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FILOTTETE TRA ALCIBIADE E SOFOCLE: LA MEMORIA COLLETTIVA

2 LO SPAZIO SCENICO

3.3 IL PESO DEL PASSATO TRA MEMORIA INDIVIDUALE E MEMORIA COLLETTIVA

3.3.2 FILOTTETE TRA ALCIBIADE E SOFOCLE: LA MEMORIA COLLETTIVA

Grazie all’Hypothesis II attribuibile al Filottete sofocleo è possibile datare con precisione l’anno di rappresentazione della tragedia, che avvenne sotto l’arcontato di Glaucippo alle Grandi Dionisie del 409 a.C., in un clima di grande fervore data la recente restaurazione della democrazia dopo le parentesi oligarchiche dei Quattrocento e dei Cinquemila (411-410 a.C.)498. Secondo quanto riportato

dal decreto di Erasinide499, inoltre, proprio in occasione delle Grandi Dionisie di quell’anno, era stato

stabilito che venisse incoronato un certo Trasibulo di Calcidone, un meteco di orientamento democratico, divenuto celebre per aver assassinato Frinico. È, dunque, in questa cornice di festa per celebrare il ritorno alla democrazia che viene portata in scena la tragedia.

C’è indubbiamente un personaggio di spicco nella politica ateniese di quegli anni, si tratta di Alcibiade, che insieme ai democratici in esilio a Samo aveva riportato notevoli vittorie contro gli Spartani ad Abido, Sesto e Cizico (410)500. Si decise allora ad Atene di votare per il ritorno del

comandante vittorioso, dopo che egli era rimasto in esilio per paura del processo intentatogli con l’accusa di empietà per gli avvenimenti che avevano preceduto la spedizione in Sicilia (415)501. Ma

496 Per il rapporto tra ‘memoria individuale’ e ‘memoria collettiva’ si veda HALBWACHS,19682:12-12,preso come riferimento

anche in MEYERSON,1956:335-36e ASSMANN,1992:10-13(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 1992, da cui, d’ora in avanti, si citerà).

497 ‹‹Ma ricordarsi dovevano presto gli Argivi presso le navi di Filottete sovrano››; trad. G. Cerri. 498 Th., VIII 68-97.

499 IG I3 102; cfr. UGOLINI,2000:185-86. 500 Xen., Hell. I 1, 5-22.

126 Alcibiade nel 409 non si decideva ancora a tornare in patria, temendo possibili ritorsioni da parte dei suoi avversari502.

È proprio in questi ultimi episodi della vita di Alcibiade che molti studiosi, già a partire dal Settecento, hanno intravisto una possibile identificazione tra lo stratego ateniese e Filottete503. Sono

presenti, effettivamente, nel testo numerosi richiami che supporterebbero questa teoria, basti pensare che Sofocle porta in scena un Filottete che non vuole tornare a far parte dell’esercito da cui è richiamato (vv.622-25; 1197-99; 1367-69; 1392), sebbene la sua presenza sia fondamentale per la vittoria della guerra (vv.196-99), colpito anch’egli da un’interdizione religiosa, causatagli dal morso del serpente protettore di Crise (vv.192-94; 1326-28), in conseguenza della quale era stato abbandonato (vv.8-11; 1032-34). Non ritengo, però, sia corretto affermare che l’autore attraverso il personaggio di Filottete volesse rappresentare la situazione di Alcibiade.

Sembra verosimile che negli anni in cui componeva il Filottete Sofocle parteggiasse per Alcibiade, un aristocratico schieratosi negli ultimi anni dalla parte della democrazia moderata di stile pericleo e avverso a quelle correnti democratico-radicali alle quali lo stesso tragediografo si opponeva con decisione. Molto probabilmente qualche riferimento sarà anche stato voluto, ma di certo l’intransigenza morale del figlio di Peante sembra avere poco a che fare con certi comportamenti dell’Alcmeonide: ‹‹Alcibiades’ way of life was characterised by ‘luxury, drunkenness and debauchery’ (Plut. Alc. 1, 8; cf. Mor. 800d), although he also gained a reputation for being chameleon-like (Plut. Alc. 23, 4) to adopt whatever way of life was called for››504, un atteggiamento che lo renderebbe

molto più simile all’Odisseo della tragedia, almeno per quanto riguarda l’aspetto politico. Del resto, come notava Aristotele, ‹‹la poesia si occupa piuttosto dell’universale, mentre la storia racconta i particolari. Appartiene all’universale il fatto cha a qualcuno capiti di dire o di fare certe cose secondo

