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Spazio e tempo nel "Filottete" sofocleo: tragedia e società

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 3

1.LO SPAZIO MITICO

1.1 LA MALIDE: IL LEGAME CON ERACLE

1.1.1 La patria di Filottete 7

1.1.2 L’accensione della pira 9

1.1.3 Il dono dell’arco 12

1.2 L’ISOLA DI CRISE: LA SOFFERENZA

1.2.1 L’isola del morso 18

1.2.2 La divinità dell’isola 20

1.2.3 Nel segno del serpente: la simbiosi con la malattia 24 1.3 TROIA: LA PROFEZIA E LA GUARIGIONE

1.3.1 Tra passato e futuro 27

1.3.2 Una profezia, diverse interpretazioni 28

1.3.3 La guarigione: Asclepio 35

1.4 LEMNO: LA SOLITUDINE E LA MALATTIA

1.4.1 L’isola deserta 39

1.4.2 Una malattia ippocratica 46

1.4.3 Hypnos a Lemno: peana guaritore e sonno ingannatore 49

2 LO SPAZIO SCENICO 2.1 L’ALLESTIMENTO SCENICO

2.1.1 La σκηνή 54

2.1.2 Le εἴσοδοι 58

2.1.3 Il deus ex machina 61

2.2 AMBUGUITÀ DELLA GROTTA, AMBIGUITÀ DI FILOTTETE

2.2.1 La grotta: uno specchio di Filottete 67

2.2.2 Il rapporto con gli uomini 71

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2 2.3 DUE INTERPRETAZIONI DELLO SPAZIO SCENICO: DAVIES E VIDAL-NAQUET

2.3.1 Un luogo isolato: Filottete l’aiutante 85

2.3.2 Una zona di frontiera: l’efebia di Neottolemo 88

2.3.3 Soggettività a confronto: l’ambiguità dello spazio scenico 94

3 IL TEMPO

3.1 DIFFERENTI PERCEZIONI TEMPORALI

3.1.1 Il tempo percepito dall’esterno: la sovrapposizione tra tempo della

performance e tempo del racconto 98

3.1.2 Il tempo percepito dall’interno: Filottete, Neottolemo e Odisseo 103 3.2 IL TEMPO NEL RACCONTO

3.2.1 Un testimone onnisciente 110

3.2.2 Tempo e Moira 112

3.2.3 Tempo e Zeus 115

3.3 IL PESO DEL PASSATO TRA MEMORIA INDIVIDUALE E MEMORIA COLLETTIVA

3.3.1 Mancanza di lieto fine: la memoria individuale di Filottete 120 3.3.2 Filottete tra Alcibiade e Sofocle: la memoria collettiva 125

CONCLUSIONI 131

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3

INTRODUZIONE

L’obiettivo del presente lavoro è analizzare il rapporto uomo/società in relazione al Filottete sofocleo, seguendo come linee guida le coordinate spazio-temporali della tragedia sia da un punto di vista interno — la trama — sia da un punto di vista esterno — il quadro sociale che fa da sfondo al dramma. Un aspetto caratteristico del Filottete nei confronti della tematica del rapporto uomo/società è dovuto al fatto che in questa tragedia viene portato in scena un eroe che si trova in uno stato ‘liminale’, al centro di uno scontro tra natura e cultura, derivante dal fatto che Sofocle all’interno del dramma gioca continuamente sulla presenza/assenza di una società di riferimento. Tutto ciò si può ricondurre anche all’influenza esercitata sull’opera da parte della società ateniese di fine V secolo a.C., che affrontava una crisi profonda durante le ultime fasi della Guerra del Peloponneso da cui sarebbe uscita sconfitta.

Il lavoro è suddiviso in tre capitoli (Lo spazio mitico, Lo spazio scenico e Il tempo). In ognuno di questi capitoli vengono affrontate le tematiche sopra elencate in relazione alla coordinata spazio-temporale di riferimento.

Il primo capitolo, Lo spazio mitico, contestualizza il rapporto uomo/società instaurato da Filottete nell’arco del mito. Attraverso l’analisi dei riti, delle leggende e delle pratiche sociali legate a determinati luoghi nominati all’interno della tragedia si può così comprendere il grado di inserimento del protagonista del dramma in un contesto sociale. Per quanto riguarda la Malide, patria di Filottete, assumono grande importanza gli episodi mitici dell’accensione della pira e del dono dell’arco, poiché essi risultano utili a mettere in evidenza il legame di φιλία che si era creato in passato tra il protagonista del dramma ed Eracle. Ciò porta ad approfondire l’importanza che tali episodi rivestono all’interno di un contesto sociale, dato che essi fanno riferimento a pratiche sociali molto diffuse in Grecia antica: in particolare, vengono presi in considerazione il culto eroico, posto a protezione di un determinato territorio e della comunità che lo abita, e lo scambio di doni finalizzato alla creazione di legami sociali, che presenta numerose analogie con il sistema-dono studiato da Mauss.

L’isola di Crise rappresenta il primo passo per Filottete verso la perdita della sua dimensione sociale, dato che su quest’isola l’eroe viene morso dal serpente protettore della ninfa Crise. Sono

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4 proprio queste due figure, infatti, la Ninfa e il serpente, che rappresentano la causa diretta della malattia dell’eroe che lo porterà ad essere abbandonato. Viene, dunque, approfondita la complicata questione riguardante la figura della Ninfa abitatrice dell’isola, in particolare, la sua collocazione all’interno del pantheon greco e la funzione svolta all’interno dell’opera, così come l’ambiguità del serpente e del suo stretto rapporto con la malattia, che fa di lui sia la causa sia il rimedio, attraverso il legame che tale animale intrattiene con Crise e Asclepio.

A Troia hanno luogo due episodi molto importanti del mito di Filottete, la profezia e la guarigione, entrambi legati alla tematica del recupero di una dimensione sociale per il protagonista del dramma. Ciò porta ad analizzare le varie versioni proposte della profezia all’interno dell’opera per dimostrare quanto la presenza di Filottete fosse indispensabile per vincere la guerra. La guarigione, per mano di Asclepio, consente a Filottete il rientro nella società di guerrieri da cui era stato escluso e mette in luce un forte legame tra Sofocle e il dio della medicina, estremamente utile a fini politici per la creazione di un’alleanza strategica antispartana tra Atene ed Epidauro, da cui la statua del dio proveniva.

Infine, Lemno rappresenta l’sola deserta in cui Filottete convive con la malattia. La mancanza di una società di riferimento è resa manifesta attraverso un paragone con il mito delle Lemniadi e la festa lemnia dei Pyrophoreia, che rappresentano un mito e un rito legati alla tematica della distruzione della vita civilizzata sull’isola. Per quanto riguarda la malattia di Filottete, essa viene analizzata prendendo in esame alcuni termini significativi che trovano un buon riscontro nel Corpus Hippocraticum, al fine di mostrare l’influenza della nascente scienza medica attribuita ad Ippocrate nei confronti della società ateniese. Per il suo legame con Lemno e la malattia, si rende conto, in conclusione del capitolo, di Hypnos, un dio che si mostra nella sua veste ambigua di guaritore/ingannatore data la sua capacità di lenire il dolore causato dagli accessi del male e, allo stesso tempo, lasciare inerme il protagonista del dramma che durante il sonno rischia di farsi sottrarre l’arco.

Nel secondo capitolo, Lo spazio scenico, l’attenzione viene rivolta sullo spazio in cui realmente si muovevano gli attori. La caratteristica principale di questo spazio è il fatto di giocare continuamente sull’ambiguità sociale/asociale nel corso di tutta l’opera. Attraverso l’analisi di alcuni aspetti significativi dell’allestimento scenico (σκηνή, εἴσοδοι, deus ex machina) si può, dunque, notare come,

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5 a prima vista, Sofocle volesse rendere l’idea di uno spazio asociale, capace di isolare Filottete da un punto di vista delle relazioni sociali, ma, ad un’analisi più approfondita, risulta evidente che tali aspetti nascondono riferimenti ad un possibile recupero da parte del protagonista del dramma di una società di riferimento attraverso il suo futuro reintegro nell’esercito a Troia.

L’attenzione si focalizza, in seguito, sulla grotta, dimora di Filottete e centro focale di tutta la tragedia, per mostrare la simbiosi che era venuta a crearsi col suo abitatore, in grado di sviluppare un’influenza reciproca tra uomo e ambiente, tra natura e cultura. L’ambiguità di tale rapporto si manifesta anche nelle relazioni intrattenute da Filottete con gli uomini e con gli dèi: il complicato rapporto con gli uomini viene evidenziato attraverso l’analisi delle relazioni intrattenute dall’eroe con gli amici e i nemici di un tempo e, in particolare, del legame sociale che viene a crearsi a Lemno con Neottolemo; per quanto riguarda gli dèi, invece, nonostante qualche imprecazione rivolta nei loro confronti, viene mostrata la εὐσέβεια di Filottete in relazione a divinità come le Ninfe, Eracle e Zeus, limitata solamente dall’asprezza del luogo d’esilio che non gli permette di compiere sacrifici.

