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1.4 LEMNO: LA SOLITUDINE E LA MALATTIA

1.4.1 L’ISOLA DESERTA

Nominata fin dai primi versi della tragedia da Odisseo — ἀκτὴ μὲν ἥδε τῆς περιρρύτου χθονὸς

Λήμνου (vv.1-2) —, Lemno è l’isola che fa da sfondo all’intera opera sofoclea. È proprio su quest’isola, infatti, che Filottete è stato abbandonato e trascorre penosamente il suo esilio per nove anni, nella più completa solitudine — μόνον, ἔρημον ὧδε κἅφιλον (vv.227-28).

Gli spettatori a teatro dovevano aver ben presente Lemno, la più grande isola dell’Egeo settentrionale, alleata di Atene da quasi un secolo e in posizione strategica per difendere la rotta verso il Mar Nero, dove si trovavano i più importanti approvvigionamenti di grano per gli Ateniesi131.

Su quest’isola, infatti, all’inizio del V secolo a. C. il generale ateniese Milziade aveva insediato dei coloni e intorno al 440 Atene aveva stabilito una vera e propria colonia formata da cittadini ateniesi, i quali dedicarono una statua di bronzo di Atena, opera di Fidia, sull’Acropoli ateniese, conosciuta con il nome di ‘Atena Lemnia’132. Questi Ateniesi di Lemno mantennero il dialetto e le leggi attiche e

combatterono a fianco degli Ateniesi durante la Guerra del Peloponneso a Pilo, Anfipoli e in Sicilia133.

Di grande impatto sul pubblico, dunque, sarà stato l’espediente sofocleo di portare in scena l’isola completamente priva di uomini, tenendo anche presente che già Eschilo ed Euripide avevano composto una tragedia dal titolo Filottete in cui il Coro era formato dagli abitanti di Lemno, uno dei quali, Attore, era un personaggio del dramma a tutti gli effetti nell’opera euripidea134.

130 Cfr. DALLOLIO,2014:259 che trova paralleli con l’Oreste euripideo dello stesso anno. 131 Cfr. AUSTIN VIDAL-NAQUET,1972:88-89.

132 Paus. I 28, 2.

133 Th. IV 28, 4; V 8, 2; VII 57, 2; cfr. SCHEIN,2013:7.

134 Cfr. D.Chr. LII 1, 8; l’orazione LII di Dione Crisostomo è una testimonianza importantissima di confronto tra le tre

tragedie intitolate Filottete composte dai tre maggiori autori tragici. Per una datazione dell’opera eschilea ed euripidea seguo l’interpretazione di Avezzù (AVEZZÙ,1988: 102; 124) che colloca la prima tra il 475 e il 459 e la seconda nel 431.

40 Alcuni interpreti135 ritengono impossibile che l’isola fosse deserta e suppongono che Sofocle

intendesse disabitato solo quel ‘capo roccioso’ dove Filottete era stato abbandonato. Così il figlio di Peante non avrebbe mai incontrato un abitante del luogo a causa dell’inaccessibilità del sito in cui i comandanti dell’esercito acheo lo avevano lasciato. A mio parere, in questo caso, Sofocle voleva semplicemente prendere le distanze dalle versioni precedenti ideando una Lemno completamente priva di uomini, con lo scopo di mettere in risalto la solitudine del protagonista136, che, attraverso la

sofferenza e il tormento interiore, diventa il personaggio tragico che agisce sulla scena: un uomo solo e inselvatichito dal lungo esilio.

A sostegno di questa tesi, oltre alla già citata assenza di un coro composto da abitanti di Lemno, ci sono alcuni termini nell’opera che qualificano l’isola come disabitata. Tali termini, inoltre, presentano la peculiarità di essere tra le prime parole pronunciate in scena da due personaggi del calibro di Odisseo e Filottete, quasi a sottolineare l’importanza che riveste all’interno della tragedia il fatto che Lemno sia priva di uomini.

