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IL RAPPORTO CON GLI DÈ

2 LO SPAZIO SCENICO

2.2 AMBIGUITÁ DELLA GROTTA, AMBIGUITÁ DI FILOTTETE

2.2.3 IL RAPPORTO CON GLI DÈ

Anche il rapporto con gli dèi partecipa di una certa ambiguità285 se si considera che, da quando è stato

abbandonato a Lemno, Filottete non è stato più in grado di compiere sacrifici di alcun genere, a causa della condizione stessa dell’eroe, che si ritrova su un’isola deserta senza animali da sacrificare e senza vino per le libagioni (vv.715-17)286. Ma, come si vedrà in seguito, gli dèi sono presenti nelle vicende

del figlio di Peante e non è lecito dubitare della sua εὐσέβεια.

Per cominciare mi sembra opportuno partire dal legame che Sofocle instaura nella tragedia tra il protagonista del dramma e le Ninfe. Queste divinità vengono nominate in un primo momento dal Coro, quando, riferendosi ad un possibile ritorno in patria di Filottete grazie all’aiuto di Neottolemo, i marinai del figlio di Achille definiscono la Malide come ‹‹dimora delle Ninfe malìache›› — ἀυλὰν Μαλιάδων νυμφᾶν (vv.724-25) —, facendo pensare ad un possibile culto importante di queste divinità nella regione della Malide. A sostegno di questa tesi si può citare un’iscrizione dedicata alla Ninfe (SEG 3, 453) su una base di marmo ritrovata a Hypata ai piedi del monte Eta, sulla riva sud dello Spercheo287. Sebbene quest’iscrizione sia databile alla fine del II secolo a.C. e, quindi, posteriore di tre

secoli rispetto alla messa in scena del Filottete, già al tempo di Sofocle, a mio parere, doveva essere presente un noto culto delle Ninfe nella regione della Malide. Esse molto probabilmente risiedevano nel fiume Spercheo288, e dal loro importante culto in questa zona il tragediografo avrebbe potuto

284VERNANT,1962:51.

285 Tale ambiguità risiederebbe, secondo Vernant (VERNANT,1974b: 114), proprio nella concezione religiosa dei Greci di un

mondo allo stesso tempo armonioso e lacerato dai conflitti, da cui sarebbe nata la tragedia.

286 Cfr. SEGAL,19992:292.

287 Di questo culto si parla in LARSON,2001:168.Per l’iscrizione (con foto) si veda DAUX LACOSTE-MESSELIÈRE,1924:366. 288 ‹‹Nymphs are thought to inhabit all watery places, and the many collective designations for nymphs include those of

the rivers (potamêides, epipotamides), springs (naiades, krênaiai), marshes (limnaiai, limnades, heleionomoi), and water in general (hudriades, ephudriades)›› LARSON,2001:8.

78 prendere spunto per il v.725 della sua opera, giustificando, in questo modo, il legame che si instaura tra il figlio di Peante e queste divinità anche sull’isola di Lemno.

Stando a quanto riportato proprio nelle parole di Filottete alla fine del dramma, durante il saluto che egli stesso rivolge all’isola (vv.1452-68), delle Ninfe erano presenti anche a Lemno se ad esse il protagonista del dramma rivolge il proprio saluto — νύμφαι τ᾽ ἔνυδροι λειμωνιάδες (v.1454) — immediatamente dopo aver dato l’addio alla grotta. Si può ipotizzare che queste Ninfe risiedessero nelle acque citate nei versi successivi da Filottete: le sorgenti e la fonte Licia289 — ὦ κρῆναι Λύκιόν τε

ποτόν (v.1461) —, rendendo esse le uniche entità abitatrici dell’isola insieme agli animali che Filottete cacciava (vv.184-85). E non è tutto, ma queste Ninfe, come dimostra il saluto rivolto a loro da Filottete, dovevano avere un qualche legame con il protagonista del dramma, tanto più che da quanto risulta dalle parole di Odisseo nel Prologo c’era una fonte sorgiva — ποτὸν κρηναῖον (v.21) — proprio sotto la grotta di Filottete — βαιὸν δ᾽ ἔνερθεν ἐξ ἀριστερᾶς (v.20) —, possibile anticipazione delle fonti citate al v.1461 e utile per sottolineare la vicinanza, per lo meno spaziale, del figlio di Peante con queste divinità.