502 Xen., Hell. I 4, 18-19; in particolare sembra che egli fosse preoccupato dai poteri in materia di diritto sacrale di cui erano

in possesso le famiglie dei Kerykes e degli Eumolpidi, capaci di intentargli un nuovo processo per empietà, dato che la prima volta, nel 415, Alcibiade era fuggito; cfr. Th. VIII 53, 2; Plut., Alc. 33, 3.

503 Il primo fu Le Beau (1770), “Mémoires sur les tragiques grecs”, in Mémoires de l’Académie Royale des Incriptions et Belles Lettres 35, pp. 432-74; seguirono numerose interpretazioni allegoriche anche di altri personaggi della tragedia, di cui

offre una rassegna CALDER III,1971:170; tra gli studi più recenti che propongono un’identificazione tra Alcibiade e Filottete si veda VICKERS,1987:172-187;cfr. UGOLINI,2000:209-10.

504VICKERS,1987:177;cfr. AVEZZÙ,1988:31‹‹Se lo spettatore avesse inteso Filottete = Alcibiade […] difficilmente si sarebbe

evitata l’ilarità del pubblico che sentisse declamare il paragone tra Issione, punito per il suo tentativo di seduzione su Era, e Filottete/Alcibiade, personalmente inviso al re spartano Agide (= Zeus ?!) per avergli sedotto la moglie e, comunque, per

127 verisimiglianza o necessità, e a questo mira la poesia, aggiungendo successivamente i nomi; appartiene invece al particolare dire cosa ha fatto o cosa è capitato ad Alcibiade››505.

Seguendo il consiglio di Calder III, invece di cercare corrispondenze tra i politici dell’epoca e i personaggi della tragedia, sarebbe più utile tentare di trovare all’interno dell’opera possibili richiami ai problemi e alle tematiche politiche affrontate ad Atene in quegli anni506. Per ottenere questo

risultato sarà utile analizzare quello che sappiamo della vita di Sofocle. Egli, infatti, in seguito alla disfatta in Sicilia di cui furono ritenuti responsabili i democratici e gli indovini507, venne eletto, insieme

ad altri nove cittadini anziani, probulo nel 413, con il compito di sovraintendere a misure di rigore economico. Sta di fatto, comunque, che i probuli posero le basi per il colpo di stato oligarchico del 411, dato che avevano in pratica assunto i poteri della Bulé, lasciando quest’istituzione democratica ormai priva di valore508.

Una testimonianza significativa di questo periodo, che riveste grande importanza in quanto legata a Sofocle, viene riportata da Aristotele nella Retorica (1419a 26-30), quando racconta l’episodio del processo di Lisandro, uno dei maggiori esponenti della fazione oligarchica, che, processato al tempo della restaurazione della democrazia, tentò di chiamare in causa anche Sofocle, poiché, in quanto probulo, anch’egli doveva essere ritenuto responsabile della parentesi oligarchica del 411:

Σοφοκλῆς, ἐρωτώμενος ὑπὸ Πεισάνδρου εἰ ἔδοξεν αὐτῷ, ὥσπερ καὶ τοῖς ἄλλοις προβούλοις, καταστῆσαι τοὺς τετρακοσίους, ἔφη “τί δέ; οὐ πονηρά σοι ταῦτα ἐδόκει εἶναι;” ἔφη. “οὐκοῦν σὺ ταῦτα ἔπραξας τὰ πονηρά;” “ναὶ”, ἔφη, “οὐ γὰρ ἦν ἄλλα βελτίω”.

‹‹Sofocle, quando Pisandro gli domandò se era del parere, come gli altri probuli, di istituire i Quattrocento, rispose di sì. Perché? Non ti sembravano misure cattive?”. Sofocle disse di sì. “Tu dunque hai compiuto azioni cattive?”. “Sì,” rispose “perché non c’erano alternative migliori”››509.