Infine, vengono analizzate due interpretazioni, quella di Davies e quella di Vidal-Naquet, strettamente legate allo spazio scenico dell’isola deserta, per tentare di mostrare la difficoltà da parte degli interpreti nel cogliere il reale messaggio dell’autore, specialmente nel caso in cui si perda di vista il quadro sociale in cui si inscrive l’opera. Entrambi gli studiosi colgono l’ambientazione della tragedia in un luogo isolato, ma, mentre Vidal-Naquet propone un accostamento tra una forma d’arte come la tragedia e un rito di passaggio all’età adulta come l’efebia, due pratiche sociali caratteristiche del V secolo a.C. ateniese, Davies accosta ai personaggi della tragedia caratteristiche appartenenti al genere della fiaba, ribaltando il ruolo che essi rivestono all’interno dell’opera.

Nel terzo capitolo, Il tempo, vengono presi in considerazione alcuni aspetti temporali di grande rilevanza per la comprensione della tragedia e utili a evidenziare, inoltre, l’importanza che la dimensione temporale riveste nel rapporto uomo/società. Inizialmente, vengono analizzate le percezioni temporali da un punto di vista sia esterno sia interno alla tragedia. Per quanto riguarda la percezione dall’esterno, viene messo in evidenza come la semplicità strutturale della tragedia, sia nelle parti liriche che in quelle recitate, consentisse una pressoché totale sovrapposizione tra tempo della performance e tempo del racconto in grado di favorire la sympatheia tra pubblico e attori. L’analisi della percezione del tempo dall’interno mira a indagare il ‘tempo individuale’ dei tre

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6 principali personaggi della tragedia, con lo scopo di mostrare non solo quanto la dimensione relativa al passato, rappresentata da Filottete e Neottolemo che aspirano a recuperare la condizione che avevano lasciato prima finire a Lemno, sia preponderante rispetto a quella presente e soprattutto a quella futura, oggettivata nel fallimento di Odisseo, ma soprattutto quanto il ‘tempo individuale’ trovi ragione di esistere solamente in relazione al ‘tempo sociale’.

In seguito, viene focalizzata l’attenzione sul tempo all’interno della tragedia, in particolare si rende conto di quanto esso sia in grado di intervenire nelle vicende umane, attraverso soprattutto la mediazione di due divinità come la Moira e Zeus. Si passa così dalla semplice presentazione del tempo in qualità di testimone onnisciente all’analisi del grado intermedio di ingerenza rappresentato dalla Moira, fino a giungere a Zeus, che regola il tempo degli uomini a proprio piacimento, rappresentazione di una concezione ciclica che si può far risalire alla Grecia arcaica.

In conclusone del capitolo viene sottolineato il peso del passato attraverso i concetti di ‘memoria individuale’ e ‘memoria collettiva’: la prima viene resa manifesta attraverso l’esperienza di Filottete, che, memore delle sofferenze passate, non può di certo raggiungere un ‘lieto fine’; la seconda è rappresentata dall’esperienza di buona parte degli Ateniesi di fine V secolo, i quali, proprio come Filottete, stavano vivendo un periodo di crisi con la loro società di riferimento, che si stava avviando verso la sconfitta nella Guerra del Peloponneso.

La suddivisione in capitoli è utile essenzialmente a fini espositivi, ma le tematiche affrontate in ognuno di essi sono trasversali all’intero lavoro. Compito delle conclusioni sarà, dunque, riprendere i vari punti di contatto utili a rendere conto in maniera più organica del complicato rapporto uomo/società nel Filottete di Sofocle, influenzato dalla crisi che stava attraversando la società ateniese a cui la tragedia era indirizzata.

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7

1 LO SPAZIO MITICO

In questo capitolo verranno presi in considerazione i luoghi del mito nominati all’interno del Filottete sofocleo, dato che i riti, le leggende e le pratiche sociali ad essi legati offrono svariati riferimenti alla complicata situazione del protagonista del dramma, in bilico tra la presenza/assenza di una società di riferimento. Verrà, dunque, analizzata la Malide per il legame che offriva con il personaggio di Eracle; l’isola di Crise, in quanto emblema della sofferenza provocata dal morso del serpente; Troia, sede di due importanti avvenimenti legati al passato (profezia) e al futuro (la guarigione) di Filottete; infine, Lemno, l’isola deserta dove l’eroe convive con la malattia.

1.1 LA MALIDE: IL LEGAME CON ERACLE

1.1.1 LA PATRIA DI FILOTTETE

Tra i luoghi solamente nominati all’interno della tragedia un ruolo importante è riservato alla Malide, patria di Filottete, piccola regione a sud della Tessaglia dove scorre il fiume Spercheo e si erge il monte Eta. Una regione di passaggio strategicamente fondamentale durante gli anni della Guerra del Peloponneso1, tanto che Taplin ipotizza una latente propaganda culturale in favore dei Tessali non

solo nel Filottete, ma anche nelle Trachinie2, due tragedie legate all’episodio mitico dell’apoteosi di

Eracle sul monte Eta, resa possibile dall’intervento di Filottete.

Il legame del protagonista del dramma con questa terra è molto forte, tanto che Odisseo lo chiama τὸν Μηλιᾶ ‘l’uomo della Malide’ (v.4): in questa regione della Grecia centrale Filottete ha lasciato suo padre Peante ed è qui che spera di ritornare un giorno — in particolare egli chiede di “essere salvato a casa” se si considera letteralmente l’espressione σῶσαί μ’ ἐς οἴκους3 (v.311) —,

anche a costo di rinunciare alla fama e all’onore che otterrebbe in guerra a Troia. Il fatto di porre la Malide come patria di Filottete contrasta con quanto riportato nell’Iliade, dato che in quest’opera il

1 Cfr. HORNBLOWER,1997:219-22. 2TAPLIN,1999:48.

3 Un ‹‹nesso intenso ed espressivo›› come sottolineato in DI BENEDETTO,1988:202, ripetuto similmente anche al v. 496 μ’

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8 figlio di Peante viene messo a capo di un contingente di uomini di Metone, Taumacia, Melibea e Olizone (II, 716-17), nella penisola di Magnesia, situata poco più a nord della Malide, su cui invece sembra avere avuto il comando Achille (II, 682)4.

Questa innovazione sofoclea, che si discosta dalla versione omerica, avrebbe la funzione di creare un legame ancora più forte tra Filottete ed Eracle attraverso il fiume Spercheo e, in particolare, il monte Eta, entrambi nominati in due passi carichi di pathos in cui si parla di un possibile ritorno in patria del figlio di Peante5. Il primo passo è da attribuire a Filottete e in esso si descrive la strada che

dovrebbe compiere il protagonista del dramma per tornare a casa, una volta sbarcato in Eubea (vv.490-92):

κἀκεῖθεν οὔ μοι μακρὸς εἰς Οἴτην στόλος Τραχινίαν τε δειράδ᾽ ἠδ᾽ ἐς εὔροον Σπερχειὸν ἔσται:6

‹‹non sarà lungo per me da lì il tragitto verso l’Eta, i monti di Trachis e lo Sperchèo dalla bella corrente›› Il secondo passo, ancora più significativo, viene pronunciato dal Coro e mostra come proprio in Malide, dove Filottete starebbe per tornare, fosse avvenuta la morte di Eracle (vv.726-29):

Σπερχειοῦ τε παρ᾽ ὄχθας, ἵν᾽ ὁ χάλκασπις ἀνὴρ θεοῖς πλάθει θεὸς θείῳ πυρὶ παμφαής, Οἴτας ὑπὲρ ὄχθων.

‹‹presso le sponde dello Sperchèo, dove l’eroe dallo scudo di bronzo, dio7, raggiunge gli dei, fulgente di

rogo divino, sopra le vette dell’Eta››

4KAMERBEEK, 1980: 1; SCHEIN, 2013: 117. Cfr. KIRK,1985: 232 in cui sostiene che nessuna di queste quattro località sarebbe

chiaramente identificabile. Un tentativo di localizzazione di queste quattro città è proposto in NAPOLITANO,2002:102-109.