Odisseo introduce la tematica dell’isola deserta all’inizio del Prologo: Ἀκτὴ μὲν ἥδε τῆς περιρρύτου χθονός Λήμνου, βροτοῖς ἄστιπτος οὐδ’ οἰκουμένη (vv.1-2). Innanzitutto, il suolo dell’isola è chiamato χθών, termine che, a differenza di γαῖα, ne mette in evidenza l’infertilità137, un grande

ostacolo per la civilizzazione di un luogo. Più importante ancora è l’aggettivo βροτοῖς ἄστιπτος ‹‹non toccato da passi umani››, un’espressione rara138 e significativa che sottolinea la singolarità

dell’ambientazione139. Sebbene l’aggettivo sia concordato col termine ἀκτὴ che indica il capo roccioso

135 Si veda JEBB,1932:XXX-XXXI;seguito da TAPLIN,1988:171;gli studiosi si fondano su schol. ad Phil. 2: ἐν ἐρήμῳ γὰρ

μέρει τῆς Λήμνου ἐξετέθηὑπὸ τῶν Ἐλλήνων, in cui si dice che Filottete fu abbandonato dai Greci in una parte isolata di Lemno.

136 La solitudine è un tratto che caratterizza anche l’Antigone sofoclea, a differenza di quanto sembra accadere

nell’Antigone euripidea, nota a noi attraverso alcuni frammenti e qualche notizia riportata nell’Argumentum dell’omonima opera di Sofocle. L’eroina sofoclea, infatti, agisce da sola e muore nella più completa solitudine, mentre in Euripide Antigone viene aiutata dall’uomo che ama, Emone, che in seguito sposerà (Cfr. Argum. Soph. Ant. e schol. ad Ant. 1350; cfr. JOUANNA,2007:105). La solitudine di Filottete può essere, quindi, paragonata alla solitudine di Antigone nelle tragedie di Sofocle e, proprio questa solitudine, contrasta con la presenza di personaggi di supporto nelle omonime tragedie euripidee, dimostrando che, in fin dei conti, potrebbe essere stato proprio un tratto caratteristico della drammaturgia sofoclea il fatto di voler mettere in evidenza lo stato di abbandono dei protagonisti delle sue opere.

137 S.v. χθών in CHANTRAINE, 1968: ‹‹anciennement jamais considérée come étendue cultivable et nourricière››, come

confermano i riferimenti nel testo all’impossibilità di cibarsi dei prodotti della terra (vv.287-88; 707-9).

138 Per ἄστιπτος, TLG riporta solo il passo del Filottete; LSJ trova solo un’altra testimonianza in un’iscrizione siriana (OGI

606); cfr. Lexicon Sophocleum di T.F. Ellendt sotto il termine ἄστειπτος, che non presenta ulteriori attestazioni.

41 nei pressi del quale Odisseo approda, mi sembra più probabile che, nell’intenzione dell’autore, si possa estendere tale aggettivo all’intera isola sulla base del verso 487, in cui è lo stesso Filottete ad affermare di trovarsi χωρίς ἀνθώπων στίβου ‹‹lontano da ogni orma umana›› se rimarrà abbandonato sull’isola. Niente da aggiungere per quanto riguarda οὐδ’ οἰκουμένη, che non lascia spazio a dubbi interpretativi e viene ripreso quasi identico da Filottete nel momento in cui descrive l’isola come οὔτ’ εὔορμον οὔτ’ οἰκουμένην (v.221) a degli stranieri che poi si riveleranno essere Neottolemo con i suoi marinai.

Il fatto, poi, che Lemno venga definita οὔτ’ εὔορμος ‘non facile all’ormeggio’ associa la mancanza di un buon ancoraggio con l’assenza di abitanti ed esclude quasi completamente la possibilità che qualcuno vi giunga dal mare140. Questo è un particolare che difficilmente poteva venire ignorato dal

pubblico di fine V secolo, che ben sapeva come la presenza di un porto fosse fondamentale, specialmente per un’isola, per intrattenere rapporti commerciali. Tanto più che si hanno notizie di navigazione a fini commerciali fin dalla Grecia arcaica, in particolare durante il periodo di crisi delle società greche che portò alla colonizzazione a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C.141.

A Lemno, inoltre, erano ambientate due leggende molto note nella Grecia classica142, che

mettevano l’isola in relazione con la tematica della distruzione della vita civilizzata. Esse, dunque, avrebbero potuto giocare un ruolo importante nella decisione di Sofocle di presentare Lemno completamente priva di abitanti. Una leggenda143 narrava del rapimento da parte dei Pelasgi, abitanti

pre-ellenici dell’isola, di alcune donne ateniesi che celebravano la festa di Artemide a Brauron. Per completare la vendetta nei confronti degli Ateniesi che li avevano cacciati dall’Attica, essi fecero di queste donne le proprie concubine ed ebbero da loro dei figli, allevati dalle madri secondo i costumi attici. Questi giovani, però, non si integravano con i loro coetanei pelasgi, anzi tendevano a sopraffarli. I Pelasgi, spaventati da cosa avrebbero potuto fare quei ragazzi da adulti, decisero di ucciderli insieme alle madri con cui li avevano concepiti. L’altra leggenda144, ripresa anche da Sofocle nella tragedia

perduta Donne di Lemno, narrava l’assassinio da parte delle mogli di tutti i mariti infedeli, colpevoli di

140 Cfr. vv.301-3: ταύτῃ πελάζει ναυβάτης οὐδεὶς ἑκών: οὐ γάρ τις ὅρμος ἔστιν οὐδ᾽ ὅποι πλέων ἐξεμπολήσει κέρδος ἢ

ξενώσεται.