È evidente, dunque, che Sofocle in quegli anni si fosse schierato a favore del colpo di stato di stampo oligarchico, come ammette egli stesso, ma nell’ultima riposta a Pisandro sembra lecito vedere una presa di distanza da quel governo che egli aveva originariamente sostenuto solamente ‹‹perché non

i suoi trascorsi e per l’appartenenza all’aristocrazia più spregiudicata, tutt’altro che giusto e innocente e meno che mai isos

en isois anér (v.684)››.

505 Arist., Po. 1451b 7-12 (il riferimento ad Alcibiade è puramente casuale); trad. It. G. Paduano. Cfr. CALAME,2006:61. 506CALDER III,1971:170.

507 Th. VIII 1.

128 c’erano alternative migliori›› — οὐ γὰρ ἦν ἄλλα βελτίω510. Viene, dunque, messa in evidenza una

certa mancanza di scelta che richiama la situazione in cui era venuto a trovarsi Filottete, quasi costretto a partire per Troia dopo l’intervento divino di Eracle (vv.1445-47).

Dopo anni passati ad essere comandati da demagoghi quali Cleone e Cleofonte era giunto il momento di cambiare, anche a costo di passare ad un regime di orientamento oligarchico, ma anch’esso aveva fallito. E proprio questi anni bui in cui si erano succeduti demagoghi e oligarchi al comando della città sembrano emergere dalle parole di Neottolemo (vv.386-88):

πόλις γάρ ἐστι πᾶσα τῶν ἡγουμένων

στρατός τε σύμπας: οἱ δ᾽ ἀκοσμοῦντες βροτῶν διδασκάλων λόγοισι γίγνονται κακοί.

‹‹la città è interamente responsabilità di coloro che governano e anche il popolo intero, e coloro tra i mortali che ne distruggono l’ordine diventano malvagi per gli insegnamenti dei loro maestri››

Lo stesso Odisseo, a cui il passo è riferito511, sembra quasi meno colpevole del suo comportamento

malvagio, poiché influenzato negativamente dagli Atridi, i comandanti dell’esercito. Tali versi, a mio parere, denuncerebbero non solo il governo oligarchico appena caduto512, ma anche la precedente

democrazia radicale che, stando a quanto emerge dal pensiero sofocleo, avrebbe portato al desiderio, almeno di una parte di Ateniesi, di un cambio al governo della città.

Non intendo sostenere che il Filottete rappresenti l’apologia di Sofocle che si riteneva responsabile di aver favorito l’instaurazione del regime oligarchico513, ma piuttosto mi sembra

interessante mettere in luce come, in quegli anni turbolenti, l’atteggiamento politico del tragediografo, di cui abbiamo cercato di mostrare echi presenti nell’opera, potesse essere preso a paradigma di una buona parte di popolazione Ateniese. Sembra quasi che Sofocle stesso, attraverso la figura di Filottete, volesse mostrare come dovevano sentirsi quei moderati di estrazione aristocratica, che, come lui, dopo l’ostracismo di Cimone (461) avevano collaborato per trent’anni con la

509 Trad. it. M. Dorati.

510 Cfr. Xen., Hell. I 4, 16 che mostra come anche Alcibiade la pensasse come Sofocle, avvalorando così la tesi sostenuta in

precedenza dell’appoggio politico da parte del tragediografo nei confronti dell’Alcmeonide.

511 Cfr. FRAENKEL,1977:53-55. 512 Cfr. ad loc. JEBB,1932.

129 democrazia moderata periclea514. Uomini di tal genere, molto probabilmente, dovevano essere anche

gli altri anziani probuli, che sicuramente non furono scelti in vista dell’instaurazione di un regime oligarchico, ma semplicemente per snellire le procedure democratiche in modo da agire tempestivamente sui problemi che affliggevano Atene515. Questo spiegherebbe anche perché

l’oligarchico Pisandro, processato sotto la democrazia appena restaurata, avrebbe cercato di coinvolgere Sofocle nel processo: egli cercava di deresponsabilizzarsi mostrando come anche il tragediografo, sebbene non fosse di quell’orientamento, avesse appoggiato i Quattrocento.