5 ‹‹Sophocle, donc, en modifiant la localisation de la patrie de Philoctète suggère à son public l’idée que Philoctète et

Héraclès sont proches l’un de l’autre, qu’ils évoluent dans un même environement et se superposent assez aisément. L’auteur a pu réaliser ce glissement géographique d’autant plus aisément que Philoctète apparaissait comme une figure mineure de la tradition épique et quel es paramètres de son mythe étaient de ce fait très maléables›› GILIS,1992: 44.

6 Non deve stupire la menzione di Trachis, situata tra l’Eta e il golfo maliaco, dato che proprio qui erano ambientate le Trachinie di Sofocle e, per via dei numerosi legami con Eracle, era stata ribattezzata Eraclea Trachinia su iniziativa degli

Spartani intorno al 425 a.C.; cfr. FERRARI,2011:933-34.

7 Tale traduzione, che rende conto dell’apoteosi di Eracle di cui si discuterà in seguito, è resa possibile seguendo la

congettura di Hermann, che al v.728 inserisce θεὸς; πατρὸς emenda Jebb; Dawe preferisce le cruces; sulla base del manoscritto T (Parisinus B. N. Gr. 2711), la maggior parte degli editori presenta πᾶσι da concordare con θεοῖς del verso precedente.

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9 Pur attribuendo una certa importanza al fiume Spercheo, è innegabile come il monte Eta assuma un ruolo di preminenza in questa regione, sottolineato anche da espressioni quali ‘figlio di padre etèo’ — γένεθλον Οἰταίου πατρός (v.453) — per qualificare Filottete e ‘terra etèa’ — χθών Οἰταία (vv.479; 664) — per indicare specificamente la Malide. Sull’Eta, inolte, erano avvenuti due episodi molto significativi, strettamente correlati tra loro, che mettevano in relazione Filottete ed Eracle: si tratta dell’accensione della pira su cui l’eroe si era fatto bruciare e il conseguente dono dell’arco. Proprio questi due avvenimenti necessitano di essere approfonditi, in quanto sono all’origine del rapporto instauratosi tra i due personaggi del dramma: un legame d’amicizia fondamentale per giustificare la presenza di Eracle nella parte finale dell’opera.

1.1.2 L’ACCENSIONE DELLA PIRA

Per comprendere appieno l’episodio dell’accensione della pira bisogna partire dal finale delle Trachinie, in cui Illo, figlio di Eracle, si rifiuta di accendere il rogo e dare la morte al padre: ὅσον γ᾽ ἂν αὐτὸς μὴ ποτιψαύων χεροῖν˙ τὰ δ᾽ ἄλλα πράξω κοὐ καμεῖ τοὐμὸν μέρος (vv.1214-15)8. La tragedia si

conclude, quindi, con Eracle, deposto sulla pira, che aspetta solo che qualcuno compia l’atto di dargli fuoco (vv.1252-58): καλῶς τελευτᾷς, κἀπὶ τοῖσδε τὴν χάριν ταχεῖαν, ὦ παῖ, πρόσθες, ὡς πρὶν ἐμπεσεῖν σπαραγμὸν ἤ τιν᾽ οἶστρον, ἐς πυράν με θῇς. ἄγ᾽ ἐγκονεῖτ᾽, αἴρεσθε: παῦλά τοι κακῶν αὕτη, τελευτὴ τοῦδε τἀνδρὸς ὑστάτη.

‹‹Concludi bene, e ora a queste parole aggiungi rapidamente il favore, oh figlio, di depormi sul rogo, prima che mi prenda uno spasmo o un qualche stimolo di dolore. Su, sbrigatevi, sollevatemi: questa sarà la cessazione dei miei mali, l’estrema fine di quest’uomo [Eracle]››

È a questo punto che entra in gioco Filottete, colui che finalmente pone fine alle sofferenze di Eracle, dandogli la morte tanto agognata9. L’episodio è narrato nel Filottete, quando il figlio di Peante,

8 cfr. JOUANNA,2007: 153; per l’importanza della presenza della pira nelle Trachinie come segno di esaltazione della morte

di Eracle cfr. HOLT,1989:73-74.

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10 ormai stanco del dolore che deve sopportare, crea un perfetto parallelo con l’Eracle delle Trachinie10

chiedendo a Neottolemo di bruciarlo vivo, esattamente come aveva fatto egli stesso qualche tempo prima con l’eroe suo amico (vv.799-803):

ὦ τέκνον ὦ γενναῖον, ἀλλὰ συλλαβὼν τῷ Λημνίῳ τῷδ᾽ ἀνακαλουμένῳ πυρὶ ἔμπρησον, ὦ γενναῖε: κἀγώ τοί ποτε τὸν τοῦ Διὸς παῖδ᾽ ἀντὶ τῶνδε τῶν ὅπλων ἃ νῦν σὺ σῴζεις, τοῦτ᾽ ἐπηξίωσα δρᾶν.

‹‹Figlio mio, nobile d’animo, prendimi e bruciami in questo invocato fuoco di Lemno, oh generoso: anche io un giorno al figlio di Zeus, in cambio di queste armi che ora tu custodisci, ho osato fare lo stesso!›› Anche se sappiamo che alla fine Neottolemo non darà retta alla richiesta di Filottete, sembra, comunque, evidente un tentativo da parte di Sofocle di avvicinare le figure di questi due eroi sofferenti, le cui storie si completano a vicenda.

Il Filottete completa, dunque, il finale delle Trachinie spiegando come realmente si era conclusa la vicenda di Eracle sulla pira, lasciata in sospeso nell’opera precedente, e consente, inoltre, di aggiungere un particolare che apre la strada all’ipotesi che Sofocle fosse a conoscenza di un culto eracleo sul monte Eta, derivato proprio da quell’episodio. Al verso 727, infatti, il Coro descrive Eracle durante l’apoteosi come ὁ χάλκασπις ἀνὴρ ‘l’eroe dallo scudo di bronzo’ e così molto probabilmente egli era raffigurato nell’immaginario collettivo al momento della sua morte, dato che anche Diodoro Siculo (IV 38, 3) parla di un Eracle consigliato da Apollo di farsi scortare sull’Eta μετὰ τῆς πολημικῆς διασκευῆς, e alcune rappresentazioni vascolari mostrano una corazza sul rogo11. Proprio

quest’immagine di Eracle deposto sulla pira con un’armatura di bronzo rispecchierebbe l’Eracle venerato in un antico rito, ancora presente in età storica12, dedicato al semidio sul monte Eta,

probabilmente noto anche al pubblico ateniese, dato che una certa importanza era attribuita alle feste religiose che si tenevano sulle montagne fin dall’età arcaica13. Un culto, quello eracleo, a cui

10 Cfr. DI BENEDETTO,1988:199.

11 Per l’elenco dei vasi che mostrano l’apoteosi con corazza di Eracle cfr. HOLT,1986:303.

12 Come segnalato nel commento di Jebb, Tito Livio (Liv., 36.30) ci riporta la presenza di un luogo chiamato Pyra sul monte

Eta dove si era soliti fare sacrifici ad Eracle perché lì si riteneva che l’eroe si fosse fatto bruciare.

13 Cfr. GERNET-BOULANGER,1932:46-47 in cui si parla di antiche processioni annuali che si svolgevano sulla somma del Pelio

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11 sembra far riferimento l’eroe stesso quando, apparso alla fine della tragedia, esorta Filottete a portare le spoglie di guerra (σκῦλα) nel luogo del suo rogo (vv.1431-33).

Per una ricostruzione di tale culto è necessario far riferimento a quanto ritrovato durante una spedizione archeologica del 1920 sul monte Eta14, grazie alla quale è stato portato alla luce il luogo in

cui si celebrava una festa del fuoco in onore di Eracle, risalente all’epoca arcaica15: in tale luogo sono

state rinvenute statuette raffiguranti Eracle, dei cocci con il suo nome, armi e resti di ossa animali. Secondo quanto supposto da Nilsson16, dunque, durante la festa l’effigie dell’eroe veniva bruciata, gli

abitanti del luogo portavano il bestiame intorno al fuoco per ottenere protezione e, infine, venivano sacrificati degli animali.

Proprio nella celebrazione di questo rito mi sembra di vedere riproposti alcuni episodi presenti nel mito di Filottete stesso, tenendo presente che, in entrambi i casi, viene a crearsi un forte legame sociale tra le persone coinvolte. Le effigi di Eracle bruciate, infatti, richiamano l’atto di accendere la pira compiuto dal figlio di Peante, mentre i sacrifici animali offerti all’eroe per ottenere la protezione del resto del bestiame possono essere paragonati alle spoglie di guerra che Filottete porterà sul rogo, come richiestogli da Eracle stesso, alla fine della tragedia, in segno di riconoscenza per il suo arco (v.1432). Tali episodi del mito di Filottete verrebbero a costituire, dunque, l’αἴτιον del rito sopra descritto, secondo una pratica molto diffusa in Grecia antica: ‹‹i Greci hanno regolarmente messo in relazione le loro differenti pratiche cultuali con un avvenimento divino o eroico che ne introduce il primo compimento››17.