L’importanza delle Ninfe all’interno di quest’opera è sottolineata, infine, dal fatto che ad esse è rivolta l’ultima preghiera da parte del Coro che si avvia a lasciare la scena (Lemno) al termine della tragedia (vv.1469-71):

χωρῶμεν δὴ πάντες ἀολλεῖς, νύμφαις ἁλίαισιν ἐπευξάμενοι νόστου σωτῆρας ἱκέσθαι.290

289 Cfr. schol. ad 1461 in cui si parla di una fonte dedicata ad Apollo Licio o, in alternativa, di una fonte presso cui andavano

i lupi a bere. La prima ipotesi sembra essere sostenuta dalla maggior parte dei commentatori ad loc.: cfr. JEBB,1932:

‹‹Traces of Apollo “Lykios” in Lemnos are not surprising. From early times he had been worshipped under that title, not only in the valley of the Xanthus, but also in the Troad (cp. Il. 4. 101)››; KAMERBEEK,1980:‹‹indubitably a spring sacred to Apollo Lycius, probably known to the audience, but for us unknown from elsewhere››; SCHEIN,2013:‹‹This wide-spread cult

title referred (1) to Apollo as wolf-god (cf. λύκος ‘wolf’), though it is unclear whether this meant wolf-like, wolf-killing, or protecting against wolves, or involved some combination of these meanings; (2) to an association of the cult with Lykia in Asia Minor, or its putative origin there››. Secondo un’antica leggenda riportata nel Corpus paroemiograforum Grecorum (IV, 99) Apollo avrebbe creato a Lemno due fonti: una di vino e una di miele, per consentire a Filottete di cacciare gli uccelli che lì andavano ad abbeverarsi.

290 Cfr. JEBB,1932ad 1470: ‹‹The list of the Nereids given by Hesiod (Th. 250 ff.) shows that they were imagined, not merely

as representing, but as influencing, the various moods of the sea. Thus he says of the Nereid “Κυμοδόκη” that, with her sister “Κυματολήγη”, ‘she quickly calms waves on the gloomy deep, and the blasts of fierce winds.’ The good offices of the Nereids to mariners are expressed by such names as “Φέρουσα, Ηοντοπόρεια”, and “Εὐλιμένη”. A voyager, then, might well pay his vows to them››.

79 ‹‹Andiamocene tutti insieme, dopo aver pregato le Ninfe marine di giungere protettrici del nostro ritorno››

Ciò dimostra come queste divinità siano in assoluto le più vicine al personaggio di Filottete, un eroe che, proprio come tali divinità, si lega indissolubilmente all’ambiente in cui risiede. Inoltre, si può notare la durata del rapporto che Filottete instaura con le Ninfe, capace di abbracciare l’intero arco della tragedia, e non solo: abbandonata la Malide e le Ninfe malìache, il protagonista del dramma si ritrova a passare quasi dieci sulla disabitata isola di Lemno in compagnia solo delle Ninfe delle fonti lemnie, per poi concludere il suo percorso sotto la protezione delle Nereidi durante il viaggio verso Troia e, probabilmente, anche il suo viaggio di ritorno in patria a guerra finita.