Ad Atene come nella tragedia tutto si risolve alla fine ristabilendo lo status quo originario: Filottete verrà reintegrato nell’esercito (vv.1423-25), mentre la πόλις ritorna ad avere un regime democratico. Per di più, sembra esserci anche un miglioramento in entrambi i casi rispetto alla situazione precedente, dato che Filottete col suo ritorno a Troia verrà guarito e otterrà una ‘vita gloriosa’ portando gli Achei alla vittoria (vv.1426-28), mentre ad Atene erano state eliminate le correnti democratiche più radicali.

Sofocle porta sulla scena un Filottete ‘anacronistico’ per il pubblico presente a teatro, un eroe che incarna i valori aristocratici della γενναιότης, una figura di ‘nobile’ che ha smesso di esistere nella società contemporanea516. Nel personaggio di Neottolemo, però, che recupera la φύσις paterna

(vv.1310-13), si può intravedere la speranza che anche gli Ateniesi potessero recuperare questa ideologia gentilizia che si era persa dopo la morte di Pericle517. Ma anche in questo caso il passato

lascia un’ombra sul futuro, la stessa ombra rimasta nell’animo di Filottete, incapace di perdonare i propri nemici e portato a Troia contro la sua volontà, quasi che Sofocle sapesse, in cuor suo che, sebbene le cose sembrava stessero volgendo al meglio, c’era la possibilità che la cicatrice lasciata da un trentennio di mal governo potesse portare ad un futuro negativo. E così sarà, infatti, sia per Alcibiade, che dopo la sconfitta a Nozio (407) percepì l’aumentare del malumore in patria nei suoi

514 Cfr. UGOLINI,2000:85-86

515 Cfr. Th. VIII 1, 3 che definisce i probuli come οἵτινες περὶ τῶν παρόντων ὡς ἂν καιρὸς ᾖ προβουλεύσουσιν.

516 Cfr. CALDER III,1971:170-71che nota come nel testo l’aggettivo γενναῖος sia più presente rispetto alle altre tragedie

sofoclee.

517UGOLINI,2000:206;cfr. VAN GRONINGEN,1953:10‹‹The Greeks wanted the future to be better than the present, but in the

130 confronti e preferì ritirarsi in esilio nel Chersoneso518, sia soprattutto per Atene, destinata a perdere la

guerra contro Sparta (404).

In fin dei conti, come per Filottete, anche per Alcibiade e Atene non ci sarà un lieto fine. Questo Sofocle non poteva saperlo con certezza, visto che la tragedia venne rappresentata nel 409, e sicuramente non se lo augurava, dato che anche l’eroe tragico sembra avviato verso un futuro migliore, ma un uomo politico della sua esperienza sapeva che un passato così negativo avrebbe potuto influire sugli sviluppi futuri e ce lo fa comprendere attraverso la figura di Filottete e quell’ombra indelebile rimastagli nell’animo a causa delle sofferenze che aveva dovuto passare. Filottete rappresenta, in fin dei conti, un ‘archetipo’, nel senso del termine utilizzato da Mircea Eliade519. In quanto personaggio mitico egli può, infatti, essere paragonato ad Alcibiade, Sofocle o a

qualsiasi altro Ateniese che condividesse quei medesimi valori, portando alla luce quel dibattito insito nella natura della tragedia tra il passato del mito e il presente della città520. Filottete sarebbe, dunque,

utilizzando la terminologia di Halbwachs521, il prodotto della ‘memoria collettiva’ formatasi all’interno

di quel ‘quadro sociale’ quale era l’Atene di fine V secolo, una memoria portata in scena, per l’appunto, attraverso l’opera di Sofocle.

518 Xen., Hell. I 5, 12-17.

519ELIADE,1949:65‹‹[…] la memoria popolare trattiene difficilmente avvenimenti “individuali” e figure “autentiche”, essa

funziona per mezzo di strutture diverse: ‘categorie’ al posto di ‘avvenimenti’, ‘archetipi’ al posto di personaggi ‘storici’››. Cfr. VERNANT,1974b:226-28.