Tutto ciò lascia così pensare che Sofocle non avesse inventato dal nulla l’espediente di rendere Filottete un abitante della Malide, ma semplicemente il tragediografo avrebbe potuto attingere ad un’antica versione del mito, probabilmente di poco successiva a quella iliadica, famosa per aver dato origine al culto eracleo sul monte Eta18. Non deve, comunque, stupire la conoscenza da parte del

tragediografo di un culto legato a Eracle e, quindi, un suo collegamento con il personaggio di Filottete.

14 Un breve resoconto della campagna di scavi guidata da Pappadakis si trova in WACE,1921:272.

15 Cfr. HOLT,1986:305; FINKELBERG,1996:134.Cfr. BURKERT,1966:117n. 69 per la cadenza della festa ogni cinque anni sulla

base di schol. in Il. 22, 159.

16NILSSON,1923:144-46.

17CALAME,1996:212(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 2011, da cui, d’ora in avanti, si citerà). 18 Cfr. NAPOLITANO,2002:183 in cui si parla di due tradizioni del mito di Filottete: quella più antica, definita acheo-tessalica,

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12 Stando ad alcune notizie biografiche su Sofocle, infatti, pare che egli fosse a sua volta legato a un culto eracleo presente ad Atene: si racconta, infatti, che Sofocle, grazie a Eracle che gli era apparso in sogno, riuscì a trovare una corona d’oro rubata dall’Acropoli e, con la ricompensa che ottenne per il servizio reso alla città, fondò il tempio di Eracle Rivelatore19.

I culti eroici erano anche un mezzo attraverso il quale le comunità prendevano il possesso ‘simbolico’ di un determinato territorio, il territorio occupato dalla tomba dell’eroe20. Tali culti eroici,

infatti, erano molto comuni in Grecia a partire dall’VIII-VII secolo a.C. e giocavano per una comunità il ruolo di ‹‹simbolo glorioso e di talismano››21. Rendendo, dunque, Filottete un abitante della Malide,

Sofocle rafforzava ancora di più il legame che intercorreva tra il protagonista del dramma ed Eracle, dato che l’eroe morto sul rogo offriva la sua protezione su quel territorio in cambio di offerte e sacrifici in suo onore sul monte Eta22, giustificato dal fatto che all’origine di quel rituale era posto un

episodio mitico legato alla figura di Filottete quale, appunto, l’accensione della pira. Il fatto di aver acceso la pira grazie alla quale Eracle aveva raggiunto l’apoteosi, non solo rende Filottete il precursore del rito eracleo sul monte Eta, ma rappresenta il primo passo verso la creazione di un legame sociale tra le due persone coinvolte, che si concluderà con il dono dell’arco.

1.1.3 IL DONO DELL’ARCO

Dopo qualche verso dalla sua entrata in scena, Filottete si presenta a Neottolemo, che finge di non riconoscerlo (v.250), come “colui che è in possesso delle armi di Eracle” — τῶν Ἡρακλείων ὄντα δεσπότην ὅπλων (v.262) —, ancora prima di dire di chi era figlio e il proprio nome (v.263)23. È,

19 Vita Sophoclis, 12; cfr. Cic., Div. 1, 54 in cui si parla della sottrazione di una coppa d’oro da un tempio di Eracle e di come

Sofocle, sempre grazie all’aiuto di Eracle apparso in sogno, fosse riuscito a far arrestare un uomo che poi avrebbe confessato di essere il colpevole.

20PARKER,1996: 38; cfr. SEG XXXIII del demo di Torico, dove, celebrando gli eroi Torico e Cefalo, si celebra indirettamente

anche tutto il territorio.

21VERNANT,1990:25(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 2009, da cui, d’ora in avanti, si citerà). 22 ‹‹In terra di Tessaglia, più in particolare, egli [Eracle] è anche il difensore dei Malii (a cui consegna la terra dopo aver

sconfitto i Dryopes), provenienti con gli Oetei dal contiguo sud, contro i Dryopes, che dimoravano precedentemente nell’area dallo Spercheios all’Oeta, a Trachis, alle Termopili, la cui espansione gli antichi inquadravano fino alla Doride meridionale, con le terre del Parnaso e anche di Delfi›› NAPOLITANO,2002:183.

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13 dunque, in questo ruolo che egli ritiene di essere noto a tutti, dato che proprio l’arco di Eracle rappresenta l’attributo che lo differenzia dagli altri24.

Quest’arco, come accennato in precedenza, gli era stato donato da Eracle sul monte Eta, in segno di ringraziamento per aver acceso la pira su cui l’eroe voleva farsi bruciare, come rivela lo stesso Filottete — εὐεργετῶν γὰρ καὐτὸς αὔτ᾽ ἐκτησάμην (v.670). Il fatto, dunque, di aver ricevuto un dono in cambio di una buona azione25, dimostra che si era creato un legame forte tra i due personaggi

coinvolti26, che si può definire di reciprocità27 (vv.1445-47; 1467). Sofocle presenta, così, nella sua

opera un sistema-dono che ricalca molto da vicino quello analizzato da Mauss in alcune popolazioni autoctone delle isole del Pacifico. Tale sistema si articolerebbe in tre momenti strettamente collegati tra loro — dare, ricevere, ricambiare28 — esattamente come accade tra Eracle e Filottete con l’arco:

Filottete compie una buona azione nei confronti di Eracle donandogli la morte tanto agognata e ne ottiene, di conseguenza, l’arco in cambio29. Qui si completerebbe la catena maussiana, ma nella

tragedia, verso la fine, si ha una richiesta esplicita di un ulteriore ricambio (vv.1431-33): ἃ δ᾽ ἂν λάβῃς σὺ σκῦλα τοῦδε τοῦ στρατοῦ,

τόξων ἐμῶν μνημεῖα πρὸς πυρὰν ἐμὴν κόμιζε.

‹‹Una parte delle spoglie che otterrai dall’esercito, portala al luogo del mio rogo, in memoria del mio arco››

24 Cfr. Apollod., Epit. 5, 8; Bacchyl. F7 Snell-Maehler; Philostr., Her. 28, 1; Philostr.Ju., Im. 17; Hyginus, Fabulae CII; Dictys

Cret., Bellum Tr. III 1. Cfr. GERNET,1968:125-26(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione francese del 1995, da cui, d’ora in avanti, si citerà) che definirebbe l’arco di Eracle uno κτήματα, per l’idea di acquisizione insita nella parola stessa, completamente al di fuori da un’ottica di commercio mercantile; BASSI,2005:26‹‹It is obvious that objects have histories or, rather, that their textual and inter-textual “lives” are embedded in stories about their creation (whether human or divine) and about the owners or viewers whose identity and status they help to define››.

25 Cfr. Hdt. III 139, dove Silosone si definisce εὐεργέτης di Dario in nome del dono che gli aveva fatto.

26 Scambi di questo genere erano molto frequenti sin dall’epoca arcaica, specialmente legati alla tematica dell’ospitalità, e

sono documentati nei poemi omerici (cfr. Il. VI 215-36; Od. I 307-18) sempre con la stessa funzione di creare legami sociali tra le persone; cfr. AUSTIN —VIDAL-NAQUET,1972:224-25‹‹”don” et “contre-don” y sont peut-être moins la “forme primitive de l’echange” que le signe de reconnaissance de l’egalité, à l’interieur de l’aristocratie››. Cfr. SCHEID-TISSINIER,1994: 158-170.

27 Cfr. GODBOUT, 1992:39 ‹‹quel che circola tra amici rientra evidentemente nel sistema del dono›› (le traduzioni e i

riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 2002, da cui, d’ora in avanti, si citerà); cfr. Arist., EN 1162b: ἡ δ᾽ ἠθικὴ οὐκ ἐπὶ ῥητοῖς, ἀλλ᾽ ὡς φίλῳ δωρεῖται ἢ ὁτιδήποτε ἄλλο.

28MAUSS,1925:65-73(le traduzioni e i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 1991, da cui, d’ora in

avanti, si citerà).

(14)

14 In questo caso abbiamo due categorie di dono differenti che si intersecano: il dono verticale e il dono orizzontale30, dovuti al passaggio di Eracle ad uno stato divino (vv.726-29). Se, infatti, per il

primo scambio (accensione della pira per l’arco) si può parlare di dono orizzontale, in quanto basato sulla reciprocità equilibrata, col passaggio di Eracle da eroe a dio si passa ad un dono verticale (arco per le spoglie di guerra), un dono tra ineguali, per cui è legittima la richiesta di un contraccambio da parte del superiore e non è prevista una ripresa del sistema di scambi31.