141 Cfr. AUSTIN VIDAL-NAQUET,1972:78-86.

142 Da queste leggende venne coniata l’espressione λήμνια κακά per indicare tutte le azioni scellerate, cfr. Hdt. VI 138. 143 Hdt. VI 138.

42 averle allontanate a causa dell’odore ripugnante da loro emanato e averle sostituite con schiave provenienti dalla Tracia.

È proprio da quest’ultima leggenda che Sofocle avrebbe potuto riprendere la tematica della δυσοσμία ‘cattivo odore’, che accomuna la vicenda delle Lemniadi con quella di Filottete. In entrambi i casi questa sgradevole condizione fisica viene procurata da una divinità arrabbiata: Afrodite punisce le donne di Lemno perché hanno trascurato il suo culto145, mentre Filottete viene morso dal serpente

protettore del recinto della dea Crise provocandogli una ferita maleodorante. La δυσοσμία rappresenta, inoltre, un grande ostacolo per il recupero della socialità: basti pensare alla preoccupazione di Filottete di infastidire i propri compagni di viaggio una volta che sembra stabilito che Neottolemo lo riporterà a casa (vv.876; 891-92), o al tradimento subito dalle donne di Lemno da parte dei mariti incapaci di sopportarne la vicinanza. Essa può essere vista, dunque, come una punizione divina strettamente legata alle vicende mitiche ambientate sull’isola di Lemno, di cui si servono gli dèi a discapito degli esseri umani con lo scopo di lasciarli in uno stato di isolamento.

Da Filostrato, originario di Lemno, veniamo a sapere che il crimine delle Lemniadi sarebbe stato alla base della festa dei Pyrophoreia146, che l’autore descrive nell’Eroico (53, 5-7):

ἐπὶ δὲ τῷ ἔργῳ τῷ περὶ τοὺς ἄνδρας ὑπὸ τῶν ἐν Λήμνῳ γυναικῶν ἐξ Ἀφροδίτης ποτὲ πραχθέντι καθαίρεται μὲν ἡ Λῆμνος καθ’ ἔκαστον ἔτος καὶ σβέννυται τὸ ἐν αὐτῇ πῦρ ἐς ἡμέρας ἐννέα, θεωρὶς δὲ ναῦς ἐκ Δήλου πυρφορεῖ, κἂν ἀφίκηται πρὸ τῶν ἐναγισμάτων, οὐδαμοῦ τῆς Λήμνου καθορμίζεται, μετέωρος δὲ ἐπισαλεύει τοῖς ἀκρωτηρίοις ἔστε ὅσιον τὸ εἰσπλεῦσαι γένηται. θεοὺς γὰρ χθονίους καὶ ἀπορρήτους καλοῦντες τότε, καθαρόν, οἶμαι, τὸ πῦρ τὸ ἐν τῇ θαλάττῃ φυλάττουσιν. ἐπειδὰν δὲ ἡ θεωρὶς ἐσπλεύσῃ καὶ νείμωνται τὸ πῦρ ἔς τε τὴν ἄλλην δίαιταν ἔς τε τὰς ἐμπύρους τῶν τεχνῶν, καινοῦ τὸ ἐντεῦθεν βίου ἄρχεσθαι.

‹‹A causa del delitto commesso dalle donne di Lemno contro gli uomini, per istigazione di Afrodite, ogni anno l’isola viene purificata, e ogni fuoco in essa viene spento per nove giorni147. La nave dei teori porta il

145 Intendo seguire questa versione del mito, in quanto raffrontabile con la vicenda di Filottete per la tematica della

punizione divina. Secondo la versione narrata dallo storico Mirsilo di Metimna (III a.C.), che seguirebbe il mito più antico, la responsabilità della δυσοσμία sarebbe, però, da attribuire a Medea che, presa da gelosia, passando per Lemno al ritorno dalla spedizione degli Argonauti, avrebbe rilasciato in acqua un φάρμακον (FGrHist 477 F 1).