Un’altra divinità che mostra un legame forte con Filottete all’interno dell’opera è di sicuro Eracle, l’unico dio che agisce sulla scena. Di come si era creato il legame con Filottete (1.1) e della presenza di Eracle ex machina al termine della tragedia (2.1.3) si è già detto in precedenza. In questo caso sarà utile analizzare l’importanza dell’intervento del dio, poiché sembra che Eracle riesca a convincere Filottete a partire per Troia proprio grazie all’autorità divina che egli emana, piuttosto che per l’amicizia che lo legava a Filottete da anni291. Neottolemo, infatti, prova a convincere Filottete con

consigli da amico (vv.1314-47), come riconosce anche il figlio di Peante — πῶς ἀπιστήσω λόγοις τοῖς τοῦδ᾽, ὃς εὔνους ὢν ἐμοὶ παρῄνεσεν; (vv.1350-51) —, ma ottiene un rifiuto (vv.1367-69). Dopo aver incassato l’ennesimo rifiuto da parte di Filottete, Neottolemo gli si rivolge, allora, con queste parole (vv.1373-75):

λέγεις μὲν εἰκότ᾽, ἀλλ᾽ ὅμως σε βούλομαι θεοῖς τε πιστεύσαντα τοῖς τ᾽ ἐμοῖς λόγοις φίλου μετ᾽ ἀνδρὸς τοῦδε τῆσδ᾽ ἐκπλεῖν χθονός.

‹‹Dici cose ragionevoli, tuttavia vorrei che tu, fiducioso negli dèi e nelle mie parole, salpassi da questa terra con me, che ti sono amico››

Egli si presenta, dunque, come un φίλος che riporta il volere degli dèi (la profezia), ma anche in questo caso ottiene risposta negativa (vv.1376-77).

Quello che è significativo notare è che anche Eracle sostanzialmente si presenta in maniera simile a Neottolemo, poiché è giunto in qualità di amico per fare il bene di Filottete — τὴν σὴν δ᾽ ἥκω

80 χάριν292 (v.1413) — riportandogli il “volere di Zeus” (v.1415), con la sostanziale differenza che egli,

unico nel corso di tutta la tragedia, riesce a convincere Filottete a partire (vv.1445-47): ὦ φθέγμα ποθεινὸν ἐμοὶ πέμψας

χρόνιός τε φανείς,

οὐκ ἀπιθήσω τοῖς σοῖς μύθοις.

‹‹Oh tu che mi hai mandato la tua voce desiderata e ti sei mostrato dopo tanto tempo, non rifiuterò di obbedire alle tue parole››

Sentire la voce di Eracle è, dunque, come realizzare un desiderio per Filottete e l’apparizione dell’amico viene definita χρόνιος, con una forte sfumatura emotiva, per sottolineare la pena dell’attesa dall’ultima volta che si erano incontrati293.

Sia Neottolemo, sia Eracle sono, quindi, φίλοι di Filottete294, ma, come anticipato sopra, è solo

merito di Eracle se il figlio di Peante ha deciso di lasciare Lemno. Il motivo, a mio parere, risiederebbe proprio nell’autorità divina emanata da Eracle, in quanto deus ex machina, e manifesta, in particolare, nelle sue parole. Esse vengono, infatti, definite μῦθοι (vv.1410; 1415; 1447), al posto del più comune λόγοι, solo nel suo caso in tutta la tragedia, quasi che Sofocle volesse mettere in risalto la differenza tra la parola degli dèi e la parola degli uomini295.

Proprio le parole di Eracle ci guidano verso un’altra divinità molto importante per quanto riguarda il rapporto di Filottete con gli dèi, si tratta di Zeus, di cui il deus ex machina si fa portavoce (v.1415). La superiorità di Zeus viene accettata da tutti i personaggi della tragedia, dal Coro (v.680) a

291 Cfr. PERYSINAKIS,1994:385; SEGAL,19992:344; KYRIAKOU,2012:158 in cui si sostiene, invece, che il discorso di Eracle

rappresenterebbe la paraenesis di un amico piuttosto che la comunicazione di un ordine divino.