Un altro aspetto interessante studiato da Mauss e che sembra trovare riscontro nella tragedia è il motivo per cui ci si sentirebbe in obbligo di ricambiare: ‹‹ciò che obbliga, nel regalo ricevuto e scambiato, è che la cosa ricevuta non è inerte. Anche se abbandonata dal donatore, è ancora qualcosa di lui››32. L’arco viene, infatti, più volte qualificato come antico possesso di Eracle (vv.262; 942-43;

1406; 1427; 1432; 1439-40) e personificato da Filottete a tal punto che ad esso si rivolge il protagonista del dramma una volta che sembra l’abbia perso per sempre (vv.1128-38). Inoltre, quest’arma sembra aver la capacità di far rivivere al nuovo possessore esperienze che ricordano quelle trascorse dal vecchio proprietario, come ricorda Filottete mentre porge l’arco a Neottolemo (vv.776-78):

ἰδοὺ δέχου, παῖ: τὸν φθόνον δὲ πρόσκυσον μή σοι γενέσθαι πολύπον᾽ αὐτὰ μηδ᾽ ὅπως ἐμοί τε καὶ τῷ πρόσθ᾽ ἐμοῦ κεκτημένῳ.

‹‹Ecco, prendilo, ragazzo: ma scongiura l’invidia, che l’arco non sia fonte per te di tanti guai, quanto lo fu per me e per colui che l’ebbe prima di me››

Il consiglio di Filottete a Neottolemo di non provocare lo φθόνος θεῶν è significativo, perché quest’invidia degli dèi che puniscono gli uomini accomuna, per l’appunto, le vicende di Filottete ed Eracle, obbligati a sostenere numerosi πόνοι provocati da divinità33.

30GODBOUT,1992:179;per un’analisi approfondita di dono verticale e dono orizzontale nella società omerica si veda SCHEID -TISSINIER,1994:63-290.

31GODBOUT,1992:237;cfr. SCHEID-TISSINIER,1994:295‹‹des relations d’echange qu’on pourrait qualifier de vertivales sont en

effet censées régler les rapport qu’entretiennent des gens de statut inégal à l’intérieur d’une même communauté››.

32MAUSS,1925:18.

33 Per una dettagliata analisi dello φθόνος θεῶν si veda DODDS, 1951: 73-74 (i riferimenti alle pagine provengono

dall’edizione italiana del 2016) in cui lo si suddivide in due categorie in base al legame che esso mostra con la morale. Per Sofocle sono indicati due passi, tra cui questo del Filottete (cfr. Soph., El. 1466), come esempio di φθόνος slegato dalla morale.

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15 Esattamente allo stesso modo Eracle si paragona a Filottete attraverso i πόνοι che entrambi hanno dovuto affrontare (vv.1418-22):

καὶ πρῶτα μέν σοι τὰς ἐμὰς λέξω τύχας, ὅσους πονήσας καὶ διεξελθὼν πόνους ἀθάνατον ἀρετὴν ἔσχον, ὡς πάρεσθ᾽ ὁρᾶν. καὶ σοί, σάφ᾽ ἴσθι, τοῦτ᾽ ὀφείλεται παθεῖν, ἐκ τῶν πόνων τῶνδ᾽ εὐκλεᾶ θέσθαι βίον.

‹‹Per prima cosa ti ricorderò le mie vicende, dopo aver sofferto e affrontato quante fatiche ho avuto gloria immortale, come puoi vedere: anche tu, sappilo bene, devi patire lo stesso, per avere da tante pene vita gloriosa››

In questo caso, però, c’è un’aggiunta significativa, che rivaluta il legame instauratosi tra Eracle e Filottete mediante l’arco, in quanto viene spiegato dal dio stesso che proprio in seguito a questi πόνοι egli ha ottenuto ἀθάνατον ἀρετὴν e, similmente, Filottete otterrà εὐκλεᾶ βίον dopo aver ucciso Paride e distrutto Troia (1426-28). I πόνοι, dunque, che faranno ottenere a Filottete una ‘vita gloriosa’ non sono gli anni di sofferenza passati a Lemno, che, come notava Di Benedetto, potrebbero essere definiti ‘anti-imprese’34 in confronto a quelle di Eracle, ma le fatiche che il figlio di Peante affronterà a

Troia e dalle quali, il dio lo sa bene, uscirà vincitore. Allo stesso modo l’utilizzo dell’arco da parte di Filottete — cacciare uccelli (vv.287-89) o minacciare di morte gli Achei che vogliono vendicarsi di Neottolemo (vv.1404-6) — potrebbe apparire poco consono ad un’arma di quel tipo, mentre l’uccisione di Paride e la conquista di Troia ben si addicono a tale arma35. Il parallelo tra Eracle e

Filottete dovuto all’arco è, quindi, possibile, a patto che si faccia riferimento al Filottete di Troia, non certo a quello di Lemno. Ciò dimostra che per Filottete si prospetta sicuramente un futuro migliore, ma le sofferenze per il figlio di Peante non sono ancora terminate, ci vorrà ancora del tempo prima che egli possa dirsi finalmente libero da πόνοι. L’arco che ha ottenuto in dono, quindi, lo aiuterà a

34DI BENEDETTO,1988:211.

35 Cfr. HARSH,1960: 412‹‹Heracles made civilization possible by achieving man’s mastery over the beasts and civilized

man’s superiority over the barbarian. […] His most magnificent weapon in all this was the bow, divine in its origin. This bow, Apollo’s gift to Heracles, symbolizes man’s intelligence brought into action to guarantee man’s domination of the earth››.

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16 liberarsi da questa spiacevole situazione, a patto che venga onorato degnamente, in quanto oggetto portatore di valore36.

Infine, attraverso il confronto con il dono dell’arco avvenuto tra Eracle e Filottete, mi sembra opportuno citare un esempio di non-dono tra il protagonista del dramma e Neottolemo37. Seguendo

la definizione di dono data da Godbout: ‹‹definiamo dono ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone››38, si può notare come essa valga per l’arco che Eracle ha donato a Filottete senza chiederne

la restituzione39, mentre non si possa dire la stessa cosa per lo scambio dell’arma avvenuto tra il figlio

di Peante e Neottolemo.

È proprio Filottete, infatti, a ribadire che l’arco gli deve essere restituito — παρέσται ταῦτά σοι καὶ θιγγάνειν καὶ δόντι δοῦναι (vv.667-68) —, inoltre, il legame d’amicizia basato su questo scambio, a cui fa riferimento Neottolemo poco dopo (vv.671-73), appare privo di fondamento40.

Successivamente, quando realmente Filottete consegna l’arco a Neottolemo prima che un accesso del male lo colpisca (v.776), il figlio di Peante specifica al ragazzo che gliel’ha consegnato affinché lo protegga e lo conservi (vv.766) e, soprattutto, non lo consegni nelle mani di Odisseo e degli Atridi (vv.771-72)41. Forse solo in un punto si può arrivare a pensare che tra questi due personaggi si sia

giunti ad un vero e proprio dono dell’arma: quando Filottete chiede a Neottolemo di bruciarlo nel fuoco di Lemno per porre fine alle sue sofferenze, instaurando un parallelo con quello che aveva fatto egli stesso con Eracle sul monte Eta (vv.799-803)42. Se, dunque, Neottolemo avesse fatto quello che

Filottete aveva fatto per Eracle, solo in quel caso, si può pensare che il protagonista del dramma avrebbe effettivamente donato l’arma, ma il giovane figlio d’Achille, come Illo prima di lui nelle Trachinie, non se la sente di portare a termine un tale compito (vv.804-5).

36 Cfr. GERNET,1968:175-79.

37 Di opinione diversa sono BELFIORE,1993-1994:121-122 e FLETCHER,2013:207. 38GODBOUT,1992:30.

39 Allo stesso modo Eracle l’aveva ottenuto in dono da Apollo, cfr. Apollod. II 4, 11 e Diod. IV 14, 3.

40 Dello stesso parere, sulla base di un gioco etimologico col nome di Filottete, sono DALY,1982:441e AVEZZÙ,1988:50.Cfr.

Arist., EN 1156b: οἱ δὲ ταχέως τὰ φιλικὰ πρὸς ἀλλήλους ποιοῦντες βούλονται μὲν φίλοι εἶναι, οὐκ εἰσὶ δέ, εἰ μὴ καὶ φιλητοί, καὶ τοῦτ᾽ ἴσασιν: βούλησις μὲν γὰρ ταχεῖα φιλίας γίνεται, φιλία δ᾽ οὔ.