146 Per un confronto tra Tesmoforie e Pyrophoreia sulla base della dissoluzione dell’ordine sociale durante tali feste si veda PARKER,2011:212-13.

147 La cadenza della festa è dubbia a causa di una corruzione del testo: intendo qui seguire la maggior parte dei manoscritti

43 fuoco da Delo e, se giunge prima dell’espiazione, non approda in alcun punto dell’isola, ma sta all’ancora, in mare aperto, tra i promontori finché non è consentito l’approdo. Fino ad allora custodiscono il fuoco puro in mare, invocando gli dèi ctonii e ineffabili. Dopo che la nave è approdata il fuoco viene distribuito per i vari usi e in particolare a quelle attività che lo richiedono. A partire da quel momento cominciano una nuova vita.››148

Il fuoco viene portato da Delo in quanto puro, poiché non è stato acceso dagli uomini, ma provocato dal sole mediante l’ausilio di specchi di bronzo. Solamente con il ritorno del fuoco la vita normale può riprendere149. I primi a beneficiare di tale fuoco purificato erano gli artigiani, quasi sicuramente i

fabbri dei quali Efesto era il protettore. I Pyrophoreia erano con ogni probabilità dedicati a questa divinità che si diceva abitasse l’isola da quando vi era stato scaraventato da Zeus poiché aveva tentato di difendere la propria madre, Era150.

Di origine molto antica, dato il legame con un mito che si faceva risalire al periodo della spedizione degli Argonauti, questa festa ci viene, però, descritta da un autore tardo, che opera sotto la dinastia dei Severi (a cavallo tra il II e il III secolo d.C.). Qualche variazione nel rituale sicuramente potrà essere avvenuta nel corso dei secoli: Dumézil151 ad esempio ipotizza che, originariamente, il

fuoco fosse ottenuto direttamente sull’isola e, solo dopo l’occupazione di Lemno da parte degli Ateniesi, cominciò la pratica di inviare una nave a Delo per ottenere il fuoco puro. Ritengo, dunque, proprio sulla base di quest’ultima ipotesi proposta da Dumézil che legherebbe Atene a Lemno, che Sofocle conoscesse la festa nella versione che ci viene presentata da Filostrato, da cui avrebbe potuto prendere ispirazione, come dimostrano alcuni parallelismi tra il rito lemnio e la vicenda narrata nel Filottete.

Innanzitutto, il numero 9 è presente sia nei Pyrophoreia, sia nella tragedia sofoclea, per quantificare il periodo di interdizione e isolamento152. Svariati esempi, tratti dalla storia e dal mito,

sembrano confermare che il numero 9 ricorresse in numerosi contesti proprio per indicare il tempo al

durante l’equinozio di primavera, per la frequenza di questa data in feste mediterranee dello stesso tipo; cfr. DUMÉZIL, 1924:54(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 2005, da cui, d’ora in avanti, si citerà).

148 Trad. it. V. Rossi.

149 Cfr. ROSSI,1997:232; PARKER,2011:197. 150 Il. I 590-94; Apollod. I 3, 5 (19). 151DUMÉZIL,1924:50-51.

44 termine del quale doveva avvenire qualcosa di decisivo153: 9 anni di isolamento aveva dovuto passare

Efesto (Il. XVIII, 400), dopo esser stato cacciato dall’Olimpo da Era, e lo stesso periodo dovevano trascorre i giovani Arcadi, come ‘lupi’, lontano dalla società154; un dio che commetteva spergiuro era

cacciato dalla comunità degli dèi per 9 anni155; Minosse ogni 9 anni rinnovava la sua potenza regale

mediante un contatto diretto con Zeus, così come a Sparta gli efori, dopo lo stesso intervallo di tempo, imponevano ai loro due re un’ordalia basata sullo scrutamento del cielo156; i riti espiatori in

onore di Charila venivano compiuti a Delfi ogni 9 anni157. Sebbene nel caso dei Lemniani si tratti di

giorni, mentre per Filottete di anni, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nell’epica il tempo era generalmente dilatato158, in modo da far apparire le imprese raccontate ancora più straordinarie:

basti pensare ai dieci anni di peregrinazioni dovute affrontare da Odisseo dopo la guerra di Troia, durata anch’essa dieci anni.