292 Si veda il commento ad loc. in AVEZZÙ-PUCCI,2003 in cui si sostiene che il v.1413 sia rivelatore dell’amicizia tra Eracle e

Neottolemo; cfr. PLÁCIDO SUÁREZ,2012:40-41 che mostra come il termine χάρις fosse spesso riferito ai legami di amicizia nella Grecia classica sia tra persone, sia tra città.

293 Cfr. ad loc. SCHEIN,2013 che mostra altri due casi dell’aggettivo χρόνιος nell’opera senza questa sfumatura patetica

(vv.600; 1449).

294 Quest’ipotesi viene rafforzata se si considerano Eracle e Neottolemo come i φίλοι della γνώμη φίλων (v.1467) a cui fa

riferimento Filottete, sulla scorta dei commenti ad loc. di JEBB,1932; KAMERBEEK,1980; AVEZZÙ-PUCCI,2003; SCHEIN,2013.Di difficile comprensione, visto il plurale di φίλος, la versione disgiuntiva proposta in schol. ad 1467: ἣ τοῦ Ήρακλέους ἣ τοῦ Νεοπτολέμου.

295 Cfr. PODLECKI,1966:244-45che aggiunge: ‹‹For it can hardly be accidental that μῦθος is used to reference with Heracles’

speech three times in his closing scene (1410, 1417, 1447), never in the preceding lines, although elsewhere in Sophocles it is interchangeable with λόγος››, sulla base di quanto riportato sotto la voce μῦθος nel Lexicon Sophocleum (ELLENDT, 18722);la stessa tesi è sostenuta anche in SEGAL,19992:337-38.Cfr. JOUANNA,2003:171-72in cui si sostiene che l’utilizzo di

81 Neottolemo, che lo invoca per ben due volte in qualità di Zeus Horkios: la prima implicitamente (v.1289), la seconda esplicitamente (v.1324), ma sempre per dar credibilità alla propria affermazione296, passando per Odisseo (vv.989-90).

Il caso di Filottete è un po’ più particolare, perché, nonostante anch’egli sembri riconoscere la superiorità di Zeus, comincia a manifestare nei confronti di questa divinità un comportamento ambiguo. Di sicuro il padre degli dèi ha tutto il rispetto del figlio di Peante se egli invoca Zeus Hikesios in un momento importante del dramma, come quando supplica Neottolemo di riportarlo a casa — νεῦσον, πρὸς αὐτοῦ Ζηνὸς ἱκεσίου, τέκνον, πείσθητι (vv.484-85). In questo caso si potrebbe immaginare Filottete nell’atto di osservare il rito dei supplici inginocchiandosi e abbracciando le ginocchia del supplicato297 — προσπίτνω σε γόνασι (v.485). Tale supplica in nome di Zeus convince

immediatamente il Coro (vv.507-18) e poco dopo sembra anche Neottolemo (vv.524-27), legittimando Filottete a sentirsi a tutti gli effetti un supplice del giovane figlio d’Achille. La forza di questo rapporto di subordinazione298 viene evocata in seguito da Filottete stesso che se ne serve

quando deve richiamare al suo dovere Neottolemo presentandosi in qualità di πρόστροπος (v.773)/προστρόπαιος (v.930), una spia linguistica utile a rimarcare la condizione di supplice del protagonista del dramma299. Il fatto di aver chiamato in causa la supplica precedente significa,

dunque, per Filottete far leva sui diritti e i doveri derivanti dal rapporto supplice/supplicato, al fine di spingere Neottolemo a rispettare la promessa di riportarlo a casa. Ma, è importante notare, Filottete fa appello a una supplica che non si è effettivamente compiuta perché, se si analizza il testo, si può notare che il rituale non sarebbe stato portato a compimento, nonostante le parole di Neottolemo sembrino confermare il contrario (vv.524-27):

(giambo), mentre alla fine d’un dimetro anapestico la sola forma possibile è μύθοις (spondeo) in sostituzione dell’anapesto››. Per un discorso generale sul rapporto μῦθος/λόγος si veda VERNANT,1974b: 193-200.