41 Cfr. PERROTTA,1935: 431 secondo cui, in questo caso, la cessione dell’arco a Neottolemo dipenderebbe dalle parole

pronunciate dal falso Mercante (vv.769-73) che hanno spaventato Filottete.

(17)

17 Neottolemo, quindi, non si merita di ricevere l’arco, dato che non ha offerto alcun beneficio a Filottete. Anzi, decidendo di non restituire l’arma, egli si comporta esattamente come aveva programmato Odisseo, da ladro — κλοπεύς (v.77) —, e Filottete non perde l’occasione per farglielo notare — ἱερὰ λαβὼν τοῦ Ζηνὸς Ἡρακλέους ἔχει (v.943). Proprio questo sfogo di Filottete, a mio parere, ricalcherebbe quello di Achille, nell’Iliade, dopo che gli è stata sottratta Briseide da Agamennone — ἑλὼν γὰρ ἔχει γέρας αὐτὸς ἀπούρας (I 507). Sintatticamente, in entrambi i casi, l’espressione di possesso indirizzata all’usurpatore è resa dal verbo ‘avere’ — ἔχει —, rafforzato da un participio aoristo che rende l’idea della sottrazione illecita — λαβὼν; ἑλὼν —, mentre l’oggetto della contesa viene reso con un termine che indica l’importanza che esso assume nei confronti di chi ne è stato privato — ἱερὰ; γέρας. Filottete e Achille, dunque, sono accomunati dal fatto di esser stati disonorati da un atto insolente che li ha privati del loro γέρας, termine col quale viene definito l’arco anche da Odisseo (v.1061), un dono d’onore che spetta loro di diritto43. Solo la restituzione del γέρας

conteso può consentire a chi ne è stato privato di ottenere indietro la parte di onore che gli era dovuta, come dovrebbe sapere bene Neottolemo stesso — αἰσχρῶς γὰρ αὐτὰ κοὐ δίκῃ λαβὼν ἔχω (v.1234) —, che, stando a quanto riportato nella Piccola Iliade, aveva riottenuto le armi del padre una volta giunto a Troia44. Forse è proprio per questo motivo, sebbene ciò non venga mai svelato a

Filottete45 (v.1365), che verso la fine della tragedia, nonostante tutto, Neottolemo cambia idea e

restituisce l’arco al protagonista del dramma — ἀλλὰ δεξιὰν πρότεινε χεῖρα, καὶ κράτει τῶν σῶν ὅπλων (vv.1291-92) — escludendo definitivamente ogni possibilità di dono, ma meritandosi l’appellativo di figlio d’Achille (v.1312). L’unico dono effettivamente realizzatosi resta, dunque, quello avvenuto in Malide, che attraverso tale confronto può essere meglio compreso nella sua compiutezza. In conclusione, il legame d’amicizia instauratosi tra Filottete ed Eracle attraverso un sistema-dono di tipo maussiano, che prevede uno scambio di doni in grado di creare un legame sociale, non può minimamente essere paragonato a ciò che accade tra Filottete e Neottolemo, dato che tra essi avviene semplicemente una restituzione proprio perché, fin dall’inizio, non c’era stato alcun dono. A niente, dunque, vale il dono dell’arco senza considerare l’accensione della pira da cui tutto è partito, e

43 S.v. γέρας in LSJ; cfr. SCHEID-TISSINIER,1994:234-44; DI DONATO,2006:57-64. 44 Procl., Chrest. 206 Seve.

45 Filottete crede ancora alla falsa storia del rifiuto di consegnare le armi di Achille a Neottolemo (vv.364-66), abilmente

(18)

18 viceversa. Tali episodi, avvenuti sul suolo malìaco e, in particolare, sul monte Eta, mostrano come proprio questo luogo, grazie agli avvenimenti citati in precedenza, sia fondamentale per rendere conto del legame presente tra Filottete e Eracle.

1.2 L’ISOLA DI CRISE: LA SOFFERENZA

1.2.1 L’ISOLA DEL MORSO

Un altro luogo non presente direttamente sulla scena, ma che svolge un ruolo importante all’interno del dramma sofocleo è l’isola di Crise, dove, Neottolemo afferma, Filottete si era procurato la ferita (vv.194; 1326-28). Quest’isola, però, presenta dei punti critici all’interno del mito di Filottete, dato che non è presente in tutte le tradizioni del mito ed è solo menzionata brevemente nel dramma sofocleo a cui facciamo riferimento46.

Innanzitutto, essa è di difficile identificazione non solo per noi moderni, ma lo era anche, ad esempio, per un greco del II secolo d.C. come Pausania. Egli nella sua opera sostiene la tesi che l’isola s’inabissò e scomparve tra i flutti (VIII 33, 4), probabilmente rifacendosi ad una testimonianza di Erodoto, che racconta come, secondo un oracolo di Museo, le isole nei pressi di Lemno fossero destinate a scomparire nel mare (VII 6, 3)47. A complicare il fatto si aggiungono due testimonianze che

riportano Tenedo o Imbro come isole dove poteva essere avvenuto il morso del serpente48: si tratta di

uno scolio all’Iliade49 e del commento all’Iliade di Eustazio di Tessalonica, che però aggiunge ‹‹Altri

invece dicono in un’isola chiamata Crise››50. Imbro può facilmente essere esclusa dal novero delle

possibilità, visto che non sono noti legami di alcun tipo da parte di Filottete con quest’isola. Più difficile, invece risulta escludere in maniera così netta Tenedo, dato che su quest’isola si svolse l’antefatto che portò il figlio di Peante ad essere morso: Achille dopo aver ucciso il re Tenes, che tentava di scacciarlo poiché insidiava sua sorella, dovette compiere un sacrificio per placare l’ira di

46 Stando ai frammenti, pare che l’isola di Crise venisse nominata anche nella tragedia perduta Le donne di Lemno

attribuita a Sofocle; cfr. fr. 384 Radt: ὦ Λέμνε Χρύσης τ’ ἀγχιτέρμονες πάγοι.

47FERRARI,2011:541.

48 S.v. Νέαι in St.Byz. (Meineke, 1849), che così chiama l’isola in cui era avvenuto il morso; cfr. HEINRICH,1839: 7-10, in cui

viene proposta la tesi, da me accettata, che Crise fosse una di queste isole ‘nuove’, così chiamate perché emerse dall’acqua in un tempo relativamente più recente, in seguito ad un terremoto vicino a Lemno.

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19 Apollo a cui il re ucciso era molto legato; una parte della tradizione, giunta attraverso Apollodoro51,

riporta che tale sacrificio avrebbe dovuto svolgersi proprio a Tenedo.

In secondo luogo, nel Filottete le ragioni dell’incarico che portano il protagonista del dramma a rintracciare l’altare della dea Crise per il sacrificio non sono presentate in modo chiaro. Per provare a spiegare tale fatto si può pensare, aiutandosi con un indizio presente nella tragedia, alla comune origine tessala di Filottete e Achille e all’amicizia che li legava (v.242), ragioni che avrebbero spinto il primo ad aiutare un amico nel momento di difficoltà. Una motivazione ancora più plausibile per giustificare il fatto che fosse stato scelto proprio Filottete per indicare agli Achei l’altare di Crise si trova in alcune rappresentazioni vascolari52 e in un breve passo di un’opera di Filostrato il giovane53,

che dimostrano come il figlio di Peante fosse già stato su quest’isola in compagnia di Eracle. Questa precedente presenza di Filottete a Crise rappresenta, quindi, un più che valido argomento per spiegare come mai la scelta di trovare il santuario della dea fosse ricaduta su di lui, giustificando anche l’inserimento dell’isola all’interno della tragedia.

Ritengo, però, che l’importanza dell’isola di Crise all’interno dell’opera sofoclea stia tutta nella possibilità che essa offriva al tragediografo di concentrare completamente l’attenzione sul personaggio di Filottete. Allontanando, infatti, anche da un punto di vista spaziale l’episodio della colpa di Achille dalla tragedia riguardante Filottete, Sofocle riesce a passare sotto silenzio un episodio che avrebbe potuto mettere in ombra la sofferenza del protagonista del dramma, su cui è incentrata l’intera opera. Spostando, dunque, da Tenedo a Crise la vicenda del morso, Sofocle la separa dagli antecedenti mitici che in tal modo non vengono mai nominati, rendendo così ancora più penosa e inspiegabile l’esperienza sull’isola per il figlio di Peante e, di conseguenza, anche per il pubblico a teatro.