In secondo luogo, le restrizioni a cui sono soggetti gli abitanti di Lemno hanno dei punti di contatto con quelle di Filottete: i primi, per la mancanza di fuoco, non possono fare sacrifici, così come non può il secondo, dato che si trova su un’isola disabitata e dall’ormeggio complicato, in assenza di animali addomesticati, che il rito prevedeva fossero offerti159, e di vino (vv.715-17) per le

libagioni. La sospensione delle attività commerciali dei Lemniani è richiamata dall’impossibilità di ottenere un qualsiasi guadagno sull’isola, come afferma lo stesso Filottete: οὐ γάρ τις ὅρμος ἔστιν, οὐδ᾽ ὅποι πλέων ἐξεμπολήσει κέρδος ἢ ξενώσεται (vv.302-3)160. Le restrizioni alimentari mostrano

l’impossibilità, in entrambi i casi, di nutrirsi in maniera completamente civilizzata: gli abitanti di Lemno, infatti, non possono mangiare carne per la mancanza del fuoco, strumento indispensabile per la cottura, mentre il figlio di Peante non dispone di grano, né di qualsiasi altro alimento ottenuto per mezzo dell’agricoltura (v.708-9). Egli, come viene sottolineato dal Coro, non si nutre come gli ἀνέρες

153 Cfr. VIDAL-NAQUET,1981:36n.24. 154 Cfr. BREMMER,2010:205.

155 Hes., Th. 797 ss.; cfr. GIORDANO,1999a: 39. 156VERNANT,1962:38.

157 La leggenda è narrata in Plut., Quaest. Gr. 12; cfr. GERNET,2004:130-31.

158 Cfr. DUMÉZIL,1935-1936:242‹‹C’est donc d’abord par son ampleur, par son rhytme plus large que le temps mythique se

distingue du temps ordinaire››.

159DETIENNE-VERNANT, 1979: 51 (le pagine si riferiscono all’edizione italiana del 2014).

160 Cfr. Th. I 2, 2: τῆς γὰρ ἐμπορίας οὐκ οὔσης, οὐδ᾽ ἐπιμειγνύντες ἀδεῶς ἀλλήλοις οὔτε κατὰ γῆν οὔτε διὰ θαλάσσης,

45 ἀλφησταί (v.709), inteso nel senso letterale di ‘mangiatori di pane’161 poiché vivono del prodotto del

proprio lavoro agricolo, ma può solo cibarsi degli uccelli che riesce a procacciarsi con l’arco — πλὴν ἐξ ὠκυβόλων εἴ ποτε τόξων πτανοῖς ἰοῖς ἀνύσειε γαστρὶ φορβάν162 (vv.710-11).

Infine, in entrambi i casi, la salvezza è offerta da una nave che deve approdare sull’isola non prima della scadenza del periodo previsto per l’espiazione: per gli isolani si tratta della nave proveniente da Delo portatrice del fuoco puro, che permetterà di riprendere le loro attività, mentre per Filottete si tratta della nave di Neottolemo, che lo condurrà a Troia per essere guarito e porre fine alla guerra con l’uccisione di Paride.

È, dunque, una Lemno deserta che permette a Sofocle di presentare Filottete in una condizione molto simile a quella in cui vivono gli abitanti dell’isola durante i Pyrophoreia. Tale rito lemnio sembra, infatti, avere lasciato traccia nella tragedia, il cui protagonista, come gli abitanti di Lemno, deve trascorrere un periodo di interdizione di 9 anni — 9 giorni erano per i Lemniani — in una condizione di completa asocialità, data l’impossibilità di intrattenere rapporti con altre persone, nutrirsi in maniera civile o praticare una qualsiasi attività come l’agricoltura e il commercio. È interessante aggiungere, inoltre, che l’eroe è anche affetto da δυσοσμία, caratteristica dell’episodio mitico delle donne di Lemno, ritenuto l’αἴτιον della festa dei Pyrophoreia. Non solo, dunque, il rito praticato ancora ai tempi di Sofocle sull’isola servì al tragediografo per caratterizzare Filottete, ma egli risalì fino al mito da cui tale rito sembra avesse avuto origine, dimostrandone una conoscenza approfondita.

Questa serie di rimandi mitici e cultuali molto probabilmente era nota anche a buona parte del pubblico a teatro, così da non lasciare gli spettatori totalmente impreparati all’innovazione sofoclea dell’isola disabitata, abilmente inserita dal tragediografo nel dramma, con lo scopo di mettere in evidenza lo stato di totale abbandono in cui viene a trovarsi il protagonista dell’opera, tormentato da una malattia che non riesce a curare.