296 Cfr. TAPLIN,1988:167che vede una “genuina verità” nelle parole di Neottolemo sostenute dall’invocazione di Zeus

Horkios; MIKALSON,2012:434.

297 Come sostengono nel commento ad loc. KAMERBEEK,1980; AVEZZÙ-PUCCI,2003; SCHEIN,2013 in cui si rimanda anche a

προσπίτνω III in LSJ, dove sono elencati alcuni esempi del verbo utilizzato nell’ambito della supplica.

298 Cfr. GIORDANO,1999b: 23 ‹‹Pur presentandosi in una posizione di degradazione, il supplice non è affatto passivo verso il

suo destinatario. I suoi gesti costituiscono l’attacco al cuore dell’individuo››.

299 Tale aggettivo sarebbe semplicemente un sinonimo di ἱκέτης come notava lo scoliasta del v.773 e come indica

l’accostamento dei due termini al v.930. Mi sembra scorretto tentare di attribuirgli il significato più specifico, come in LSJ (s.v. προστρόπαιος), di “suppliant for purification”, dato che la supplica di Filottete dei vv.484-85 era finalizzata al suo ritorno in patria e mai nella tragedia viene menzionata l’intenzione da parte di Filottete di voler farsi purificare, anzi, egli rifiuta più volte di andare a Troia, dove gli è stato promesso verrà liberato dalla malattia che lo rende impuro.

82 ἀλλ᾽ αἰσχρὰ μέντοι σοῦ γέ μ᾽ ἐνδεέστερον

ξένῳ φανῆναι πρὸς τὸ καίριον πονεῖν. ἀλλ᾽ εἰ δοκεῖ, πλέωμεν, ὁρμάσθω ταχύς: χἠ ναῦς γὰρ ἄξει κοὐκ ἀπαρνηθήσεται.

‹‹Sarebbe veramente brutto che io mi mostrassi meno disponibile di te a darmi da fare per questo straniero al momento opportuno. Se a voi sta bene, salpiamo, si imbarchi rapidamente anche lui, la nave infatti non rifiuterà di accoglierlo››

La risposta di Neottolemo è, infatti, vaga ed elusiva; come notava Pucci, egli evita di mentire attraverso l’ambiguità delle sue stesse parole300 e scarica la responsabilità della decisione di

accogliere Filottete a bordo sia sui suoi marinai — ‹‹se a voi sta bene, salpiamo›› (v.526) —, sia sulla nave stessa — ‹‹la nave non rifiuterà d’accoglierlo›› (v.527), senza contare, infine, che la scena è interrotta dall’ingresso del falso Mercante (v.542). Il legame supplice-supplicato non può, dunque, dirsi instaurato, dato che manca la piena accettazione del supplicato301. Proprio per questo non si può

affermare che Zeus Hikesios non si sia fatto garante della supplica o che Neottolemo si sia comportato da empio non rispettando il supplice.

Il rapporto tra Filottete e Zeus sembra incrinarsi verso la fine dell’opera, quando, all’ennesima richiesta da parte del Coro di partire per Troia, l’eroe risponde (vv.1197-99):

οὐδέποτ᾽ οὐδέποτ᾽, ἴσθι τόδ᾽ ἔμπεδον, οὐδ᾽ εἰ πυρφόρος ἀστεροπητὴς βροντᾶς αὐγαῖς μ᾽ εἶσι φλογίζων.

‹‹Mai e poi mai, sappilo bene, neanche se il fulminatore portatore di fuoco venisse a bruciarmi con i lampi del tuono››

Questi versi di sfida nei confronti del padre degli dèi non devono essere, però, scambiati per un atto di ὕβρις, come nel caso di Capaneo, che fu effettivamente fulminato da Zeus302, ma come

300 Si veda il commento ad loc. in AVEZZÙ-PUCCI,2003.

301 Questa si manifestava, generalmente, prendendo per mano il supplice e facendolo alzare in piedi; cfr. GIORDANO,1999b:

37.