A dimostrazione di quanto l’isola di Crise svolgesse un ruolo importante all’interno del mito di Filottete, è necessario citare la testimonianza di Appiano, che nel Mitridatico ci informa della presenza di un altare dedicato a Filottete su un’isola vicino a Lemno facilmente identificabile con Crise54:

‹‹…colà viene mostrato l’altare di Filottete (βωμὸς Φιλοκτήτου), il serpente di bronzo (χάλκεος ὄφις),

50 Eustath. Il. 330, 1-3 51 Apollod., Epit. 3.26-27.

52 Le immagini sono state studiate dalla Hooker e repertoriate in LIMG III.1, pp. 279ss.; cfr. AVEZZÙ,1988:78n.8. 53 Philostr.Jun., Im. 17, dove si dice che l’altare di Crise fu dedicato da Giasone al ritorno dalla Colchide.

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20 l’arco (τόξα) e la corazza legata da bende (θώραξ ταινίαις περίδετος), ricordo delle sue sofferenze…››55. La presenza di un βωμός56 indica che questo era considerato un luogo di culto57

dell’eroe, facilmente paragonabile a quello di Eracle sul monte Eta per la presenza in entrambi di spoglie di guerra poste a ricordo di qualcosa: se per Eracle servivano come ricordo del suo arco — τόξον ἐμῶν μνημεῖα (v.1432) —, per Filottete rappresentano il “ricordo delle sue sofferenze”, come notava Appiano. L’altare menzionato da Appiano aveva, quindi, la stessa funzione dell’arco e degli stracci usati come bende dal figlio di Peante in tragedia, cioè ricordare a chi li osservasse cosa Filottete avesse dovuto patire, richiamando alla memoria le parti più dolorose del mito come l’accensione della pira di Eracle o il morso del serpente e la conseguente malattia, di cui rappresenterebbero una chiara oggettivazione.

Tutto ciò dimostra che, pur molti anni dopo la messa in scena del Filottete sofocleo (Appiano è autore del II d.C.), era ancora viva l’idea dell’isola di Crise come luogo legato alla sofferenza del protagonista, proprio come era nelle intenzioni di Sofocle, che la cita solamente in tragedia in quanto luogo in cui Filottete si era procurato la ferita (vv.194; 1326-28), causa di tutti i suoi mali. All’origine della sofferenza originatasi a Crise, come si vedrà a breve, ci sarebbe l’omonima divinità58, che qui

risiedeva, protetta da un serpente.

1.2.2 LA DIVINITÁ DELL’ISOLA

È proprio a causa del serpente posto a protezione della divinità dell’isola — Crise — che Filottete si procura la ferita al piede (vv.1327-28). Crise è una divinità poco conosciuta all’interno del pantheon greco e, quindi, di difficile interpretazione, dato che viene nominata solo in relazione al mito di

54 Questa è l’opinione, che qui intendo seguire, di HARRISON,1989: 174; cfr. SEGAL,19992:309. 55 App., Mith. 77; trad. it. A. Mastrocinque.

56 Il termine βωμός indicava nella Grecia arcaica e classica un altare dedicato a divinità olimpie, mentre per gli dèi ctonii e

gli eroi l’altare era chiamato ἐσχάρα, cfr. VERNANT,1990:31-33; il fatto che venga utilizzato per il culto di un eroe come Filottete potrebbe essere dovuto al fatto che per un greco di II secolo d.C. come Pausania non fosse più sentita così nettamente la differenza terminologica propria di una religiosità antica che stava perdendo di importanza; lo stesso utilizzo di βωμός in senso generico si ritrova anche nel commento di Scarpi ad Apollod. II 7, 2 (SCARPI,1996:528), in riferimento ad un altare di Pelope.

57 Secondo S.J. Harrison il verso 1422 del Filottete di Sofocle in cui Eracle predice al protagonista che dopo tante pene avrà

vita gloriosa, rappresenterebbe in realtà la profezia di un suo futuro culto, come potrebbe essere appunto quello sull’isoletta di Crise; cfr. HARRISON,1989: 173-75.

(21)

21 Filottete e, in particolare, nelle rappresentazioni tragiche che lo riguardano. Le uniche attestazioni in cui ne viene fatta esplicitamente menzione, infatti, si ritroverebbero, oltre che nel Filottete sofocleo, nelle omonime tragedie perdute di Eschilo ed Euripide ad essa precedenti. Seguendo Radt, si può ricostruire dal lacunoso frammento F 451 s 88 attribuibile al Filottete di Eschilo il termine Χρύσης al verso 459, integrando semplicemente un Χ, seppur non si riesca a comprendere il contesto in cui tale

divinità verrebbe nominata. Per quanto riguarda il Filottete di Euripide, invece, si può citare la parafrasi del Prologo dell’opera, contenuta nell’Orazione LIX di Dione Crisostomo, in cui si dice che Filottete indicò agli Achei l’altare di Crise su cui sacrificare — τὸν Χρύσης βωμόν60.

Alcuni commentatori antichi61 identificherebbero questa divinità con Atena, probabilmente

influenzati dagli scoli ai versi 194 e 1326: nel primo viene nominata una statua di Atena Crise — Χρύσης Ἀθηνᾶς ἄγαλμα οὕτως καλεῖται —, di cui non è giunta alcuna notizia, mentre nel secondo si parla del serpente che farebbe la guardia al tempio di Atena — τὸ ἱερὸν τῆς Ἀθηνᾶς. Mi sembra difficile, però, giustificare questa sovrapposizione tra divinità62, dato che Sofocle non si serve mai

all’interno della tragedia del termine Crise come epiteto di Atena, come fa, invece, quando si tratta di nominare Atena Nike e Poliade (v.134).

Tuttavia, un possibile legame con Atena e, in particolare, con l’Atena Poliade che si trovava nell’Eretteo63, si può riscontrare in alcuni aspetti che caratterizzano Crise nel Filottete. La menzione

del serpente che abita nel sacrario di Crise e la protegge, poteva richiamare alla memoria degli spettatori la dea protettrice della città, sorvegliata dal serpente sacro abitatore dell’Eretteo64. Sofocle

sembra, infatti, riprendere alcune caratteristiche proprie di questo animale abitatore di un tempio sull’Acropoli e trasporle al serpente della tragedia. Ciò risulta ancora più evidente paragonando la

58 ‹‹This double usage, place or Nymph, is common in the case of islands, as for instance Lemnos itself (according to

Steph.Byz.) represents the great goddess so called by the original inhabitants. The Nymph is named from the region or the region from the Nymph, just as Ge can mean Earth as goddess or Earth as land›› CRAIK,2010:2.

59 ]ρυσες μη[; cfr. AVEZZÙ,1988: 109. 60 D.Chr. LIX 9.

61 Tz. ad Lyc. 911; Eust. Il. 330.1.

62 La stessa opinione si ritrova nel commento di Jebb al v.1327; ancora più ardita mi sembra l’ipotesi proposta in SEGAL,

19992: 309 ‹‹Although vaguely associated with the civilizing goddess, Athena, Chryse has much closer affinities with the

Tauronian or Brauronian Artemis, the goddess who guards the sea approaches to the land and protects it stubbornly from invaders. Philoctetes calls the goddess pontia, of the sea (269-70). She may even be a form of the Thracian Bendis, the goddess whom the indigenous inhabitants would invoke against the Greek invaders››; ugualmente forzato mi sembra l’accostamento di Crise con Afrodite proposto in CRAIK,2010:5-6.

(22)

22 descrizione presente nel Filottete — Χρύσης πελασθεὶς φύλακος, ὃς τὸν ἀκαλυφῆ σηκὸν φυλάσσει κρύφιος οἰκουρῶν ὄφις (vv.1327-28) — con quella che offre Erodoto65 — λέγουσι Ἀθηναῖοι ὄφιν

μέγαν φύλακα τῆς ἀκροπόλιος ἐνδιαιτᾶσθαι ἐν τῷ ἱρῷ (VIII 41, 2): in entrambi i casi si parla di un serpente — ὄφις — abitatore di un luogo sacro — σηκός; ἱρός66 — a cui fa la guardia — φυλασσω;

φύλαξ.

Non è improbabile, dunque, un richiamo all’Eretteo attraverso la figura di Crise e del serpente, specialmente se si considera che proprio nell’anno in cui veniva portato in scena il Filottete (409) sembra fossero ripresi i lavori per il completamento di questo tempio, finanziato con i soldi delle campagne di Alcibiade del 410 a Cizico e nell’Ellesponto67. Inoltre, l’Eretteo era un edificio che faceva

da portavoce agli antichi valori aristocratici antitirannici, in un periodo in cui i chrestoi come Sofocle temevano la democrazia sempre più “radicale” in mano ai demagoghi ateniesi68. L’interesse di

Sofocle, quindi, sarebbe stato rivolto a indirizzare i propri concittadini contro questa forma di governo che aveva preso sempre più piede ad Atene dopo la morte di Pericle, quando inseriva questo possibile parallelo tra Crise e Atena Polias nella sua opera. Di certo non penso fosse nelle sue intenzioni mostrare Crise come un doppione di Atena Polias, la divinità protettrice di Atene.