520 Cfr. VERNANT VIDAL-NAQUET,1972.

521 Mi riferisco a quanto sostenuto dallo studioso in “Les cadres sociaux de la mémoire” (1925) e, soprattutto, in “La

mémoire collective” (1950), già citato nel presente lavoro nella sua seconda edizione (HALBWACHS,19682). Cfr. GRIFFIN,1998:

131

CONCLUSIONI

Dall’analisi di alcuni aspetti relativi allo spazio e al tempo nel Filottete sofocleo emerge un quadro del rapporto uomo/società molto complesso. Non solo, infatti, il protagonista del dramma viene a trovarsi in una condizione limite tra natura e cultura abbandonato per quasi dieci anni su un’isola deserta522, ma è importante anche sottolineare l’influenza che la stessa società ateniese di fine V

secolo a.C. esercitava nei confronti dell’opera tragica523 e, in particolare nei confronti dell’autore,

Sofocle.

Lo studio dei luoghi che compongono lo spazio mitico di Filottete mette in luce come tali località siano state inserite da Sofocle nella tragedia per presentare il protagonista del dramma all’interno di un contesto sociale (Malide e Troia) o in uno stato di completo abbandono, privo cioè di una società di riferimento (Crise e Lemno). In particolare, per rendersi conto di quanto poco sopra affermato, è necessario far riferimento ai riti, alle leggende e alle pratiche sociali legate a tali luoghi.

La Malide, patria di Filottete, richiama il legame di amicizia instauratosi tra il figlio di Peante ed Eracle sul monte Eta mediante gli episodi mitici dell’accensione della pira e del conseguente dono dell’arco. Tali episodi mitici, oltre a fare chiaro riferimento alla creazione di un antico legame sociale tra i due personaggi tragici, mostrano anche un collegamento con pratiche sociali in vigore nella società contemporanea alla tragedia. L’accensione della pira su cui Eracle voleva farsi bruciare ad opera di Filottete rappresenta l’αἴτιον di un’antica festa del fuoco in onore di Eracle, tenutasi anch’essa sul monte Eta e simbolo del legame tra una comunità e l’eroe protettore di un determinato territorio (1.1.2), mentre il conseguente dono dell’arco a Filottete da parte di Eracle presenta le caratteristiche evidenziate da Mauss nel suo studio sullo scambio di doni finalizzato alla creazione di legami sociali (1.1.3).

522 Cfr. ASSMANN,1992:102‹‹l’esistenza umana quale la conosciamo è pensabile solo sul terreno ed entro il quadro della

cultura e della società. Anche l’eremita, che le rinnega entrambe, è permeato da esse e vi partecipa nel gesto stesso della negazione››.

523 Cfr. TURNER,1982:191‹‹si noti che il dramma sociale manifesto agisce sulla sfera latente del dramma scenico; la sua

forma caratteristica in una data cultura, in un dato contesto spaziotemporale, influenza inconsciamente, o forse preconsciamente, non solo la forma ma anche il contenuto del dramma scenico di cui è lo specchio attivo o ‘magico’››;

LONGO,1990:15; GRIFFIN,1998:39-40.Per la tragedia come ‘specchio infranto’ della società greca dell’Atene classica si veda

132 L’isola di Crise rappresenta il luogo in cui Filottete comincia a perdere contatto con la sua società di riferimento, l’esercito greco in viaggio verso Troia, dato che su quest’isola egli viene morso dal serpente protettore della ninfa Crise, causa diretta della ferita al piede che lo porterà ad essere abbandonato. A sottolineare l’idea dell’asocialità del luogo ci sono le due figure precedentemente citate: la ninfa Crise può essere vista come un simbolo del complicato rapporto dell’uomo (e in particolare dell’eroe sofocleo) con gli dèi, in quanto la Ninfa punisce il figlio di Peante senza spiegazione (1.2.2), tanto da essere definita ὠμόφρων da Neottolemo (v.194); il serpente, con il suo morso, rappresenta il tramite della malattia, e non solo, l’animale e la malattia si fondono in un’unica cosa se si nota che il morbo viene spesso descritto come una bestia feroce che morde la carne del malcapitato Filottete (1.2.3). È opportuno ricordare, inoltre, che il serpente era anche simbolo di Asclepio e, quindi, oltre che causa della malattia potrebbe assumere un’accezione positiva in vista della futura guarigione di Filottete ad opera proprio del dio della medicina. Questa ambivalenza della figura del serpente è ascrivibile alla sua natura ctonia, ambigua per eccellenza, che gli consente di rientrare nell’ambito sia della malattia sia della cura.