302 Apollod. III 6, 7; nella Biblioteca non è menzionato il motivo per cui Capaneo venne fulminato, ma dalle testimonianze

dei tragici pare che avesse sfidato gli dèi una volta scalate le mura di Tebe: cfr. il commento ad loc. in SCARPI,1996 che menziona come esempi di atteggiamento empio da parte di Capaneo: Aesch., Th. 423-34; Eur., Supp. 496-99. Cfr. WILES, 1997:185-86 che interpreta il gesto di Capaneo come un tentativo di superare l’asse verticale che nella prassi teatrale separa gli uomini dagli dèi.

83 ‹‹l’espressione iperbolica dell’affermazione della propria autonomia››303 esplicitata in questo rifiuto

categorico di andare dove non voleva e prestare aiuto a chi odiava di più in assoluto, gli Atridi e Odisseo. Sempre a Zeus, infatti, sotto l’appellativo di πανδαμάτωρ δαίμων (v.1467), Filottete torna ad affidarsi negli ultimi versi della tragedia, quando ormai la partenza è imminente, riconoscendo che proprio Zeus è il dio ‹‹che tutto questo ha portato a compimento›› (v.1468).

Il rapporto di Zeus con Filottete può essere preso a paradigma del rapporto di tale personaggio con le divinità in generale. Egli invoca gli dèi nel momento del bisogno affinché puniscano coloro che l’hanno fatto soffrire (vv.315-16; 1040-42) o semplicemente perché leniscano il suo dolore (vv.736- 38), sottolineando la εὐσέβεια del personaggio che ad essi si affida e chiede aiuto. È interessante notare, però, che egli non manca di biasimarli. Dopo aver scoperto da Neottolemo della morte di molti suoi compagni di spedizione valorosi (vv.410-37), infatti, così si lamenta il figlio di Peante (vv.448-52): καί πως τὰ μὲν πανοῦργα καὶ παλιντριβῆ χαίρουσ᾽ ἀναστρέφοντες ἐξ Ἅιδου, τὰ δὲ δίκαια καὶ τὰ χρήστ᾽ ἀποστέλλουσ᾽ ἀεί. ποῦ χρὴ τίθεσθαι ταῦτα, ποῦ δ᾽ αἰνεῖν, ὅταν τὰ θεῖ᾽ ἐπαινῶν τοὺς θεοὺς εὕρω κακούς;304

‹‹In qualche modo gli dèi si divertono a richiamare dall’Ade malfattori e disonesti, mentre vi mandano i giusti e gli onesti. Come si devono interpretare queste cose, come approvarle, se quando lodo le opere divine trovo che gli dèi sono malvagi?››

È evidente la durezza delle parole di Filottete nei confronti degli dèi305, ma non bisogna tralasciare il

fatto che la battuta si conclude con un’interrogativa senza risposta306, perché Filottete a questa

303DI BENEDETTO,20163:n. 77. Come notava JEBB,1932: ad loc., uguale motivazione si potrebbe dare alle parole di Ares in Il.,

XV 117-18: εἴ πέρ μοι καὶ μοῖρα Διὸς πληγέντι κεραυνῷ κεῖσθαι ὁμοῦ νεκύεσσι μεθ᾽ αἵματι καὶ κονίῃσιν.

304 Cfr. AVEZZÙ-PUCCI,2003ad loc. in cui si paragona lo sfogo di Filottete con quello di Antigone (Ant. 921 sgg.) e Illo (Tr.

1261 sgg.); nell’introduzione (p. XXIX) viene fatto anche un richiamo a Eraclito, fr. 102 D – K = 69 Diano – Serra: ‹‹Per la divinità tutte le cose sono belle buone e giuste: gli uomini alcune le giudicano giuste, altre ingiuste››.