161 S.v. ἀλφηστής in CHANTRAINE,1968: ‹‹ce mot content dans son second terme la racine *ed- ‘manger’; on a donc compris

depuis le XIXᵉ siècle ‘manger de farine’ avec αλφι- comme premiere terme, l’elison de l’iota s’expliquant par des raisons métriques››; cfr. SCHEIN, 2013: 234.

46 1.4.2 UNA MALATTIA IPPOCRATICA

La malattia di Filottete svolge una parte molto importante all’interno della tragedia sofoclea, dato che essa è il motivo per cui l’eroe viene abbandonato a Lemno. Odisseo spiega, infatti, all’inizio del Prologo, che è stato per colpa delle urla del figlio di Peante, incapace di trattenersi per il dolore provocato dalla ferita, che gli Atridi gli hanno ordinato di liberarsene — ταχθεὶς τόδ᾽ ἔρδειν τῶν ἀνασσόντων ὕπο (v.6) —, essendo ormai impossibile libare e sacrificare in tranquillità (vv.8-9). È, dunque, a Lemno che Filottete convive per quasi dieci anni con questo morbo, imparando come lenire il dolore provocato dalla ferita e a riconoscere determinati sintomi. Quello che intendo, di seguito, mostrare è come nel testo del Filottete siano presenti numerosi termini che trovano corrispondenza nel Corpus Hippocraticum, dai quali si può dedurre un certo interesse da parte di Sofocle per questa nascente scienza medica, sfruttata dal tragediografo per la caratterizzazione della malattia.

Il termine più utilizzato nella tragedia per identificare la malattia di Filottete è νόσος163, un

sostantivo molto frequente nei testi greci per indicare una malattia in generale164. Tale termine

ricorre per ben 18 volte165 accompagnato da vari aggettivi, che verranno analizzati più

dettagliatamente in seguito. La ferita, invece, in due passi distanti tra loro solamente una cinquantina di versi, viene definita ἕλκος (vv. 650; 696), un termine utilizzato generalmente per indicare una piaga che non tende a cicatrizzarsi, come nel caso di Filottete166.

L’utilizzo di ἕλκος da parte di Sofocle molto probabilmente doveva rappresentare un richiamo al passo del Catalogo delle navi in cui viene presentato il figlio di Peante infermo a causa di una piaga — ἕλκεϊ (Il. II, 723) — procuratagli da un serpente, mettendo in evidenza un possibile richiamo da parte del tragediografo nei confronti della poesia omerica. Quello che è più interessante notare nel corso di questa analisi, però, è il parallelo che tale termine crea con il Corpus Hippocraticum e, in particolare, proprio con l’opera “Sulle Ulcere” appartenente a questa raccolta di scritti di medicina, in grado di rafforzare l’idea di una possibile conoscenza da parte di Sofocle di tali opere. In questa opera si consiglia, infatti, tra i vari rimedi proposti per curare le ulcere, di “applicarci sopra numerose foglie” —

163 In due occasioni, notava Di Benedetto (DI BENEDETTO,1988), la malattia viene richiamata semplicemente da un pronome

femminile: αὕτη (v.758) e ἥδε (v.807), senza che sia stato nominato subito prima il sostantivo νόσος. Ciò non toglie, comunque, che i due pronomi si riferiscano alla νόσος di Filottete.

164 A differenza di λοιμός che indicava una particolare epidemia, cfr. OT. 27; cfr. MITCHELL-BOYASK,2009:375. 165 Vv. 7; 173; 258; 266; 281; 313; 463; 520; 734; 765; 795; 847; 1044; 1330; 1334; 1379; 1424; 1438. 166GIULIANO,2014: 8.

47 ἄνωθεν φύλλα συχνὰ τίθεσθαι (Hp. Ulc. 2) —, ed è proprio un φύλλον (vv.649; 698) che Filottete utilizza per lenire i dolori della piaga. Non penso possa, dunque, essere un caso che Sofocle menzioni il φύλλον nei due passi in cui la malattia è connotata come ἕλκος167, ma ritengo, anzi, che questo

possa essere una prova di come egli avrebbe potuto trarre il significato di “erba medica”, prima non attestato in letteratura greca168, proprio dal trattato ippocratico “Sulle Ulcere”. Questa

corrispondenza perfetta tra malattia e rimedio che si riscontra nelle due opere getterebbe le basi per tentare di mostrare come Sofocle fosse stato un attento lettore degli scritti ippocratici, anche minori, dai quali traeva spunto per le sue tragedie.

Anche per quanto riguarda la descrizione dei sintomi provocati dalla malattia sembrano esserci