A Troia hanno luogo due avvenimenti, la profezia e la guarigione, strettamente legati alla tematica del recupero di una società di riferimento per quanto riguarda il protagonista del dramma. Su suolo troiano era stata pronunciata, infatti, dall’indovino Eleno la profezia secondo cui la presenza di Filottete e del suo arco sarebbe stata indispensabile per vincere la guerra. Tale profezia rappresenta di fatto il ‘pungolo divino’ — κέντρον θεῖον (v.1039) — che spinge gli Achei ad andare a recuperare Filottete per reinserirlo nei ranghi dell’esercito. Il fatto poi che la profezia venga svelata attraverso una serie di interpretazioni più o meno mistificate e che Neottolemo riesca, nonostante tutto, a comprenderne il vero significato prima del completo disvelamento da parte di Eracle, nasconde una critica alla società ateniese di fine V secolo in cui i demagoghi tentavano di influenzare le decisioni del popolo e solo i cittadini migliori erano in grado di non credere alle loro menzogne (1.3.2). A Troia avrà luogo, inoltre, la guarigione di Filottete, condizione fondamentale affinché l’eroe venga riaccettato nell’esercito, grazie all’intervento di Asclepio. Tale divinità, a cui Sofocle era molto legato dato che egli aveva avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione del suo culto ad Atene favorendo un’alleanza con Epidauro, aveva un tempio proprio vicino al teatro sulla pendice meridionale dell’Acropoli. Come il tempio d’Asclepio curava il corpo dei malati, il teatro era visto

133 come uno strumento di cura del corpo politico in un periodo in cui i cittadini ateniesi, come Filottete, si sentivano abbandonati dalla loro società di riferimento, la πόλις ateniese, che sembrava destinata a decadere (1.3.3).

A Lemno Filottete sperimenta la solitudine e la malattia: quest’isola rappresenta il culmine dell’esperienza asociale del protagonista del dramma. Sofocle presenta, infatti, al suo pubblico una Lemno completamente deserta traendo spunto molto probabilmente da due leggende, mi riferisco a quelle già esposte in 1.4.1 dei Pelasgi e delle Lemniadi, che avevano a che fare con la tematica della distruzione della vita civilizzata sull’isola. È evidente, inoltre, che le numerose interdizioni religiose che caratterizzavano la festa dei Pyrophoreia, il cui αἴτιον è rappresentato proprio dal misfatto perpetrato dalle donne di Lemno, trovano riscontro nella condizione di privazione in cui si trova Filottete sull’isola, tanto più che sia il figlio di Peante sia le Lemniadi sono accomunati da una punizione divina in grado di isolare socialmente chi ne fosse colpito: la δυσοσμία.

Oltre alla solitudine, Filottete è costretto a fronteggiare l’enorme sofferenza provocatagli dalla malattia. Proprio questa malattia viene presentata attraverso numerosi termini che trovano una buona corrispondenza nel Corpus Hippocraticum, una serie di scritti che illustrano i risultati degli studi appartenenti ad una nascente scienza medica che prendeva le distanze dalla medicina ‘tradizionale’, strettamente legata alla religione e di cui il già citato dio della medicina Asclepio era un rappresentante (1.4.2). L’utilizzo di termini che appaiono frequentemente negli scritti ippocratici fa, dunque, pensare alla forte influenza esercitata da queste opere sulla società contemporanea e, in particolare, nei confronti Sofocle, che si mostra un buon conoscitore della dottrina ippocratica pur essendo stato uno dei maggiori sostenitori dell’introduzione del culto di Asclepio ad Atene. Strettamente legato alla malattia è un dio che fin dall’epica arcaica veniva fatto risiedere a Lemno, Hypnos, che si mostra nella sua doppia natura di guaritore/ingannatore. Egli assume la funzione di