305 Tanto che si è parlato, a torto, di ‘bestemmia’ da parte del protagonista dell’opera, cfr. PERROTTA,1935:420-21.Cfr. SOURVINOU-INWOOD,1997:185 ‹‹To present a deity as cruel is not to ‘criticize polis religion’, since in a religion without a devil gods have a dark and dangerous as well as a benevolent side; the same gods end cults articulated the dark and dangerous side of the cosmos, which Greek religion acknowledged end articulated, as the benign and positive one››.

84 domanda non sa effettivamente rispondere e così neanche il suo interlocutore Neottolemo, mettendo ancor di più in evidenza l’ambiguità del rapporto con gli dèi.

Filottete, dunque, manifesta reverenza nei confronti degli dèi e vorrebbe lodare ogni loro decisione, ma è incapace di comprendere le ragioni che li spingono a far soffrire gli uomini e ciò lo porta a dubitare della loro effettiva bontà, ma mai a prendere una posizione nettamente contraria che lo porterebbe a macchiarsi di empietà. Egli, infatti, ha un buon rapporto con le Ninfe, sia della sua patria, sia lemnie, obbedisce all’esortazione di Eracle e riconosce la superiorità Zeus, nonostante proprio una ninfa, Crise, fosse responsabile diretta della sua ferita (come esposto in maniera più dettagliata in 1.2.2) ed Eracle e Zeus non gli diano alcuna spiegazione delle sofferenze che aveva dovuto patire307. Una risposta plausibile al quesito di Filottete che non riesce a comprendere questa

distanza uomo-dio, a mio parere, l’ha offerta Dodds: ‹‹Quando da Omero passiamo a considerare la frammentaria letteratura dell’età arcaica e quegli scrittori dell’età classica che ancora mantengono una visione generale arcaica, come Pindaro, Sofocle e, in gran parte Erodoto, una delle prime cose che ci colpiscono è la profonda coscienza dell’incertezza e dell’impotenza (ἀμηχανία) umana, con il suo corrispettivo religioso, il senso dell’ostilità divina; non perché la divinità sia sentita come maligna, ma nel senso che una Potenza e una Sapienza dominatrici mantengono sempre l’uomo in basso, gli impediscono di elevarsi al di sopra del proprio stato››308. Non c’è spiegazione, è così e basta, e il fatto

che Filottete si rassegni al volere divino e rinunci ai propri ideali è indice di accettazione della superiorità divina, che i mortali non riescono e non possono comprendere appieno, ma solo accettare.

Sofocle mostra, così, una evidente dipendenza da parte di Filottete nei confronti degli dèi: siano le Ninfe, che lo accompagnano nell’arco di tutta la vita, Eracle, l’amico di un tempo capace di mediare tra il figlio di Peante e Zeus, o Zeus stesso, il padre degli dèi a cui viene riconosciuta l’autorità suprema. Sembra, dunque, che dietro a questa ἐυσέβεια di Filottete si potesse celare una sorta di messaggio per il pubblico, riecheggiato nelle parole che Eracle rivolge al protagonista del dramma e a Neottolemo (vv.1440-419): τοῦτο δ᾽ ἐννοεῖθ᾽, ὅταν πορθῆτε γαῖαν, εὐσεβεῖν τὰ πρὸς θεούς. Filottete,

307 Cfr. PARKER,1999:13.

308DODDS,1951:72.Cfr. GERNET,1968:13-14(“L’anthropologie dans la religion grecque”); VERNANT,1990:9che mette in

85 nonostante l’asprezza di carattere, deve essere preso come esempio di ἐυσέβεια dagli Ateniesi309. In

un periodo complicato come la fine del V secolo, Sofocle propone un ritorno agli antichi valori religiosi che avevano fatto grande Atene, messi in crisi dagli episodi sacrileghi avvenuti nel 415 prima della partenza per la spedizione in Sicilia310, capaci di minare la compattezza del corpo sociale della

πόλις311.