SSME, l’elemento normativo sta nell’aver indotto tutte o molte delle aziende concorrenti ad uniformarsi a quelle pratiche. Durante la fase della diffusione, le aziende clienti che si rivolgono alle concorrenti domandano di avere servizi il più possibile simili a quelli della nostra organizzazione, perché considerati i migliori. Durante la fase della validazione globale, nonostante non ci siano più motivi effettivi per sceglierla, il nome (brand) da solo basta ad infondere fiducia e sicurezza, che è parte di quella «stabilità» utilizzata da Scott nella sua definizione di istituzione.

Mi sembra che la legittimità sia il punto fondamentale di ogni istituzione. Scott la considera un corollario che deriva direttamente dall’interazione dei suoi tre pilastri. A seconda delle diverse situazioni, essa può poggiare più su un pilastro che su un altro, ma sembra ormai indubbio che per lo sviluppo di ogni processo di legittimazione occorrano tutti. Secondo Stinchcombe, la legittimità è il meccanismo che crea potere e allo stesso tempo fornisce i collegamenti tra l’istituzione e gli altri centri di potere.241

Infine, espongo brevemente i tre modi possibili di concepire i rapporti tra istituzioni e organizzazioni.

1. Separazione. Le organizzazioni sono i giocatori della partita, mentre le istituzioni creano le regole del gioco. Dunque, non c’è mai possibilità di confusione tra di essi. Tale analogia del gioco è esplicita in molti autori.242

241Stinchcombe,1968, p. 162.

2. Sovrapposizione debole. Le organizzazioni sono tendenzialmente delle istituzioni, nel senso che in ognuna di esse sorge e si sviluppa la spontanea tendenza ad avviare dei processi di istituzionalizzazione e legittimazione, i quali possono arrivare anche ad una validazione locale (seconda fase), senza tuttavia che nella maggior parte dei casi si giunga ad una piena legittimità. In base a questa posizione, solo poche organizzazioni riescono a diventare vere e proprie istituzioni.

3. Sovrapposizione forte. Non esiste alcuna distinzione qualitativa tra organizzazio- ne e istituzione. Questa tesi deriva dall’enfatizzazione dell’elemento culturale- cognitivo che abbiamo trattato, a discapito degli altri due: poiché ogni simbolo influenza i significati interiori, ne segue che ogni attività modifica la cultu- ra. Dunque, se ogni organizzazione possiede esattamente gli stessi meccanismi culturali-cognitivi delle istituzioni, la differenza tra i due artefatti sociali decade. Ciò che invece rimane sono le legittime sfere di influenza, che si distinguono solo a livello quantitativo; nel caso delle istituzioni, esse sono ovviamente più ampie e capillari.

A mio parere, ritengo che la sovrapposizione debole sia la posizione più utile e feconda.