Stabilito, dunque, che Crise è una divinità a sé stante, preferisco, a questo punto, seguire la tradizione che farebbe di Crise una Ninfa69, conosciuta fin dall’antichità perché venerata dai Sintii, un

popolo originario della Tracia stabilitosi in seguito anche a Lemno e nelle isole limitrofe. Essi le avrebbero attribuito il nome di ‘dorata’ in onore delle miniere di questo metallo prezioso che avrebbero trovato sull’omonima isola70. Questa divinità era anche nota, più recentemente, perché

pare che ad essa fosse necessario offrire sacrifici sulla rotta verso Troia71, ed è proprio questo

particolare che consente di ricollegarsi al mito di Filottete. Come mostrano alcune pitture vascolari —

64BODSON,1978:78.

65 cfr. Hesych. οἰκουρὸν ὄφιν: τὸν τῆς Πολιάδος φύλακα δράκοντα.

66 Cfr. Plutarco (Them. 10,1) che definisce σηκός il recinto sacro in cui viveva il serpente dell’Acropoli. 67HURWIT,1999:206.

68 ‹‹I messaggi veicolati dall’Eretteo si ponevano, quindi, in maniera del tutto coerente alla volontà politica, in una

direzione che prevedeva il ritorno ai tempi precedenti e che sostanzialmente auspicava la cancellazione dei risultati raggiunti da Pericle e dai suoi seguaci›› CAMPONETTI,2005:417.

69 Cfr. Schol. ad Phil. 194; Tz. ad Lyc. 911; SCHEIN,2013:157-58.

70 Cfr. HEINRICH,1839:21-22; la stessa tesi è stata ripresa più di recente in LARSON,2001:179.

71 Cfr. D.Chr. LIX 9: ὥσπερ ἀμέλει κἀμὲ ἐξέθηκας, ὑπὲρ τῆς κοινῆς σωτηρίας τε καὶ νίκης περιπεσόντα τῇδε τῇ ξυμφορᾷ,

(23)

23 mi riferisco, in particolare, a cinque vasi studiati dalla Hooker72 — si può vedere, infatti, la scena di

Eracle che sacrifica un toro su un altare di sassi aiutato da uno o due giovani. A far propendere per l’identificazione di uno di questi giovani con Filottete ci sarebbe la già citata testimonianza di Filostrato il giovane73, che racconta come tempo prima Filottete avesse compiuto un sacrificio a Crise

in compagnia di Eracle.

Per quanto riguarda il sacrificio di un toro a Crise abbiamo solo queste testimonianze vascolari, mentre per quanto riguarda l’altare di sassi, a conferma di come questo potesse essere il reale aspetto dell’altare della Ninfa, si possono citare l’Argumentum metrico preposto al Filottete di Sofocle, che parla di un βωμὸς ἐπικεχωσμένος e Tzetzes, nel commento all’Alessandra di Licofrone, che cita un κεχωσμένος βωμός74. Per completare la possibile ricostruzione di un culto per Crise

attraverso le testimonianze appena citate, mi sembra opportuno tornare all’opera di Sofocle, in cui si parla di un recinto sacro – σηκός (v.1328) – dove non è difficile immaginare la presenza dell’altare di sassi sopra citato e dove, è possibile, sarebbe stato sacrificato un toro.

Tutto questo poteva essere ricostruito anche dagli spettatori seduti a teatro, tra i quali, i più anziani, avevano potuto assistere anche alla rappresentazione del Filottete euripideo nel 431, mentre i più giovani avrebbero potuto documentarsi sulle più antiche rappresentazioni, dopo aver scoperto durante il Proagon che Sofocle avrebbe inscenato un Filottete. È forse proprio per questo che Sofocle sembra quasi disinteressarsi dell’episodio di Crise, che cita solo brevemente, ma che tanta importanza riveste nello svolgimento del dramma. Basti pensare che non viene spiegato neppure il motivo per cui il figlio di Peante sarebbe stato morso. Alcuni commentatori hanno provato a trovare una motivazione più o meno plausibile a questo spiacevole episodio75, ma ritengo che non sia necessario. Questo

rientra perfettamente nella visione degli dèi che Sofocle offre nelle sue tragedie: non serve una spiegazione per le loro decisioni, esse devono essere accettate con rassegnazione dai mortali, come

72HOOKER,1950:London E494, Vienna Inv. 1144, Taranto, Leningrad 43f, Leningrad 33A. 73 Philostr.Jun., Im. 17

74 ‹‹χόω is more usually used of mounds of earth, but there is no reason why it should not here be used of a mound of

stones, and there seems to be no doubt that the epiteths do in fact denote an altar of the kind depicted in the vase-paintings›› HOOKER,1950:40.

75 Schol. ad Phil. 194 e Tz. ad Lyc. 911 parlano di un rifiuto da parte di Filottete della Ninfa Crise innamorata di lui; schol. ad Phil. 270 dice che Filottete sarebbe stato morso mentre cercava di innalzare un altare ad Eracle, probabilmente invadendo

il recinto sacro di Crise (cfr. SEGAL,1995: 309); Hyginus, Fabulae CII racconta che il serpente fu mandato da Giunone, irata perché Filottete aveva eretto il rogo su cui Eracle si era fatto bruciare.

(24)

24 afferma lo stesso Neottolemo: ἀνθρώποισι τὰς μὲν ἐκ θεῶν τύχας δοθείσας ἔστ᾽ ἀναγκαῖον φέρειν (vv.1316-17), per quanto dure possano essere. Il fatto stesso che Neottolemo definisca Crise ‘crudele’ — ὠμόφρον (v. 194) — all’interno di un dialogo lirico col Coro in cui viene mostrata pietà per Filottete sofferente, penso risieda proprio nel fatto che anche il figlio d’Achille non riesce a trovare nel morso del serpente, che è causa di tante sofferenze, una motivazione plausibile.

1.2.3 NEL SEGNO DEL SERPENTE: LA SIMBIOSI CON LA MALATTIA

Il serpente svolge una funzione molto importante all’interno della tragedia perché crea un legame, attraverso la malattia che il suo morso provoca, tra Filottete, Crise e Asclepio. Come vedremo, infatti, esso è presente in ogni tappa della vicenda legata al morbo sacro: dal contagio fino alla guarigione. Innanzitutto, il serpente è il tramite della malattia, dato che l’animale è il guardiano — φύλαξ (v.1327) — di Crise, ed è proprio a causa della violazione del recinto sacro di questa divinità che l’eroe viene morso. Tale morso produce in Filottete effetti legati al campo semantico della ἀγριότης. Così il figlio di Peante si ritrova con un ‘marchio selvaggio’ — ἄγριον χάραγμα (v.267) —, simbolo di una malattia ‘selvaggia’ (vv.265-66), capace di rendere selvaggio colui che ha infettato, come dimostrano le parole di Filottete stesso quando si definisce ἀπηγριομένος (v.226) e quelle che gli rivolge Neottolemo: σὺ δ᾽ ἠγρίωσαι (v.1321). La selvatichezza, quindi, che caratterizza il personaggio di Filottete dopo l’abbandono a Lemno, deriva proprio da questo animale e, in particolare, dalla malattia che gli è stata trasmessa.

È inutile, dunque, separare ciò che nella tragedia non sembra voler essere separato: malattia e serpente, infatti, è come se fossero una cosa sola, tanto che il morbo manifesta caratteristiche bestiali quando viene presentato come una fiera selvaggia che attacca dall’esterno e morde le carni76.

Numerose sono le spie linguistiche che presentano la malattia come un mostro vorace77, dagli

aggettivi διαβόρος (v.7), ἀδηφάγος (v.313), βαρυβρώς (v. 694), δακέθυμος (v.706) ai verbi βόσκω (v.313), βρύκομαι (v.747), τρέφω (v.795), rendendo perfettamente l’idea di una malattia che divora il malato.

76 Stessa concezione della malattia era presente anche nei Filottete di Eschilo ed Euripide; cfr. Arist. Po. 1458b: ‹‹Eschilo

nel Filottete dice “l’ulcera che mi mangia le carni del piede”, Euripide al posto di “mangia” dice “banchetta”›› (trad. G. Paduano).

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